Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici - D.L. 201/2011 ' A.C. 4829-A - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 4829-A/XVI   DL N. 201 DEL 06-DIC-11
Serie: Progetti di legge    Numero: 570    Progressivo: 1
Data: 14/12/2011

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento
dei conti pubblici

D.L. 201/2011 – A.C. 4829-A

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 570/1

Edizione provvisoria

 

 

14 dicembre 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Bilancio

( 066760-9932 – * st_bilancio@camera.it

 

 

 

 

Le schede di lettura del presente dossier potrebbero contenere talune numerazioni degli articoli e dei commi del testo del provvedimento non coincidenti con il testo dell’articolato dell’A.C. 4829-A, in quanto al momento della redazione del dossier il testo definitivo, approvato dalle Commissioni riunite V e VI, risulta in corso di compilazione.

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File: D11201b.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Aiuto alla crescita economica - ACE)3

§      Articolo 2 (Agevolazioni fiscali riferite al costo del lavoro nonché per donne e giovani)7

§      Articolo 3, commi 1-3 (Programmi regionali cofinanziati dai fondi strutturali)10

§      Articolo 3, comma 4 (Finanziamento Fondo di garanzia PMI)15

§      Articolo 3, comma 5 (Sostegno alle esportazioni)16

§      Articolo 4 (Detrazioni per interventi di ristrutturazione, di efficientamento energetico e per spese conseguenti a calamità naturali)17

§      Articolo 5 (Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie)23

§      Articolo 6 (Equo indennizzo e pensioni privilegiate)29

§      Articolo 6-bis (Remunerazione onnicomprensiva degli affidamenti e degli sconfinamenti)31

§      Articolo 7 (Partecipazione italiana a banche e fondi)34

§      Articolo 8 (Misure per la stabilità del sistema creditizio)39

§      Articolo 9 (Imposte Differite Attive)48

§      Articolo 10, commi 1-13 (Regime premiale per favorire la trasparenza)53

§      Articolo 10, commi 13-bis–13-decies e 13-duodecies (Regime premiale per favorire la trasparenza)61

§      Articolo 10, comma 13-undecies (Fatturazione elettronica)71

§      Articolo 11 (Emersione di base imponibile)74

§      Articolo 11-bis (Semplificazione degli adempimenti e riduzione dei costi di acquisizione delle informazioni finanziarie)83

§      Articolo 12 (Riduzione del limite per la tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro e contrasto all’uso del contante)84

§      Articolo 13, commi 1-17 (Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria)92


§      Articolo 13, commi 18-19-bis (Diversa attribuzione della compartecipazione IVA ai comuni)111

§      Articolo 13, commi 20 e 21 (Fondo di solidarietà mutui prima casa- Fabbricati rurali)113

§      Articolo 14 (Istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi)115

§      Articolo 14-bis(Disposizioni in materia di riscossione dei comuni)123

§      Articolo 15 (Disposizioni in materia di accise)125

§      Articolo 16, commi 1-10 e 15-ter (Disposizioni per la tassazione di auto e imbarcazioni di lusso)129

§      Articolo 16, commi 11-15-bis (Imposta erariale sugli aeromobili privati)134

§      Articolo 17 (Canone RAI)137

§      Articolo 18 (Clausola di salvaguardia)139

§      Articolo 19 (Imposta di bollo su strumenti e prodotti finanziari; tassazione dei valori “scudati” e delle attività immobiliari e finanziarie estere)143

§      Articolo 20 (Riallineamento partecipazioni)151

§      Articolo 21, commi 1-9 (Soppressione INPDAP ed ENPALS)153

§      Articolo 21, commi 10 e 11 (Soppressione Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania - EIPLI)159

§      Articolo 21, comma 12 (Istituzione Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini)160

§      Articolo 21, commi 13-21 (Soppressione dell’Agenzia per la regolazione in materia di acqua, dell’Agenzia per la sicurezza nucleare e dell’Agenzia del settore postale)162

§      Articolo 22, comma 1 (Obbligo comunicazione bilanci al MEF da parte di enti e organismi che ricevono contributi a carico del bilancio dello Stato)166

§      Articolo 22, commi 2-4 (Riorganizzazione organi collegiali delle Agenzie)167

§      Articolo 22, comma 5 (Regolamenti per il riordino settore lirico-sinfonico)170

§      Articolo 22, commi 6-9 (Riordino ICE)171

§      Articolo 22, comma 9-bis (Trasferimento a Fintecna delle partecipazioni di ANAS)176

§      Articolo 23, commi 1-3 (Riduzione dei componenti delle Autorità amministrative indipendenti)178

§      Articolo 23, commi 4 e 5 (Acquisizione di lavori, servizi e forniture nei piccoli comuni)184

§      Articolo 23, comma 6 (Trattamento economico dei membri del Governo)186

§      Articolo 23, comma 7 (Livellamento remunerativo Italia-Europa)189

§      Articolo 23, comma 8-13 (Riordino del CNEL)191

§      Articolo 23, commi 14-21 (Disposizioni in materia di province)195

§      Articolo 23, comma 22(Gratuità delle cariche elettive di enti territoriali non previsti dalla Costituzione)206

§      Articolo 23-bis (Compensi per gli amministratori con deleghe delle Società partecipate dal Ministero dell’economia e delle finanze)208

§      Articolo 24, comma 1 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici)218

§      Articolo 24, comma 2 (Calcolo contributivo pro-rata)222

§      Articolo 24, comma 3 (Certificazione dei requisiti d’accesso e fattispecie pensionistiche)225

§      Articolo 24, comma 4 (Flessibilità in uscita ed incentivazioni)226

§      Articolo 24, comma 5 (Soppressione del regime delle decorrenze annuali)227

§      Articolo 24, commi 6, 7 e 9 (Pensione di vecchiaia)229

§      Articolo 24, comma 8 (Assegno sociale)234

§      Articolo 24, commi 10 e 11 (Pensione anticipata)235

§      Articolo 24, commi 12 e 13 (Adeguamento dei requisiti per l’accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita)238

§      Articolo 24, commi 14 e 15 (Esenzioni dall’applicazione della nuova disciplina previdenziale)240

§      Articolo 24, comma 15-bis (Regime agevolato di accesso al pensionamento)244

§      Articolo 24, comma 16 (Rideterminazione dei coefficienti di trasformazione)246

§      Articolo 24, comma 17 (Lavori usuranti)248

§      Articolo 24, comma 18 (Armonizzazione dei requisiti pensionistici)250

§      Articolo 24, comma 19 (Totalizzazione dei periodi assicurativi)252

§      Articolo 24, comma 20 (Permanenza in servizio, esonero dal servizio e risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro pubblico)253

§      Articolo 24, comma 21 (Contributo di solidarietà personale di volo)254

§      Articolo 24, comma 22 (Aumento delle aliquote contributive dei lavoratori artigiani e commercianti)255

§      Articolo 24, comma 23 (Aliquote lavoratori agricoli, coltivatori diretti, mezzadri e coloni257

§      Articolo 24, comma 24 (Casse previdenziali privatizzate)260

§      Articolo 24, comma 25 (Perequazione automatica dei trattamenti pensionistici)263

§      Articolo 24, comma 26 (Estensione tutele prestazioni temporanee ai professionisti Gestione separata)265

§      Articolo 24, comma 27 (Fondo per occupazione giovanile e femminile)268

§      Articolo 24, comma 27-bis (Fondo interventi strutturali di politica economica)269

§      Articolo 24, comma 28 (Commissione di esperti per nuove modalità di accesso graduale al pensionamento e decontribuzione parziale per i giovani)270

§      Articolo 24, comma 29 (Iniziative di promozione della cultura del risparmio previdenziale)271

§      Articolo 24, comma 30 (Riordino degli strumenti di sostegno al reddito)272

§      Articolo 24, comma 31 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - TFR di importo elevato)273

§      Articolo 24, comma 31-bis (Contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici più elevati)275

§      Articolo 25 (Riduzione del debito pubblico)277

§      Articolo 26 (Prescrizione anticipata delle lire in circolazione)281

§      Articolo 27, comma 1 (Valorizzazione dei beni pubblici anche attraverso strumenti societari)282

§      Articolo 27, comma 2 (Programmi unitari di valorizzazione territoriale)288

§      Articolo 27, comma 3 (Alienazione dei terreni agricoli di proprietà dello Stato, degli enti territoriali e degli enti pubblici nazionali)295

§      Articolo 27, comma 4 (Locazioni passive di immobili pubblici)296

§      Articolo 27, comma 5 (Agenzia del demanio – Manutentore unico)298

§      Articolo 27, comma 6 (Alloggi pubblici)300

§      Articolo 27, comma 7 (Semplificazione normativa in materia immobiliare)301

§      Articolo 27, comma 8 (Federalismo demaniale relativo ai beni culturali)303


§      Articolo 27, commi 9-17 (Dismissione di immobili per fronteggiare il sovraffollamento degli istituti penitenziari)305

§      Articolo 28, commi 1- 6 (Concorso alla manovra delle regioni)309

§      Articolo 28, commi 7-10 (Riduzione fondi enti locali)314

§      Articolo 28, comma 11 (Soppressione attribuzione alle province della quota devoluta di compartecipazione IRPEF)317

§      Articolo 28, comma 11-bis (Imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile e imposta provinciale di trascrizione)318

§      Articolo 28, comma 11-ter (Disposizioni per l’avvio della ridefinizione del Patto di stabilità interno)319

§      Articolo 28, comma 11-quater (Divieto di assunzioni negli enti locali)320

§      Articolo 29, commi 1 e 2 (Acquisizione di beni e servizi attraverso il ricorso alla centrale di committenza nazionale)321

§      Articolo 29, comma 3 (Disposizioni in materia di editoria)324

§      Articolo 29, comma 3-bis (Risorse per attività della minoranza slovena in Friuli Venezia-Giulia)327

§      Articolo 29-bis (Introduzione utilizzo software libero negli uffici della pubblica amministrazione)329

§      Articolo 30, comma 1 (Missioni di pace)331

§      Articolo 30, commi 2 e 3 (Trasporto pubblico locale)332

§      Articolo 30, commi 3-bis-3-quinquies (Trasporto pubblico locale lagunare)335

§      Articolo 30, comma 4 (Rifinanziamento AGEA)338

§      Articolo 30, comma 5 (Rifinanziamento Fondo protezione civile a valere su 8 per mille)339

§      Articolo 30, comma 5-bis (Interventi di messa in sicurezza delle scuole)341

§      Articolo 30, commi 6 e 7 (Risorse per l’Accademia dei Lincei e l’Accademia della Crusca)343

§      Articolo 30, comma 8 (Assunzioni presso il Ministero per i beni e le attività culturali)345

§      Articolo 30, comma 8-bis (Ulteriore finalizzazione Fondo esigenze urgenti ed indifferibili)348

§      Articolo 30, commi 8-ter e 8-quater (Trasferimento di risorse dalla società ISA al MIPAAF)351

§      Articolo 31 (Esercizi commerciali)353

§      Articolo 32 (Farmacie)355

§      Articolo 33 (Soppressione di limitazioni all’esercizio di attività professionali)358

§      Articolo 34 (Liberalizzazione delle attività economiche ed eliminazione dei controlli ex-ante)363

§      Articolo 35 (Potenziamento dell’Antitrust)366

§      Articolo 36 (Tutela della concorrenza e partecipazioni personali incrociate nei mercati del credito e finanziari)368

§      Articolo 36-bis (Ulteriori disposizioni in materia di tutela della concorrenza nel settore del credito)371

§      Articolo 37 (Liberalizzazione del settore dei trasporti)374

§      Articolo 38 (Misure in materia di politica industriale)379

§      Articolo 39, commi 1-6 (Fondo di garanzia a favore delle PMI)380

§      Articolo 39, comma 7 (Patrimonializzazione dei Confidi)382

§      Articolo 39, comma 7-bis (Microcredito per la micro-imprenditoria)383

§      Articolo 40, comma 1 (Semplificazione registrazione clienti strutture ricettizie)385

§      Articolo 40, comma 2 (Codice privacy)386

§      Articolo 40, comma 3 (Permesso di soggiorno lavoratori stranieri)388

§      Articolo 40, comma 4 (Registro lavoratori)390

§      Articolo 40, comma 5 (Bonifica siti inquinati e relativa realizzazione opere)392

§      Articolo 40, comma 6 (Imprese autoriparazione)394

§      Articolo 40, comma 7 (Semplificazione in materia di composti organici volatili395

§      Articolo 40, comma 8 (Semplificazione gestione rifiuti pericolosi per talune attività)396

§      Articolo 40, comma 9 (Agevolazioni fiscali in materia di beni e attività culturali)398

§      Articolo 40, comma 9-bis (Cessione di impianti radiotelevisivi)399

§      Articolo 40, comma 9-ter (Proroga termine iniziative a valere sulla programmazione negoziata)400

§      Articolo 41 (Misure per le opere di interesse strategico)403

§      Articolo 42, commi 1-5 (Modifiche codice appalti)411

§      Articolo 42, commi 6 e 7 (Copertura delle riserve tecniche mediante investimenti in infrastrutture)414

§      Articolo 42, comma 8 (Finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione)416

§      Articolo 42, comma 9 (Riassegnazione di somme elargite per scopi del Ministero dei beni culturali)417

§      Articolo 42, comma 9-bis (Finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione)419

§      Articolo 43, commi 1-4 (Convenzioni autostradali)420

§      Articolo 43, comma 5 (Concessione di costruzione e gestione stradale)422

§      Articolo 43, comma 6 (Impianti tecnologici autostradali)424

§      Articolo 43, commi 7-15 (Sicurezza grandi dighe)425

§      Articolo 44 (Disposizioni in materia di appalti pubblici)431

§      Articolo 44-bis (Elenco- Anagrafe nazionale delle opere pubbliche incompiute)440

§      Articolo 45 (Disposizioni in materia edilizia)442

§      Articolo 46 (Collegamenti infrastrutturali e logistica portuale)445

§      Articolo 47, comma 1 (Finanziamento infrastrutture strategiche e ferroviarie)447

§      Articolo 47, comma 2 (Contratto di servizio con Trenitalia S.p.A.)448

§      Articolo 48 (Clausola di finalizzazione)449

§      Articolo 49 (Norma di copertura)451

 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Aiuto alla crescita economica - ACE)

 

 

L’articolo 1 del provvedimento in esame, modificato nel corso dell’esame in sede referente, al fine di favorire il finanziamento delle imprese mediante capitale proprio introduce un Aiuto alla crescita economica – ACE, consentendo di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio.

 

Tali disposizioni sono introdotte in considerazione della esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita, mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio, nonché per ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito ed imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi, la struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano.

 

L’ACE secondo il disegno di legge di delega fiscale
(AC 4566) e la Dual Income Tax

 

Si ricorda che l'articolo 7 del disegno di legge di delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566), attualmente all’esame della Camera, prevede l'introduzione di un aiuto alla crescita economica (ACE) nella disciplina relativa alla tassazione del reddito di impresa.

In particolare, viene prevista la deducibilità del rendimento del capitale di rischio, valutato tramite l'applicazione di un rendimento nozionale al nuovo capitale proprio.

Il DDL affronta quindi la sottocapitalizzazione delle imprese italiane con un sistema premiante per le imprese virtuose che, attraverso un meccanismo simile a quello previsto dalla dual income tax (Dit), fornisce un incentivo alle imprese che decidono di trattenere in azienda gli utili conseguiti anziché distribuirli fra la base partecipativa.

Il sistema c.d. di dual income tax, introdotto dal D.Lgs. del 18 dicembre 1997, n. 466, consentiva di sottoporre il reddito di impresa ad una tassazione differenziata (“duale”): era infatti prevista l’applicazione di un’aliquota più bassa di quella ordinaria al reddito di impresa riconducibile agli incrementi di capitale netto attuati nel corso dell'esercizio e agli utili d’impresa non distribuiti, con lo scopo di favorire l'apporto di capitale proprio agli investimenti produttivi dell'impresa. In particolare, si prevedeva l'applicazione di una aliquota ridotta (19%) rispetto a quella ordinaria alla parte di utili di impresa convenzionalmente corrispondente alla remunerazione ordinaria (RO) dell'incremento di capitale netto avuto dai propri azionisti e degli utili reinvestiti (il capitale proprio) verificatosi negli esercizi posteriori al 1996[1]. La determinazione della predetta remunerazione era affidata a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. Il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, che ha sancito l’entrata in vigore del nuovo Testo Unico delle Imposte (TUIR) dal 1° gennaio 2004, ha di fatto previsto l'abolizione anche della DIT.

Rispetto alla DIT, in luogo dell’applicazione di una modalità impositiva differenziata per determinate quote del reddito d’impresa, l’ACE consentirebbe di escluderle del tutto dalla base imponibile, rendendo integralmente deducibili le somme corrispondenti al rendimento del capitale di rischio.

 

Le norme in esame (comma 1) riguardano:

§      le società di capitali (società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione, società europee, società cooperative europee) residenti nel territorio dello Stato (di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a) del Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR (di cui al DPR 22 dicembre 1986, n. 917);

§      gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, esercenti in via esclusiva o principale attività commerciali (articolo 73, comma 1, lettera b) del Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR (di cui al DPR 22 dicembre 1986, n. 917);

§      le società e gli enti non residenti (di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d) del TUIR) relativamente alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato.

Ai sensi del successivo comma 7, è previsto che le norme si applichino anche ad alcuni soggetti IRPEF, e in particolare al reddito d’impresa di persone fisiche, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria. Le modalità di applicazione sono affidate al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di attuazione delle norme in esame, in modo da assicurare un beneficio conforme a quello garantito ai soggetti IRES cui è concessa l’agevolazione in esame.

 

Per quanto concerne le modalità di calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio (comma 2), esso è dato dalla applicazione di un’aliquota percentuale, individuata ai sensi del successivo comma 3, alla variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura del’esercizio in corso al 31 dicembre 2010.

In particolare (comma 3)

§      per il primo triennio di applicazione, l’aliquota è fissata al 3 per cento;

§      dal quarto periodo di imposta l’aliquota percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio è determinata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanare entro il 31 gennaio di ogni anno, tenendo conto dei rendimenti finanziari medi dei titoli obbligazionari pubblici, aumentabili di ulteriori tre punti percentuali a titolo di compensazione del maggior rischio.

 

Ai sensi del comma 4, in caso di eccedenza del rendimento nozionale rispetto al reddito complessivo netto dichiarato nel periodo d’imposta, viene reso possibile computare la parte eccedente in aumento dell’importo deducibile dal reddito dei periodi d’imposta successivi.

 

Il comma 5, modificato nel corso dell’esame in sede referente, reca disposizioni sulle modalità di computo del capitale proprio e delle variazioni in aumento e in diminuzione.

Per effetto delle modificazioni apportate in sede referente, si specifica che il patrimonio netto risultante dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010 costituisce il “capitale proprio” esistente alla chiusura del suddetto esercizio.

La formulazione originaria della norma prevedeva invece che il patrimonio netto risultante dal bilancio dell'esercizio in corso nel primo anno di applicazione della norma costituisse il “capitale proprio” esistente alla chiusura dell'esercizio medesimo.

 

In particolare, rilevano come variazioni in aumento:

§      i conferimenti in denaro;

§      gli utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili;

 

Rilevano invece come variazioni in diminuzione:

§      le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti;

§      gli acquisti di partecipazioni in società controllate;

§      gli acquisti di aziende o di rami di aziende.

 

Il comma 6 specifica l’operatività temporale degli incrementi e dei decrementi di capitale.

In particolare, per quanto attiene agli incrementi:

§      quelli derivanti da conferimenti in denaro, la rilevanza è fissata a partire dalla data del versamento;

§      per quelli derivanti dall'accantonamento di utili, la rilevanza è fissata a partire dall'inizio dell'esercizio in cui sono formate le relative riserve;

§      per le aziende e le società di nuova costituzione, è considerato incremento tutto il patrimonio conferito.

 

Per quanto concerne i decrementi, essi rilevano a partire dall'inizio dell'esercizio in cui si sono verificati.

 

Il comma 8 affida le disposizioni di attuazione della norma in esame a un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento; lo stesso provvedimento può stabilire disposizioni aventi finalità antielusiva specifica.

Infine (comma 9) le disposizioni in esame si applicano a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011.


 

Articolo 2
(
Agevolazioni fiscali riferite al costo
del lavoro nonché per donne e giovani)

 

 

L’articolo 2, modificato nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente,rende integralmente deducibile ai fini delle imposte dirette (IRES e IRPEF), a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, la quota di IRAP dovuta relativa al costo del lavoro; introduce altresì agevolazioni IRAP per l’assunzione di lavoratrici e giovani di età inferiore ai 35 anni.

 

Il comma 1 rende integralmente deducibile ai fini delle imposte dirette (IRES e IRPEF), a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, la quota di IRAP imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato, al netto delle deduzioni già spettanti per legge, introducendo una deroga al principio generale di indeducibilità dell’IRAP dalle imposte statali[2].

 

Tale principio era già stato mitigato dall’articolo 6, commi da 1 a 4, del D. L. n. 185/2008[3], che avevano reso deducibile ai fini IRES e IRPEF una quota forfettaria, pari al 10 per cento, dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) pagata a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, riferibile:

a)       alla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati, al netto degli interessi attivi e proventi assimilati

b)       alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato.

 

Nel dettaglio, il comma 1 prevede che la quota di deducibilità venga applicata all’imposta dovuta dai soggetti passivi che vienecalcolatasul valore delle produzione netta di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997 (c.d. decreto IRAP) da:

§      società di capitali e gli enti commerciali (articolo 5);

§      società di persone e imprese individuali (articolo 5-bis);

§      banche e altri enti e società finanziari (articolo 6);

§      imprese di assicurazione (art. 7);

§      imprese esercenti arti e professioni (art. 8).

 

Tale deducibilità è ammessa in base al criterio di cassa, secondo quanto previsto dall’articolo 99, comma 1, del Testo Unico sulle imposte sui redditi (TUIR, D.P.R. n. 917 del 1986).

Quest’ultima norma si riferisce al principio della deducibilità delle imposte diverse dalle imposte sui redditi, nonché diverse dalle imposte per le quali la rivalsa sia obbligatoria o facoltativa, con riferimento alle società e agli enti commerciali residenti. Tuttavia, la deducibilità dell’IRAP in esame deve ritenersi estesa anche ai soggetti che producono reddito d’impresa imponibile ai fini IRPEF, tenuto conto delle norme di carattere generale di cui all’articolo 55, comma 3, del TUIR per le quali, se non diversamente specificato, il reddito prodotto da attività commerciali è considerato reddito d’impresa e all’articolo 56 del TUIR, per il quale il reddito d’impresa è determinato secondo le disposizioni del citato testo unico in materia di redditi di società ed enti commerciali residenti[4], le quali si applicano altresì alle società in nome collettivo e in accomandita semplice.

 

Ai sensi del comma 1, la quota deducibile determinata in via forfetaria è relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato, al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell'articolo 11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del citato D.Lgs. n. 446 del 1997.

 

Si ricorda che, anche se nella disciplina dell’IRAP vige il principio dell’indeducibilità dei costi del lavoro, il legislatore ha individuato alcune deroghe allo stesso, prevedendo specifiche deduzioni per il personale dipendente fruibili dai soggetti passivi IRAP. Nel dettaglio, ad eccezione del comma 4-bis, i suddetti commi dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 446 del 1997 prevedono, nell’ambito delle spese sostenute dal datore di lavoro, alcuni casi di deducibilità per i costi del personale dipendente e assimilato, effettivamente sostenuti ovvero per importi forfetari in base alla quantità e alla qualità dei lavoratori assunti.

Il comma 4-bis reca invece deduzioni forfetarie stabilite in funzione degli scaglioni di valore imponibile dichiarati, indipendentemente dalla presenza o assenza di spese di personale.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, al fine di coordinare il nuovo regime con il precedente – di cui al citato articolo 6 del D.L. 185/2008 – il nuovo comma 1-bis elimina da tale articolo il riferimento alla deducibilità delle spese per il personale dipendente e assimilato. La deducibilità dell’IRAP ai fini IRES e IRPEF per una quota pari al 10 per cento (di cui al richiamato articolo 6) resta quindi applicabile - a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 (nuovo comma 1-ter) - alla sola quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati.

 

Il comma 2 reca modifiche alla disciplina delle deduzioni IRAP, al fine di agevolare l’assunzione di lavoratrici e di giovani di età inferiore ai 35 anni.

 

In particolare, l’articolo 11, comma 1, lettera a), n. 2 del D.Lgs. n. 446/1997, oggetto di modifica con le norme in commento, consente ai soggetti IRAP diversi dalle pubbliche amministrazioni e dalle imprese operanti, in concessione e a tariffa, in determinati settori (energia, acqua, trasporti, infrastrutture, poste, telecomunicazioni, raccolta e depurazione delle acque di scarico e raccolta e smaltimento rifiuti), di dedurre un importo pari a 4.600 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo di imposta.

Per effetto delle norme in esame (comma 2, lettera a) dell’articolo in esame), l’importo deducibile per i lavoratori a tempo indeterminato è aumentato a 10.600 euro in rapporto ai lavoratori di sesso femminile, nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni.

 

L’articolo 11, comma 1, lettera a), n. 3) consente ai soggetti IRAP diversi dalle pubbliche amministrazioni, e dalle imprese operanti in determinati settori (banche, assicurazioni ed enti finanziari; imprese operanti, in concessione e a tariffa, nel settore dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti) di dedurre un importo fino a 9.200 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo d’imposta nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, in alternativa a quella sopra illustrata e fruibile nel rispetto dei limiti derivanti dall’applicazione della regola “de minimis[5].

 

Per effetto delle norme in esame (comma 2, lettera b) dell’articolo in esame),, l’importo deducibile per i lavoratori a tempo indeterminato è innalzato a 15.200 euro in rapporto ai lavoratori di sesso femminile, nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni.

Ai sensi del comma 3, le suesposte disposizioni sulle deduzioni IRAP si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2011.


 

Articolo 3, commi 1-3
(Programmi regionali cofinanziati dai fondi strutturali)

 

 

L’articolo 3, comma 1, attraverso una novella all’articolo 32, comma 4, della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) – inserimento della lettera o) - ricomprende tra le tipologie di spese escluse dal computo dell'applicazione delle regole del patto di stabilità per le regioni a statuto ordinario anche le spese effettuate per gli anni 2012, 2013 e 2014 a valere sulle risorse dei cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali comunitari nel limite di un miliardo di euro per ciascuna annualità considerata.

La disposizione specifica che per le Regioni ricomprese nell'Obiettivo Convergenza[6] e nel regime di phasing in nell'Obiettivo Competitività (regione Sardegna), di cui al Regolamento del Consiglio (CE) n. 1083/2006, tale esclusione é subordinata all’Accordo sull'attuazione del Piano di Azione Coesione del 15 novembre 2011.

 

Il comma 2, al fine di compensare gli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto delle disposizioni di cui al comma 1, istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un “Fondo di compensazione per gli interventi volti a favorire lo sviluppo”.

Il fondo, con una dotazione, in termini di sola cassa, di 1.000 milioni di europer ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, verrà ripartito tra le singole Regioni sulla base della chiave di riparto dei fondi strutturali 2007-2013, cosi come stabilita dal Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, adottato con Decisione CE C (2007) n. 3329 del 13/7/2007.

All'utilizzo del Fondo si provvede, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro per la coesione territoriale, da comunicare al Parlamento e alla Corte dei conti, su richiesta dell’Amministrazione interessata, sulla base dell’ordine cronologico delle richieste e entro i limiti della dotazione assegnata alle singole Regioni.

Il comma 3, come modificato nel corso dell’esame in sede referente, specifica che alla compensazione degli effetti finanziari derivanti dalla costituzione del predetto fondo si provvede con corrispondente utilizzo delle maggiori entrate e delle minori spese recate dal decreto-legge stesso.

 

In sostanza la norma, al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di spesa previsti dai programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea per il periodo 2007-2013, permette di “non computare” nei saldi del patto di stabilità le spese sostenute dalle regioni a valere sulle proprie risorse, nonché su quelle statali loro trasferite dal Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie. La disposizione dovrebbe consentire una accelerazione della capacità di spesa ed evitare il disimpegno automatico delle risorse comunitarie. Al fine di compensare lo “sforamento” del patto, con il comma 2 viene istituito un fondo dotato di sola cassa che compensa gli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento.

 

Si osserva che il richiamato articolo 32, della legge n. 183/2011, al comma 4, lettera n), tra le spese da non computare ai fini del patto di stabilità ricomprende le spese a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale e sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del D.L. 112/2008 (risorse provenienti da cofinanziamenti di programmi comunitari non utilizzate), subordinatamente e nei limiti previsti dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 5-bis, comma 2, del D.L. 138/2011[7]. La deroga alle regole del patto opera solo in favore delle regioni ricomprese nell’Obiettivo convergenza e solo a patto che, ai fini del rispetto dei saldi di finanza pubblica, siano attribuiti allo Stato e alle restanti regioni degli oneri aggiuntivi i maggiori oneri (attribuzione definita dal citato decreto ministeriale entro il 30 settembre di ogni anno).

Il Piano di Azione Coesione

Dando seguito agli impegni assunti dal Governo con la lettera al Presidente della Commissione europea e al Presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011, e rispondendo alla dichiarazione del Vertice Euro dello stesso 26 ottobre, che sostiene l'intenzione dell'Italia di concentrare le risorse dei fondi strutturali su istruzione, occupazione, agenda digitale e reti ferroviarie, è stato definito, di intesa con la Commissione europea, il Piano di Azione volto ad individuare obiettivi, contenuti e modalità operative per la revisione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali nel ciclo 2007-2013, condiviso con le Regioni e le amministrazioni centrali interessate. Il Piano è stato trasmesso alla Commissione UE il 15 novembre 2011.

Obiettivi del Piano: Definire e attuare la revisione strategica dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, al fine di accelerarne l’attuazione e migliorarne l’efficacia. Tale revisione risponde alle Raccomandazioni del Consiglio del 12 luglio 2011 sul Programma Nazionale di Riforma dell’Italia (punto 6). Essa si basa su una più forte concentrazione dei Programmi sugli investimenti maggiormente in grado di rilanciare la competitività e la crescita del Paese, segnatamente intervenendo sul potenziale non utilizzato nel Sud, e su un più stringente orientamento delle azioni ai risultati, concentrando le risorse dei fondi strutturali su istruzione, occupazione, agenda digitale (banda larga) e reti ferroviarie” nel quadro della "revisione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, condiviso con le Regioni e le amministrazioni centrali interessate.

1.  Istruzione: rafforzare l’intervento in corso grazie all’azione congiunta dei due Programmi nazionali FESR e FSE e dei Programmi regionali FESR e FSE, per un importo pari a almeno 1.3 miliardi di euro (per la riqualificazione e l’efficientamento energetico degli edifici scolastici; l’acquisto di attrezzature e tecnologie; il potenziamento dei laboratori; il miglioramento delle competenze dei giovani e il contrasto alla dispersione scolastica)

 

Interventi per l'Istruzione

 

FESR

FSE

Calabria

114.783.945

42.870.000

Campania

314.304.226

88.710.000

Puglia

250.452.549

72.420.000

Sicilia

263.110.201

96.000.000

Totale

942.650.921

300.000.000

 

2. Agenda digitale EU 2020: banda larga e ultra larga, Data center.

 

Agenda Digitale

 

Piano Naz. Banda larga

Banda ultralarga

Data Center

Calabria

7.500.000

86.894.997

40.000.000

Campania

35.000.000

268.666.139

40.000.000

Puglia

18.200.000

272.767.050

40.000.000

Sicilia

14.000.000

322.166.394

40.000.000

Totale Convergenza

74.700.000

950.494.580

160.000.000

Basilicata Sostegno Transitorio

4.900.000

14.780.386

40.000.000

Totale Convergenza e S.T

79.600.000

965.274.966

200.000.000

Altre Mezzogiorno

 

 

 

Sardegna

6.500.000

88.637.268

40.000.000

Molise

10.500.000

12.965.064

40.000.000

Abruzzo

22.300.000

73.986.548

40.000.000

Totale Altre Mezzogiorno

39.300.000

175.588.880

120.000.000

Totale Mezzogiorno

118.900.000

1.140.863.846

320.000.000


 

3.  Occupazione: promuovere nuova occupazione attraverso il finanziamento, a valere sui POR regionali, del credito di imposta occupazione previsto dall’articolo 2 della decreto-legge n. 70 del 2011.

 

Credito di imposta Occupazione

Calabria

20.000.000

Campania

20.000.000

Puglia

10.000.000

Sicilia

65.000.000

Totale Convergenza

115.000.000

Basilicata - Sostegno Transitorio

2.000.000

Totale Convergenza e S.T

117.000.000

Altre Mezzogiorno

 

Sardegna

20.000.000

Molise

1.000.000

Abruzzo

4.000.000

Totale Altre Mezzogiorno

25.000.000

Totale Mezzogiorno

142.000.000

 

 

4.  Sistema dei trasporti

 

Per tipologia

 

Per territorio

ITS

16.468.213

 

Calabria

69.000.000

Porti

159.000.000

 

Sicilia

69.069.666

Aeroporti

117.300.000

 

Puglia

177.060.100

Interporti

39.003.143

 

Campania

51.903.377

Ferrovie

38.000.000.

 

Obiettivo Convergenza

2.733.213

Totale

369.766.356

 

Totale

369.766.356

 

 

 

Strade

Aeroporti

Totale

Campania

378.600.000

28.000.000

406.600.000

Puglia

80.577.485

0

80.577.485

Sicilia

406.953.877

0

406.953.877

Totale

866.131.363

28.000.000

894.131.363

 


5.  Rete ferroviaria

 

 

 

Costo

Finanziamenti disponibili

Ulteriore fabbisogno

Napoli – Bari

Napoli – Bari

7.091,0

3.507,0

3.584,0

Puglia: potenziamento

18,0

18,0

0

Puglia: sistemi urbani

31,5

31,5

0

Altri interventi

2.818,3

1.618,1

1.200,2

TOTALE

9.958,8

5.174,6

4.784,2

Palermo – Catania

Catania – Palermo

7.700,0

2.057,0

5.643,0

Sistemi urbani Palermo e Catania

991,0

991,0

0

Altri interventi

347,3

347,3

0

ME-CT

Messina – Catania

2.270,0

59,0

2.211,0

Pollina –ME

Pollina – Messina

3.950,0

0

3.950,0

 

TOTALE

15.258,3

3.454,3

11.804,0

Salerno -
Reggio Calabria

Salerno - Reggio Calabria

3.270,0

7,0

3.263,0

Altri interventi

270,0

270,0

0

TOTALE

3.540,0

277,0

3.263,0

 

TOTALE COMPLESSIVO

28.757,1

8.905,9

19.851,2

 


 

Articolo 3, comma 4
(
Finanziamento Fondo di garanzia PMI)

 

 

Il comma 4 incrementa di 400 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014 la dotazione del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese.

Si ricorda che l’art. 2, comma 100, lett. a), della legge 23 dicembre 1996 n. 662[8] ha previsto la possibilità per il CIPE di destinare, nell’ambito delle risorse statali attribuite per la realizzazione di investimenti pubblici e rimaste in tutto o in parte inutilizzate, una somma fino ad un massimo di 400 miliardi di lire per il finanziamento di un fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale Spa allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese.

Si segnala che l’articolo 39 del decreto-legge in esame interviene sulla disciplina del Fondo così rifinanziato.


 

Articolo 3, comma 5
(
Sostegno alle esportazioni)

 

 

Il comma 5, al fine di assicurare il sostegno alle esportazioni, riassegna 300 milioni di euro al fondo di dotazione dell'Istituto centrale per il credito a medio termine (Mediocredito centrale) per le finalità connesse alle attività di credito all’esportazione.

La somma riassegnata di 300 milioni di euro deriva dalle disponibilità giacenti sul conto corrente di Tesoreria di cui all’art. 7, comma 2-bis, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143[9].

Si segnala che nel testo del decreto è presente un refuso sul riferimento normativo del D.Lgs. n. 143/1998 (erroneamente datato 1988).

Si ricorda che il citato comma 2-bis prevede che le somme recuperate, riferite ai crediti indennizzati dall’Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE) inseriti negli accordi bilaterali intergovernativi di ristrutturazione del debito, stipulati dal Ministero degli affari esteri d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, affluite sino alla data di trasformazione della SACE nella SACE S.p.A. nell'apposito conto corrente acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato, restano di titolarità del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro. Questi è autorizzato ad avvalersi delle disponibilità di tale conto corrente per scopi connessi con l'esercizio dell'attività della SACE S.p.A. nonché con l'attività nazionale sull'estero. Gli stanziamenti necessari relativi agli utilizzi del conto corrente sono determinati dalla legge finanziaria (ora legge di stabilità) e iscritti nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro.

Tale somma è versata all’entrata del bilancio statale nella misura di 150 milioni nel 2012 e 150 milioni nel 2013, a cura del titolare del medesimo conto, per essere, come si è detto, riassegnata al fondo di dotazione del Mediocredito centrale.

All’onere derivante dal presente comma in termini di fabbisogno e indebitamento netto si provvede con corrispondente utilizzo delle maggiori entrate e delle minori spese recate dal presente decreto.


 

Articolo 4
(Detrazioni per interventi di ristrutturazione, di efficientamento energetico e per spese conseguenti a calamità naturali)

 

 

L’articolo 4 (commi 1-3 e 5) introduce a regime la detrazione IRPEF del 36 per cento per le spese di ristrutturazione edilizia sostenute per un importo non superiore a 48.000 euro per ciascuna unità immobiliare. La norma è inserita in un nuovo articolo 16-bis del nel testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), che riepiloga la disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, ora contenuta nell'articolo 1 della legge n. 449 del 1997, la cui vigenza viene limitata all’anno 2011.

 

Il comma 4, inoltre, con una modifica all’articolo 1, comma 48, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, proroga al 31 dicembre 2012 le agevolazioni fiscali in materia di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio (cosiddetto 55 per cento), mentre a decorrere dal 1° gennaio 2013 si applica la detrazione del 36 per cento come modificata dal nuovo articolo 16-bis del TUIR.

 

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo 4 in commento contiene, alle lettere a) e b), alcune norme di coordinamento necessarie a seguito dell’inserimento del nuovo articolo 16-bis nel TUIR, mentre la lettera c) introduce il predetto articolo 16-bis.

 

La detrazione è concessa (comma 1 del nuovo articolo 16-bis) per i seguenti interventi:

a)   manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, effettuati su tutte le parti comuni degli edifici residenziali (secondo le modifiche introdotte nel corso dell’esame in sede referente);

Ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile, sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio:

1) il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune;

2) i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune;

3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

b)   manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, effettuati sulle singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, e sulle loro pertinenze;

c)   ricostruzione o ripristino di immobili danneggiati a seguito di eventi calamitosi, quando sia stato dichiarato lo stato di emergenza - anche anteriormente alla data di entrata in vigore della presente disposizione (secondo quanto previsto dalle modifiche introdotte nel corso dell’esame in sede referente) - anche se non rientranti nelle tipologie di intervento di cui alle lettere a) e b);

d)   realizzazione di autorimesse o di posti auto pertinenziali, anche di proprietà comune;

e)   eliminazione di barriere architettoniche;

f)     adozione di misure finalizzate a prevenire il rischio di atti illeciti da parte di terzi;

g)   realizzazione di interventi di cablatura degli edifici e di contenimento di inquinamento acustico;

h)   conseguimento di risparmi energetici;

i)      adozione di misure antisismiche;

l)      bonifica dall’amianto e di esecuzione di opere volte ad evitare gli infortuni domestici.

 

La detrazione fiscale per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio è stata introdotta dall'articolo 1, comma 5, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. La norma è stata successivamente modificata e prorogata. L’ultima proroga, stabilita dall’articolo 2, comma 10, della legge n. 191 del 2009, scade il 31 dicembre 2012. La norma, inoltre, ha prorogato alla stessa scadenza la detrazione d’imposta sull’acquisto di immobili ristrutturati da imprese di costruzione o ristrutturazione o da cooperative.

La relazione illustrativa afferma che nel nuovo articolo 16-bis del TUIR resta confermato non sono l’ambito, soggettivo ed oggettivo, di applicazione delle disposizioni sopra elencate, ma anche le condizioni di spettanza del beneficio fiscale tanto da consentire di fare salvo il consolidato orientamento di prassi formatosi in materia.

 

Rispetto alla disciplina attuale si segnala l’inserimento tra gli interventi per i quali è ammessa la detrazione di quelli volti alla ricostruzione o al ripristino di immobili danneggiati a seguito di eventi calamitosi, quando sia stato dichiarato lo stato di emergenza (lettera c)).

 

Il comma 2 del nuovo articolo 16-bis (TUIR) ricomprende tra le spese sostenute quelle di progettazione e per prestazioni professionali connesse all'esecuzione delle opere edilizie e alla messa a norma degli edifici ai sensi della legislazione vigente in materia.

Il comma 3 del nuovo articolo 16-bis (TUIR) riconduce a regime la detrazione d’imposta del 36 per cento sull’acquisto di immobili ristrutturati da imprese di costruzione o ristrutturazione o da cooperative, istituita dall’articolo 9, comma 2, della legge n. 448 del 2001.

La detrazione è relativa agli interventi di ristrutturazione, riguardanti interi fabbricati, eseguiti dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2012 da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie, che provvedano alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile entro il 30 giugno 2013. Tale detrazione è stata reintrodotta dal periodo d’imposta 2008 e successivamente prorogata. In questo caso, l’acquirente o l’assegnatario ha diritto alla detrazione Irpef del 36% calcolata, indipendentemente dal valore degli interventi eseguiti, sull’ammontare forfetario pari al 25% del prezzo di vendita o di assegnazione dell’abitazione, risultante dall’atto di acquisto o di assegnazione.

 

Il beneficio sul quale calcolare la detrazione spetta fino al limite massimo di spesa di 48.000 euro da suddividere in dieci anni. Dal 1° ottobre 2006, l’importo massimo di spesa per cui è possibile fruire dell’agevolazione Irpef va riferito alla singola unità immobiliare e non più ad ogni persona fisica che abbia sostenuto le spese. Di conseguenza, tale ammontare va suddiviso fra tutti i soggetti aventi diritto alla detrazione

Nel caso in cui gli interventi consistano nella prosecuzione di lavori iniziati negli anni precedenti, ai fini della determinazione del limite massimo delle spese detraibili occorre tenere conto delle spese sostenute negli anni pregressi, sulla singola unità immobiliare (comma 4).

Se gli interventi sono realizzati su unità immobiliari residenziali adibite promiscuamente all'esercizio dell'arte o della professione, ovvero all'esercizio dell'attività commerciale, la detrazione spettante è ridotta al 50 per cento (comma 5).

Il comma 6 del nuovo articolo 16-bis del TUIR stabilisce, invece, che la detrazione IRPEF del 36 per cento per le spese di ristrutturazione edilizia è cumulabile con le agevolazioni già previste sugli immobili oggetto di vincolo ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004), ridotte del 50 per cento.

Si ricorda che non ha più scadenza l’applicazione dell’aliquota Iva agevolata del 10 per cento, per le prestazioni di servizi e le forniture di beni relative agli interventi di recupero edilizio di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione, realizzati sugli immobili a prevalente destinazione abitativa privata.

Infatti, l’articolo 2, comma 11, della legge n. 191 del 2009 ha previsto l'applicazione a regime dell’aliquota IVA agevolata al 10% alle prestazioni di cui all’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 488 del 1999 (legge finanziaria 2000)[10].


Si tratta, in particolare, dei seguenti interventi di recupero del patrimonio edilizio realizzati su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata:

-        interventi di manutenzione ordinaria, ossia quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

-        interventi di manutenzione straordinaria, ossia le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso;

-        interventi di restauro e di risanamento conservativo, ossia quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;

-        interventi di ristrutturazione edilizia, ossia quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.

 

La detrazione è ripartita in dieci quote annuali costanti e di pari importo nell’anno di sostenimento delle spese e in quelli successivi (comma 7).

In caso di vendita dell'unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi, la detrazione non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle parti, all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare. In caso di decesso dell'avente diritto, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all'erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene (comma 8).

Tale norma sembra riprendere quanto già recentemente disposto dai commi 12-bis e 12-ter dell'articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, che hanno modificato la disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della legge n. 449 del 1997[11].

Più in dettaglio il comma 12-bis, tramite una novella all'articolo 1, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, interviene sulla disciplina relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio nell'ipotesi di vendita dell'unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati detti interventi. Per effetto di tale modifica, pertanto, nel caso di vendita di tale unità immobiliare le previste detrazioni possono:

-        essere utilizzate dal venditore oppure

-        essere trasferite per i rimanenti periodi di imposta all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare.

Coerentemente con tale modifica il comma 12-ter novella l'articolo 2, comma 5, terzo periodo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289[12], prevedendo che le detrazioni possono essere utilizzate dal venditore oppure essere trasferite all'acquirente persona fisica (in coerenza, pertanto, con la modifica apportata dal precedente comma 12-bis).

 

Il comma 9 del nuovo articolo 16-bis (TUIR) richiama le disposizioni del Regolamento recante norme di attuazione e procedure di controllo, in materia di detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia (decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro dei lavori pubblici 18 febbraio 1998, n. 41). Con successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze possono essere stabilite ulteriori modalità di attuazione delle disposizioni dell’articolo 16-bis. In particolare si prevede che il pagamento delle spese deve essere effettuato mediante bonifico bancario o postale dal quale risulti la causale del versamento, numero e data della fattura, codice fiscale del beneficiario della detrazione ed il numero di partita Iva o codice fiscale del soggetto beneficiario del bonifico.

Al riguardo si evidenzia che l’articolo 25 del decreto legge n. 78 del 2010 (richiamato espressamente dal comma 3 dell’articolo in esame) stabilisce che a decorrere dal 1° luglio 2010 le banche e le Poste Italiane S.p.A. operano una ritenuta del 4 per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito dovuta dai beneficiari, con obbligo di rivalsa, all'atto dell'accredito dei pagamenti relativi ai bonifici disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d'imposta (precedentemente la ritenuta era del 10 per cento).

 

Si ricorda che il decreto legge n. 70 del 2011 (articolo 7, comma 2, lettere q) e r))ha abolito due importanti adempimenti precedentemente richiesti. In particolare, per fruire della detrazione non è più necessario:

-        inviare la comunicazione di inizio lavori al Centro operativo di Pescara;

-        indicare il costo della manodopera, in maniera distinta, nella fattura emessa dall’impresa che esegue i lavori.

 

Il comma 4, con una modifica all’articolo 1, comma 48, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, proroga al 31 dicembre 2012 le agevolazioni fiscali in materia di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio (cosiddetto 55 per cento). A decorrere dal 1° gennaio 2013 per tali interventi si applica la detrazione del 36 per cento come modificata dal nuovo articolo 16-bis del TUIR.

 

La legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011) ha prorogato la detrazione Irpef del 55 per cento a favore dei contribuenti che effettuano interventi di riqualificazione energetica negli edifici entro il 31 dicembre 2011.

La detrazione d’imposta del 36% per gli interventi di recupero edilizio non è cumulabile con le agevolazioni fiscali previste per i medesimi interventi dalle disposizioni finalizzate al risparmio energetico. Pertanto, nel caso in cui gli interventi realizzati rientrino sia nelle agevolazioni previste per il risparmio energetico che in quelle previste per le ristrutturazioni edilizie, il contribuente potrà fruire, per le medesime spese, soltanto dell’uno o dell’altro beneficio fiscale, rispettando gli adempimenti specificamente previsti in relazione a ciascuna di esse.

Il comma 48 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, è intervenuto sulle disposizioni recanti agevolazioni fiscali in materia di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio contenute ai commi da 344 a 347 dell'articolo unico della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), prorogando dal 31 dicembre 2010 al 31 dicembre 2011 il termine entro il quale devono essere sostenute e documentate una serie di spese al fine della fruizione della detrazione fiscale del 55 per cento.

È previsto peraltro che la detrazione debba essere ripartita in dieci quote annuali di pari importo, in luogo delle cinque attualmente vigenti. Le spese che possono fruire della detrazione fiscale del 55% sono le seguenti:

-        spese per la riqualificazione energetica (comma 344 della finanziaria 2007);

-        spese per interventi su strutture opache verticali, orizzontali e finestre (comma 345 della finanziaria 2007);

-        spese per l'installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda (comma 346 della finanziaria 2007);

-        spese per la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale a condensazione (comma 347 della finanziaria 2007).

In attuazione di quanto disposto dal comma 349, con decreto interministeriale 19 febbraio 2007 (G.U. n. 47/2007), come modificato dal decreto 7 aprile 2008 (G.U. n. 97/2008) sono state emanate le disposizioni attuative in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, la detrazione Irpef del 55 per cento è stata estesa anche alle spese per interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, con un onere quantificato in 6,58 milioni di euro per l'anno 2014 e in 2,75 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015.

 

Il comma 2 dell’articolo 4 prevede alcune norme di coordinamento con la legge n. 244 del 2007, la quale stabiliva la proroga, per gli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, delle agevolazioni tributarie in materia di recupero del patrimonio edilizio. In particolare, sono espunti i riferimenti all’anno 2012. Ciò in quanto, come previsto dal successivo comma 5, a decorrere dal 1° gennaio 2012, entrano in vigore le disposizioni previste dal nuovo articolo 16-bis del TUIR.


 

Articolo 5
(Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni
fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi
a favore delle famiglie)

 

 

L’articolo 5, modificato nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, intende rivedere le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ISEE. A tal fine viene rafforzata la rilevanzadegli elementi collegati alla ricchezza patrimoniale della famiglia e ai trasferimenti monetari, anche se esenti da imposizione fiscale.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, sono stati dettati i seguenti ulteriori criteri di revisione dell’ISEE:

§      tenere conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e delle persone disabili a carico;

§      migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita in Italia e all'estero, al netto del debito residuo per l'acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative;

§      permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni;

§      rafforzare il sistema dei controlli;

§      istituire una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, presso l’Inps.

 

Si ricorda che il disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566), ora all’esame della Camera, indica fra gli interventi di riordino e riqualificazione della spesa sociale anche la revisione dell’indicatore di situazione economica equivalente – ISEE, in particolare la revisione della componente riferita alla composizione del nucleo familiare (articolo 10, comma 1, lettera a).

Vengono inoltre attribuite all'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) le competenze relative a:

1)       erogazione delle prestazioni assistenziali quando assumono il carattere di contributo monetario diretto, in coordinamento con le regioni e gli enti locali;

2)       organizzazione del fascicolo elettronico della persona e delle famiglia attraverso la realizzazione di un'anagrafe generale delle posizioni assistenziali, condivisa tra le amministrazioni centrali dello Stato, gli enti pubblici di previdenza e assistenza, le regioni e gli enti locali, al fine di monitorare lo stato di bisogno e il complesso delle prestazioni rese da tutte le amministrazioni pubbliche.

 

L’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art.1 del D.Lgs. 109/1998[13] allo scopo di individuare criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche[14] .

 

L’ISEE è costituito da una componente reddituale (indicatore della situazione reddituale, ISR) e da una componente patrimoniale (indicatore della situazione patrimoniale, ISP) ed è reso confrontabile per famiglie di diversa numerosità e caratteristiche mediante l’uso di una scala di equivalenza (SE). L’ISR è composto dal reddito complessivo di tutti i componenti il nucleo familiare e da un reddito derivante dal patrimonio mobiliare, al netto delle spese per l’affitto (fino a un massimo di 5.164 euro). L’ISP, che entra solo per il 20% nella formazione dell’ISEE, è dato dalla somma del patrimonio immobiliare (considerato al valore ICI) del nucleo familiare, al netto della casa di abitazione se di proprietà (la franchigia per l’abitazione principale è pari a 51.646 euro), e del patrimonio mobiliare, al netto di una franchigia di 15.494 euro[15]. La SE è un parametro che permette il confronto tra situazioni familiari diverse, tenuto conto delle economie di scala che derivano dalla convivenza e di alcune particolari condizioni del nucleo familiare che comportano maggiori spese o disagi (presenza di persone con disabilità, nuclei monogenitore, entrambi genitori lavoratori). Si ricorda che nell’ISEE non sono inclusi i redditi esenti da imposizione[16]. Nel corso del 2010 sono state sottoscritte 7,4 milioni DSU: rispetto al 2002, anno di avvio nella sua piena funzionalità del Sistema informativo dell’ISEE, il numero di dichiarazioni è più che triplicato, passando da poco più di 2 milioni a oltre 7 milioni. Conseguentemente, gli individui coperti da DSU (o meglio, quelli presenti nei nuclei familiari distinti), rappresentano nel 2010 una popolazione di 18,5 milioni di persone, superando per la prima volta il 30 per cento dell’intera popolazione residente nel nostro paese; una copertura più che doppia rispetto ai primi anni di avvio dell’ISEE, corrispondente tuttavia ad una crescita cumulata decisamente inferiore a quella dei nuclei familiari che presentano DSU. Per quanto riguarda l’analisi in termini territoriali, l’area dove si concentra la popolazione ISEE è decisamente il Mezzogiorno.

 

Al momento di avvio del sistema, l’ISEE è stato utilizzato soprattutto a livello nazionale[17] per le prestazioni previste dalla normativa di settore, successivamente le amministrazioni locali lo hanno utilizzato in virtù delle capacità selettive e della semplicità di utilizzazione del Sistema informativo[18]. A legislazione vigente, la platea dei beneficiari delle prestazioni erogate attraverso l’ISEE non può essere esclusivamente identificata con le famiglie in condizione di bisogno economico: l’ISEE è infatti utilizzato anche per stabilire la compartecipazione al costo di servizi a destinazione generale (prestazioni per il diritto allo studio universitario e per gli asili nido). D’altra parte, alcune prestazioni destinate alle persone in povertà – gli assegni sociali – sono tuttora escluse dall’ambito di applicazione dell’ISEE, mentre altre - Carta Acquisti – vi rientrano.

 

Tale revisione è apportata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare previo parere delle commissioni parlamentari competenti entro il 31 maggio 2012.

 

Il decreto ha inoltre il compito di individuare le agevolazioni fiscali e tariffarie, nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata dallo stesso decreto.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato inoltre previsto che con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, siano definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti pubblici nonché la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’Inps, da parte degli enti erogatori, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse.

 

Al riguardo, si segnala che nel corso delle audizioni svolte durante l’esame in sede referente del citato ddl delega al governo per la riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566), da più parti era emersa la constatazione che mentre le prestazioni di natura previdenziale erogate dallo Stato sono note, non vi è alcuna rilevazione di carattere complessivo riguardante le prestazioni sociali e assistenziali rese ai diversi livelli di governo; tale circostanza, secondo gli auditi, non consente una valutazione oggettiva rispetto all’entità e alla qualità di dette prestazioni.

 

Di seguito sono elencate le principali provvidenze di natura assistenziale, a prescindere da caratteristiche quali la presenza o meno di un precedente versamento contributivo da parte del soggetto beneficiario e la verifica dei mezzi economici del richiedente quale requisito di accesso alla prestazione. Sono pertanto indicati gli strumenti di sostegno economico a persone che si trovano in stato di bisogno per insufficiente autonomia fisica o psichica, per incapacità di procurarsi una fonte di sostentamento o, più in generale, per problemi di integrazione sociale:

-        trattamenti legati ad una condizione di disabilità e/o non autosufficienza: pensioni di invalidità civile (comprendendo in questa categoria tutti i disabili nonché i ciechi e i sordomuti con esclusione degli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio); indennità di accompagnamento, le pensioni di inabilità e gli assegni ordinari di invalidità e le rendite per infortuni sul lavoro, le pensioni di guerra. Tali trattamenti sono sempre di natura socio-sanitaria: in alcuni casi sono subordinati alla verifica dei mezzi del richiedente (pensioni di invalidità civile), mentre in altri casi si prescinde da tale verifica (le indennità di accompagnamento), altri casi necessitano di una pregressa contribuzione (e quindi precedente attività lavorativa; è il caso delle pensioni di inabilità e delle rendite per infortuni); quanto alle pensioni di guerra, sono erogate in presenza di menomazioni connesse con eventi bellici, senza vincoli reddituali (che rilevano però nel definire gli importi);

-        trattamenti legati alla condizione economica dell’anziano: pensioni e assegni sociali e integrazioni al minimo. Tali prestazioni sono sempre legate al bisogno economico, oltre che alla condizione anagrafica, e sono quindi sottoposte alla prova dei mezzi. Nel caso delle pensioni e assegni sociali è la mera condizione economica a rilevare, in quello dell’integrazione al minimo rilevano i precedenti (limitati) versamenti contributivi[19].

 

I risparmi così ottenuti a favore del bilancio dello Stato e degli enti nazionali di previdenza ed assistenza sono riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l’attuazione di politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale riassegnazione.

 

Si ricorda che una parte rilevante delle politiche sociali è attuata attraverso il Fondo nazionale per le politiche sociali, istituito dalla legge 449/1997 (legge finanziaria per il 1998) presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il Fondo contiene le risorse che, annualmente, lo Stato stanzia con la legge finanziaria per le politiche di assistenza sociale, ovvero per il finanziamento specifico degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, così come previsto dalla legge quadro di riforma del settore, legge 328/2000. Con decreto interministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata (Stato, regioni, città e autonomie locali), avviene il riparto annuale degli stanziamenti per le politiche sociali a favore di INPS, regioni, province autonome, comuni e Ministero del lavoro e delle politiche sociali. La legge n. 244/ 2007 (legge finanziaria 2008) ha stabilito che dal 2008 le risorse del Fondo, destinate al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alle regioni e province autonome, al netto delle somme per i diritti soggettivi, siano anticipate nella misura del 50 per cento con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Il Fondo per le politiche sociali, ripartito dall’autorità centrale alle regioni e da queste, a loro volta ai comuni, finanzia un sistema articolato di Piani Sociali Regionali e Piani Sociali di Zona che, per ciascun territorio, concorrono alla creazione di una rete integrata di servizi alla persona.

 

Si ricorda inoltre che l’articolo 81, comma 29, del decreto-legge n.112 del 2008 ha istituito un Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti (cosiddetta carta acquisti).

 

Si ricorda, infine, che nel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro, un valore pari allo 0,42% del Pil nazionale. La componente sanitaria della spesa sociale è a carico del SSN e per il 2008 corrisponde a 1 miliardo e 116 milioni di euro. Il prospetto che segue mostra le componenti delle fonti di finanziamento della spesa sociale complessivamente erogata sul territorio, al netto delle compartecipazioni degli utenti (pari a 933 milioni di euro) e del SSN:


 

 

Fonte: Istat, Gli interventi e i servizi sociali dei Comuni singoli e associati: anno di riferimento 2008, aprile 2011, http://www.istat.it/it/archivio/25575


 

Articolo 6
(Equo indennizzo e pensioni privilegiate)

 

 

L’articolo 6 prevede che, ferma la tutela derivante dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, sono abrogati gli istituti dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata.

La disposizione non si applica nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico. Nel corso dell'esame in sede referente a tale personale è stato aggiunto il Corpo dei vigili del fuoco.

La disposizione non si applica, inoltre, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d'ufficio per eventi occorsi prima della predetta data.

 

Si ricorda che per “causa di servizio” si intende comunemente il riconoscimento della dipendenza dal servizio di una infermità o di lesioni fisiche, contratte, appunto, a causa del servizio prestato previsto per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche in generale, gli appartenenti alle Forze di polizia e alle Forze armate (nonché alle altre categorie indicate nel D.P.R. 1092/1973).

 

L’individuazione di tale dipendenza da causa di servizio comporta il riconoscimento del diritto alla fruizione di particolari benefici, quali indennizzi o trattamenti pensionistici privilegiati. Ad ogni modo, al fine del riconoscimento della causa di servizio, è necessario che l’infermità o le lesioni derivino da fatti accaduti in servizio o per cause inerenti al servizio stesso come, ad esempio, l’ambiente e le condizioni di lavoro. Infine, la causa di servizio può essere riconosciuta anche se i fatti di servizio abbiano concorso con altri fattori nell’insorgenza di infermità o lesioni; in tal caso i fatti di servizio devono comunque risultare determinanti.

 

Il procedimento per l’accertamento della dipendenza da causa di servizio è regolamentato dal D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461.

 

Ai sensi dell’articolo 2 del D.P.R. 461/2001, la procedura per il riconoscimento prevede l’inoltro di specifica domanda da parte dell’interessato presso l’ufficio o comando presso cui presta servizio (articolo 2), nella quale sono riportati i fatti e le conseguenze sull'integrità fisica, psichica o sensoriale e sull'idoneità al servizio. La procedura si applica anche quando la menomazione dell'integrità fisica si manifesta dopo la cessazione del rapporto d'impiego. La presentazione della richiesta di equo indennizzo può essere successiva o contestuale alla domanda di riconoscimento di causa di servizio, oppure prodotta nel corso del procedimento di riconoscimento di causa di servizio, entro il termine di 10 giorni dalla ricezione della comunicazione della trasmissione degli atti al Comitato di verifica delle cause di servizio (di seguito Comitato).

La richiesta di equo indennizzo deve riguardare la morte o una menomazione dell'integrità fisica o psichica o sensoriale, ascrivibile ad una delle categorie di cui alle tabelle A o B annesse al D.P.R. 834/1981; la menomazione conseguente ad infermità o lesione non prevista in dette tabelle è indennizzabile solo nel caso in cui essa sia da ritenersi equivalente ad alcuna di quelle contemplate nelle tabelle stesse, anche quando la menomazione dell'integrità fisica si manifesta entro 5 anni dalla cessazione del rapporto d'impiego (elevati a 10 anni per invalidità derivanti da infermità ad eziopatogenesi non definita o idiopatica).

La richiesta di equo indennizzo può essere proposta dagli eredi del dipendente deceduto, anche se pensionato, entro 6 mesi dal decesso.

Ai sensi dell’articolo 3, la procedura può iniziare anche d’ufficio.

Ai sensi dell’articolo 5, dopo il giudizio espresso dalle competenti Commissioni Mediche (di seguito Commissioni) su diagnosi, natura, ascrizione tabellare ed idoneità del soggetto al servizio, e in seguito al parere tecnico del Comitato sulla dipendenza delle infermità dal servizio medesimo, il procedimento si conclude con un decreto dell’Amministrazione di appartenenza da notificarsi o comunicarsi all’interessato, ai fini dell’eventuale impugnativa in sede giurisdizionale.

Ai sensi dell’articolo 7, entro 30 giorni dalla ricezione del verbale della Commissione, l'ufficio competente ad emettere il provvedimento finale invia al Comitato, oltre al verbale stesso, una relazione riassuntiva degli elementi informativi disponibili, relativi al nesso causale tra l'infermità o lesione e l'attività di servizio, nonché l'eventuale documentazione prodotta dall'interessato.

Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio costituisce, ai sensi dell’articolo 12, accertamento definitivo anche nell’ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo e di trattamento pensionistico di privilegio.

Infine, l’articolo 14 prevede che l'Amministrazione si pronunci sul solo riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio, su conforme parere del Comitato, anche nel caso di intempestività della domanda di equo indennizzo, entro 20 giorni dalla data di ricezione del parere stesso. Entro lo stesso termine l'amministrazione che, per motivate ragioni, non ritenga di conformarsi a tale parere, ha l'obbligo di richiedere ulteriore parere al Comitato, che rende il parere entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta. L'Amministrazione adotta il provvedimento nei successivi 10 giorni motivandolo conformemente al parere del Comitato.

l provvedimento finale è adottato nel rispetto dei termini procedimentali previsti dal D.P.R. 461/2001 ed è notificato o comunicato, anche per via amministrativa, all'interessato, nei successivi 15 giorni.

Entro 5 anni dalla data di comunicazione del richiamato provvedimento di riconoscimento il dipendente, in caso di aggravamento della menomazione della integrità fisica, psichica o sensoriale per la quale è stato concesso l'equo indennizzo, può per una sola volta, chiedere all'Amministrazione la revisione dell'equo indennizzo già concesso, secondo le procedure indicate nello stesso D.P.R. 461/2001.


 

Articolo 6-bis
(Remunerazione onnicomprensiva degli affidamenti e
degli sconfinamenti)

 

 

L’articolo 6-bis, inserito durante l’esame del provvedimento in sede referente, reca ladisciplina dettagliata della remunerazione spettante a banche e intermediari in rapporto agli affidamenti e agli sconfinamenti, in relazione a determinate tipologie contrattuali.

A tal fine, il comma 1 introduce l’articolo 117-bis nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385.

 

In materia, si ricorda che sino alla fine del 2008 vigeva, per gli affidamenti in conto corrente e per i conti non affidati, in caso di saldo negativo, un sistema di commissioni che si aggiungevano al tasso debitore, dette di “massimo scoperto”. Tale strumento consentiva di remunerare l’intermediario dell’onere di fronteggiare l’utilizzo di somme oltre il fido accordato (ovvero in assenza di fido) al cliente sul conto corrente. Le commissioni erano solitamente determinate applicando la percentuale pattuita contrattualmente al livello massimo di utilizzo del fido o di scoperto in conto raggiunto nel periodo di rendicontazione (normalmente trimestrale), indipendentemente dalla durata di tale utilizzo/scoperto.

In seguito, l’articolo 2-bis del D.L. n. 185 del 2008[20] ha previsto la nullità a determinate condizioni di alcune clausole bancarie particolarmente onerose per il cliente, tra cui la clausola di massimo scoperto. Alla luce delle suddette norme, tale clausola è nulla ove il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni, ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido.

Il citato articolo 2-bis, al comma 1, prevede la nullità anche delle clausole che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma, nonché quelle che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente. La nullità non opera se il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme è predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all'importo e alla durata dell'affidamento richiesto dal cliente, e purché sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale, con l'indicazione dell'effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento.

L’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, nell’audizione svoltasi il 21 aprile 2010[21] presso la Commissione 6° del Senato in materia di problematiche relative alle commissioni di massimo scoperto, ha rilevato come - a seguito dell’entrata in vigore di tale disposizione - la generalità delle banche abbia eliminato la commissione di massimo scoperto e introdotto nuove commissioni, distinte per gli affidamenti e gli scoperti in conto.

Per gli affidamenti, tali commissioni sono volte a remunerare l’impegno della Banca a mettere a disposizione del cliente una determinata somma per un determinato periodo di tempo. Esse, pertanto, non sono più commisurate al livello massimo di utilizzo della linea di credito messa a disposizione, ma all’importo complessivo della medesima; le nuove spese vengono applicate in modo fisso, poiché non aumentano con il maggior utilizzo del fido, costituendo delle “flat fee” per la disponibilità di quest’ultimo.

Nel caso degli scoperti, le commissioni hanno l’obiettivo di compensare l’attività istruttoria della banca necessaria per valutare correttamente l’affidabilità del cliente in caso di richieste di credito improvvise.

Il D.L. 1° luglio 2009, n. 78 all’articolo 2, comma 2, ha successivamente previsto, allo scopo di accelerare e rendere effettivi i benefici derivanti dal divieto della commissione di massimo scoperto, che l’ammontare del corrispettivo omnicomprensivo per il servizio di messa a disposizione delle somme (per i rapporti affidati) non può superare lo 0,50%, per trimestre dell’importo dell’affidamento, a pena di nullità della clausola contrattuale che stabilisce la commissione.

Nella predetta audizione, l’AGCOM aveva dunque segnalato, tra l’altro, l’opportunità di “stabilire che gli oneri complessivamente imposti al cliente per lo sconfinamento nei conti non affidati non debbano essere superiori a quelli stabiliti per i conti affidati. Ciò si realizza necessariamente applicando, agli utilizzi in assenza di fido, una commissione, con riferimento al massimo saldo debitore nel trimestre, con aliquota pari a quella applicata per la messa a disposizione di fondi nei rapporti di affidamento; e comunque nel limite dell’importo massimo di 0,5 per cento, per trimestre, così come disposto dall’art. 2-bis del D.L. 29 novembre 2008, n. 185”.

Considerazioni di simile tenore sono state formulate dalla Banca d’Italia in occasione dell’audizione svoltasi, sempre presso la Commissione 6° del Senato, il 17 novembre 2010[22]. In particolare, è stato sottolineato che le norme vigenti, oltre a prevedere che la CMS sia legittima in alcuni casi, “non chiariscono il regime commissionale per gli utilizzi extra-fido e per gli sconfinamenti”. E’ stato in proposito sottolineato come “la commissione per la messa a disposizione dei fondi (onnicomprensiva e proporzionale) è riferita al solo importo del fido richiesto dal cliente” e la necessità di fare chiarezza sulle commissioni ammissibili sull’extra-fido.

 

Il comma 1 dell’articolo 117-bis dispone che gli unici oneri a carico del cliente per i contratti di apertura di credito siano costituiti da:

§      una commissione onnicomprensiva, calcolata proporzionalmente rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, che non può superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente;

§      un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate.

 

Il comma 2 reca la disciplina degli oneri a carico del cliente a fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento, ovvero oltre il fido, nei contratti di apertura di credito e di conto corrente.

Per questi ultimi è prevista l’applicazione

§      di una cd “commissione di istruttoria veloce”, determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi;

§      un tasso di interesse debitore sull'ammontare dello sconfinamento.

 

Il comma 3 prevede la nullità relativa ex lege delle clausole che prevedano oneri diversi o non conformi a quelli previsti dai precedenti commi: tale nullità non si estende al contratto.

 

Si demanda (comma 4) al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio – CICR l’emanazione di norme di applicazione della disciplina in esame, con la possibilità che i suddetti provvedimenti estendano la disciplina su affidamenti e sconfinamenti anche ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente.

Lo stesso CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non è dovuta la commissione di istruttoria veloce.


 

Articolo 7
(Partecipazione italiana a banche e fondi)

 

 

Il comma 1 autorizza il Presidente della Repubblica all'accettazione degli emendamenti all'Accordo istitutivo della BERS (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo), adottati dal Consiglio dei Governatori della Banca con le risoluzioni n. 137 e n. 138 del 2011. Gli adempimenti conseguenti al recepimento degli emendamenti suddetti nell'ordinamento italiano sono posti in capo al Ministro dell'economia e delle finanze, unitamente alle relazioni da mantenere a tale fine con l'amministrazione della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Gli emendamenti suddetti ricevono dal comma 1 in commento, inoltre, piena ed intera esecuzione, conformemente a quanto previsto dall'articolo 56 dell'Accordo istitutivo della BERS - ratificato con la legge 11 febbraio 1991, n. 53 - proprio in ordine alle procedure di entrata in vigore degli emendamenti all'Accordo istitutivo.

 

La risoluzione n. 137 emenda l’art. 1 dell’Accordo istitutivo della BERS, nel senso di estendere le potenzialità di azione della Banca anche ai paesi membri appartenenti all’area del Mediterraneo orientale e meridionale, a condizione del voto favorevole di almeno due terzi dei Governatori, i quali siano rappresentativi di non meno dei tre quarti del totale del potere di voto dei membri della BERS. Conseguentemente, la ris. 137 prevede che tutti i riferimenti di portata geografica dell’Accordo istitutivo siano ampliati a ricomprendere l’area del Mediterraneo orientale e meridionale. La restante parte della risoluzione riguarda le modalità di notifica dell’accettazione e di entrata in vigore dell’emendamento.

La risoluzione n. 138 emenda invece l’art. 18 dell’Accordo istitutivo della BERS, che riguarda l’amministrazione, da parte della Banca, di Fondi speciali: la nuova versione estende l’utilizzazione dei Fondi speciali al novero dei potenziali Paesi di operazione, prevedendo che a richiesta di uno Stato membro che non sia qualificato come Paese di operazione, il Consiglio dei Governatori possa decidere di annoverare tale Stato come potenziale Paese di operazione, per il periodo e nei termini ritenuti opportuni. Anche tale decisione dovrà registrare il voto favorevole di almeno due terzi dei Governatori, i quali siano rappresentativi di non meno dei tre quarti del totale del potere di voto dei membri della BERS. La decisione sarà inoltre subordinata al possesso, da parte del Paese richiedente, dei requisiti per essere riconosciuto come Paese di operazione, quali previsti dall’art. 1 dell’Accordo istitutivo della BERS. Resta poi fermo che se al termine del periodo stabilito il Paese interessato non sarà divenuto a tutti gli effetti un Paese di operazione, la Banca cesserà ogni amministrazione di Fondi speciali in tale Paese, con salvaguardia tuttavia di quanto necessario per la tutela delle attività finanziarie collegate e il soddisfacimento degli obblighi nel frattempo sopravvenuti.

La restante parte della risoluzione riguarda anche in questo caso le modalità di notifica dell’accettazione e di entrata in vigore dell’emendamento, che sono le medesime previste dalla risoluzione n. 137.

La BERS, inaugurata nell’aprile 1991 e che conta attualmente 61 Stati membri, oltre all’Unione europea e alla Banca europea per gli investimenti, pur essendo annoverata generalmente tra le Banche multilaterali di sviluppo regionale, possiede la peculiarità di una marcata accentuazione politica del proprio mandato. Infatti l'istituzione della BERS avvenne nel quadro della dissoluzione del sistema economico e politico dei paesi di socialismo reale, come tentativo di risposta prevalentemente europea alle necessità dei paesi precedentemente appartenenti al blocco comunista e all'Unione sovietica, in via di transizione dal sistema monopartitico ad economia centralizzata verso un sistema democratico di stampo occidentale basato sull'economia di mercato. Proprio perciò l'obiettivo della BERS è precipuamente quello di sostenere i paesi destinatari di investimenti nell’attuazione di riforme economiche strutturali volte allo smantellamento dei monopoli, alla decentralizzazione e alla privatizzazione dell'economia. Proprio in considerazione della missione principale della BERS è stato posto il limite del 40% delle operazioni agli interventi della Banca nel settore pubblico di ciascuno dei paesi recipienti. Il carattere prevalentemente europeo della BERS è testimoniato dalla presenza tra i membri di essa sia della Unione europea che della Banca europea degli investimenti, nonché dalla previsione per la quale il complesso delle azioni in possesso della UE, della BEI e dei singoli Stati membri dell'Unione non può mai scendere sotto la quota del 51% del capitale sociale della Banca.

 

Il comma 2, al fine di rendere possibile l'adempimento degli impegni dell’Italia per la partecipazione a banche e fondi internazionali di sviluppo, autorizza per il 2012, 2013 e 2014 rispettivamente la spesa di 87,642 milioni, di 125,061 milioni e di 121,726 milioni di euro.

La copertura finanziaria per tali stanziamenti è rinvenuta mediante corrispondente riduzione, per gli anni 2012, 2013 e 2014, delle somme iscritte nel Fondo speciale di conto capitale per il bilancio del triennio, nell'ambito del Programma “fondi di riserva e speciali” della Missione “fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, con parziale utilizzazione dell'accantonamento relativo a detto Ministero.

Il comma 3, modificato nel corso dell’esame in sede referente, dispone, al fine di consentire la partecipazione italiana agli aumenti di capitale delle banche multilaterali di sviluppo, l’utilizzo di 226 milioni di euro nel periodo 2012-2017 a valere sulle disponibilità del conto corrente di tesoreria di cui all'articolo 7, comma 2-bis, del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143[23].

Più precisamente, l'ammontare di 226 milioni sarà versato all'entrata del bilancio statale, per essere poi riassegnato alla pertinente Missione e Programma dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze.

Il versamento all'entrata del bilancio statale dell'ammontare complessivo di 226 milioni avverrà nella misura di 26 milioni nel 2012, 45 milioni per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, 35,5 milioni nel 2016 e 29,5 milioni nel 2017.

Nel corso dell’esame in sede referente è stata aggiunta la previsione che alla compensazione degli effetti finanziari di cui alla norma in commento si provvede mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate e delle minori spese recate dal presente provvedimento.

La relazione tecnica che accompagna il decreto legge specifica che il comma 3 non comporta effetti di indebitamento netto, poiché gli stanziamenti sono finalizzati ad acquisire attività finanziarie, inserendo l’Italia nella partecipazione al capitale delle banche e fondi internazionali di sviluppo.

Si segnala al proposito che, in base al comma 2-bis dell'articolo 7 del citato Decreto legislativo 143/1998, le disponibilità in giacenza sul conto corrente di tesoreria derivano da somme recuperate in ordine a crediti indennizzati dalla SACE e inseriti negli accordi bilaterali intergovernativi di ristrutturazione del debito, che siano affluite sino al momento della trasformazione della SACE in SACE SpA. Il Dipartimento del Tesoro è autorizzato ad avvalersi delle disponibilità di tale conto corrente, tra l'altro, per finalità collegate all'esercizio dell'attività nazionale sull'estero, eventualmente in collaborazione con le istituzioni finanziarie internazionali.

La partecipazione italiana alle banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale è regolata dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49[24]. Questa prevede, in generale, che la cooperazione allo sviluppo sia realizzata attraverso due modalità: il dono ed il credito d'aiuto. Ciascuna di queste modalità viene poi attuata tramite due canali: quello bilaterale e quello multilaterale.

La gestione degli aiuti a dono è affidata alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari esteri, che la attua sia attraverso la cura dei rapporti bilaterali con i singoli Paesi, sia partecipando alla cooperazione multilaterale con contributi obbligatori o volontari agli organismi delle Nazioni Unite, nonché con contributi finalizzati ai progetti a dono attuati da organismi sovranazionali (cooperazione multi-bilaterale).

La gestione del credito d'aiuto è invece affidata al Ministero dell’economia e delle finanze, che la attua attraverso il Fondo rotativo del Mediocredito centrale, per quanto riguarda i rapporti bilaterali, e attraverso la partecipazione a banche e fondi di sviluppo per il canale multilaterale, versando contributi che vanno a costituire il capitale di tali istituti.

La partecipazione finanziaria al capitale di banche e fondi di sviluppo rappresenta pertanto uno degli strumenti attraverso i quali il nostro Paese partecipa alla cooperazione internazionale allo sviluppo. La gestione dei rapporti con tali organismi è stata a suo tempo affidata al Ministero del Tesoro, in forza dell’articolo 4 della legge 49/87, in considerazione del loro carattere di istituzioni finanziarie. Per il perseguimento dei loro fini, tali enti si avvalgono dei fondi messi a disposizione dagli Stati membri e dei fondi raccolti sui mercati finanziari.

I Paesi membri conferiscono il capitale alle banche e fondi di sviluppo in proporzione alle quote azionarie da loro possedute, da cui discendono altresì il diritto di voto e di rappresentanza negli organi di amministrazione. I maggiori azionisti sono i Paesi industrializzati e le risorse raccolte sono utilizzate per effettuare prestiti a Paesi in via di sviluppo. Il capitale viene ricostruito ogni 3-5 anni attraverso contribuzioni a fondo perduto da parte dei Paesi industrializzati.

Le banche di sviluppo non hanno scopo di lucro e i prestiti che effettuano ai Paesi in via di sviluppo hanno condizioni particolarmente agevolate: i tassi d'interesse praticati coprono i costi e le spese amministrative. I fondi di sviluppo sono stati creati per sostenere i Paesi più poveri, e utilizzano i contributi a fondo perduto dei Paesi donatori per concedere prestiti a tasso zero e con condizioni di restituzione molto agevolate.

Sulla base del comma 2-bis del citato art. 4 della legge 49/87, il Ministro dell’economia e delle finanze invia al Parlamento una relazione annuale sugli esiti dell'attività di propria competenza.

Nel corso dello scorso decennio si sono susseguiti alcuni interventi legislativi intesi a garantire la partecipazione del nostro Paese al finanziamento di questi organismi multilaterali: in particolare si segnalano la legge 3 febbraio 2000, n. 15[25], la legge 23 giugno 2000, n. 176[26], la legge 17 febbraio 2001, n. 23[27], la legge 22 marzo 2001[28], la legge 18 giugno 2003[29], la legge 26 febbraio 2004[30], la legge 28 febbraio 2005, n. 21[31], la legge 27 dicembre 2007, n. 246[32], la legge 26 febbraio 2011, n. 10[33], e, da ultimo, la legge 15 luglio 2011, n. 111[34].

 

Con riferimento alle disposizioni in commento, si segnala che l’articolo 15, comma 1, lettera b) della legge n. 400/1988 dispone che il Governo non possa, provvedere mediante decreto-legge nelle materie indicate nell'articolo 72, quarto comma, della Costituzione, tra le quali sono compresi disegni di legge “di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”, che devono essere approvati attraverso il normale procedimento in sede referente e con legge ordinaria. Si veda a tale proposito il parere reso dal Comitato per la legislazione nella seduta dell’8 giugno 2010, in relazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 maggio 2010, n. 67, recante disposizioni urgenti per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell'area euro. Ordine di esecuzione dell'accordo denominato «Intercreditor Agreement» e dell'accordo denominato «Loan Facility Agreement» stipulati in data 8 maggio 2010.


 

Articolo 8
(Misure per la stabilità del sistema creditizio)

 

 

L’articolo 8 reca misure di stabilizzazione del sistema creditizio volte a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane. Si riconosce inoltre al Ministero dell'economia e delle finanze, fino al 30 giugno 2012, la facoltà di rilasciare la garanzia statale su finanziamenti erogati dalla Banca d'Italia alle banche italiane e alle succursali di banche estere in Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità, richiamando in particolare i cosiddetti casi di emergency liquidity assistance (i.e., offerta di liquidità di ultima istanza).

 

In particolare, il comma 1 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze, fino al 30 giugno 2012, a concedere - in conformità alla normativa europea in materia - una garanzia dello Stato incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta (comma 3):

§      sulle passività delle banche italiane – vale a dire, ai sensi del comma 5, quelle aventi sede legale in Italia - con scadenza da tre mesi fino a cinque anni;

§      a partire dal 1 gennaio 2012, per le obbligazioni bancarie garantite con scadenza fino a sette anni, prorogabili con DPCM, e di emissione successiva alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.

 

Si ricorda preliminarmente che tale facoltà era già prevista, fino al 31 dicembre 2009, per le passività delle banche italiane, con scadenza fino a cinque anni e di emissione successiva alla data del 13 ottobre 2008, da una norma di contenuto sostanzialmente identico contenuta nel decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, (articolo 1-bis, comma 1) recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori. Con questo provvedimento sono state adottate alcune misure straordinarie al fine di garantire la stabilità del sistema bancario e la tutela del risparmio, in linea con le conclusioni in sede europea, tra le quali si ricordano, oltre alla citata garanzia statale sulle passività bancarie, alcune misure di ricapitalizzazione delle banche, la possibilità di scambio tra titoli di Stato e strumenti finanziari detenuti dalle banche, l’estensione delle procedure di amministrazione straordinaria e gestione provvisoria alle banche con problemi di liquidità, le garanzie sui depositi bancari nonché alcune disposizioni in materia di “conti dormienti”.

 

In relazione alle obbligazioni bancarie garantite, si ricorda che la relativa disciplina è recata dal’articolo 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130, (introdotto dalla legge 14 maggio 2005, n. 80), con l’obiettivo di contenere i costi della provvista e di conseguire i vantaggi regolamentari riconoscibili, in base alla normativa comunitaria, agli strumenti di raccolta assistiti da determinate garanzie. In base a tale disciplina, le obbligazioni bancarie garantite possono essere emesse mediante uno schema operativo che prevede: i) la cessione da parte di una banca, anche diversa da quella emittente le obbligazioni, a una società veicolo di attivi di elevata qualità creditizia, costituiti in patrimonio separato; ii) l’erogazione alla società cessionaria, da parte della banca cedente o di altra banca, di un finanziamento subordinato volto a fornire alla cessionaria medesima i mezzi per acquistare le attività; iii) la prestazione da parte della società cessionaria di una garanzia in favore dei portatori delle obbligazioni, nei limiti del relativo patrimonio separato. Con provvedimento del 24 marzo 2010 la Banca d'Italia ha dettato i requisiti delle banche emittenti, i limiti alla cessione degli attivi bancari destinati al prioritario soddisfacimento dei portatori delle obbligazioni garantite, il trattamento prudenziale delle obbligazioni garantite.

 

Quanto alla normativa europea in tema di aiuti di Stato alle istituzioni finanziarie, si ricorda che, a partire dall’autunno 2008, quando è iniziata la crisi finanziaria mondiale, la Commissione europea ha pubblicato quattro comunicazioni che contengono orientamenti dettagliati sui criteri per la valutazione della compatibilità del sostegno pubblico alle istituzioni finanziarie con il disposto dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di compatibilità con il mercato interno degli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro. Le comunicazioni sul settore bancario, sulla ricapitalizzazione e sulle attività deteriorate stabiliscono le condizioni essenziali per la compatibilità dei principali tipi di assistenza concessi dagli Stati membri (garanzie sulle passività, ricapitalizzazioni e misure di sostegno a fronte di attività deteriorate), mentre la comunicazione sulla ristrutturazione indica le caratteristiche particolari che un piano di ristrutturazione (o un piano di redditività) deve presentare nello specifico contesto degli aiuti di Stato collegati alla crisi concessi alle istituzioni finanziarie. Le comunicazioni sottolineano che le misure di aiuto hanno carattere esclusivamente temporaneo e ciascuna precisa che esse possono essere giustificate unicamente come risposta di emergenza a uno stress senza precedenti sui mercati finanziari e solo per la durata di tali circostanze eccezionali. Il 1° dicembre 2010 la Commissione ha adottato una quinta comunicazione (2010/C 329/07), relativa all'applicazione, dal 1° gennaio 2011, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria6 (la comunicazione di proroga).

L'inasprirsi delle tensioni sui mercati dei debiti sovrani registrato nel 2011 ha posto il settore bancario dell'Unione sotto una pressione crescente, in particolare in termini di accesso ai mercati del finanziamento a termine. Il “pacchetto per il settore bancario” concordato dai capi di Stato e di governo nel loro incontro del 26 ottobre 2011 è volto a ristabilire la fiducia nel settore bancario mediante garanzie sul finanziamento a medio termine e la creazione di una riserva temporanea di capitale corrispondente a un coefficiente patrimoniale pari al 9% di capitale di qualità più elevata, tenuto conto della valutazione di mercato delle esposizioni di debito sovrano. Malgrado tali misure, la Commissione ritiene che le condizioni per l’approvazione degli aiuti di Stato continueranno a sussistere anche dopo la fine del 2011. Conseguentemente, la comunicazione C(2011) 8744 stabilisce i parametri per l’accettabilità temporanea dell’assistenza, collegata alla crisi, che viene fornita alle banche dal 1° gennaio 2012.

In particolare, la presente comunicazione:

-        integra la comunicazione sulla ricapitalizzazione, fornendo orientamenti più dettagliati per garantire un'adeguata remunerazione dei titoli di capitale che non hanno un rendimento fisso;

-        illustra in che modo la Commissione procederà a una valutazione proporzionale della redditività a lungo termine delle banche nel contesto del pacchetto per il settore bancario;

-        introduce un metodo rivisto per garantire che le commissioni da versare in cambio di garanzie sulle passività bancarie siano sufficienti per limitare l’aiuto al minimo indispensabile, con l'obiettivo di garantire che il metodo tenga conto della recente maggiore differenziazione dei margini differenziali sui CDS e dell'impatto dei margini differenziali sui CDS del debito sovrano.

 

La concessione della garanzia è effettuata sulla base della valutazione da parte della Banca d'Italia dell'adeguatezza della patrimonializzazione della banca richiedente e della sua capacità di fare fronte alle obbligazioni assunte - sulla base dei coefficienti patrimoniali e della capacità reddituale della banca (commi 2 e 23) - ed è limitata a quanto strettamente necessario per ripristinare la capacità di finanziamento a medio-lungo termine delle banche beneficiarie (comma 6, primo periodo). L'ammontare massimo complessivo delle operazioni di cui al presente decreto non può eccedere, di norma, il patrimonio di vigilanza, compreso il patrimonio di terzo livello (comma 9).

 

Ai sensi del comma 4, modificato nel corso dell’esame in sede referente, la garanzia, per la quale è autorizzata una spesa di 200 milioni di euro annui per il periodo 2012-2016, viene elencata – secondo quanto previsto all'articolo 31 della legge 31 dicembre 2009 n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica) – in allegato allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, mentre gli eventuali ulteriori oneri sono posti a carico del Fondo di riserva per le spese obbligatorie.

In sede referente è stata operata una modifica formale ed eliminato il riferimento all’unità di voto parlamentare 25.2 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze, in cui il predetto Fondo di riserva è iscritto.

 

L'insieme delle operazioni e i loro effetti sull'economia sono oggetto di monitoraggio semestrale da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, con il supporto della Banca d'Italia. I risultati delle verifiche sono comunicati alla Commissione europea; insieme con eventuali necessità di prolungare la vigenza delle operazioni oltre i sei mesi. Il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base degli elementi forniti dalla Banca d’Italia, presenta entro il 15 aprile 2012 un rapporto sintetico sul funzionamento dello schema di garanzia e sulle emissioni garantite e non garantite delle banche (comma 6). Su segnalazione della Banca d'Italia, il Ministero dell'economia e delle finanze può escludere una banca dall'ammissione alla garanzia dandone comunicazione alla Commissione europea (comma 8).

 

Ai sensi del comma 10, la garanzia dello Stato – che copre sia il capitale che gli interessi (comma 11) - può essere concessa su strumenti finanziari di debito emessi da banche che, oltre alle caratteristiche sopra descritte (vedi comma 1):

§      prevedono il rimborso del capitale in un'unica soluzione a scadenza;

§      sono a tasso fisso;

§      sono denominati in euro;

§      rappresentano un debito non subordinato nel rimborso del capitale e nel pagamento degli interessi;

§      non sono titoli strutturati o prodotti complessi né incorporano una componente derivata.

 

Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), per strumenti finanziari si intendono valori mobiliari, strumenti del mercato monetario, quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio, nonché contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati, strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, contratti finanziari differenziali.

 

Si ricorda inoltre che ai sensi della Circolare della Banca d'Italia n. 229 del 21 aprile 1999, Titolo X, Capitolo 1, Sezione I, i "titoli strutturati" sono titoli che incorporano uno strumento di debito di tipo tradizionale e un contratto derivato; le due componenti di un titolo strutturato (obbligazionaria e derivata) sono fuse all'interno di un unico strumento finanziario; sono invece "prodotti complessi" gli schemi negoziali composti da due o più contratti tra loro collegati che realizzano un'unica operazione economica.

 

Non possono in alcun caso essere assistite da garanzia dello Stato le passività computabili nel patrimonio di vigilanza (comma 12).

 

Queste ultime sono individuate dalla Circolare della Banca d'Italia n. 263 del 27 dicembre 2006, (Titolo I, Capitolo 2) che indica le modalità di calcolo del patrimonio di vigilanza, costituito dalla somma del patrimonio di base (Tier 1) — ammesso nel calcolo senza alcuna limitazione — e del patrimonio supplementare (Tier 2), che viene ammesso nel limite massimo del patrimonio di base. Da tali aggregati vengono dedotti le partecipazioni, gli strumenti innovativi e non innovativi di capitale, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione e le passività subordinate, detenuti in altre banche e società finanziarie. Vengono altresì dedotte le partecipazioni in società di assicurazione e le passività subordinate emesse dalle medesime società, nonché ulteriori elementi connessi con il calcolo dei requisiti patrimoniali.

 

Il volume complessivo di strumenti finanziari con durata superiore ai 3 anni sui quali può essere prestata la garanzia non può eccedere un terzo del valore nominale totale dei debiti garantiti dallo Stato emessi dalla banca stessa (comma 13).

 

I commi da 14 a 18 definiscono le modalità di calcolo delle commissioni a carico delle banche beneficiarie della garanzia il cui ammontare, ai sensi del successivo comma 32, è comunicato dal Ministero dell’economia e delle finanze alla Commissione europea con riferimento a ciascuna emissione.

In estrema sintesi, le commissioni applicate per le banche saranno in media dell’1 per cento, a cui si aggiunge un costo ulteriore in relazione al rischio che tenga conto dei Cds (credit default swap) senior a 5 anni relativi alla capogruppo. Per le obbligazioni bancarie garantite la commissione basata sul rischio è computata per la metà.

 

E’ prevista una differente modalità di calcolo per la determinazione della commissione applicabile, a seconda che si tratti di passività delle banche con una durata originaria di almeno 12 mesi, di passività con durata originaria inferiore a 12 mesi o di obbligazioni bancarie garantite.

Al comma 15, sono inoltre regolate le modalità di calcolo degli oneri economici per le banche per le quali non sono negoziati contratti di CDS o comunque non sono disponibili dati rappresentativi.

Il comma 16 stabilisce che in caso di valutazioni difformi dei rating, ai fini del calcolo della commissione si considera rilevante quello più elevato, mentre il comma 17 disciplina le modalità di individuazione dei rating.

 

Ai sensi del comma 19 le commissioni sono applicate in ragione d'anno all'ammontare nominale dei titoli emessi dalla banca e sono versate, in rate trimestrali posticipate, ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, può variare i criteri di calcolo e la misura delle commissioni del presente articolo in conformità delle Comunicazioni della Commissione Europea, tenuto conto delle condizioni di mercato. Le variazioni non hanno effetto sulle operazioni già in essere (comma 20).

 

I successivi commi da 21 a 27 definiscono le modalità di presentazione delle richieste di ammissione alla garanzia alla Banca d'Italia e al Dipartimento del Tesoro, nonché i criteri che la Banca d'Italia deve adottare per valutare l'adeguatezza patrimoniale delle banche e la capacità di fare fronte alle obbligazioni assunte.

 

A seguito dell'intervento della garanzia dello Stato, la banca è tenuta a rimborsare all'erario le somme pagate dallo Stato maggiorate degli interessi al tasso legale fino al giorno del rimborso nonché a presentare un piano di ristrutturazione, come previsto dalla Comunicazione della Commissione europea del 25 ottobre 2008 da trasmettere alla Commissione europea, dal quale risulti che la banca è fermamente decisa a intraprendere gli sforzi di ristrutturazione necessari e a ripristinare la redditività senza ritardi (comma 28).

 

Qualora la banca sia posta in amministrazione straordinaria o in liquidazione coatta amministrativa ai sensi del Titolo IV del Testo unico bancario (D.Lgs. 385 del 1993) in conseguenza della escussione della garanzia, il relativo provvedimento è trasmesso alla Commissione Europea entro 6 mesi (comma 29).

 

Il Titolo IV del TUB (articoli da 70 a 105) reca disposizioni in materia di “disciplina della crisi”. In particolare, nella sezione I (Amministrazione straordinaria) gli articoli da 70 a 75 del TUB dispongono in materia di amministrazione straordinaria e l’articolo 76 disciplina la gestione provvisoria delle banche in crisi.

L’amministrazione straordinaria è disposta con decreto dal Ministro dell’economia e finanze, su proposta della Banca d’Italia, quando:

a)    risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca;

b)    siano previste gravi perdite del patrimonio;

c)    lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall'assemblea straordinaria.

La Banca d’Italia, con proprio provvedimento, nomina uno o più commissari straordinari, per le funzioni di amministrazione, e un comitato di vigilanza per le funzioni di controllo.

Per effetto del provvedimento, vengono sospese le ordinarie funzioni delle assemblee e degli altri organi. La procedura dura un anno, salvo alcune ipotesi che possono prevedere periodo di ulteriori sei mesi, ovvero ulteriori proroghe disposte dalla Banca d’Italia per un periodo non superiore ad altri due mesi.

La gestione provvisoria è disciplinata dall’articolo 76 ai sensi del quale, nei casi di assoluta urgenza, la Banca d'Italia può nominare uno o più commissari provvisori che assumono i poteri di amministrazione della banca. La gestione provvisoria non può, in ogni caso, avere una durata superiore a due mesi.

 

Il comma 30, volto a incentivare e a semplificare le modalità di prestazione di finanziamenti da parte della Banca d’Italia a banche per esigenze di liquidità, estende la deroga alla normativa civilistica in materia di garanzie in relazione ai finanziamenti della Banca d‘Italia, contenuta all’articolo 3 del citato decreto-legge n. 155 del 2008 - applicabile ai contratti di garanzia stipulati fino al 31 dicembre 2011 – ai contratti stipulati entro il 31 dicembre 2012.

In particolare, nell’ipotesi in cui la Banca d’Italia eroghi finanziamenti garantiti da pegno o cessione di credito, la norma deroga ai requisiti di opponibilità della garanzia nei confronti del debitore e dei terzi – stabiliti dal codice civile (artt. 1264, 1265, 2800) e dalla disciplina relativa ai contratti di garanzia finanziaria (artt. 1, lett. q), e 2, lett. b), D.Lgs. n. 170/2004) – e considera a tal fine sufficiente la sottoscrizione del contratto di garanzia. La garanzia prestata è sottratta a revocatoria fallimentare, in applicazione dell’art. 67, comma 4, R.D. n. 267/1942, che già esclude la revocatoria stessa nei confronti dell’istituto di emissione.

 

Con riguardo alla disciplina normativa sui finanziamenti erogati dalla Banca d’Italia, si ricorda che l’articolo 6 del D.Lgs. 10 marzo 1998, n. 43 (Adeguamento dell'ordinamento nazionale alle disposizioni del trattato istitutivo della Comunità europea in materia di politica monetaria e di Sistema europeo delle banche centrali), in materia di strumenti di politica monetaria e operazioni della Banca, ha previsto che per il perseguimento degli obiettivi e per lo svolgimento dei compiti propri del SEBC la Banca d'Italia può compiere tutti gli atti e le operazioni consentiti dallo statuto del SEBC, nel rispetto delle condizioni stabilite in attuazione dello stesso.

L’articolo 18 dello Statuto del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e della BCE prevede che al fine di perseguire gli obiettivi del SEBC e di assolvere i propri compiti, la BCE e le banche centrali nazionali hanno la facoltà di effettuare operazioni di credito con istituti creditizi ed altri operatori di mercato, erogando i prestiti sulla base di adeguate garanzie.

 

Gli articoli 1264 e 1265 del codice civile disciplinano gli effetti della cessione del credito nei confronti, rispettivamente, del debitore ceduto e dei terzi.

Come è noto, la cessione del credito (artt. 1260 e seguenti c.c.) è il contratto in base al quale il creditore (cedente) trasferisce ad altri il suo diritto di credito, realizzando così una modifica del rapporto obbligatorio, che resta inalterato in tutti i restanti elementi (la persona del debitore ceduto e la prestazione). Il credito è quindi trasferito con le garanzie personali e reali, i privilegi e gli altri eventuali accessori.

Non è richiesto il consenso del debitore ceduto ai fini del perfezionamento del negozio (art. 1260 c.c.), salvo che il credito abbia carattere strettamente personale o il trasferimento sia vietato per legge. Tuttavia, ai sensi dell’art. 1264 c.c., la cessione è efficace nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata. Prima della notifica (o dell'accettazione) della cessione, il debitore può ritenere, in buona fede, che il suo debito permanga nei confronti del cedente e dunque pagare nelle mani di quest'ultimo; dopo la notifica, invece, il pagamento all'originario creditore (cedente) non libera il debitore, che potrà essere costretto dal cessionario a un nuovo pagamento. Se non vi è stata notifica, ma il debitore è comunque al corrente dell'avvenuta cessione, il pagamento deve essere effettuato a favore del cessionario. Ove il debitore, pur essendo a conoscenza della cessione, paghi all'originario creditore, egli può essere costretto a ripetere il pagamento al cessionario, se quest'ultimo prova che il debitore era comunque al corrente della cessione.

La notifica della cessione consente comunque di risolvere il conflitto tra più cessionari del medesimo credito. In base all’art. 1265 c.c., se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che ancorché posteriore è stata prima accettata dal debitore con atto di data certa. La stessa norma si applica allorché il credito ha formato oggetto di costituzione di usufrutto o di pegno.

L’articolo 2800 del codice civile disciplina gli effetti del pegno di un credito. Il pegno (artt. 2784 e seguenti c.c.) è un diritto reale concesso al creditore dal debitore o da un terzo su un bene mobile a garanzia del credito. Il bene viene così destinato al soddisfacimento del credito qualora il debitore non adempia i propri obblighi. Possono essere oggetto di pegno, oltre ai beni mobili, anche le universalità di mobili, i crediti e altri diritti aventi a oggetto beni mobili. Per costituire il pegno occorre la consegna del bene; quest'ultima deve inoltre risultare da una scrittura con data certa indicante sia il credito che la cosa data in pegno, se il creditore intende farsi pagare con prelazione. Ai sensi dell’art. 2800 c.c., quando il pegno riguarda un credito, la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da atto scritto e la costituzione di esso sia notificata al debitore del credito dato in pegno ovvero è stata da questo accettata con scrittura avente data certa.

L’articolo 1, comma 1, lettera q) del D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 170, recante attuazione della direttiva 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria, fa riferimento alla prestazione della garanzia, definendola come l'avvenuto compimento degli atti, quali la consegna, il trasferimento, la registrazione delle attività finanziarie, in esito ai quali le attività finanziarie stesse risultino nel possesso o sotto il controllo del beneficiario della garanzia o di persona che agisce per conto di quest'ultimo o, nel caso di pegno o di cessione del credito, la notificazione al debitore della costituzione del pegno stesso o della cessione, o la loro accettazione da parte del debitore.

L’articolo 2, comma 1, lettera b) dello stesso decreto n. 170 del 2004 fa riferimento al fatto che la garanzia finanziaria sia stata prestata e tale prestazione sia provata per iscritto. La prova deve consentire l'individuazione della data di costituzione e delle attività finanziarie costituite in garanzia. A tale fine è sufficiente la registrazione degli strumenti finanziari sui conti degli intermediari ai sensi degli articoli 30 e seguenti del d.lgs. 24 giugno 1998, n. 213, e l'annotazione del contante sul conto di pertinenza.

 

L’articolo 67 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) disciplina l’azione revocatoria fallimentare, che può essere proposta dal curatore fallimentare con riferimento agli atti posti in essere dal debitore quando già si trovava in stato di insolvenza. L’articolo 67 indica quali atti sono soggetti ad azione revocatoria (commi 1 e 2) e quali ne sono esclusi (comma 3). Il comma 4 stabilisce che tali disposizioni non sono applicabili alla Banca d’Italia, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario, facendo altresì salva la peculiare disciplina dettata dalle leggi speciali.

 

Qualora il totale delle passività garantite ecceda sia il 5 per cento delle passività totali della banca sia l’ammontare di 500 milioni di euro, il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base degli elementi forniti dalla Banca d’Italia, presenta alla Commissione europea una relazione (viability review) per ciascuna banca beneficiaria avente ad oggetto la solidità e la capacità di raccolta della banca interessata, in conformità dei criteri stabiliti dalla Commissione nella Comunicazione del 19 agosto 2009 (comma 31).

 

Con decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, possono essere stabiliti eventuali ulteriori criteri, condizioni e modalità di attuazione (comma 33).

 

Il comma 34 riconosce al Ministero dell'economia e delle finanze, fino al 30 giugno 2012, la facoltà di rilasciare la garanzia statale su finanziamenti erogati dalla Banca d'Italia alle banche italiane e alle succursali di banche estere in Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità, richiamando in particolare i cosiddetti casi di emergency liquidity assistance (i.e., offerta di liquidità di ultima istanza).

 

Secondo l’illustrazione della Banca d’Italia[35], l’emergency liquidity assistance (cosiddetta ELA) è uno strumento per l’erogazione di credito di ultima istanza al quale può farsi ricorso solo in casi eccezionali, venute meno possibili soluzioni di mercato. L’ELA viene attivato dalle autorità nazionali sulla base dell’articolo 105 del Trattato sull’Unione europea che, nell’attribuire la gestione della politica monetaria al SEBC, assegna la tutela della stabilità finanziaria agli Stati membri, con il contributo delle istituzioni sopranazionali. La distinzione tra l’ELA e le altre operazioni di credito della banca centrale sta principalmente nella diversità delle finalità perseguite. Ad esempio, la marginal lending facility dell’Eurosistema è un’operazione con cui si soddisfano ordinarie esigenze di liquidità delle singole banche; le operazioni di ELA sono invece operazioni straordinarie effettuate in situazioni di emergenza.

 

Si ricorda che tale facoltà era già prevista, fino al 31 dicembre 2009, da una norma di contenuto sostanzialmente identico contenuta nel citato decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, (articolo 3, comma 2).


 

Articolo 9
(
Imposte Differite Attive)

 

 

L’articolo 9 modifica e integra la disciplina che ha riconosciuto come crediti d’imposta le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio (Deferred Tax Asset), relativa al sistema bancario, introdotta dall’articolo 2, commi 55-61, del decreto legge n. 225 del 2010, estendendola anche alle perdite riportate. In particolare, si prevede che la quota delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio relative alle perdite di un periodo d'imposta (art. 84 del TUIR[36]) e derivante dalla deduzione dei componenti negativi di reddito si trasforma per intero in crediti d’imposta. Inoltre, la norma sembra diretta a precisare che i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta non sono deducibili, con decorrenza dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio.

 

La disciplina in commento si applica anche ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia. Qualora il bilancio finale per cessazione di attività, dovuta a liquidazione volontaria, fallimento o liquidazione coatta amministrativa, evidenzi un patrimonio netto positivo, è trasformato in crediti d’imposta l’intero ammontare di attività per imposte anticipate.

Le disposizioni citate sono introdotte, rispettivamente, mediante l’integrazione del comma 56 dell’articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010, e mediante l’aggiunta di due nuovi commi 56-bis e 56-ter.

 

La relazione illustrativa afferma che la modifica ha l’obiettivo di eliminare qualsiasi circostanza in cui il recupero delle DTA possa dipendere dalla redditività futura delle imprese, in modo da assicurare in ogni situazione la “certezza” del recupero delle DTA stesse.

Dal punto di vista della normativa in materia di patrimonio di vigilanza degli intermediari finanziari – come disciplinata da Basilea III – ciò assicura la completa capacità di assorbimento delle perdite, in tutte le fasi della vita degli intermediari stessi, da parte della corrispondente riserva patrimoniale, ed evita di dedurre dal patrimonio di vigilanza le DTA in esame.

La relazione tecnica in proposito ricorda che la ratio della norma originaria muoveva dalla necessità di ridurre il divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani rispetto a quelli europei dipendente da regimi fiscali meno favorevoli, quali ad esempio l’impossibilità di dedurre integralmente le rettifiche su crediti nell’anno di formazione. Al fine di perseguire tale obiettivo, la norma vigente consente la trasformazione delle imposte differite iscritte in crediti d’imposta.

La modifica proposta riguarda le fasi successive a quella in cui si è verificata la ripresa a tassazione dei componenti negativi non dedotti e l’iscrizione delle imposte differite attive (DTA). Sembrano quindi interessati i periodi d’imposta in cui si determinano maggiori perdite fiscali (e non di esercizio) per effetto delle variazioni in diminuzione correlate alle quote non dedotte nel primo esercizio di iscrizione dei componenti negativi. In tal modo si amplia l’ambito di applicazione della norma originaria.

L’ambito di applicazione della disciplina è esteso anche alle società in liquidazione o sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi. La RT, in ordine all’utilizzo del credito d’imposta derivante dalla trasformazione delle DTA, osserva che la proposta amplia le possibilità di utilizzo dello stesso, compreso il rimborso, al fine di migliorarne la liquidità.

 

Al fine di favorire la patrimonializzazione delle banche italiane nel contesto della prossima applicazione dell’Accordo di Basilea III sul capitale bancario, il comma 55 dell’articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010 ha previsto la trasformazione in crediti d’imposta, qualora nel bilancio individuale delle società che esercitano attività bancaria e finanziaria venga rilevata una perdita d’esercizio, delle attività per imposte anticipate (Deferred Tax Asset) iscritte in bilancio, relative a svalutazioni di crediti non ancora dedotte dal reddito imponibile ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi – TUIR (di cui al D.P.R. n. 917 del 1986), nonché di quelle relative al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali, i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi.

La ratio della norma è da trovarsi nel divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani (in particolare gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87) rispetto a quelli europei, divario che dipende significativamente da regimi fiscali mano favorevoli quali, ad esempio, l’impossibilità di dedurre integralmente le rettifiche su crediti nell’anno di formazione, che determina la generazione di attività fiscali differite (DTA). L’impossibilità di liquidare le poste dell’attivo relative alle DTA ha indotto il Comitato di Basilea a introdurre stringenti filtri patrimoniali. Questi generano, superata una certa soglia, un impatto diretto di riduzione del capitale di migliore qualità (common equity) di un ammontare pari alle DTA che eccedono tale soglia, aumentando il fabbisogno di capitale. In sostanza, dunque, l’entrata in vigore del nuovo accordo di Basilea (c.d. Basilea 3) implica che il trattamento fiscale poco favorevole delle rettifiche su crediti si traduca anche in una penalizzazione sul piano della dotazione patrimoniale regolamentare delle banche italiane. Per evitare il sorgere di questo ulteriore svantaggio competitivo, la norma proposta prevede un meccanismo di conversione automatica in crediti di imposta, da utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997, delle poste rappresentative delle DTA connesse con le svalutazioni dei crediti, al verificarsi di perdite di esercizio accertate nel bilancio di esercizio approvato dall’assemblea; in tal modo, le DTA sarebbero smobilizzabili e, pertanto, concorrerebbero all’assorbimento delle perdite al pari del capitale e delle altre riserve, divenendo per tale via pienamente riconoscibili ai fini di vigilanza. Il medesimo meccanismo è altresì previsto anche per le DTA che derivino da disallineamenti temporali nella rilevazione di bilancio e fiscale e che siano destinati a riassorbirsi nel tempo, come nel caso dell’affrancamento del valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali effettuato ai sensi dell’art. 15 del D.L. n. 185/2008, convertito con modificazione nella legge n. 2/2009.”.

 

Nel dettaglio, il citato articolo 106 del TUIR reca norme in materia di svalutazione dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti. Il comma 3 dell’articolo 106 del TUIR stabilisce che per gli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela, compresi i crediti finanziari concessi a Stati, banche centrali o enti di Stato esteri destinati al finanziamento delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,30 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio, aumentato dell'ammontare delle svalutazioni dell'esercizio. L'ammontare complessivo delle svalutazioni che supera lo 0,30 per cento è deducibile in quote costanti nei diciotto esercizi successivi. Le svalutazioni si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio. Se in un esercizio l'ammontare complessivo delle svalutazioni è inferiore al limite dello 0,30 per cento, sono ammessi in deduzione, fino al predetto limite, accantonamenti per rischi su crediti. Gli accantonamenti non sono più deducibili quando il loro ammontare complessivo ha raggiunto il 5 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio.

 

Il comma 3-bis dell’articolo 106 del TUIR prevede inoltre che per i nuovi crediti di cui al comma 3 erogati a decorrere dall'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2009, limitatamente all'ammontare che eccede la media dei crediti erogati nei due periodi d'imposta precedenti, diversi da quelli assistiti da garanzia o da misure agevolative in qualsiasi forma concesse dallo Stato, da enti pubblici e da altri enti controllati direttamente o indirettamente dallo Stato, le percentuali di cui allo stesso comma sono elevate allo 0,50 per cento. L'ammontare delle svalutazioni eccedenti il detto limite è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi.

 

Il comma 56 dell’articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010 ha fissato la decorrenza della predetta trasformazione dalla data di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci, operando per un importo pari al prodotto - da effettuarsi sulla base dei dati del medesimo bilancio approvato – tra:

a)    la perdita d’esercizio e

b)    il rapporto fra le attività per imposte anticipate indicate al comma 1 e la somma del capitale sociale e delle riserve.

Il comma 57 chiarisce che il credito d’imposta non è rimborsabile né produttivo di interessi, potendo essere ceduto ovvero utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997, senza limiti di importo. Tale credito, da indicare nella dichiarazione dei redditi, non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile dell'IRAP.

Dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio non saranno deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta.

Il comma 58 demanda ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, il compito di stabilire eventuali modalità di attuazione delle norme in esame.

 

La lettera a), comma 1, dell’articolo 9 in commento integra il comma 56 dell’articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010, facendo riferimento all’approvazione del bilancio da parte dei soci ovvero dei diversi organi competenti per legge.

La relazione illustrativa afferma che tali modifiche sono coerenti con l’introduzione del successivo comma 56-ter, che estende la disciplina in argomento anche ai casi di provvedimenti di rigore adottati nei confronti di intermediari vigilati dalla Banca d’Italia, nei quali i bilanci di fine procedura sono approvati dalla Banca d’Italia stessa. A tal fine, viene previsto che i bilanci in cui si registra una perdita sono approvati dall’assemblea dei soci oppure dai diversi organi competenti per legge. L’individuazione del periodo d’imposta a partire dal quale non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle DTA trasformate in credito d’imposta – che nella norma vigente è disposta dal comma 57 – è ora stabilita dall’ultimo periodo del comma in esame, per renderne coerente la struttura con quella del nuovo comma 56-bis, il quale prevede altri casi di trasformazione del credito ai quali non si applica la norma di decorrenza prevista per il comma in esame.

 

La lettera b), comma 1, introduce nel citato articolo 2 i commi 56-bis e 56-ter. Il primo, come detto, prevede che la quota delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio relative alle perdite di un periodo d'imposta (art. 84 del TUIR[37]) e derivante dalla deduzione dei componenti negativi di reddito si trasformi per intero in crediti d’imposta.

Come chiarito dalla relazione illustrativa, il nuovo comma 56-bis prevede la trasformazione in crediti d’imposta delle DTA da perdite fiscali per la quota di queste dovuta alla deduzione dei componenti negativi di reddito di cui al comma 55. La trasformazione riguarda le DTA da perdite fiscali “generate” dai componenti negativi di reddito di cui al comma 55 per l’intero ammontare delle stesse che trova capienza nella perdita fiscale dell’esercizio. La trasformazione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui viene rilevata la perdita fiscale di cui al comma in esame.

La trasformazione di una parte delle DTA in credito d’imposta comporta che l’ammontare della perdita fiscale dell’esercizio computabile in diminuzione del reddito imponibile nei periodi d’imposta successivi va depurato della quota di perdita fiscale che ha dato luogo alle DTA trasformate in crediti d’imposta ai sensi del presente comma.

Il comma 56-terdispone che la disciplina di cui ai commi 55, 56 e 56-bis si applichi anche ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia. Qualora il bilancio finale per cessazione di attività, dovuta a liquidazione volontaria, fallimento o liquidazione coatta amministrativa, evidenzi un patrimonio netto positivo, è trasformato in crediti d’imposta l’intero ammontare di attività per imposte anticipate. Alle operazioni di liquidazione volontaria si applicano le disposizioni antielusive previste dall’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).

In particolare tale norma prevede che sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.

 

La lettera c), comma 1, introduce delle modifiche al comma 57 dell’articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010. In particolare, si prevede che il credito d’imposta di cui al comma 55 può essere ceduto al valore nominale nell’ambito dello stesso gruppo, secondo le modalità previste dall’articolo 43-ter del D.P.R. n. 602/1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito). L’eventuale credito che residua dopo aver effettuato le compensazioni è rimborsabile.


 

Articolo 10, commi 1-13
(Regime premiale per favorire la trasparenza)

 

 

L’articolo 10, modificato nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, reca disposizioni volte, complessivamente, a promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile.

Con un primo gruppo di norme (commi da 1 a 8) sono riconosciuti benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza.

Il secondo gruppo di norme (commi da 9 a 13) novella la disciplina relativa ai limiti dell’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei soggetti “congrui” agli studi di settore.

Trasparenza delle persone fisiche e delle società di persone

Il comma 1 dell’articolo 10 introduce, a decorrere dal 1 gennaio 2013, benefici fiscali e amministrativi nei confronti dei seguenti soggetti, a condizione che adempiano a determinati obblighi di trasparenza:

§      soggetti che svolgono attività artistica o professionale;

§      soggetti che svolgono attività di impresa individuale;

§      soggetti che svolgono attività di impresa nella forma delle società di persone (società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello stato,di cui all’articolo 5 del Testo Unico delle imposte sui redditi – TUIR, D.P.R. 917/1986).

 

I benefici riconosciuti consistono:

a)   nellasemplificazione degli adempimenti amministrativi;

b)   nell’assistenza, nei predetti adempimenti, da parte dell'Amministrazione finanziaria;

c)   nell’accelerazione del rimborso o della compensazione dei crediti IVA;

d)   per i contribuenti non soggetti all’accertamento basato sugli studi di settore (ai sensi dell’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146[38]), nell’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici (di cui all'articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in materia di imposte dirette e all'articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in materia di IVA).

Il citato articolo 10 esclude l’accertamento basato su studi di settore nei confronti di:

a.    contribuenti che hanno dichiarato ricavi o compensi di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore (tale limite non può comunque essere superiore a 7,5 milioni di euro);

b.    contribuenti che hanno iniziato o cessato l'attività nel periodo d'imposta;

c.    che si trovano in un periodo di non normale svolgimento dell'attività.

L’articolo 39 del citato D.P.R. 600/1983 disciplina i casi in cui l’Amministrazione procede alla rettifica delle dichiarazioni in relazione al reddito d’impresa. In particolare, l’utilizzo di presunzioni semplici per desumere l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate avviene a condizione che le medesime presunzioni siano gravi, precise e concordanti. Analoghe prescrizioni sono recate in materia di IVA dall’articolo 54, in rapporto alle omissioni e alle false o inesatte indicazioni nella dichiarazione annuale IVA.

e)   nella riduzione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento delle imposte dirette (ai sensi dell’articolo 43, primo comma, del citato D.P.R. n. 600/1973) e dell’IVA (articolo 57, primo comma, del citato D.P.R. n. 633/1972).

Ai fini delle imposte dirette, si ricorda che gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nelle ipotesi previste dalla norma in esame, il termine di decadenza sembra dunque anticipato al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello della dichiarazione.

Un analogo termine – e dunque un analogo anticipo – è previsto per gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti effettuati in materia di IVA.

La disposizione premiale non si applica, tuttavia, se la violazione contestata ai contribuenti comporta obbligo di denuncia penale (ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale) per uno dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto contemplati dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame riconosce i predetti benefici alle seguenti condizioni:

a)   il contribuente deve provvedere all’invio telematico all’amministrazione finanziaria dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute e delle risultanze degli acquisti e delle cessioni non soggetti a fattura;

b)   egli deve altresì istituire un conto corrente dedicato ai movimenti finanziari relativi all’attività artistica, professionale o di impresa esercitata.

 

Si ricorda che l’articolo 2, comma 36-vicies ter del D.L. 138/2011, nell’ottica di incentivare i comportamenti trasparenti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ha disposto la riduzione alla metà delle sanzioni previste per la violazione di alcuni obblighi di dichiarazione e documentazione (in materia di imposte dirette e di IVA) in favore di imprese di medio-piccole dimensioni, e cioè per gli esercenti imprese, arti e professioni con ricavi e compensi dichiarati non superiori a 5 milioni di euro, alla duplice condizione dell’utilizzo esclusivo di strumenti di pagamento diversi dal contante nell’esercizio dell’attività, nonché dell’indicazione - nelle dichiarazioni delle imposte sui redditi e dell’IVA - dei rapporti intercorsi con operatori finanziari nel periodo d’imposta.

 

Il comma 3 affida a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate l’individuazione dei benefici relativi alla semplificazione degli adempimenti amministrativi, all’assistenza da parte dell'Amministrazione finanziaria e all’accelerazione di rimborso e compensazione dei crediti IVA, con particolare riferimento agli obblighi concernenti l’imposta sul valore aggiunto e gli adempimenti dei sostituti d’imposta.

Per effetto delle modifiche apportate in sede referente, la norma stabilisce il contenuto obbligatorio del suddetto provvedimento direttoriale, indicando dunque in modo specifico quali interventi di semplificazione e incentivo dovranno essere adottati dall’Amministrazione finanziaria, in luogo della loro precedente qualificazione come possibili misure da adottare.

Inoltre, le modifiche al comma in esame affidano al citato provvedimento direttoriale anche la determinazione della decorrenza delle misure di semplificazione ivi contenute.

In particolare, dunque, dovranno essere previsti i seguenti interventi:

§      predisposizione automatica da parte dell’Agenzia delle entrate delle liquidazioni periodiche IVA, dei modelli di versamento e della dichiarazione IVA, eventualmente previo invio telematico da parte del contribuente di ulteriori informazioni necessarie;

§      predisposizione automatica da parte dell’Agenzia delle entrate del modello 770 semplificato, del modello CUD e dei modelli di versamento periodico delle ritenute, nonché gestione degli esiti dell’assistenza fiscale, eventualmente previo invio telematico da parte del sostituto o del contribuente delle ulteriori informazioni necessarie;

§      soppressione, nei confronti dei beneficiari, dell’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante scontrino o ricevuta fiscale;

§      anticipazione del termine di compensazione del credito IVA, abolizione del visto di conformità per compensazioni superiori a 15.000 euro ed esonero dalla prestazione della garanzia per i rimborsi IVA.

 

Ove i soggetti beneficiari delle suddette misure non siano in regime di contabilità ordinaria e rispettino le condizioni di cui al già commentato comma 2, sono riconosciuti ulteriori benefici (comma 4):

a)   determinazione del reddito IRPEF secondo il criterio di cassa (ovvero determinazione in base alla differenza tra elementi attivi e passivi effettivamente percepiti / sostenuti nel periodo di riferimento) e predisposizione in forma automatica da parte dell’Agenzia delle entrate delle dichiarazioni IRPEF ed IRAP;

b)   esonero dalla tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP e dalla tenuta del registro dei beni ammortizzabili;

c)   esonero dalle liquidazioni, dai versamenti periodici e dal versamento dell’acconto ai fini IVA.

 

Le norme di attuazione sono demandate (comma 5) a uno o più provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame.

 

Le disposizioni premiali operano (comma 6) previa esplicita opzione dei contribuenti, da esercitare nella dichiarazione dei redditi presentata nel periodo d’imposta precedente a quello di applicazione delle medesime.

 

Inoltre (comma 7)il contribuente può adempiere agli obblighi di trasparenza direttamente o per il tramite di un intermediario abilitato (ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica. 22 luglio 1998, n. 322).

 

Ove i soggetti beneficiari non adempiano ai predetti obblighi di trasparenza (di cui al comma 2), ovvero quelli fissati dalla disciplina antiriciclaggio (decreto legislativo n.231 del 2007), essi (comma 8):

§      perdono i suddetti benefici;

§      sono soggetti all’applicazione di una sanzione amministrativa compresa tra 1.500 a 4.000 euro.

 

Nel caso di adempimento degli obblighi di invio di informazioni (di cui al comma 2, lettera a))con ritardo non superiore a 90 giorni, non vi è decadenza dai benefici medesimi, ma solo applicazione della sanzione amministrativa. E’ possibile avvalersi dell’istituto del “ravvedimento operoso”, di cui all’articolo 13 del decreto legislativo. 18 dicembre 1997, n. 472.

 

Si osserva che le disposizioni in esame non recano esplicitamente i termini per l’adempimento degli obblighi di invio delle informazioni su fatture, corrispettivi e risultanze. Esse si limitano a specificare che l’opzione per il regime agevolato deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi e demandando le disposizioni attuative a provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate.

 

Il “ravvedimento operoso” di cui al citato articolo 13 consente al contribuente di pagare una sanzione tributaria ridotta nel caso di regolarizzazione tardiva degli adempimenti fiscali prescritti dalla legge. L’istituto opera a condizione che la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziate attività di accertamento delle quali l'autore o i soggetti obbligati al pagamento, abbiano avuto formale conoscenza:

In particolare, il comma 1 dell’articolo 13 dispone che la sanzione è ridotta nelle seguenti misure, per i relativi casi:

1)    ad un decimo del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione;

2)    ad un ottavo del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioniavviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;

3)    ad un decimo del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni, ovvero a un decimo del minimo di quella prevista per l'omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.

Sebbene la norma in esame si riferisca genericamente all’articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997, l’ipotesi applicabile al tardivo adempimento degli obblighi di trasparenza (di cui al comma 2: invio di informazioni e conto corrente dedicato) sembra quella descritta al predetto n. 2, che consente di pagare un ottavo del minimo della sanzione nel caso di regolarizzazione dell’omissione entro i termini per la presentazione delle dichiarazioni, ovvero entro un anno dall’omissione.

In concreto, dunque, se il potenziale beneficiario delle agevolazioni invia le informazioni / istituisce il conto corrente dedicato / adempie agli obblighi antiriciclaggio con ritardo superiore a novanta giorni, ma entro i termini per la dichiarazione (ovvero un anno dal momento in cui si è perfezionata l’omissione), pagherà una somma pari a 187,5 euro.

Nuovo regime di applicazione degli studi di settore

Come già anticipato, il secondo gruppo di norme (commi da 9 a 13) novella la disciplina relativa ai limiti dell’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei soggetti “congrui” agli studi di settore, purché questi abbiano adempiuto agli obblighi di comunicazione e trasparenza nei confronti dell’amministrazione medesima.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 10 della L. n. 146/1998, gli accertamenti basati sugli studi di settore operano nei confronti dei contribuenti che abbiano dichiarato un ammontare di ricavi o di compensi inferiore all'ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi; in caso di mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, la legge consente che siano attestate le cause che giustificano la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti dall'applicazione degli studi medesimi, ovvero le cause che giustificano un'incoerenza rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi. Come già visto supra, sono previste ex lege alcune ipotesi di uso degli studi di settore ai fini dell’accertamento.

Il comma 4-bis dell’articolo 10 dispone alcune limitazioni al potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti cd. “congrui” agli studi di settore. In particolare, in sede di rettifica del reddito d’impresa o dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione, è precluso l’utilizzo di presunzioni semplici - anche se gravi, precise e concordanti - qualora il contribuente destinatario dell’accertamento abbia dichiarato, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello di congruità rilevante ai fini dell’applicazione degli studi di settore. La preclusione opera a condizione che l’ammontare delle attività non dichiarate non sia superiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati. In ogni caso, la preclusione non si applica se l’ammontare delle attività non dichiarate supera la soglia dei 50 mila euro. In altri termini, se il contribuente risulta congruo rispetto agli studi di settore, l’amministrazione finanziaria non potrà esperire nei suoi confronti rettifiche di tipo analitico-induttivo, basate su presunzioni semplici, fino al 40 per cento dei ricavi o dei compensi dichiarati dal contribuente medesimo ed entro il limite massimo di 50 mila euro.

La norma non preclude all’amministrazione di effettuare, per i soggetti “congrui”, altre tipologie di rettifiche, quali gli accertamenti di tipo analitico ovvero di natura presuntiva basati su presunzioni legali. A seguito delle modifiche apportate con l’articolo 2, comma 35 del già citato D.L. 138/2011, la limitazione ai poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria operi ove il soggetto passivo sia congruo, anche a seguito di adeguamento, alle risultanze degli studi di settore anche in relazione al periodo di imposta precedente. In tale ipotesi, infatti, il Fisco non potrà procedere a rettifiche sulla base di presunzioni semplici. In sostanza, per limitare l’accertamento, occorrerà che il contribuente sia stato congruo anche l’anno precedente a quello accertato.

 

In particolare, la nuova disciplina prevede limitazioni ai poteri di accertamento del fisco (comma 9) nei confronti dei soggetti che dichiarano, anche per effetto dell'adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell'applicazione degli studi di settore, purché adempiano ai seguenti, specifici doveri di comunicazionee di trasparenza (comma 10):

§      abbiano regolarmente assolto gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore, indicando fedelmente tutti i dati previsti;

§      sulla base di tali dati, la posizione del contribuente risulti coerente con gli specifici indicatori previsti dai decreti di approvazione dello studio di settore o degli studi di settore applicabili.

 

Nei confronti dei predetti soggetti:

a)   sono preclusi gli accertamenti basati sulle presunzioni semplici (di cui al citato articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del DPR n. 600/1973 e all'articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del DPR n. 633/1972), per cui cfr. il commento ai commi 1-8 dell’articolo 10 in esame;

b)   è ridotto di un anno il termine di decadenza per l’attività di accertamento delle imposte dirette (ai sensi dell’articolo 43, primo comma, del citato DPR n. 600/1973) e dell’IVA (articolo 57, primo comma, del citato DPR n. 633/1972), per cui cfr. il commento ai commi 1-8 dell’articolo 10 in esame.

c)   la determinazione sintetica del reddito complessivo (di cui all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600), è ammessa solo a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un terzo quello dichiarato (in luogo di almeno un quinto, come previsto dal sesto comma del citato articolo 38).

Mediante il cd. “accertamento sintetico” (disciplinato dal citato articolo 38 del DPR 600/1973) l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito dell’attività di controllo nei confronti delle persone fisiche, determina il reddito complessivo del contribuente ai fini Irpef, prescindendo dalla individuazione della categoria reddituale che ne è fonte. Nell’ambito di tale metodologia di controllo, gli uffici finanziari, in presenza di determinate condizioni di legge, si avvalgono di una presunzione legale relativa per risalire da un fatto noto, individuabile in una manifestazione di capacità contributiva del soggetto controllato, a un fatto ignoto, cioè all’esistenza di un reddito non dichiarato o di un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato. L’accertamento sintetico trova il suo fondamento giuridico nell’articolo 38 del DPR 600/1973. Da ultimo, importanti modifiche alla disciplina dell’accertamento sintetico sono state apportate dall’articolo 22 del D.L. n. 78 del 2010 al fine di aggiornare l’accertamento sintetico per tener conto dei cambiamenti, connessi ai mutamenti sociali, verificatisi nel tempo in ordine alle tipologie di spesa sostenute dai contribuenti ed alle preferenze nella propensione ai consumi, rendendolo più efficiente e dotandolo di maggiori garanzie per il contribuente.

 

Per quanto concerne i termini di applicazione della nuova disciplina, il comma 13 prevede che i citati commi 9 e 10 si applichino con riferimento alle dichiarazioni relative all’annualità 2011 ed a quelle successive, ferma restando l’applicazione - per le attività di accertamento effettuate in relazione alle annualità antecedenti il 2011 – del previgente comma 4-bis dell’articolo 10 e dall’articolo 10-ter della legge 8 maggio 1998, n. 146.

 

Ai sensi del comma 11 dell’articolo in esame, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza destinano parte della capacità operativa alla effettuazione di specifici piani di controllo sui contribuenti soggetti agli studi di settore per i quali non sono applicabili le predette norme che limitano la potestà accertativa.

Tali controlli sono articolati su tutto il territorio in modo proporzionato alla numerosità dei contribuenti interessati e sono basati su specifiche analisi del rischio di evasione, che tengano anche conto delle informazioni presenti nella apposita sezione dell’anagrafe tributaria di cui all’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605.

In particolare, nei confronti dei contribuenti che dichiarano ricavi o compensi inferiori a quelli risultanti dall'applicazione degli studi di settore e che non abbiano una posizione coerente con gli specifici indicatori previsti dai decreti di approvazione degli studi di settore applicabili, lo svolgimento dei controlli avviene prioritariamente con l’utilizzo dei poteri di indagine finanziaria attribuiti all’Amministrazione in materia di imposte dirette e di IVA (in particolare, rispettivamente, coi poteri di cui ai numeri 6-bis e 7 del primo comma dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973 e ai numeri 6-bis e 7 del secondo comma dell’articolo 51 del D.P.R. n. 633/1972).

Si ricorda che l’attività di “indagine finanziaria” svolta dall’Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza consiste nella richiesta di informazioni ad enti creditizi e finanziari volta ad acquisire elementi utili a ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale (o l’effettivo volume di operazioni imponibili a fini IVA e degli acquisti effettuati dal contribuente). Nell’esercizio del predetto potere, l’Amministrazione – previa autorizzazione dei competenti organi e uffici delle Entrate e della Guardia di Finanza - può raccogliere dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, tra enti creditizi e finanziari e i rispettivi clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi.

In particolare, le norme richiamate fanno riferimento: al potere di richiedere il rilascio di una dichiarazione contenente l'indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con banche, Poste italiane Spa, intermediari finanziari e soggetti operanti nel settore finanziaria, in corso ovvero estinti da non più di cinque anni dalla data della richiesta; al potere di richiedere ai medesimi soggetti dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari e le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano effettuato le suddette operazioni e servizi, o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria.

 

Si ricorda che il D.L. 98/2011 (all’articolo 23, commi da 24 a 27) ha ampliato i destinatari delle richieste di indagini finanziarie dell’Amministrazione fiscale, consentendo agli uffici dell’amministrazione finanziaria di acquisire informazioni anche da società ed enti di assicurazione per quanto riguarda le attività di natura finanziaria; sono state introdotte inoltre disposizioni volte a razionalizzare l’attività di indagine, mediante accesso, sull’industria finanziaria.

 

Il comma 12 abroga il già citato comma 4-bis dell’articolo 10 e l’articolo 10-ter della legge 8 maggio 1998, n. 146.

 

Si ricorda che l’articolo 10-ter pone limiti ad ulteriori attività di accertamento presuntivo nei confronti dei contribuenti che aderiscono agli inviti a comparire emessi in relazione degli studi di settore, per i periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2006 e successivi. L’invito a comparire innanzi agli uffici del fisco costituisce la prima fase del procedimento per la definizione degli accertamenti con adesione del contribuente (sia nelle imposte sui redditi che nell'imposta sul valore aggiunto). Esso è dunque antecedente all’instaurazione del vero e proprio contraddittorio tra le parti. Nel corso del tempo il legislatore ha progressivamente ampliato l’applicazione dell’istituto dell’accertamento con adesione, consentendo ai contribuenti di aderire anche agli inviti emessi in tale fase dall’Amministrazione finanziaria.

Nel dettaglio, il primo comma dell’articolo 10-ter dispone che l’adesione ai contenuti degli inviti a comparire relativi ai periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2006 e successivi preclude all’Amministrazione finanziaria (ai fini dell’accertamento dell’imposta sui redditi e dell’IVA) di effettuare ulteriori accertamenti basati su presunzioni semplici, anche se gravi, precise e concordanti (di cui ai citati all'articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del D.P.R. n. 633 del 1972). Tale limite opera qualora l'ammontare delle attività non dichiarate dal contribuente, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi definiti.

 

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, sentite le associazioni di categoria, possono essere differenziati i termini di accesso alla nuova disciplina, tenuto conto del tipo di attività svolta dal contribuente. Con lo stesso provvedimento sono dettate le relative disposizioni di attuazione.


 

Articolo 10, commi 13-bis–13-decies e 13-duodecies
(Regime premiale per favorire la trasparenza)

 

 

I commi da 13-bis a 13-decies e il comma 13-duodecies, introdotti per effetto delle modifiche al provvedimento apportate in sede referente, recano disposizioni eterogenee in materia di riscossione dei tributi volte, tra l’altro a:

a)   prorogare i termini per beneficiare della rateizzazione dei debiti tributari e a razionalizzarne complessivamente la disciplina;

b)   riorganizzare il sistema di remunerazione degli agenti della riscossione, sostituendo l’aggio previsto dalla legislazione vigente con un rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato;

c)   prorogare i termini di entrata in vigore del nuovo sistema della riscossione delle entrate comunali;

d)   consentire al contribuente sottoposto a esecuzione forzata di mettere direttamente in vendita i beni pignorati o ipotecati, versando all’erario il ricavato.

a) Rateizzazione dei debiti tributari

Nel dettaglio, i commi 13-bis e 13-ter mirano a prorogare i termini per beneficiare della rateazione dei pagamenti di somme iscritte a ruolo, disciplinata dall’articolo 19 del D.P.R. n. 602/1973[39] .

Si ricorda in merito che l'agente della riscossione, su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili (articolo 19, comma 1 del D.P.R. n. 602/1973).

Per effetto delle modifiche operate dal comma 13-bis - che inserisce il comma 1-bis al predetto articolo 19 – ove vi sia un comprovato peggioramento della situazione di obiettiva difficoltà del contribuente, tale dilazione può essere prorogata una voltasola, per un periodo ulteriore e fino a settantadue mesi, purché non sia intervenuta decadenza. In tal caso il debitore può chiedere, in luogo di un piano di rateazione per importi costanti, che siano previste rate di importo variabile e crescente per ciascun anno.

Si ricorda in merito che, ai sensi del comma 3 dell’articolo 19, il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione in caso di mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate. L'intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è dunque immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione, e il carico non può più essere rateizzato.

 

Il successivo comma 13-terprevede che le dilazioni concesse fino al 6 dicembre 2011 (data di entrata in vigore del decreto-legge in esame) rispetto alle quali si è verificato il mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate, e a tale data non prorogate ai sensi delle norme del D.L. 225/2010[40] (articolo 2, comma 20), possono essere prolungate fino a settantadue mesi, purché il debitore provi un temporaneo peggioramento della situazione di difficoltà posta a base della prima dilazione.

Il citato comma 20 dell’articolo 2 aveva infatti consentito di prorogare le dilazioni concesse fino al 29 dicembre 2010, interessate dal mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate, per un ulteriore periodo e fino a settantadue mesi, purché il debitore comprovasse un temporaneo peggioramento della situazione di difficoltà posta a base della concessione della prima dilazione.

In sostanza, le modifiche in esame riaprono i termini per il prolungamento della dilazione nei confronti dei contribuenti che, al 6 dicembre 2011, non avevano ottenuto proroghe in forza del D.L. 225/2010 (successivamente al 29 dicembre 2010), purché in presenza del temporaneo e comprovato peggioramento della situazione di difficoltà posta alla base della prima dilazione.

 

In materia di dilazione delle somme dovute al fisco intervengono anche i commi 13-novies e 13-decies.

In primo luogo, il comma 13-novies elimina l’obbligo di prestazione di garanzia per accedere al beneficio della dilazione delle somme dovute a seguito di controllo automatizzato e controllo formale della dichiarazione.

A tal fine è modificato l’articolo 3-bis, comma 1del D.Lgs. n. 462 del 1997[41], che prevede, al primo periodo del comma 1, che le predette somme possano essere versate in un numero massimo di sei rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo. Per effetto delle modifiche apportate dalle disposizioni in commento, che abrogano i periodi successivi al primo del comma 1, viene eliminata la previsione che subordinava l’accesso al beneficio alla prestazione di garanzia (fideiussoria o mediante costituzione di ipoteca) ove l’importo complessivo delle rate successive alla prima fosse superiore a cinquantamila euro.

E’ poi novellata la disciplina della decadenza dal beneficio della rateazione,in concreto sostituendo il comma 4 del predetto articolo 3-bis.

Per effetto delle norme in esame, in luogo del mancato pagamento anche di una sola rata, il contribuente decade dal beneficio ove la prima rata non sia pagata entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione relativa all’esito dei controlli, ovvero nel caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate successive alla prima entro il termine di pagamento della rata seguente. Ove operi la decadenza, l’importo dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena è iscritto a ruolo, dedotto quanto già versato.

Viene inserito il comma 4-bis al citato articolo 3-bis, ai sensi del quale il pagamento tardivo di una rata diversa dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo anche della stessa sanzione comminata per ritardati od omessi versamenti diretti (ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997[42]), pari al trenta per cento di ogni importo non versato, commisurata all’importo della rata versata in ritardo.

Ove il contribuente si avvalga del “ravvedimento operoso” entro il termine di pagamento della rata successiva (si veda il commento al comma 8 dell’articolo 10 in esame) non si procede all’iscrizione a ruolo.

Sono poi apportate modifiche di coordinamento formale all’articolo 3-bis, conseguenti alle prescrizioni sostanziali testé illustrate.

 

Il comma 13-decies specifica che le suddette disposizioni si applicano anche alle rateazioni in corso al 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del decreto in esame.

b) Remunerazione degli agenti della riscossione

I commi da 13-quater a 13-sexies.1comportano un complessivo riassetto del sistema della remunerazione degli agenti della riscossione.

 

Si rammenta in estrema sintesi che, a seguito della riforma del sistema della riscossione, (operata dall’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203) la riscossione dei tributi è passata dai soggetti privati (titolari di concessione) all’Agenzia delle entrate, che la effettua mediante la società Riscossione S.p.A., operante dal 1° ottobre 2006 ed oggi denominata Equitalia S.p.A., nonché attraverso le società da essa partecipate.

 

La vigente remunerazione del servizio della riscossione

Si ricorda che, a legislazione vigente, agli agenti della riscossione spetta:

§       una remunerazione per l’attività da essi svolta (articolo 17 del D.Lgs. 112/1999[43]) mediante un compenso – detto aggio - pari al nove per cento delle somme iscritte a ruoloriscosse e dei relativi interessi di mora, a carico del debitore in tutto o in parte, secondo la tempestività del pagamento;

§       il rimborso delle spese sostenute per le procedure esecutive poste in essere (cfr. infra).

In particolare, il contribuente che ha ricevuto la cartella di pagamento emessa in base al ruolo deve versare le somme ivi annotate entro 60 giorni dalla notifica (articolo 25, comma 2 del D.P.R. 602/1973), cui si aggiunge parte dell’aggio, ovvero il 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo(articolo 17, comma 1 del D.Lgs. 112 del 1999); la restante parte dell'aggio è a carico dell'ente creditore. Nel caso di pagamento successivo ai 60 giorni, l’aggio è integralmente a carico del debitore. L'agente della riscossione (articolo 17, comma 4) trattiene l'aggio all'atto del riversamento all'ente impositore delle somme riscosse.

La percentuale a carico del debitore nel caso di pagamento entro 60 giorni può essere rideterminata con decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite di due punti percentuali di differenza rispetto alle misure stabilite, tenuto conto del carico dei ruoli affidati, dell'andamento delle riscossioni e dei costi del sistema. Nel caso di iscrizione a ruolo non derivante da inadempimento (prevista, ad esempio, per i redditi sottoposti a tassazione separata) l'aggio è a carico dell'ente creditore, se il pagamento avviene entro il sessantesimo giorno dalla data di notifica della cartella. In caso contrario è a carico del debitore. Limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo, l'aggio spetta agli agenti della riscossione nella percentuale stabilita dal decreto del 4 agosto 2000 del Ministro delle finanze.

Inoltre (articolo 17, comma 6) all’agente della riscossione spetta il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, sulla base di una tabella approvata con decreto del Ministero delle finanze, con il quale sono altresì stabilite le modalità di erogazione del rimborso stesso. Tale rimborso è a carico dell'ente creditore, se il ruolo viene annullato per effetto di provvedimenti di sgravio o in caso di inesigibilità. Negli altri casi è a carico del debitore. Il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive maturate nel corso di ciascun anno solare e richiesto entro il 30 marzo dell'anno successivo, è erogato entro il 30 giugno dello stesso anno. In caso di mancata erogazione, l'agente della riscossione è autorizzato a compensare il relativo importo con le somme da riversare. Il diniego, a titolo definitivo, del discarico della quota per il cui recupero sono state svolte le procedure che determinano il rimborso, obbliga l'agente della riscossione a restituire all'ente, entro il decimo giorno successivo alla richiesta, l'importo anticipato, maggiorato degli interessi legali. L'importo dei rimborsi spese riscossi dopo l'erogazione o la compensazione, maggiorato degli interessi legali, è riversato entro il 30 novembre di ciascun anno.

In caso di emanazione (articolo 17, comma 7-bis) di un provvedimento dell'ente creditore che riconosce, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo, all'agente della riscossione spetta comunque un compenso per l'attività di esecuzione di tale provvedimento; la misura e le modalità di erogazione del compenso sono stabilite con il decreto ministeriale che fissa le misure del rimborso delle spese per le procedure esecutive; sulle somme riscosse e riconosciute indebite non spetta tuttavia l'aggio.

 

In primo luogo (comma 13-quater, lettera a)), novellando il comma 1 dell’articolo 17, il vigente sistema di remunerazione è sostituito con l’attribuzione agli agenti della riscossione di un rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato.

La previsione del rimborso è finalizzata ad assicurare il funzionamento del servizio nazionale della riscossione, a presidiare la funzione di deterrenza e contrasto all’evasione e il progressivo innalzamento del tasso di adesione spontanea agli obblighi tributari.

Tale rimborso è da calcolarsi annualmente in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con decreto non regolamentare del ministero dell’economia e delle finanze, tenuto conto dei seguenti, specifici parametri:

§      carichi annui affidati;

§      andamento delle riscossioni coattive;

§      processo di ottimizzazione, efficientamento e riduzione dei costi del gruppo Equitalia S.p.A.

Il predetto decreto dovrà in ogni caso garantire al contribuente oneri inferiori a quelli esistenti alla data del 6 dicembre 2011 (entrata in vigore del provvedimento in esame).

 

In sostanza, il sistema di remunerazione con aggio è sostituito dal predetto rimborso percentuale, alla cui determinazione si deve procedere in base ad elementi connessi ad elementi di fatto come l’andamento della riscossione, ma anche in rapporto a indicatori di produttività ed efficienza dell’agente unico della riscossione.

 

Il predetto rimborso è posto a carico del debitore nella misura del cinquantuno per cento, nel caso di pagamento tempestivo (entro sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento): La parte rimanente rimane a carico dell’ente creditore.

Per pagamenti tardivi (successivi ai sessanta giorni dalla notifica) il rimborso è interamente a carico del contribuente.

 

Viene abrogata (comma 13-quater, lettera b))di conseguenza la disposizione (comma 2 dell’articolo 17) che prevede la possibilità di rideterminare l’aggio con decreto ministeriale.

 

E’ novellato il comma 6 dell’articolo 17 (comma 13-quater, lettera c)) in materia di rimborsi spettanti all’agente della riscossione in rapporto alle procedure esecutive. Viene inoltre aggiunto un comma 6-bis.

In particolare, per effetto delle modifiche in esame, continua ad essere attribuito all’agente un rimborso per le spese sostenute; questo, anziché essere riferito in via generica alle spese relative alle procedure esecutive, attiene agli specifici oneri connessi allo svolgimentodelle singole procedure.

Rimane ferma l’attribuzione delle spese per i rimborsi in capo all’ente creditore, ove il ruolo sia annullato (per sgravio o inesigibilità) e, negli altri casi, in capo al debitore.

In luogo dell’effettuazione dei rimborsi secondo quanto stabilito da una apposita tabella, per effetto delle norme in esame (comma 6-bis dell’articolo 17) si attribuisce ad un decreto non regolamentare la determinazione:

§      delle tipologie di spese rimborsabili;

§      della misura del rimborso, che deve essere determinata anche proporzionalmente al carico affidato e progressivamente rispetto al numero di procedure attivate a carico del debitore;

§      delle modalità di erogazione del rimborso.

 

Sono novellati (comma 13-quater, lettere d) ed e)) anche i commi 7-bis e 7-ter dell’articolo 17 e, rispettivamente:

§      si prevede che il suddetto rimborso non spetti sulle somme riconosciute indebite. Viene dunque eliminata la prescrizione che richiede un provvedimento di sgravio (provvedimento dell'ente creditore che riconosca, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo) e che teneva fermo il diritto al rimborso delle spese anche in tale ipotesi;

§      si pongono le spese di notifica della cartella di pagamento a carico dell’ente creditore anche nel caso di annullamento del ruolo.

 

Il decreto (comma 13-quinquies) che calcola annualmente il rimborso spettante agli agenti della riscossione nonché quello in materia di rimborso spese devono essere emanati entro il 31 dicembre 2013; sino all’entrata in vigore di tali provvedimenti attuativi (comma 13-sexies), resta ferma la già illustrata disciplina vigente in materia di remunerazione degli agenti della riscossione.

 

Il comma 13-sexies.1 reca la clausola di invarianza, disponendo che dalle nuove norme in materia di aggio non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

c) Proroga della riforma della riscossione delle entrate di enti locali

I commi 13-septies e 13-octies recano norme complessivamente voltea posticipare i termini di operatività del nuovo sistema di accertamento e riscossione delle entrate dei comuni.

In particolare, il comma 13-septiesposticipa dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2012 il momento da cui Equitalia e le società partecipate cesseranno di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione - spontanea e coattiva - delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.

Da quella data, ove i comuni optino per l’affidamento del servizio a soggetti esterni (con modalità diverse dunque dall’esercizio diretto o dall’affidamento in house), dovranno procedere nel rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica (cfr. infra).

Si rammenta preliminarmente che l’articolo 14-bis del presente provvedimento, anch’esso inserito durante l’esame del provvedimento in sede referente, modifica le disposizioni in materia di riscossione delle entrate dei comuni recate dall’articolo 7, comma 2 del D.L. n. 70 del 2011[44] al fine di unificare le procedure e i poteri attribuiti agli organi di riscossione, indipendentemente dalle modalità con le quali l’ente deciderà di gestire tale servizio. Si rimanda alla relativa scheda di lettura per approfondimenti.

L’articolo 7, comma 2, lettere da gg-ter) a gg-septies) del decreto legge n. 70 del 2011[45] ha disposto che Equitalia Spa e le società da essa partecipate cessino di effettuare le attività diaccertamento, liquidazionee riscossione - spontanea e coattiva – delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate. La decorrenza originaria di tali disposizioni – posticipata dalle norme in esame – era stata fissata al 1° gennaio 2012.

Dal momento di tale cessazione spetterà ai comuni effettuare la riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie e patrimoniali. La formulazione originaria della lettera gg-ter) prevedeva le seguenti modalità di esercizio di tale servizio:

§       per i comuni che effettueranno in forma diretta la riscossione coattiva, ovvero si intenderanno avvalere di società a capitale interamente pubblico, si potrà procedere sia in base alla procedura d'ingiunzione fiscale prevista dal regio decreto n. 639 del 1910 (cfr. infra), sia in base alle disposizioni del titolo II (Riscossione coattiva) del D.P.R. n. 602 del 1973, per quanto compatibili.

L’ingiunzione fiscale consiste in un atto amministrativo dell’ufficio finanziario contenente l’ordine per il debitore di imposta di pagare l’importo dovuto entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi. L’ingiunzione costituisce un atto complesso con molteplici funzioni e contenuti quali: determinare l’ammontare del tributo; mettere in mora il debitore; creare il titolo esecutivo;

§       i comuni che utilizzeranno altre forme di gestione della riscossione previste dalla legge (ai sensi dell’articolo 52, comma del D.Lgs. 446/1997: gestione in forma associata, affidamento esterno a società a capitale misto pubblico/privato, ad operatori UE, a iscritti nell’apposito albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere entrate locali) potranno invece procedere esclusivamente secondo le disposizioni del regio decreto n. 639 del 1910.

A seguito delle modifiche operate alla lettera gg-quater) dal richiamato articolo 14-bisdel provvedimento in commento, i comuni potranno avvalersi dell’ingiunzione fiscale e delle procedure di riscossione coattiva erariale a prescindere dalla scelta delle modalità con cui effettuare il servizio di riscossione .

 

Si ricorda inoltre che il D.Lgs. n. 23 del 2011 in materia di federalismo fiscale municipale, all'art. 14, comma 6, ha confermato la potestà regolamentare in materia di entrate degli enti locali di cui, tra l’altro, al citato articolo 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997.

Tale ultima norma prevede, tra l’altro, che l'accertamento dei tributi può essere effettuato dall'ente locale anche in forma associata; qualora, invece, sia deliberato di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali.


 

Ingiunzione fiscale ed entrate degli enti locali

In estrema sintesi, si ricorda che, ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, il procedimento di coazione comincia con l’ingiunzione, che consiste nell'ordine, emesso dal competente ufficio dell'ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta. L’ingiunzione è notificata, nella forma delle citazioni, da un ufficiale giudiziario addetto alla pretura o da un messo addetto all'Ufficio di conciliazione.

Entro trenta giorni dalla notificazione, il debitore può produrre ricorso od opposizione avanti il conciliatore o il pretore, o il tribunale del luogo, in cui ha sede l'ufficio emittente, secondo la rispettiva competenza, a norma del Codice di procedura civile. L'autorità adita ha facoltà di sospendere il procedimento coattivo. Respinto il ricorso, il procedimento coattivo non potrà, per qualsiasi motivo, ed anche quando sia pendente giudizio di appello, essere sospeso se non in seguito a pagamento della somma dovuta, salvo il caso di provvedimento di sospensione che fosse dato dalla autorità adita per l'appello.

Trascorso inutilmente il termine di trenta giorni, l'ente creditore procede, per mezzo di un ufficiale giudiziario addetto alla pretura o di un messo dell'ufficio di conciliazione, al pignoramento dei beni mobili del debitore. Decorsi dieci giorni dal pignoramento senza che sia soddisfatto il debito, l'ente creditore procede alla vendita degli oggetti pignorati al pubblico incanto, che si apre sul prezzo di stima.

Quanto alla esecuzione sugli immobili, notificato al debitore il precetto di pagamento, il presidente del tribunale competente nel giudizio di espropriazione procede, su istanza dell'ente creditore e mediante ordinanza, alla nomina del sequestratario. L'ordinanza di immissione in possesso del sequestratario si esegue con la notificazione di un unico atto contenente il precetto per il rilascio in un termine di tre giorni e l'avviso per l’immissione nei due giorni successivi, fissando il giorno e l'ora in cui l'ufficiale giudiziario si recherà sul luogo per la esecuzione. L'ente creditore può domandare l'incanto, attribuendo agli immobili come prezzo venale il valore risultante dalla estimazione dei beni, sulla base dell'art 663 del Codice di procedura civile.

Da ultimo, il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 (contenente "Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'art. 54, L. 18 giugno 2009, n. 69"), che ha riformato i riti civili, ha introdotto una norma (articolo 32) sulla riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato. Si tratta delle procedure utilizzate per la riscossione delle entrate, anche tributarie, degli enti locali.

In particolare, dal 12 ottobre 2011 le controversie in materia di opposizione all'ingiunzione fiscale per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici, di cui all’articolo 3 del D.P.R. 639/1910, saranno regolate dal rito ordinario di cognizione, di cui al libro II del Codice di procedura civile.

Nel giudizio di opposizione a ingiunzione emessa dalla pubblica amministrazione ai sensi del R.D. 639/1910, è l'opponente ad assumere la qualità sostanziale e processuale di attore, mentre l'ente pubblico riveste quella di convenuto, con la conseguenza che quest'ultimo può proporre anche domande riconvenzionali. Conseguentemente, l'amministrazione, una volta contestata in sede giudiziaria l'irritualità dell'impiego dell'ingiunzione fiscale, può realizzare la pretesa stessa, chiedendo una pronuncia di accertamento del credito e di condanna al suo pagamento. Una volta notificata la sentenza con la formula esecutiva, l'ente pubblico potrà procedere all'esecuzione forzata, emettendo una nuova ingiunzione che funga da atto di precetto.

 

Di conseguenza, il comma 13-octies proroga al 31 dicembre 2012 l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali, contenute in particolare nell’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis del citato decreto-legge n. 203 del 2005.

Tali termini erano stati da ultimo prorogati al 31 dicembre 2011 per effetto del combinato disposto della tabella allegata al già citato D.L. 225/2010 (“milleproroghe”) e del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 marzo 2011.

 

A seguito della già ricordata riforma della riscossione – con passaggio da un sistema di affidamento in concessione all’attribuzione delle competenze all’Agenzia delle entrate, operante attraverso l’agente unico Equitalia S.p.A. – la legge ha recato una dettagliata disciplina transitoria, volta a favorire il transito di funzioni e di carichi dagli ex concessionari ad Equitalia e alle relative società partecipate.

In particolare, ai sensi del citato comma 24 dell'articolo 3, alle ex società concessionarie della riscossione è stata data la possibilità di trasferire, in via totale o parziale, il proprio capitale sociale ad Equitalia S.p.a. (continuando dunque, anche con assetti proprietari diversi, a svolgere l'attività di riscossione erariale e locale).

In alternativa, e fino al momento dell'eventuale cessione, totale o parziale, del proprio capitale sociale ad Equitalia, ai concessionari è stato consentito di scorporare il ramo d'azienda concernente le attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, cedendolo a soggetti terzi, nonché alle società iscritte nell'apposito albo dei soggetti abilitati ad effettuare le attività di accertamento e riscossione dei tributi per gli enti locali (ai sensi dell'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446).

Nel caso di scorporo e di cessione del ramo di azienda, le norme hanno consentito ai cessionari del ramo d’azienda di proseguire le attività di accertamento e riscossione di entrate locali, in mancanza di diversa determinazione degli enti medesimi (che avrebbero potuto optare per l’affidamento in house o per la gestione diretta, ovvero associata, etc.), purché le società avessero i requisiti per l'iscrizione al citato albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere le entrate locali. Ai cessionari è stato concesso di agire mediante la ricordata procedura dell'ingiunzione fiscale, fatta eccezione per i ruoli consegnati fino alla data del trasferimento, per i quali avrebbero trovato applicazione le ordinarie disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repu blica 29 settembre 1973, n. 602.

Ai sensi del successivo comma 25, fino al 31 dicembre 2011, nel caso di mancato trasferimento del ramo d’azienda e ove non vi fosse diversa determinazione dell'ente creditore, le attività di accertamento e riscossione sono state affidate a Equitalia S.p.a. o alle società partecipate, fermo il rispetto di procedure di gara ad evidenza pubblica.

Infine, fatto salvo l'eventuale affidamento temporaneo a Equitalia, il comma 25-bis sancisce che l'attività di riscossione spontanea e coattiva degli enti pubblici territoriali può essere svolta dalle società cessionarie del ramo d'azienda, da Equitalia S.p.a. e dalle partecipate soltanto a seguito di affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica, condecorrenza – come visto supra - in precedenza fissata al 1° gennaio 2011; per effetto delle norme in esame, tale termine è slittato al 31 gennaio 2012.

Vendita dei beni pignorati

Il comma 13-duodecies reca disposizioni in materia di vendita di beni pignorati a seguito di esecuzione forzata per debiti tributari, consentendo al contribuente sottoposto a esecuzione forzata – in luogo dell’agente della riscossione - di mettere direttamente in vendita i beni pignorati o ipotecati, versando all’erario l’intero ricavato.

L’eccedenza è rimborsata al debitore entro dieci giorni lavorativi.

 

Tale modifica è operata aggiungendo il comma 1-bis all’articolo 52 del più volte citato D.P.R. 602/1973, che disciplina la procedura di vendita dei beni pignorati a seguito di esecuzione forzata per debiti tributari. La procedura di esecuzione forzata fiscale presenta alcune specificità rispetto alle ordinarie forme civilistiche: in particolare, l’agente della riscossione può rivalersi sui beni del debitore vendendoli al pubblico incanto o nelle altre forme previste dal D.P.R. 602/1973 senza autorizzazione dell'autorità giudiziaria (articolo 52, comma 1).

 

In estrema sintesi, la normativa speciale delle procedure di esecuzione forzata fiscale è contenuta nel citato D.P.R. 602/1973, in particolare agli articoli 45 e ss.gg. L’esecuzione forzata si articola in tre momenti: pignoramento dei beni, vendita e assegnazione del ricavato.

Il pignoramento avviene secondo le regole processuali comuni e culmina in un verbale da consegnare e notificare al debitore. Al pignoramento segue la messa all’incanto dei beni pignorati, anch’essa verbalizzata. Il processo esecutivo non può essere sospeso dal giudice dell’esecuzione, salvo che ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno. Le attribuzioni svolte dagli ufficiali giudiziari ordinari sono svolte dagli agenti della riscossione. Agenti e concessionari possono dunque procedere all’espropriazione di beni mobili non registrati del soggetto inadempiente, di beni mobili registrati del soggetto inadempiente e di beni immobili del soggetto inadempiente.

 

Le norme in commento rimandano agli articoli 68 e 79 del D.P.R. 602/1973 per la determinazione del valore del bene oggetto di vendita.

 

In particolare (articolo 68) le norme prevedono, per i beni mobili, che il valore dei beni pignorati:

-        sia quello risultante da listino di borsa o di mercato;

-        in mancanza, sia quello che risulta dal valore attribuito nel verbale di pignoramento.

Ove il concessionario lo richieda, e in ogni caso per gli oggetti preziosi, il prezzo base è stabilito da uno stimatore designato dal giudice dell'esecuzione. Nello stesso modo si provvede, sentito il concessionario, se vi è richiesta del debitore e la nomina dello stimatore risulti opportuna in rapporto alle particolari caratteristiche dei beni pignorati.

Per i beni immobili (articolo 79) le norme fanno riferimento al valore determinato ai sensi delle rettifiche effettuate dagli uffici finanziari ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro (articolo 52, comma 4 del D.P.R. 131/86). Tale valore si basa sulla rendita catastale rivalutata (ovvero proposta, se l’immobile non è iscritto ovvero ha non ha rendita), ovvero sul reddito dominicale rivalutato se il terreno non è edificabile. A tali importi si applicano moltiplicatori diversi secondo la categoria catastale di appartenenza/di attribuzione del bene oggetto di vendita.

Se non è possibile determinare in tal modo il prezzo base (articolo 79, co. 2) il concessionario richiede l'attribuzione della rendita catastale del bene stesso al competente ufficio del territorio, che provvede entro centoventi giorni. Se si tratta di terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria, il prezzo è stabilito con perizia dell'ufficio del territorio.


 

Articolo 10, comma 13-undecies
(Fatturazione elettronica)

 

 

Il comma 13-undecies dell’articolo 10, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, è finalizzato ad esplicitare, con riferimento all’elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico pubblicato dall’ISTAT entro il 30 settembre di ciascun anno, quali siano le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici nazionali a cui si applicano le disposizioni sulla fatturazione elettronica verso la Pubblica amministrazione.

 

Si ricorda che il comma 209 dell’articolo 1, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), al fine di semplificare il procedimento di fatturazione e registrazione delle operazioni imponibili, ha previsto che la trasmissione, conservazione e archiviazione delle fatture emesse nei rapporti con le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e con gli enti pubblici nazionali, siano effettuate esclusivamente in forma elettronica, secondo quanto previsto del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 52 (di attuazione della direttiva 2001/115/CE che semplifica ed armonizza le modalità di fatturazione in materia di IVA), e del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (codice dell’amministrazione digitale). I successivi commi da 210 a 214 recano le modalità attuative di tale disposizione.

 

In particolare, la norma in commento modifica il predetto comma 209 al fine di precisare che le amministrazioni interessate sono le amministrazioni pubbliche che costituiscono il settore istituzionale della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 1, comma 2 della legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) nonché le amministrazioni autonome.

 

Si ricorda che l'articolo 1 della legge n. 196 del 2009 – nel prevedere il concorso delle amministrazioni pubbliche al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione europea – ha stabilito che l'ISTAT operi annualmente, con proprio provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, la ricognizione delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato.

Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, per amministrazioni pubbliche si intende l'insieme degli enti e degli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche, individuati dall'ISTAT sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari (SEC95).

L’ultimo elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato è stato fornito dall’ISTAT con il Comunicato pubblicato in G.U. del 30 settembre 2011.

L'art. 10, comma 16, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, ha successivamente posticipato il termine di pubblicazione (originariamente stabilito al 31 luglio di ciascun anno) al 30 settembre.

 

In particolare, la norma in commento modifica il predetto comma 209 al fine di precisare che le amministrazioni interessate sono quelle indicate dall'articolo 1 della legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica).

 

La norma interviene inoltre sul comma 214 del predetto articolo 1 della legge n. 244 del 2007, demandando ad un decreto del ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della pubblica amministrazione e dell’innovazione, d’intesa con la Conferenza unificata, la data dalla quale decorrono gli obblighi previsti dal decreto stesso per le amministrazioni locali.

 

Si ricorda che la formulazione vigente del comma 214 prevede che le descritte norme in materia di fatturazione elettronica (di cui ai commi da 209 a 213) costituiscono per le regioni princìpi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.

 

Nella nuova formulazione, la norma è volta quindi ad adottare un’unica regolamentazione a livello nazionale per quanto attiene alle modalità di gestione della fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione.

 

Si ricorda inoltre che il comma 213 del medesimo articolo 1 prevede che il decreto che il Ministero dell’economia e finanze deve emanare di concerto con il Ministro per le riforme e l’innovazione nella pubblica amministrazione per l’attuazione delle nuove norme di fatturazione elettronica, debba essere conforme a quanto previsto dagli standard del Sistema pubblico di connettività (SPC)[46]. Inoltre, esso deve contenere:

§      regole di identificazione univoca degli uffici centrali e periferici delle amministrazioni destinatari della fatturazione elettronica;

§      regole tecnico-informatiche per l’emissione e la trasmissione delle fatture elettroniche e le modalità di integrazione con il sistema di interscambio;

§      linee guida per l’adeguamento delle procedure interne delle amministrazioni interessate;

§      eventuali deroghe agli obblighi di fatturazione elettronica, limitatamente a determinate tipologie di approvvigionamenti;

§      una disciplina dell’utilizzo, sia da parte delle amministrazioni interessate che da parte degli operatori economici, degli intermediari abilitati, ivi compresi, secondo un inciso introdotto al Senato, i “certificatori” accreditati ai sensi dell’articolo 29 del codice dell’amministrazione digitale, allo svolgimento delle attività informatiche necessarie all’assolvimento, degli obblighi in questione.

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera g), del codice dell’amministrazione digitale, i “certificatori” sono i soggetti che prestano servizi di certificazione delle firme elettroniche o che forniscono altri servizi connessi con queste ultime. L’articolo 29, comma 1, stabilisce in particolare che i “certificatori” che intendono conseguire il riconoscimento del possesso dei requisiti del livello più elevato, in termini di qualità e di sicurezza, debbano essere accreditati presso il CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione);

§      eventuali misure di supporto, anche di natura economica, per le piccole e medie imprese: le disposizioni dei commi in commento infatti potrebbero costituire un onere per le piccole e medie imprese che abbiano rapporti con le amministrazioni ed enti pubblici in questione;

§      una data a decorrere dalla quale decorre l’obbligo di fatturazione elettronica, con la possibilità di introdurre gradualmente la riforma;

§      le regole tecniche idonee a garantire, per ogni fine di legge, l’attestazione della data, l’autenticità dell’origine e l’integrità del contenuto delle fatture di vendita o di acquisto trasmesse per via elettronica.


 

Articolo 11
(Emersione di base imponibile)

 

 

L’articolo 11, modificato nel corso dell’esame in sede referente, reca disposizioni volte, nel complesso, a favorire l’emersione di base imponibile.

In sintesi, per effetto delle modifiche apportate al provvedimento dalle Commissioni riunite V e VI:

§      non è sanzionato penalmente il comportamento di chi fornisce dati e notizie non rispondenti al vero in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento, ferma restando la fattispecie criminosa di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, nella medesima occasione;

§      i dati relativi alle movimentazioni dei rapporti di natura finanziaria, oggetto di specifico obbligo di comunicazione da parte degli operatori del settore, devono essere archiviati nell’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria; in rapporto alle modalità della citata comunicazione, si specifica che il provvedimento attuativo del Direttore dell’Agenzia delle entrate sia adottato previa consultazione, tra l’altro, del Garante per la protezione dei dati personali; chel’obbligodi comunicazioneal fiscosia estesoalle ulteriori informazioni strettamente necessarie ai fini dei controlli fiscali; che il predetto provvedimento attuativo contenga anche adeguate misure di sicurezza, di natura tecnica ed organizzativa, per la trasmissione dei dati e per la relativa conservazione, che non può superare i termini massimi di decadenza previsti in materia di accertamento delle imposte sui redditi (quattro anni);

§      per quanto riguarda le finalità delle predette informazioni, si precisa che esse potranno essere utilizzate dall'Agenzia delle entrate anche per elaborare - con procedure centralizzate, secondo i criteri individuati con provvedimento direttoriale - specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione, non più dunque dei singoli contribuenti a rischio;

§      l’Agenzia delle entrate trasmetterà annualmente una relazione riepilogativa al Parlamento con la quale sono comunicati i risultati relativi all’emersione dell’evasione, a seguito dell’applicazione delle disposizioni in materia dei suddetti obblighi di comunicazione;

§      è prorogato dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2013 il termine per lo svolgimento di attività di accertamento connesse al recupero coattivo di somme non riscosse con i condoni e le sanatorie previsti dalla legge finanziaria 2003.

Esibizione o trasmissione di documenti falsi in sede di accertamento tributario

Il comma 1, modificato nelcorso dell’esame in sede referente, prevede la fattispecie penale di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, in tutto o in parte, in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento delle imposte dirette e dell’IVA (disciplinati, rispettivamente, dagli articoli 32 e 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dagli articoli 51 e 52 del D.P.R. 29 settembre 1972), disponendo in particolare che a tale ipotesi si applichino le norme penali contenute nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (articolo 76 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445).

Per effetto delle modifiche apportate al provvedimento in sede referente, rispetto alla formulazione originaria della norma non è sanzionato penalmente il comportamento di chi, nella predetta occasione, fornisce dati e notizie non rispondenti al vero.

 

Ai sensi del citato articolo 76 del D.P.R. 445/2000, chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal medesimo testo unico in materia di documentazione amministrativa, è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.

L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. Le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atti di notorietà (rese ai sensi degli articoli 46 e 47 del medesimo TU) e le dichiarazioni rese nell'interesse di chi si trovi in una situazione di impedimento temporaneo, per ragioni connesse allo stato di salute, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale.

Ove le predette fattispecie siano poste in essere per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l'autorizzazione all'esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte.

 

Circa le norme penali codicistiche che appaiono applicabili alla fattispecie in esame, possono richiamarsi, senza pretesa alcuna di esaustività, per l’ipotesi di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, gli artt. 482 e 489 c.p, relativi, rispettivamente, ai delitti di falsità materiale commessa dal privato e uso di atto falso.

Comunicazioni periodiche all’anagrafe tributaria da parte di operatori finanziari

I commi da 2 a 5, modificati nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, modificano la disciplina degli obblighi di comunicazione all’Anagrafe tributaria posti in capo agli operatori finanziari, disciplinati dall’articolo 7 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, rendendoli più stringenti.

 

Nel dettaglio, il comma 2 dell’articolo in esame impone agli operatori finanziari, dal 1° gennaio 2012, di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria anche tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti, già oggetto di specifici obblighi di evidenziazione ai sensi del sesto comma del citato articolo 7 del D.P.R. n. 605/1973.

La richiamata norma prevede le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro; l'esistenza dei rapporti e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono comunicate all'Anagrafe tributaria ed archiviate in apposita sezione, con l'indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale.

 

Le norme in commento obbligano gli operatori altresì a comunicare ogni informazione relativa ai predetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni finanziarie indicate nella predetta disposizione.

Per effetto delle modifiche apportate dalle Commissioni riunite V e VI, è previsto che i dati così comunicati siano archiviati nell’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria, secondo la richiamata disciplina dell’articolo 7, sesto comma del D.P.R. n. 605/1973.

 

Ai sensi del comma 3, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità della predetta comunicazione, estendendosi tale obbligo anche ad ulteriori informazioni relative ai rapporti necessarie ai fini dei controlli fiscali.

Le modifiche al provvedimento apportate in sede referente dispongono che:

§      il suddetto provvedimento sia adottato previa consultazione non solo delle associazioni di categoria degli operatori finanziari, ma anche del Garante per la protezione dei dati personali;

§      l’estensione dell’obbligodi comunicazioneoperi solo con riguardo alle ulteriori informazioni strettamente necessarie ai fini dei controlli fiscali;

§      il provvedimento contenga adeguate misure di sicurezza, di natura tecnica ed organizzativa, per la trasmissione dei dati e per la relativa conservazione, che non può superare i termini massimi di decadenza previsti in materia di accertamento delle imposte sui redditi (quattro anni);

 

Il comma 4 specifica le finalità delle predette informazioni sulle operazioni, sui rapporti finanziari e sui relativi importi (ai sensi dell’articolo 7, sesto comma, del D.P.R. n. 605/1973 e del già commentato comma 2).

In particolare, per effetto delle modifiche apportate al provvedimento in sede referente, le informazioni possono essere utilizzate dall'Agenzia delle entrate - oltre che per le finalità individuate dall’articolo 7, comma 11, del medesimo D.P.R. n. 605/1973 - anche per la elaborazione con procedure centralizzate, secondo i criteri individuati con provvedimento del Direttore della medesima Agenzia, di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione.

La precedente formulazione finalizzava tali informazioni alla individuazione dei contribuenti a maggior rischio di evasione da sottoporre a controllo, senza riferimento alla formazione di liste mediante procedure centralizzate.

Il comma undicesimo dell’articolo 7 prevede che le rilevazioni, le evidenziazioni e le comunicazioni obbligatorie da parte degli operatori finanziari siano utilizzate dall’Amministrazione finanziaria per effettuare le cd. “indagini finanziarie”, ovvero per richiedere informazioni ad enti creditizi e finanziari e così acquisire elementi utili a ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale o, per l’IVA, l’effettivo volume di operazioni imponibili e di acquisti. Le informazioni comunicate sono altresì utilizzabili per le attività connesse alla riscossione mediante ruolo, nonché per l'espletamento di attività relative al procedimento penale.

In particolare, le rilevazioni e le comunicazioni obbligatorie degli operatori finanziari sono utilizzate nell’attività di richiesta (e relativa risposta per via telematica) di dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari stessi e le generalità dei soggetti per i quali gli operatori abbiano effettuato le suddette operazioni (ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numero 7), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600[47] in materia di imposte sui redditi e, con formulazione analoga, dell'articolo 51, secondo comma, numero 7), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in materia di IVA). Per l’attivazione di tale potere di richiesta, è necessario che gli uffici chiedano una previa autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa competente per territorio.

Le predette informazioni di natura finanziaria sono utilizzabili anche per le attività connesse alla riscossione; per gli accertamenti finalizzati alla ricerca e all'acquisizione della prova e delle fonti di prova nel corso di un procedimento penale; per le indagini preliminari e per l'esercizio delle funzioni di coordinamento del procuratore nazionale Antimafia e per le fasi processuali successive; per gli accertamenti di carattere patrimoniale con finalità di prevenzione previste da specifiche disposizioni di legge, nonché per l'applicazione delle misure di prevenzione.

 

Durante l’esame da parte delle Commissioni riunite V e VI, è stato aggiunto il comma 4-bis, ai sensi del quale si prevede che l’Agenzia delle entrate trasmetta annualmente una relazione riepilogativa al Parlamento con la quale sono comunicati i risultati relativi all’emersione dell’evasione a seguito dell’applicazione delle disposizioni di cui ai suddetti commi da 2 a 4.

Di conseguenza, il comma 5 abroga l’articolo 2, comma 36-undevicies del decreto-legge n. 138/2011, che aveva autorizzato l’Agenzia delle entrate a elaborare specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo, basate sulle informazioni relative ai rapporti e alle operazioni oggetto di comunicazione all’Anagrafe tributaria da parte degli operatori finanziari, sentite le Associazioni di categoria degli operatori finanziari in rapporto alle tipologie di informazioni da acquisire.

Tale disposizione esplicitamente derogava a quanto previsto dal citato articolo 7, comma undicesimo, del D.P.R. n. 605/1973, ai sensi del quale – per il combinato disposto dello stesso articolo 7 e della relativa disciplina secondaria di attuazione - l'amministrazione finanziaria non può utilizzare l'Anagrafe dei rapporti per la formazione di elenchi di contribuenti aventi caratteristiche omogenee, da assoggettare ad accertamento in virtù del riscontro di anomalie.

L’ultimo comma dell’articolo 7 demanda infatti a un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate il contenuto, le modalità ed i termini della trasmissione del contenuto delle comunicazioni obbligatorie e le specifiche tecniche del formato con cui devono essere effettuate. Con il provvedimento 19 gennaio 2007 sono state definite le modalità e i termini di comunicazione all'Anagrafe tributaria dei dati relativi alle somme di denaro erogate, a qualsiasi titolo, da imprese, intermediari e ogni altro operatore del settore delle assicurazioni.

Il paragrafo 5 del provvedimento del 19 gennaio 2007 pone alcuni limiti di riservatezza all’uso dei dati comunicati all’Anagrafe: in particolare, i dati e le notizie pervenuti sono raccolti e ordinati su scala nazionale al fine della valutazione della capacità contributiva, nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei contribuenti. I dati e le notizie raccolti sono infatti trasmessi nell'osservanza della normativa in materia di riservatezza e protezione dei dati personali.

Essi sono inseriti nei sistemi informativi dell'Anagrafe tributaria e sono trattati, secondo il principio di necessità, attraverso particolari sistemi di elaborazione, prevalentemente consistenti nei c.d. data warehouse, che consentono di eseguire analisi selettive, che limitano il trattamento dei dati personali e di individuare i soli soggetti che posseggono i requisiti fissati per l'esecuzione dei controlli fiscali.

I dati sono inseriti all'interno di una specifica area dedicata dell'Anagrafe tributaria, al fine di assicurare la selettività degli accessi; il loro trattamento è riservato esclusivamente agli operatori incaricati dei controlli, le cui operazioni sono compiutamente tracciate.

Il principio di necessità nel trattamento dei dati, di cui all’articolo 3 della normativa sulla privacy (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il codice in materia di protezione dei dati personali) prevede che i sistemi informativi e i programmi informatici siano configurati riducendo al minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l'interessato solo in caso di necessità.

Scambio informativo Agenzia delle entrate – INPS

Il comma 6 prevede che, nell’ambito dell’attività di scambio di informazioni tra Agenzia delle Entrate e INPS (prevista dall’articolo 83, comma 2, del D.L. n. 112/2008) relativamente ai soggetti non residenti ed ai percipienti utili da contratti di associazione in partecipazione, l’INPS fornisca all'Agenzia delle entrate ed alla Guardia di finanza i dati relativi alle posizioni di soggetti destinatari di prestazioni socio-assistenziali, affinché vengano considerati ai fini della effettuazione di controlli sulla fedeltà dei redditi dichiarati, basati su specifiche analisi del rischio di evasione.

Si ricorda che ai sensi del citato articolo 83 (comma 1) si prevede la predisposizione di piani di controllo da parte dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate, anche sulla base dello scambio reciproco dei dati e delle informazioni in loro possesso, volti a garantire una maggiore efficacia nei controlli sul corretto adempimento degli obblighi di natura fiscale e contributiva a carico dei soggetti non residenti e di quelli residenti ai fini fiscali da meno di 5 anni. Si dispone altresì che l’INPS e l’Agenzia delle Entrate attivino uno scambio telematico mensile delle posizioni relative ai titolari di partita IVA e dei dati annuali riferiti ai percipienti utili da contratti di associazione in partecipazione, nel caso in cui l'apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro. Ai sensi del successivo comma 2, le menzionate amministrazioni determinano le modalità di attuazione della disciplina in esame tramite un’apposita convenzione: questa è stata stipulata il 12 dicembre 2008[48].

Disciplina dell’attività di controllo amministrativo

Il comma 7 reca modifiche alla disciplina dei controlli amministrativi effettuati in forma di accesso (di cui all’articolo 7 del D.L. 70/2011). In particolare, i predetti controlli sono resi oggetto di programmazione da parte degli enti competenti e di coordinamento tra i vari soggetti interessati. Vengono poi eliminate le disposizioni relative alla durata massima dei predetti controlli, nonché quelle che qualificavano come illecito disciplinare, per i dipendenti pubblici, la violazione dei principi in materia di controllo amministrativo.

 

Nel dettaglio il comma 7, lettera a), novellando l’articolo 7 comma 1, lettera a) del D.L. 70/2011, dispone che i controlli amministrativi effettuati in forma di accesso sono oggetto di programmazione da parte degli enti competenti e di coordinamento tra i vari soggetti interessati, per evitare duplicazioni e sovrapposizioni nell’attività di controllo.

In sostanza, dunque, sono eliminate le disposizioni che:

§      rendevano obbligatoria l’unificazione dei controlli;

§      ponevano limiti alla loro durata (al massimo con cadenza semestrale, per non può più di quindici giorni);

§      qualificavano gli atti compiuti in violazione dei suddetti principi, per i dipendenti pubblici, come illecito disciplinare.

 

Di conseguenza (comma 7, lettera b)) sono soppressi i numeri 3) e 4) dell’articolo 7, comma 2, lettera a), del citato D.L. 70/2011, che prescrivevano uno svolgimento degli accessi nell’osservanza del principio della “contestualità” e della non ripetizione per periodi di tempo inferiori al semestre, qualificando le violazioni dei principi codificati in materia di controlli, per i dipendenti pubblici, come illecito disciplinare.

Consigli tributari

I commi da 8 a 10 abrogano le norme che impongono la costituzione dei consigli tributari.

 

Si ricorda in proposito che l’articolo 18, comma 2del già citato D.L. 78/2010 ha previsto l’istituzione dei Consigli Tributari, con le seguenti modalità:

-        per i Comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti, mediante regolamento del Consiglio comunale (da adottarsi entro il 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, cioè entro il 28 agosto 2010);

-        per i Comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, mediante costituzione di un consorzio obbligatorio (ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali – TUEL), con obbligo di deliberare lo statuto e la convenzione del consorzio obbligatorio entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto, ovvero entro il 26 novembre 2010.

Il richiamato comma 2 non prevede sanzioni per la mancata deliberazione.

Gli adempimenti organizzativi legati all’istituzione dei Consigli (articolo 18, comma 2-bis) devono essere svolti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. In occasione della loro prima seduta, successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto, i Consigli tributari deliberano in ordine alle forme di collaborazione con l'Agenzia del territorio ai fini dell’attuazione del monitoraggio del territorio volto ad individuare i fabbricati non dichiarati al Catasto. Il successivo comma 3 prevede che in occasione della loro prima seduta i Consigli tributari deliberino in ordine alle forme di collaborazione con l'Agenzia del territorio ai fini dell’individuazione di fabbricati non dichiarati al Catasto.

Con la nota diffusa l’8 settembre 2010, l’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani e l’IFEL – Istituto per la Finanza e l’Economia Locale hanno emanato una nota relativa agli adempimenti derivanti dalla nuova disciplina della partecipazione all’accertamento recata dal citato articolo 18, decreto legge 30 maggio 2010, n. 78, con particolare attenzione a quelli relativi ai Consigli Tributari, evidenziandone gli aspetti problematici.

L’ANCI ha sottolineato che – a fronte della predetta obbligatorietà – la predetta norma non si preoccupa di disciplinare la natura, il ruolo e le funzioni del Consiglio, che resta pertanto definito dall’unica norma vigente in materia, il decreto legislativo Luogotenenziale n. 77 dell’8 marzo 1945, che istituisce e disciplina i predetti Consigli in seno ai Comuni.

Nella nota dell’ANCI si precisa che il D.Lgs.Lgt. n. 77 risulterebbe ampiamente inapplicabile, per motivi legati – tra l’altro – all’attribuzione di funzioni strettamente legate a concetti obsoleti (quali la tenuta degli elenchi dei contribuenti ai fini delle imposte dirette), ai poteri di indagine analoghi a quelli erariali; alle procedure di istruttoria ed audizione diretta del contribuente strettamente regolamentate.

Tale quadro, anche per le parti applicabili, “configurerebbe un evidente rischio di sovrapposizione di funzioni programmatorie e gestionali che nell’attuale regime tributario sono assegnate al Governo, alle Agenzie fiscali, agli organi elettivi ed esecutivi locali ed agli uffici locali delle entrate”.

Alcuni comuni hanno provveduto a istituire i predetti Consigli sulla base dell’attuale normativa, regolamentandoli autonomamente, qualificandoli in senso consultivo e tenendo conto degli elementi direttamente applicabili recati dall’articolo 18 del D.L. 78/2010[49].

 

In particolare, il comma 8 dell’articolo 11 elimina i riferimenti ai Consigli tributari contenuto nell’articolo 44 del D.P.R. n. 600/1973, che reca la disciplina della partecipazione dei comuni all’accertamento.

Tale norma è stata oggetto di modifica, tra l’altro, da parte dell’articolo 18, comma 3 del citato D.L. 78/2010 e da parte dell’articolo 1, comma 12-ter del D.L. 138/2011, al fine di consolidare e rafforzare i poteri svolti in tale ambito dai Consigli Tributari.

 

Il comma 9 abroga le illustrate disposizioni contenute al citato articolo 18, commi 2, 2-bis e 3 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78.

 

Infine, il comma 10 abroga l’articolo 1, comma 12-quater del richiamato D.L. n.138/2011, che condizionava l’applicazione di alcune disposizioni attributive di risorse ai Comuni all’istituzione dei Consigli tributari entro il 31 dicembre 2011.

Si tratta, nel dettaglio:

-        delle disposizioni di cui al comma 12, primo periodo, del D.L. 138/2011, che prevede la possibilità di ridurre le misure previste a carico degli enti territoriali dal nuovo patto di stabilità interno, per effetto delle maggiori entrate recate dalle modifiche alla disciplina dell’addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico, di cui all’articolo 7 del provvedimento in esame;

-        delle norme di cui al successivo comma 12-bis, ai sensi del quale è attribuito ai comuni, per il triennio 2012-2014, l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento, in luogo del cinquanta per cento delle somme riscosse.

 

Il comma 10-bis, inserito a seguito dell’esame del provvedimento in sede referente, proroga al 31 dicembre 2013 il termine per lo svolgimento di attività di accertamento connesse al recupero coattivo (ai sensi dell’articolo 2, commi 5-bis e 5-ter del D.L. 138/2011[50]) di somme non riscosse con i condoni e le sanatorie previsti dalla legge finanziaria 2003.

In particolare, il predetto comma 5-ter disciplina l'ipotesi del mancato pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il termine del 31 dicembre 2011.

In tal caso è prevista, oltre all’applicazione di una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme, anche la sottoposizione a controllo, da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza, della posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l'accertamento. Tale controllo si estende, peraltro, anche alle attività svolte dal contribuente con identificativo fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni concernenti il condono.

Per effetto delle modifiche apportate dal comma 10-bis in commento, il termine di esercizio della suddetta attività di controllo slitta dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2013.


 

Articolo 11-bis
(Semplificazione degli adempimenti e riduzione dei costi di acquisizione delle informazioni finanziarie)

 

 

L’articolo 11-bis, inserito durantel’esame del provvedimento in sede referente, con scopi di semplificazione, riduzione di spesa e razionalizzazione delle attività, prescrive l’applicazione della procedura telematica (attualmente in uso nelle indagini finanziarie a fini tributari) anche alle richieste ed alle notifiche a banche ed intermediari finanziari, nonché alle relative risposte.

 

Nel dettaglio, si dispone che l’espletamento delle procedure nel corso di un procedimento, le richieste di informazioni e di copia della documentazione ritenuta utile e le relative risposte, nonché le notifiche aventi come destinatari le banche e gli intermediari finanziari, siano precedute dalla consultazione dell’Archivio dei rapporti di cui all’art. 7, comma sesto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 e siano effettuate esclusivamente in via telematica.

La richiamata norma prevede le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro; l'esistenza dei rapporti e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono comunicate all'Anagrafe tributaria ed archiviate in apposita sezione, con l'indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale.

 

Le richieste telematiche sono eseguite secondo le procedure già in uso presso le banche e gli intermediari finanziari, ai fini delle indagini finanziarie svolte dall’amministrazione finanziaria (ai sensi dell’art. 32, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e relative norme di attuazione).

Si demanda a un provvedimento dei Ministri interessati, da adottarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, sentita l’Agenzia delle entrate, sono stabilite le disposizioni attuative delle norme introdotte.

Sotto il profilo della formulazione della norma, sembrerebbe opportuno individuare in forma specifica a quali Ministri è demandata l’attuazione delle disposizioni in esame.


 

Articolo 12
(Riduzione del limite per la tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro e contrasto all’uso del contante)

 

 

L’articolo 12, intervenendo sull'articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007[51], riduce da 2.500 a 1.000 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore.

 

A seguito di una modifica introdotta nell’esame in sede referente, è posticipato al 31 marzo 2012 il termine entro il quale i libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 1.000 euro devono essere estinti ovvero il loro saldo deve essere ridotto entro tale importo. Inoltre in sede referente, con riferimento alla nuova soglia per l’utilizzo del contante, è stata disposta una moratoria per le infrazioni commesse dal 6 dicembre 2011 al 31 gennaio 2012. Si precisa, infatti, che la violazione delle disposizioni previste dall’articolo 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13, commessa nel periodo sopra indicato e riferite alle limitazioni di importo di 1.000 euro, non costituisce infrazione (comma 1).

 

In particolare, la riduzione della soglia massima per l’utilizzo del contante, realizzata al fine di adeguare le disposizioni adottate in ambito comunitario dirette a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, interessa i commi 1, 5, 8, 12 e 13 del citato articolo 49, dei cui limiti viene adeguato l'importo.

 

L’articolo 49, recante “limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore”, nella versione previgente le modifiche apportate dalla norma in commento, dispone fra l’altro:

-        il divieto di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 2.500 euro. Il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.A. (comma 1);

-        l'obbligo di indicare negli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 2.500 euro l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità (comma 5);

-        la possibilità per gli istituti bancari e postali di rilasciare assegni circolari, vaglia postali e cambiari di importo inferiore a 2.500 euro, su richiesta scritta del cliente, senza la clausola di non trasferibilità (comma 8);

-        il divieto di detenere libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 2.500 euro. In via transitoria, relativamente ai libretti che alla data di entrata in vigore del decreto n. 231 del 2007[52] presentavano un saldo superiore al predetto limite, i clienti hanno tempo sino al 30 settembre 2011 per estinguere ovvero ridurre il saldo al di sotto della soglia fissata (commi 12 e 13). Il decreto legge n. 201 del 2011 indica il 31 marzo 2012 come termine per estinguere o ridurre il saldo dei libretti al portatore nel limite di 1.000 euro.

 

La norma originaria dell'articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007 prevedeva quale limite di importo all’uso del contante - finalizzato al contrasto del riciclaggio e del terrorismo – la somma di 5.000 euro. Tale limite, elevato a 12.500 euro dall’articolo 32 del decreto legge n. 112 del 2009, è stato successivamente riportato a 5.000 euro dall'articolo 20 del decreto legge n. 78 del 2010 e a 2.500 dall’articolo 2, comma 4, dal decreto legge n. 138 del 2011.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato altresì aggiunto un periodo alla fine dell’articolo 58 del decreto legislativo n. 58 del 2007, in forza del quale è inasprita la sanzione per le violazioni che riguardano i libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 3.000 euro al 31 marzo 2012: la sanzione è pari al saldo del libretto stesso (comma 1-bis).

Attualmente la violazione delle prescrizioni contenute nell'articolo 49, commi 13 e 14, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 per cento al 20 per cento del saldo del libretto al portatore.

 

Il comma 2, inserendo un nuovo comma 4-bis, all’articolo 2 del decreto legge n. 138 del 2011, al fine di favorire la modernizzazione e l’efficienza degli strumenti di pagamento, impone alle Pubbliche Amministrazioni, centrali e locali, di effettuare le operazioni di pagamento delle loro spese mediante l’utilizzo di strumenti telematici. Le Pubbliche Amministrazioni, pertanto, sono obbligate ad avviare il processo di superamento di sistemi basati sull’uso di supporti cartacei.

La relazione illustrativa precisa che il predetto comma 4-bis intende esplicitare in modo univoco alcuni principi di carattere generale presenti nell’ambito dell’ordinamento in modo solo frammentario e che, invece, sono alla base del processo di modernizzazione dei sistemi di pagamento e riscossione da e per le pubbliche amministrazioni centrali e locali ed i loro enti. Si vuole con ciò contribuire al definitivo superamento di sistemi non più attuali, basati sull’utilizzo del contante e di supporti cartacei, fugando ogni incertezza di carattere normativo derivante dall’esistenza di norme che si prestano ad interpretazioni restrittive o che pongono residui dubbi sulla legittimità di adozione di tecniche evolute.

La disposizione proposta si inquadra nel processo di profonda riforma del settore pubblico basata sulla digitalizzazione degli enti della PA, l’attuazione dei piani di e-Government e lo svecchiamento di procedure che non sfruttano appieno le più moderne tecnologie; la proposta è inoltre dettata dall’esigenza di un coordinamento con norme che intendono accelerare in maniera significativa questo processo di rinnovamento quali quelle contenute nel nuovo Codice dell’amministrazione digitale (“CAD”) e nella normativa attuativa della Direttiva sui Servizi di Pagamento (Payment Services Directive – PSD) di prossima applicazione agli enti della PA.

 

L’entrata in vigore di tale disposizione è stata posticipata, nel corso dell’esame in sede referente, di tre mesi. Tale termine può essere ulteriormente prorogato, per specifiche e motivate esigenze, con D.P.C.M. su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione (comma 2-bis).

 

I pagamenti delle PA devono essere effettuati in via ordinaria mediante accreditamento sui conti correnti o di pagamento dei creditori ovvero su altri strumenti di pagamento elettronici prescelti dal beneficiario. Gli eventuali pagamenti per cassa non possono, comunque, superare l’importo di 1.000 euro.

Nel corso dell’esame in sede referente è stata eliminata la formula generica secondo la quale i pagamenti devono essere corrisposti con "strumenti diversi dal denaro contante ovvero mediante l'utilizzo di strumenti di pagamento elettronici bancari o postali" e l’originario limite di 500 euro per i pagamenti per cassa è stato coordinato con il limite all’uso del contante (1.000 euro).

Gli stipendi, le pensioni e i compensi comunque corrisposti dalla pubblica amministrazione centrale e locale e dai loro enti, e ogni altro tipo di emolumento a chiunque destinato, di importo superiore a mille euro, debbono essere erogati: mediante l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, comprese le carte di pagamento prepagate, e(a seguito di una modifica introdotta nel corso dell’esame in sede referente) mediantele carte elettroniche istituzionali, di cui all’articolo 4 del decreto legge n. 78 del 2010.

Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze il limite di importo di cinquecento euro può essere modificato.

Secondo la relazione illustrativa, in sostanza, si ritiene necessario inserire una norma di principio –ai fini di una effettiva svolta nel processo di informatizzazione dei sistemi di pagamento – che inverta il rapporto pagamenti per cassa/pagamenti elettronici nel senso di considerare adottabili in via ordinaria, in assenza di diverse indicazioni specifiche, modalità evolute in luogo di quelle basate sul contante.

Sul versante della lotta all’uso del contante, si intende favorire l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, ponendosi in linea di continuità con recenti interventi legislativi sulla tracciabilità dei pagamenti, e con la finalità di coadiuvare gli sforzi che il Governo e i diversi attori di mercato ed istituzionali stanno mettendo in campo per scoraggiare fortemente i fenomeni del riciclaggio, della corruzione, dell’economia sommersa e dell’elusione fiscale.

Le disposizioni previste dall'articolo 4 del decreto-legge n. 78 del 2010 intervengono a rafforzare l’ambito delle iniziative che mirano alla modernizzazione e al miglioramentodell’efficienza delle pubbliche amministrazioni[53]. L’articolo 4 introduce specifiche disposizioni per la promozione, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, della realizzazione di un servizio nazionale per pagamenti su carte elettroniche istituzionali, tra cui la tessera sanitaria, al fine di favore l’efficienza nei pagamenti e nei rimborsi dei tributi effettuati da enti e amministrazioni pubbliche a cittadini e utenti. Le norme intendono introdurre un processo per i pagamenti e i rimborsi da parte delle pubbliche amministrazioni. Il cittadino infatti può avvalersi della facoltà di ricevere le somme dovute dalla pubblica amministrazione mediante accredito sulle carte elettroniche istituzionali già avviate a regime, quali la tessera sanitaria o la carta multi servizi dell’INPS.

L’articolo 4definiscei contenuti che devono presentare i provvedimenti approvati dal Ministero per dare attuazione all’articolo in esame. In particolare, essi dovranno:

§      individuare gli standard tecnici del servizio di pagamento e le modalità con cui gli enti della pubblica amministrazione distributori di carte elettroniche istituzionali possono avvalersene;

§      individuare il soggetto gestore del servizio, selezionato sulla base dei requisiti qualitativi e del livello di servizio offerto;

§      disciplinare le modalità di utilizzo del servizio da parte dei soggetti pubblici, anche diversi dal soggetto distributore delle carte, che intendono offrire ai propri utenti tale modalità di erogazione di pagamenti;

§      stabilire un canone a carico del gestore finanziario del servizio, definito nella misura dello 0,20% calcolato sulle commissioni di interscambio che vengono conseguite dal gestore del servizio per pagamenti diretti effettuati dai cittadini tramite le carte[54];

§      disciplinare le modalità di certificazione degli avvenuti pagamenti;

§      stabilire le modalità di monitoraggio del servizio e dei flussi di pagamento.

L’articolo 4prevede, inoltre, che il corrispettivo a carico del gestore finanziario del servizio sia versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, tra i soggetti pubblici distributori delle carte elettroniche, i soggetti pubblici erogatore dei pagamenti e lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Sono dettate al contempo disposizioni volte a tutelare i soggetti che percepiscono trattamenti pensionistici e sociali di modesto importo, per i quali si propone di creare un incentivo economico per l’accredito delle pensioni su conti correnti(anche presso le Poste) rendendoliesenti dall’imposta di bollo e da costi bancari. In sede referente è stato precisato che l’esenzione dall’imposta di bollo è destinata alle fasce socialmente svantaggiate di clientela alle quali il conto corrente di base (di cui al successivo comma 5) è offerto senza spese.

Anche sul fronte delle entrate è incentivato l’utilizzo di strumenti diversi dal contante, fatte salve le attività di riscossione dei tributi regolate da specifiche normative. A tal fine il Ministero dell’economia e delle finanze promuove la stipula, tramite la Consip (comma 2, lettera e)), di una o più convenzioni con prestatori di servizi di pagamento, affinché le pubbliche amministrazioni possano dotarsi di POS (point of sale) a condizioni agevolate.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato che le convenzioni in esame sono stipulate con i prestatori di servizi di pagamento tramite la Consip (non con gli intermediari finanziari attraverso le associazioni di categoria). Inoltre è stata abrogata la norma che prevedeva analoghe convenzioni da parte dei comuni, tramite l’ANCI, e da parte delle Regioni. È stata inoltre abrogata la disposizione che prevedeva la possibilità per gli intermediari di offrire condizioni migliorative di quelle stabilite con le convenzioni.

 

I commi 3-8 demandano ad una apposita convenzione, da stipulare entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 201, tra il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia, l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane SpA e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, il compito di definire le caratteristiche di un conto corrente di base o di un conto di pagamento di base che le banche sono tenute ad offrire senza prevedere costi di gestione.

 

Nel corso dell’esame in sede referente tra i soggetti coinvolti nella convenzione in esame sono stati previsti la Banca d’Italia, le Poste e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento. È stato inoltre previsto il conto di pagamento di base, in aggiunta al conto corrente di base.

 

Il decreto legislativo n. 11 del 2010 ha attuato la direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD).

Le norme europee mirano a stabilire un quadro giuridico moderno e armonizzato che consenta la creazione di un mercato integrato dei pagamenti, sopprimendo gli ostacoli tuttora esistenti all'ingresso di nuovi prestatori di servizi, rafforzando la concorrenza e offrendo agli utenti una scelta più ampia e accompagnata da un adeguato livello di protezione, che sia analoga in tutti i paesi dell’UE. La direttiva 2007/64/CE reca importanti innovazioni in tema di servizi di pagamento, tra cui l’eliminazione dei giorni valuta, la fissazione di un termine massimo per l’accredito in conto, l’armonizzazione della disciplina degli istituti di pagamento.

La direttiva riguarda quattro categorie di prestatori di servizi a pagamento e segnatamente: gli enti creditizi; gli uffici dei conti correnti postali che prestano servizi di pagamento; gli istituti di moneta elettronica; gli istituti di pagamento (persone fisiche o giuridiche che avranno ottenuto un'autorizzazione conformemente al titolo II della direttiva).

Il decreto legislativo n. 11 del 2010 definisce «conto di pagamento» un conto intrattenuto presso un prestatore di servizi di pagamento da uno o più utilizzatori di servizi di pagamento per l’esecuzione di operazioni di pagamento. La Banca d’Italia, con il provvedimento del 5 luglio 2011 di attuazione del Titolo II del decreto legislativo n. 11 del 2010, relativo ai servizi di pagamento (Diritti ed obblighi delle parti), ha precisato che rientra nella nozione di conto di pagamento il conto corrente bancario o postale nei limiti in cui venga utilizzato per operazioni di pagamento, nonché il conto sul quale vengono addebitate e accreditate le operazioni di pagamento eseguite a valere su una carta di debito o di credito.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato inoltre previsto che, in caso di mancata stipula della convenzione nel termine previsto, le caratteristiche del conto corrente di base o del conto di pagamento di base vengono fissate con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia (comma 3).

La convenzione individua le caratteristiche del conto avendo riguardo ai seguenti criteri (comma 5):

a)   inclusione nell’offerta di un numero adeguato di servizi ed operazioni, compresa la disponibilità di una carta di debito; nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato che tale carta di debito è gratuita;

b)   struttura dei costi semplice, trasparente, facilmente comparabile;

c)   livello dei costi coerente con finalità di inclusione finanziaria e conforme a quanto stabilito dalla sezione IV della Raccomandazione della Commissione europea del 18 luglio 2011sull’accesso al conto corrente di base;

d)   le fasce socialmente svantaggiate di clientela alle quali il conto corrente è offerto senza spese.

 

La Sezione IV della Raccomandazione della Commissione europea del 18 luglio 2011 sull’accesso al conto corrente di base prevede che gli Stati membri dovrebbero garantire che un conto di pagamento di base sia offerto gratuitamente o con una spesa ragionevole. Nel caso in cui un prestatore di servizi di pagamento applichi delle spese al consumatore per l’apertura, la gestione e la chiusura di un conto di pagamento di base, oppure per uno, alcuni o tutti i servizi di pagamento che dovrebbe offrire, l’entità di tali spese dovrebbe essere ragionevole.

Eventuali ulteriori spese addebitate dal prestatore di servizi di pagamento in relazione al contratto del conto di pagamento di base, comprese quelle risultanti dalla violazione degli obblighi contrattuali del consumatore, dovrebbero essere ragionevoli.

Gli Stati membri dovrebbero definire il principio di ragionevolezza della spesa alla luce di uno o più dei seguenti criteri:

a)  livelli di reddito nazionali;

b)  media delle commissioni applicate ai conti di pagamento in tale Stato membro;

c)  costi complessivi di un conto di pagamento di base sopportati dal prestatore del servizio;

d)  prezzi al consumo nazionali.

 

Il rapporto del conto corrente di base è esente dall’imposta di bollo per le fasce socialmente svantaggiate di clientela (comma 6).

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato precisato (comma 3, ultimo periodo) che la convenzione stabilisce anche l’ammontare degli importi delle commissioni da applicare sui prelievi effettuati con carta autorizzata tramite la rete degli sportelli automatici presso una banca diversa da quella del titolare della carta.

Rimane ferma (comma 8) l’applicazione di quanto previsto per i contratti di conto corrente ai sensi del Titolo VI del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), relativo alla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stata, inoltre, richiamata la normativa disposta dal Titolo II del citato decreto legislativo n. 11 del 2010, attuativo della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno. Il Titolo II disciplina i diritti e gli obblighi delle parti di un contratto per la prestazione di servizi di pagamento. Al riguardo si richiama il citato provvedimento del 5 luglio 2011 della Banca d’Italia.

 

I commi 9 e 10 attribuiscono all’Associazione Bancaria Italiana, alle associazioni delle imprese rappresentative a livello nazionale e, a seguito delle modifiche introdotte in sede referente, alle associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, a Poste Italiane, al Consorzio Bancomat e alle imprese che gestiscono circuiti di pagamento, il compito di definire, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni interbancarie a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, di credito o di debito, che, in ogni caso, non può superare la percentuale dell'1,5 per cento.

 

Entro i sei mesi successivi il Ministero delle sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (il cui parere è stato aggiunto nel corso dell’esame in sede referente) valuta l’efficacia delle misure definite. In caso di esito positivo, a decorrere dal primo giorno del mese successivo, le regole così definite si applicano anche alle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti(gratuite sia per l'acquirente che per il venditore per gli importi inferiore ai 100 euro, ai sensi del comma 7 dell’articolo 34 della legge 12 novembre 2011, n. 183).

 

Il comma 11 integra l’articolo 51, comma 1, del decreto legislativo n. 231 del 2007, prevedendo che la comunicazione della infrazione da parte di coloro che in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività hanno notizia di infrazioni alle disposizioni di cui all'articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12, 13 e 14, sia inviata entro trenta giorni, oltre che al Ministero dell'economia e delle finanze per la contestazione, anche alla Agenzia delle entrate, con le modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia.

 

 

Sotto l’aspetto sanzionatorio del mancato rispetto delle normative antiriciclaggio, si ricorda che, ai sensi dell’articolo 58 del decreto legislativo n. 231 del 2007, chi riceve o paga in un’unica soluzione con contanti, superando il limite dei 1.000 euro, o, sempre superando il limite citato, emette assegni omettendo l’indicazione del nome del beneficiario o la clausola di non trasferibilità, è soggetto ad una sanzione amministrativa compresa tra l’1% ed il 40% dell’importo trasferito.


 

Articolo 13, commi 1-17
(
Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria)

 

 

L’articolo 13, modificato durante l’esame del provvedimento in sede referente,anticipa al 2012 l’applicazione dell’imposta municipale propria (IMU), istituita e disciplinata dal D.Lgs. sul federalismo municipale (D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23).

Per effetto delle modifiche operate dalle commissioni riunite V e VI:

§      viene innalzato da 60 a 80 il moltiplicatore catastale ai fini della determinazione della base imponibile IMU per gli immobili appartenenti alla categoria catastale D/5 (istituti di credito, cambio ed assicurazione); per gli altri immobili di categoria D, l’importo del moltiplicatore è elevato da 60 a 65 a decorrere dal 1° gennaio 2013;

§      è previsto un innalzamento dell’importo della detrazione d’imposta per la “prima casa” pari a 50 euro per ciascun figlio di età non superiore ai 26 anni, purché residente e dimorante nell’immobile adibito ad abitazione principale;

§      sono modificate le disposizioni relative all’accatastamento di fabbricati rurali, in particolare prevedendo l’obbligo di dichiarare al catasto edilizio urbano i fabbricati rurali iscritti al catasto terreni, conseguentemente abrogando il comma 21 dell’articolo in esame.

Applicazione dell’Imposta municipale propria

In primo luogo, (comma 1) le disposizioni in commento prevedono un periodo di applicazione sperimentale a decorrere dal 2012 e fino al 2014, con applicazione dell’IMU in tutti i comuni del territorio nazionale, secondo:

§      la disciplina generale dell’imposta recata dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in quanto compatibili;

§      le disposizioni contenute nel medesimo articolo 13 in esame.

 

L’applicazione a regime dell'imposta municipale propria è invece fissata al 2015.

 

L’IMU nel sistema del federalismo fiscale municipale

Gli articoli 8 e 9 del D.Lgs. n. 23 del 2011 hanno istituito e disciplinato l’imposta municipale propria. Il provvedimento ne fissa la decorrenza dal 2014, attribuendo il relativo gettito ai Comuni dalla medesima data.

Nel quadro del federalismo, l’IMU è volta a sostituire, per la componente immobiliare, le seguenti forme di prelievo:

§      l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e le relative addizionali dovute sui redditi fondiari, con riferimento ai beni non locati[55].

§      l’imposta comunale sugli immobili (ICI).

Tuttavia, l’articolo 9, comma 9 del D.Lgs. 23/2011 precisa che continueranno ad essere assoggettati ad imposta sui redditi:

§      il reddito agrario di cui all’articolo 32 del TUIR (D.P.R. n. 917/1986);

§      i redditi fondiari diversi da quelli cui si applica la “cedolare secca”;

§      i redditi derivanti dagli immobili non produttivi di reddito fondiario (ai sensi dell’articolo 43 del TUIR;

§      i redditi provenienti dagli immobili posseduti dai soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società.

 

Presupposto dell’imposta (articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 23/2011) è il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale.

Sono (articolo 9, comma 1, del D.Lgs. 23/2011) soggetti passivi dell’imposta municipale:

§      il proprietario o il titolare di un diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi o superficie) di immobili. Sono considerati immobili anche i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, nonché quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa;

§      il concessionario, nel caso di concessione di aree demaniali;

§      il locatario, a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto di leasing[56], se l’immobile - anche da costruire o in corso di costruzione – è concesso in locazione finanziaria.

 

La base imponibile dell’imposta municipale propria (articolo 8, comma 4, del D.Lgs. 23/2011) corrisponde al valore dell’immobile determinato secondo i vigenti criteri validi per il calcolo dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), a mente dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 504/1992: ai sensi del richiamato articolo 5 il valore è costituito, per i fabbricati iscritti in catasto, dal prodotto tra le rendite catastali rivalutate del 5%[57] e uno dei coefficienti determinati dal D.M. 14 dicembre 1991[58].

In particolare, per i fabbricati inscritti in catasto, la base imponibile è rappresentata dalla rendita catastale dell'immobile, rivalutata del 5%, moltiplicata per i seguenti valori stabiliti dal D.M. 14 dicembre 1991 e successive modifiche (per dettagli si veda infra).

L’aliquota di base, stabilita a livello nazionale, (articolo 8, comma 5 del D.Lgs. 23/2011) è fissata nella misura dello 0,76 per cento e può essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Ai comuni è concessa la facoltà di modificare, con deliberazione consiliare adottata entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, in aumento o in diminuzione, l’aliquota fissata a livello nazionale, nelle seguenti misure:

§      fino ad un massimo di 0,3 punti percentuali per l’imposta municipale applicata al possesso di immobili non locati;

§      fino ad un massimo di 0,2 punti percentuali per l’IMU applicata agli immobili locati.

Nel caso di mancata emanazione della delibera comunale entro il predetto termine, si applicano le aliquote ordinarie: 0,76 per cento, per gli immobili non locati che non costituiscono abitazione principale; per gli immobili locati, ai sensi del successivo comma 6, un’aliquota ridotta alla metà (0,38 per cento).

 

Le disposizioni del decreto legislativo sul federalismo municipale prevedono che l’imposta non si applichi (articolo 8, comma 3 del D.Lgs. 23/2011) sugli immobili adibiti ad abitazione principale e le relative pertinenze.

Il beneficio della esenzione per l’abitazione principale è riconosciuto solo se l’immobile è il luogo in cui il contribuente ha sia la residenza anagrafica sia la dimora abituale[59], purché si tratti di un immobile iscritto o iscrivibile al catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare in una categoria diversa da A/1, A/8 e A/9 (corrispondenti, rispettivamente, alle abitazioni di tipo signorile, abitazioni in ville e ai castelli e palazzi di eminenti pregi artistici o storici, che sono dunque assoggettati a imposta municipale propria, ancorché destinati ad abitazione principale del contribuente).

Il beneficio è esteso alle unità pertinenziali classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7[60], nella misura massima di una unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.

I commi 6 e 7 dell’articolo 8 del D.Lgs. 23/2011 disciplinano alcune ipotesi in cui l’aliquota è ridotta (riduzione a metà dell’aliquota ordinaria per immobili locati; facoltà dei comuni, con delibera del consiglio di ridurre sino alla metà l’aliquota ordinaria in specifiche ipotesi).

L’articolo 9, comma 8 del D.Lgs. 23/2011 reca le ulteriori esenzioni dall’imposta municipale propria, richiamando quasi del tutto la disciplina relativa all’ICI.

In particolare, sono esenti dall'imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali.

Sono inoltre richiamate le norme dell'articolo 7 del D.Lgs. n. 504 del 1992, ai sensi delle quali sono esenti da imposta:

§      i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9 (articolo 7, comma 1, lettera b) del D.Lgs. n. 504/1992)[61];

§      i fabbricati con destinazione ad usi culturali[62] (di cui all'art. 5-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601), ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 504/1992);

§      i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8[63] e 19[64] della Costituzione, e le loro pertinenze (articolo 7, comma 1, lettera d) del D.Lgs. n. 504/1992);

§      i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato Lateranense, sottoscritto l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810 (articolo 7, comma 1, lettera e) del D.Lgs. n. 504/1992);

§      i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è prevista l'esenzione dall'imposta locale sul reddito (ILOR[65]) dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia (articolo 7, comma 1, lettera f) del D.Lgs. n. 504/1992);

§      i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984[66] (articolo 7, comma 1, lettera h) del D.Lgs. n. 504/1992);

§      gli immobili utilizzati dai soggetti IRES destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di religione o di culto, ovvero quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana (articolo 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 504/1992).

Rispetto alla disciplina ICI, sono esclusi dall’esenzione e dunque assoggettati a IMU i fabbricati i quali, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati ad attività assistenziali, limitatamente al periodo in cui sono adibiti direttamente allo svolgimento delle attività medesime (articolo 7, comma 1, lettera g) del D.Lgs. n. 504/1992).

 

 

Il comma 2 dell’articolo in esame fissa il presupposto dell’imposta municipale propria nel possesso di immobili, ovvero fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli (di cui all'articolo 2 del D.Lgs. n. 504/1992), compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa.

Come già illustrato supra, l’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 23/2011 fissa il presupposto dell’IMU nel possesso di immobili diversi dall’abitazione principale.Per effetto delle norme in esame, dunque, essa si applicherà anche all’abitazione principale e alle sue pertinenze.

 

Ai sensi dell’articolo 2 del citato D.Lgs. n. 504/1992, per “fabbricato” si intende l'unità immobiliare iscritta o da iscrivere nel catasto edilizio urbano. Si considera parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza; il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all'imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato. Si ricorda che ai sensi dell'art. 23, comma 1-bis, del D.L. n. 207 del 2008[67] non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità.

Per “area fabbricabile” si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici (generali o attuativi) ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione, determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità. Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale, sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali. Il comune, su richiesta del contribuente, attesta se un'area sita nel proprio territorio è fabbricabile in base a tali criteri.

Per terreno agricolo si intende il terreno adibito all'esercizio delle attività agricole (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali) e le attività ad esse connesse, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile.

 

Per abitazione principale deve intendersi l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente.

 

Per quanto riguarda la disciplina ICI, l’articolo 1, comma 1 del decreto-legge n. 93 del 2008[68] (abrogato dalle norme in commento, cfr. il commento al comma 13 dell’articolo in esame) ha introdotto, a decorrere dal 2008 l’esenzione dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale e relative pertinenze[69] del soggetto passivo.

Si intende per abitazione principale (comma 2 dell’articolo 1 del D.L. 93/2008):

-        l’unità immobiliare ove abitualmente dimorano il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari (articolo 8, comma 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992)[70];

-        le unità immobiliari che il comune, con regolamento o delibera, abbia assimilato all’abitazione principale[71].

Gli immobili di pregio (immobili signorili, le ville ed i castelli inseriti rispettivamente nelle categorie catastali A01, A08 ed A09), ancorché adibiti ad abitazione principale del soggetto passivo, sono esclusi dall’esenzione (comma 2, ultimo periodo). Ad essi, tuttavia, si continua ad applicare la detrazione “ordinaria” per l’abitazione principale, prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 504 del 1992.

 

Per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo.

In base alla classificazione operata dall’Agenzia del territorio, rientrano nella categoria C/2 i magazzini e locali di deposito, nella categoria C/6 le stalle, scuderie, rimesse, autorimesse (senza fine di lucro) e nella categoria C/7 le tettoie chiuse od aperte.

 

Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che base imponibile dell'imposta municipale propria è costituita dal valore dell'immobile (ai sensi dell’articolo 5, comma 1 del D.Lgs. n. 504/1992).

Al fine di determinare il valore dell’immobile, è anzitutto richiamata la disciplina che consente di determinare la base imponibile ICI ('articolo 5, commi 3, 5 e 6 del D.Lgs. 504/1992) relativa ai fabbricati di gruppo D non iscritti in catasto e le aree fabbricabili.

In particolare, l’articolo 5, comma 3 prevede che, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D (opifici, alberghi, teatri, ecc.) non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato alla data di inizio di ciascun anno solare (ovvero, se successiva, alla data di acquisizione) dal costo risultante dalle scritture contabili al lordo delle quote di ammortamento maggiorato con l'applicazione di appositi coefficienti[72].

Per le aree fabbricabili la base imponibile è data dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione. Si deve aver riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche (articolo 5, comma 5).

In caso di utilizzazione edificatoria dell'area, di demolizione di fabbricato e di interventi di recupero la base imponibile è costituita dal valore dell'area senza computare il valore del fabbricato in corso d'opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato (successivo comma 6).

 

Il valore dei fabbricati e dei terreni agricoli si determina invece secondo quanto previsto nei successivi commi 4 e 5 dell’articolo 13 in commento.

Rispetto alla disciplina vigente a fini ICI, le disposizioni in commento modificano, aumentandoli, i moltiplicatori da applicare alle rendite catastali. Inoltre, sono le stesse disposizioni di rango primario a determinare la misura dei predetti coefficienti; l’articolo 5 del D.Lgs. 504/1992 ne demanda invece la fissazione a un decreto ministeriale.

In particolare, per i fabbricati (comma 4, modificato nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente) il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento (ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), specifici moltiplicatori:

§      160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10 (comma 4, lettera a));

§      140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5 (comma 4, lettera b));

§      80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale D/5, ovvero gli istituti di credito, cambio e assicurazione (comma 4, lettera b-bis), inserita a seguito dell’esame del provvedimento in sede referente);

§      80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10 (comma 4, lettera c));

§       60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D,(comma 4, lettera d)), con l’eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5, per i quali – come visto supra – il moltiplicatore si applica nella misura di cui alla lettera b-bis); per gli altri immobili di categoria D, l’importo del moltiplicatore è elevato da 60 a 65 a decorrere dal 1° gennaio 2013;

§      55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1 (comma 4, lettera e)).

 

Attualmente, a fini ICI (e in rapporto al rinvio operato dall’articolo 8, comma 4 del D.Lgs. 23/2011), per i fabbricati inscritti in catasto, la base imponibile è rappresentata dalla rendita catastale dell'immobile, rivalutata del 5%, moltiplicata per i seguenti valori (di cui al D.M. 14 dicembre 1991 e successive modifiche):

§      per 140 se si tratta di fabbricati classificati nei gruppi catastali B (collegi, convitti, ecc.)[73];

§      per 100 per i fabbricati dei gruppi catastali A (abitazioni) e C (magazzini, depositi, laboratori, ecc.), con esclusione delle categorie A/10 e C/1;

§      per 50 per i fabbricati del gruppo catastale D (opifici, alberghi, teatri, ecc.) e della categoria A/10 (uffici e studi privati);

§      per 34 per i fabbricati della categoria C/1 (negozi e botteghe).

 

Per i terreni agricoli (comma 5) il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento (ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) un moltiplicatore pari a 120.

L’articolo 5, comma 7 del D.Lgs. 1992/504 prevede che per i terreni agricoli la base imponibile ICI sia data dal reddito dominicale, rivalutato del 25 per cento, moltiplicato per 75.

 

Il comma 6 dell’articolo 13 fissa l'aliquota dell'imposta in una misura di base pari allo 0,76 per cento.

E’ data facoltà ai comuni, con deliberazione del consiglio adottata entro il termine di approvazione del bilancio di previsione (ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446) di modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali.

 

Si ricorda che a fini ICI l’aliquota dell’imposta (articolo 6 del D.Lgs. 504/1992) è determinata dal Consiglio comunale, con deliberazione da adottare entro il 31 ottobre di ogni anno, ciascun anno per l’anno successivo, e deve essere definita in misura compresa tra il 4 e il 7 per mille.

Il comune ha facoltà di diversificare l’aliquota entro il predetto limite, con riferimento ai casi di immobili diversi dalle abitazioni o posseduti in aggiunta all'abitazione principale, o di alloggi non locati. Inoltre, l'aliquota può essere agevolata in rapporto alle diverse tipologie degli enti senza scopi di lucro. A decorrere dall’anno di imposta 2009, il comune può prevedere un’aliquota agevolata anche inferiore al 4 per mille per i soggetti passivi che installino impianti a fonte rinnovabile per la produzione di energia elettrica o termica per uso domestico, limitatamente alle unità immobiliari oggetto di detti interventi e per la durata massima di tre anni per gli impianti termici solari e di cinque anni per tutte le altre tipologie di fonti rinnovabili. In assenza di delibera del Comune, si applica l’aliquota del 4 per mille.

 

Come già detto in precedenza, l’articolo 8, comma 5 del D.Lgs. 23/2011 fissa la misura dell’aliquota di base IMU nello 0,76 per cento della base imponibile. Tale aliquota può essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Ai comuni è concessa la facoltà di modificare, con deliberazione del consiglio comunale adottata entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, in aumento o in diminuzione, l’aliquota fissata a livello nazionale, nelle seguenti misure[74]:

-        fino ad un massimo di 0,3 punti percentuali per l’imposta municipale applicata al possesso di immobili non locati;

-        fino ad un massimo di 0,2 punti percentuali per l’IMU applicata agli immobili locati.

Nel caso di mancata emanazione della delibera comunale entro il predetto termine, si applicano le aliquote ordinarie: 0,76 per cento, per gli immobili non locati che non costituiscono abitazione principale; per gli immobili locati, ai sensi del successivo comma 6, un’aliquota ridotta alla metà (0,38 per cento).

 

I commi 7 e 8 disciplinano le ipotesi di aliquota ridotta ex lege. In particolare, l’aliquota:

§      è ridotta (comma 7) allo 0,4 per cento per l'abitazione principale e per le relative pertinenze. Tale misura di aliquota ridotta può essere modificata dai comuni, in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti percentuali;

§      è ridotta (comma 8) allo 0,2 per cento per i fabbricati rurali ad uso strumentale, di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557[75]. I comuni possono ulteriormente ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1 per cento.

Ai fini fiscali, è riconosciuto carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola e aventi particolari destinazioni destinate (protezione delle piante, conservazione dei prodotti agricoli, etc). Ai sensi del successivo comma 3-ter, le porzioni di immobili di cui al comma 3-bis, destinate ad abitazione, sono censite in catasto, autonomamente, in una delle categorie del gruppo A.

 

In merito, la Relazione illustrativa precisa che i fabbricati rurali risultano assoggettati all’IMU, salvo i fabbricati rurali aventi natura strumentale che, come visto supra, godono di un’aliquota agevolata. I fabbricati rurali ad uso abitativo saranno assoggettati ad imposizione in forma ordinaria e, dunque, ove costituiscano abitazione principale del contribuente, potranno usufruire di aliquota ridotta e della detrazione di cui al comma 10.

 

Inoltre (comma 9) i comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per cento nei seguenti casi: caso di immobili non produttivi di reddito fondiario ai sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, ovvero nel caso di immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, ovvero nel caso di immobili locati.

 

Il comma 10 introduce una detrazione pari a 200 euro dall’l'imposta dovuta sull’abitazione principale, fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta, rapportata al periodo dell'anno durante il quale si protrae la destinazione dell’immobile ad abitazione principale.

Ove l’immobile costituisca “prima casa” per più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.

Per effetto delle modifiche apportate dalle Commissioni riunite V e VI, è stata introdotta la possibilità di maggiorare la suddetta detrazione per un ammontare pari a 50 euro per ciascun figlio di età non superiore ai 26 anni, purché dimori abitualmente ed abbia la residenza anagrafica nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.

L’importo complessivo della maggiorazione non può superare l’importo massimo di 400 euro, al netto della detrazione di base.

E’ data facoltà ai comuni di elevare l’importo di della detrazione, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune non può stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione.

La suddetta detrazione si applica alle unità immobiliari di proprietà delle cooperative edilizie, ove adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari e dagli enti di edilizia residenziale pubblica con la medesima destinazione (di cui all’articolo 8, comma 4 del D.Lgs. n. 504 del 1992).

L’aliquota ridotta per l’abitazione principale e la detrazione si applicano anche alla casa coniugale del soggetto passivo che, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non ne risulti tuttavia assegnatario.

Essa opera a condizione che costui non sia proprietario o titolare di altro diritto reale su un immobile destinato ad abitazione e situato nello stesso comune ove è ubicata la casa coniugale (ai sensi dell’articolo 6, comma 3-bis del D.Lgs. n. 504 del 1992, inserito dalla legge finanziaria per il 2008). I comuni possono disporre che l’aliquota ridotta e la detrazione si applichino anche agli immobili posseduti, a titolo di proprietà o di usufrutto, da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che l’immobile non risulti locato (articolo 3, comma 56, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

 

Si ricorda che l’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. n. 504 del 1992[76] prevede, per l’abitazione principale del contribuente, una detrazionedi importo annuopari a 103,29 euro. La misura del beneficio, che può essere portato in detrazione fino a concorrenza del suo ammontare, deve essere rapportata al periodo dell'anno durante il quale si protrae l’utilizzo dell’immobile come prima casa. A decorrere dall'anno di imposta 1997, l’importo ordinario della detrazione può essere ulteriormente incrementato con delibera comunale. In particolare, il comma 3 dell’articolo 8 stabilisce che l'imposta dovuta per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo possa essere ridotta fino al 50 per cento ovvero, in alternativa, che la detrazione ordinaria - pari a 103,29 euro - possa essere elevata fino a 258,23 euro, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio.

A seguito dell’esenzione dall’ICI dell’abitazione principale “non di lusso” operata con il D.L. 93/2008, la suddetta detrazione ha continuato a trovare applicazione in rapporto agli immobili adibiti ad abitazioni principali di pregio (appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8, A/9).

 

Il comma 11 disciplina il riparto del gettito dell’IMU, per il periodo sperimentale, tra i diversi livelli di governo (Stato e comuni).

 

Le disposizioni in esame prevedono l’assegnazione, dal 2012, allo Stato della quota pari alla metà dell’importo ottenuto applicando l’aliquota di base dello 0,76 per cento alla base imponibile di tutti gli immobili, tranne l’abitazione principale e relative pertinenze e i fabbricati rurali.

 

La quota di imposta risultante è versata allo Stato contestualmente all’imposta municipale propria.

Alla quota statale non si applicano le misure agevolative previste dalle norme in esame, ovvero le detrazioni fissate ex lege e le riduzioni o detrazioni deliberate dai comuni.

Tali agevolazioni sembrano dunque doversi computare a carico della quota di gettito spettante ai comuni.

In tal senso depone la Relazione tecnica, che stima un gettito complessivo derivante dall’IMU sperimentale pari a 21,8 miliardi di euro, ovvero 11 miliardi in più rispetto al gettito ICI a normativa vigente e IRPEF e relative addizionali, sostituiti dall’IMU sperimentale. La Relazione tecnica stima, di conseguenza, che nove miliardi della predetta variazione siano introitati dallo Stato e che, invece, ai comuni spetti una variazione positiva di gettito pari a due miliardi rispetto alle vigenti forme di prelievo immobiliare.

 

Si rimanda alla disciplina del D.Lgs. 23/2011 per quanto riguarda l’accertamento,la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso.

L’articolo 9, comma 7 del D.Lgs. 23/2011 fa riferimento alle norme vigenti in materia di ICI e, più in generale, alla vigente disciplina di accertamento e riscossione dei tributi locali per quanto riguarda l’accertamento, la liquidazione, la riscossione coattiva dell’IMU, nonché per le sanzioni, il calcolo degli interessi, il contenzioso e i rimborsi[77].

 

Le attività di accertamento e riscossione dell’imposta erariale sono affidate al Comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddetta attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni.

 

In merito si ricorda che il legislatore, nel tempo, ha incrementato la quota di gettito spettante ai comuni a seguito dell’intervento degli stessi nell’attività di accertamento dei tributi. Da ultimo, l’articolo 1, comma 12-bis del D.L. 138/2011 ha attribuito ai predetti enti, per il triennio 2012-2014, l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento, innalzando a tal fine la quota del 50 per cento di gettito prevista dall’articolo 2, comma 10 del D.Lgs. n. 23/2011; in sostanza per gli anni 2012, 2013 e 2014 ai comuni andrà l’intero maggior gettito ottenuto a seguito dell’intervento svolto dall’ente stesso nell’attività di accertamento, anche se si tratta di somme riscosse a titolo non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo.

 

Ai sensi del comma 12, il versamento dell’imposta è effettuato – in deroga alle disposizioni del D.Lgs. n. 446/1997, ai sensi del quale il comune delibera i propri regolamenti in materia tributaria – secondo le modalità regolate dalla legge statale (articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241 recante le modalità di versamento unitario delle imposte), con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate.

La Relazione illustrativa specifica che l’uso del modello F24 è reso necessario dalla riserva di una quota di gettito in favore dello Stato.

 

Il comma 13 mantiene ferme le seguenti disposizioni del D.Lgs. 23/2011:

§      articolo 9, che contiene norme eterogenee in materia di “applicazione” dell’imposta, riferendosi – tra l’altro - ai soggetti passivi, alle fattispecie di esenzione, alla possibilità del Comune di introdurre strumenti deflativi del contenzioso anche in materia di IMU;

§      articolo 14, commi 1 e 6:si tratta, rispettivamente, della disposizione che sancisce la indeducibilità del'imposta municipale propria dalle imposte erariali sui redditi e dall'imposta regionale sulle attività produttive, nonché della norma che conferma la potestà regolamentare in materia di entrate degli enti locali - di cui agli articoli 52 e 59 del citato decreto legislativo n. 446 del 1997 - per i nuovi tributi previsti dal D.Lgs. 23/2011, dunque anche in materia di IMU.

 

Viene poi modificato l’articolo 14, comma 9 del D.Lgs. 23/2011, norma che assicura all’Associazione Nazionale dei comuni italiani (ANCI) le risorse necessarie al perseguimento delle sue finalità istituzionali, di quelle indicate dall’articolo 10, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992, nonché degli ulteriori compiti attribuiti ad essa con i decreti legislativi emanati in attuazione della legge n. 42 del 2009, anche al fine di assistere i comuni nell'attuazione del presente decreto e nella lotta all'evasione fiscale.

Il comma 9 a tal fine richiama le risorse assegnate all’ANCI, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, del citato decreto legislativo n. 504 del 1992; tale disposizione prevede, quale supporto finanziario per l’effettuazione di una serie di servizi finalizzati a fornire strumenti conoscitivi per un’efficace azione accertativa dei comuni nonché per agevolare i processi telematici di integrazione nella pubblica amministrazione ed assicurare il miglioramento dell'attività di informazione ai contribuenti, l’assegnazione all’ANCI di un contributo pari allo 0,6 per mille del gettito ICI a carico dei soggetti che provvedono alla riscossione.

Il comma 9 precisa che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le risorse destinate all’ANCI siano calcolate applicando l'aliquota percentuale allo 0,6 per mille, indicata nell’art. 10 del D.Lgs. n. 504/1992, con riferimento al gettito annuale prodotto dall’imposta municipale propria, istituita dall’articolo 8 del provvedimento in esame.

Per effetto delle norme in esame, le suddette modalità di computo delle risorse sono anticipate al 1° gennaio 2012 (in luogo del 1° gennaio 2014).

 

Il comma 13 reca anche disposizioni in materia di sanzioni, disponendo che si applichino alle violazioni connesse a tributi di carattere locale (tra cui l’IMU) le misure stabilite in via generale dagli articoli 16 e 17 del D.Lgs. n. 472/1997 in materia di definizione agevolata delle violazioni tributarie.

Come precisato dalla Relazione illustrativa, in merito, tale modifica è resa necessaria a seguito delle modifiche operate dalla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010) che ha rideterminato la misura delle sanzioni previste per la definizione agevolata delle violazioni tributarie. Tale rimodulazione non era stata analogamente operata per le misure delle sanzioni relative ai tributi locali.

Con norma interpretativa si prevede poi che, ai fini dell’attribuzione di privilegio generale sui mobili del debitore per i crediti relativi a imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province (di cui al quarto comma dell’articolo 2752 del codice civile) il riferimento alle forme di prelievo stabilite, tra l’altro, dalla “legge per la finanza locale” si intenda effettuato a tutte disposizioni che disciplinano i singoli tributi comunali e provinciali.

Infine, il comma 13 reca disposizioni relative alla riduzione dei trasferimenti erariali a favore dei comuni,disposta dall’articolo 2, commi 39 e 46 del D.L. 262/2006 in rapporto alla maggior gettito ICI risultante dalle disposizioni di allargamento della base imponibile recate dal medesimo provvedimento.

Per effetto delle disposizioni in commento, la riduzione è consolidata, a decorrere dall’anno 2011, all’importo risultante dalle certificazioni inviate ai comuni ai sensi del decreto 7 aprile 2010 del Ministero dell’economia e delle finanze.

Si ricorda che le citate norme hanno ridotto i trasferimenti erariali ai comuni in misura pari al maggior gettito ICI stimato in rapporto alle misure introdotte dal medesimo D.L. n. 262/2006. Tale provvedimento ha infatti recato (articolo 2, commi 33-38 e 40-45) norme volte a incrementare la base imponibile ICI mediante la modifica dei criteri per la qualificazione di fabbricati rurali, la rivalutazione delle rendite attribuite ai fabbricati inclusi nella categoria B e la revisione delle modalità di stima per l’attribuzione di valore ai cespiti iscritti nella categoria E.

Tale decreto è stato emanato in attuazione dell’articolo 2, comma 24, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, che ha obbligato i comuni a trasmettere al Ministero dell’interno un’apposita certificazione del maggior gettito, accertato a tutto l'anno 2009, derivante dalle predette misure di incremento della base imponibile ICI, perentoriamente entro il 31 marzo 2010.

 

Come emerge dalla Relazione illustrativa, in sostanza tale norma ha l’effetto di sopprimere l’obbligo di invio della predetta certificazione.

 

Il comma 14 reca l’abrogazione delle seguenti disposizioni che, per effetto delle modifiche apportate al provvedimento in sede referente, decorrono dal 1° gennaio 2012:

§      l’articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, che ha introdotto l’esenzione ICI sulla “prima casa” (v. supra);

§      il comma 3, dell’articolo 58 e le lettere d), e) ed h) del comma 1, dell’articolo 59 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 concernenti alcune potestà dei Comuni in materia di ICI;

§      l’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 8 e il comma 4 dell’articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, rispettivamente concernenti l’applicazione dell’aliquota IMU stabilita ex lege in mancanza di tempestiva delibera di modifica da parte del comune, e la disposizione che affida ai comuni di stabilire le modalità di corresponsione dell'imposta;

§      il comma 1-bis dell’articolo 23 del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207, ai sensi del quale il riconoscimento della ruralità dei fabbricati ai fini ICI deve essere effettuato sulla base dei requisiti di ruralità indicati ex lege (articolo 9 del decreto legge n. 557 del 1993) anche nel caso in cui le unità immobiliari risultino iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricato. Tale abrogazione consegue alla circostanza che, come già illustrato, detti fabbricati rientrano – come precisato dalla Relazione tecnica – nel campo applicativo dell’IMU.

 

A seguito delle modificazioni apportate al provvedimento in sede referente sono stati aggiunti i commi da 14-bis a 14-quaterrelative al riconoscimento della ruralità degli immobili. E’ di conseguenza abrogato il comma 21 dell’articolo in esame.

Ai sensi del comma 14-bis, le domande di variazione della categoria catastale volte al riconoscimento della ruralità degli immobili, presentate anche dopo il 30 settembre 2011 (ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis del D.L. 70 del 2011) e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame producono gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.

I termini per la presentazione delle domande erano stati determinati dal citato articolo 7, commi 2-bis e. 2-ter del D.L. n. 70 del 2011, che ha introdotte una specifica procedure per la modifica della categoria catastale degli immobili, volta al riconoscimento del carattere rurale dei fabbricati (ai sensi dell’articolo 9 del D.L. 557/1993). A tale scopo, le citate norme hanno disposto la presentazione di apposita domanda di variazione della categoria catastale - entro il termine originariamente fissato al 30 settembre 2011 - all'Agenzia del territorio, con autocertificazione attestante che l’immobile ha posseduto continuativamente per cinque anni i requisiti richiesti dalla legislazione vigente per il riconoscimento del carattere rurale. L'Agenzia del territorio - entro il termine del 20 novembre 2011 - verificata l'esistenza dei requisiti, convalida la certificazione e attribuisce la categoria catastale richiesta. Nel caso di mancato pronunciamento dell’amministrazione in termini, si consente al contribuente di assumere provvisoriamente (per 12 mesi) la categoria catastale richiesta. Ove intervenga un motivato diniego entro il 20 novembre 2012, il richiedente è tenuto al pagamento delle imposte non versate, degli interessi e delle sanzioni determinate in misura doppia.

 

Si demanda a un decreto del ministero dell’economia e delle finanze, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della citata legge di conversione, la determinazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.

 

Ai sensi del successivo comma 14-ter, è fatto obbligo di dichiarare al catasto edilizio urbano i fabbricati rurali iscritti al catasto terreni entro il 30 novembre 2012, con le modalità stabilite dal regolamento in materia di l'automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari (decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701).

Sono esclusi da tale obbligo dichiarativo i fabbricati che non costituiscono oggetto di inventariazione (articolo 3, comma 3 del decreto del Ministro delle finanze del 2 gennaio 1998, n, 28[78]), ovvero, a meno di una ordinaria autonoma suscettibilità reddituale, i seguenti immobili:

a)    manufatti con superficie coperta inferiore a 8 m2;

b)    serre adibite alla coltivazione e protezione delle piante sul suolo naturale;

c)    vasche per l'acquacoltura o di accumulo per l'irrigazione dei terreni;

d)    manufatti isolati privi di copertura;

e)    tettoie, porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, di altezza utile inferiore a 1,80 m, purché di volumetria inferiore a 150 m3;

f)      manufatti precari, privi di fondazione, non stabilmente infissi al suolo.

 

Nelle more della presentazione della suddetta domanda di accatastamento nel catasto edilizio urbano (comma 14-quater),l’IMU viene corrisposta a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla base della rendita delle unità similari già iscritte in catasto.

Le norme demandano ai Comuni la determinazione del conguaglio dell’imposta, a seguito di attribuzione di rendita catastale secondo quanto previsto dal citato D.M. n. 701 del 1994.

Infine, il comma 14-quater disciplina le conseguenze dell’eventuale inottemperanza all’obbligo di dichiarazione. In particolare in tal caso gli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell'interessato, alla iscrizione in catasto dell'immobile non accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate, notificando le risultanze del classamento e la relativa rendita (articolo 1, comma 336 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria 2005).

Le norme fanno salva l’applicazione delle sanzioni “previste dagli articoli 20 e 28” del RDL 13 aprile 1939, n. 652.

Si osserva che gli articoli citati prescrivono, rispettivamente, l’obbligo di denuncia delle variazioni nello stato e nel possesso degli immobili che implichino mutazioni rilevanti a fini catastali, nonché l’obbligo di accatastamento dei fabbricati nuovi e di denuncia dei fabbricati non più esenti da tributi immobiliari, nulla disponendo in materia di sanzioni. La norma sembrerebbe dunque più opportunamente riferibile alle sanzioni previste dalla legge per l’inottemperanza agli obblighi di dichiarazione o variazione. Si rammenta che, dal 1° luglio 2011, tali sanzioni sono state quadruplicate nell’importo minimo e massimo (ai sensi dell’articolo. 2, comma 12 del D.Lgs. n. 23 del 2011 in tema di federalismo municipale).

La circolare 4/T dell’Agenzia del Territorio del 29 aprile 2011 ha chiarito che gli importi minimo e massimo sono aumentati, passando rispettivamente da € 258,00 a € 1.032,00 e da € 2.066,00 a € 8.264,00.

 

Si ricorda che il comma 21 del’articolo 13, abrogato per effetto delle modifiche apportate al provvedimento in sede referente, disponeva una complessiva riapertura dei termini per le variazioni catastali dei fabbricati rurali, disciplinate dal citato D.L. n. 70/2011.

 

Il comma 15 interviene in ordine alla potestà regolamentare generale degli enti locali in materia tributaria, attualmente disciplinata dall’articolo 52 del decreto legislativo n.446/1997[79], prevedendo che a decorrere dall’anno d’imposta 2012 tutte le deliberazioni regolamentari e tariffarie dei comuni e delle province relative alle entrate tributarie debbano essere inviate al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e finanze (MEF) entro il termine già previsto dal medesimo articolo 52 (30 giorni dalla data in cui le deliberazioni sono divenute esecutive) ovvero comunque entro trenta giorni dalla scadenza del termine per l’approvazione del bilancio di previsione dell’ente interessato[80]. Si dispone infine che le deliberazioni in questione siano pubblicate nel sito del MEF, in sostituzione della pubblicazione del relativo avviso in G.U. come attualmente previsto.

 

Il comma 16 interviene in ordine all’addizionale Irpef, come disciplinata dal decreto legislativo n.360/1998[81], con riguardo in particolare all’articolo 1, comma 4 dello stesso, laddove si dispone che ai fini della determinazione dell’acconto dovuto per tale addizionale, l’aliquota della stessa, nonché la eventuale soglia di esenzione, sono assunte nella misura vigente per l’anno precedente, salvo che i comuni ne abbiano disposto la variazione con delibera pubblicata entro il 31 dicembre precedente l’anno di riferimento. Il comma 16 in esame anticipa tale data al 20 dicembre.

Il comma medesimo, inoltre interviene circa i criteri previsti dall’articolo 1, comma 11 del decreto-legge n.138/2011[82] in ordine alle eventuali differenziazioni di aliquote dell’addizionale. Tale disposizione prevede che i comuni, per assicurare la razionalità del sistema tributario e la salvaguardia dei criteri di progressività, possano stabilire aliquote dell’addizionale “differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale”. In luogo di tale previsione viene ora stabilito – con la evidente finalità di escludere l’eventualità di scaglioni di reddito non coincidenti con quelli statali – che i comuni possano differenziare le aliquote dell’addizionale “utilizzando esclusivamente gli stessi scaglioni di reddito” stabiliti dalla legge statale.

 

Il comma 17 riduce il Fondo sperimentale di riequilibrio ed il Fondo perequativo di cui, rispettivamente, agli articoli 2 e 13 del decreto legislativo n.23 del 2011[83], nonché i trasferimenti erariali dovuti alle regioni Sicilia e Sardegna[84], in misura corrispondente al maggior gettito derivante dalla nuova disciplina dell’ imposta municipale recata dai precedenti commi da 1 14 dell’articolo 13 in commento. A seguito di alcune modifiche introdotte durante l’esame presso le Commissioni, è stato precisato che si debba far riferimento al maggior gettito “stimato” e che i due Fondi ed i trasferimenti erariali considerati dal comma anziché essere “ridotti”, “variano in ragione delle differenze del gettito ad aliquota di base” derivanti dalle disposizioni recate dall’articolo 17 in commento.

La relazione tecnica cifra tale maggior gettito in circa 2 miliardi di euro annui, che quindi determinerà una riduzione di pari importo dei due fondi e dei trasferimenti considerati nel comma in esame.

Per quanto riguardo le rimanenti autonomie speciali (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Trento e Bolzano) si applicheranno le procedure previste all’articolo 27 della legge n.42/2009 sul federalismo fiscale, che dovranno assicurare il recupero al bilancio statale del maggior gettito. Nel corso dell’esame presso le Commissioni l’ammontare del recupero in questione è stato quantificato, rispettivamente per gli anni 2012, 2013 e 2014, in circa 1.627, 1.762 e 2.162 milioni. Si prevede peraltro che, fino alla conclusione di tali procedure – vale a dire fino all’emanazione delle norme di attuazione previste dallo stesso articolo 27 – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali di spettanza delle suddette regioni e province autonome venga accantonato un importo corrispondente al maggior gettito in questione.

L’articolo 27 prevede che le autonomie speciali concorrano al nuovo assetto fiscale delineato dalla legge n.42/2009 secondo criteri da stabilire con norme di attuazione dei rispettivi statuti, da emanare entro trenta mesi dall’entrata in vigore della legge 42 medesima (vale a dire entro il 21 novembre 2011). Tale termine risulta ora soppresso dall’articolo 28, comma 4, del decreto legge in commento.

Si segnala che sul Fondo sperimentale di riequilibrio comunale intervengono anche ulteriori articoli del decreto-legge in esame. In particolare, l’articolo 14 ne prevede, al comma 13-bis, una riduzione in misura pari ai maggiori introiti derivanti ai comuni dalla maggiorazione della tariffa relativa al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (che la relazione tecnica quantifica in circa 1 miliardo di euro a decorrere dal 2013) e l’articolo 28, che ne dispone, al comma 7, una riduzione per complessivi 1.415 milioni a decorrere dall’anno 2012.


 

Articolo 13, commi 18-19-bis
(
Diversa attribuzione della compartecipazione IVA ai comuni)

 

 

I commi 18 e 19 intervengono sui cespiti che alimentano il Fondo sperimentale di riequilibrio istituito dall’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2011, nonché, a seguito delle modifiche intervenute nel corso dell’esame in sede referente, sulle modalità di riparto.

 

Ai sensi di quanto dispone l’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n.23/2011, il Fondo è stato istituito per realizzare in forma progressiva, in una durata prevista per tre anni e comunque fino a quando non verrà attivato il Fondo perequativo previsto dall’articolo 13 del decreto medesimo, la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare. Il Fondo è alimentato dal gettito della imposizione immobiliare derivante dagli specifici tributi indicati nella norma (imposte ipotecarie, catastali, di registro, cedolare secca ed altri). Il comma 7 dello stesso articolo 2, dispone che con apposito decreto interministeriale sono stabilite le modalità di alimentazione del Fondo, nonché le quote del gettito dei tributi immobiliari che anno per anno sono devolute ai comuni in cui sono ubicati gli immobili. Per l’anno 2011 con decreto 21 giugno 2011 del Ministro dell’interno è stata data attuazione a tale disposizione.

Il comma 18 amplia il novero dei gettiti che confluiscono al Fondo, includendovi anche la compartecipazione IVA prevista dal comma 4 dell’articolo 2. Tale inclusione opera per tutto il triennio di sperimentazione dell’IMU stabilito dal comma 1 dell’articolo 13 in esame, vale a dire per gli anni dal 2012 al 2014.

 

L’articolo 2, comma 4, attribuisce ai comuni una compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto, la cui percentuale deve essere fissata in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del due per cento del gettito dell’imposta sulle persone fisiche. Fino a che non saranno disponibili le informazioni necessarie per attribuire tale compartecipazione sulla base del gettito IVA per provincia, l’articolo 2, comma 4, nonché l’articolo 14, comma 10, del decreto legislativo n. 23/2011 dispongono che l’attribuzione avvenga sulla base del gettito IVA per regione, suddiviso per il numero di abitanti del comune. Con D.P.C.M. 17 giugno 2011 è stata data attuazione a tale disposizione per l’anno 2011.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stata inoltre soppressa la disposizione – contenuta al citato articolo 2, comma 7, secondo periodo, del medesimo d.lgs. 23 del 2011 – che prevedeva, fino al 2013, quale criterio di riparto, la distribuzione tra i comuni di una quota pari al 30 per cento della dotazione del Fondo in base al numero dei residenti.

In conseguenza di quanto disposto dal comma 18, il comma 19 stabilisce che per il medesimo triennio non si applichino le sopra illustrate disposizioni dell’articolo 2, comma 4, e dell’articolo 14, comma 10, nella parte in cui le stesse stabiliscono che l’assegnazione del gettito IVA avvenga sulla base del gettito dell’imposta per provincia, suddiviso per il numero di abitanti del comune. A tale modalità di assegnazione sembrerebbe infatti ora non doversi più far ricorso, atteso che a seguito dell’inclusione nel Fondo sperimentale di riequilibrio la compartecipazione IVA in questione verrà distribuita secondo i criteri previsti per il Fondo stesso.

Il nuovo comma 19-bis stabilisce, quindi, che per gli anni 2012, 2013, e 2014, il D.P.C.M. volto a stabilire le modalità di attribuzione ai comuni del gettito derivante dall’imposta sul valore aggiunto (di cui all’articolo 2, comma 4, del D.Lgs. 23/2011) è esclusivamente finalizzato a fissare la percentuale di compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2 per cento al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.


 

Articolo 13, commi 20 e 21
(
Fondo di solidarietà mutui prima casa- Fabbricati rurali)

 

 

Il comma 20 incrementa la dotazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.

 

Il Fondo in esame è stato istituito con l’articolo 2, commi da 475-480della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), con una dotazione iniziale di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009.

Scopo del Fondo è di consentire ai mutuatari, per i contratti di mutuo relativi all’acquisto di immobili da adibire a prima casa di abitazione, di chiedere in determinate fattispecie la sospensione del pagamento delle rate.

In particolare il Fondo, nel caso di mutui bancari, provvede al pagamento dei costi delle procedure bancarie e degli onorari notarili necessari per il perfezionamento degli atti di sospensione dei pagamenti. La durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione. Il pagamento delle rate deve riprendere al termine della sospensione, secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto. Per accedere al Fondo, il mutuatario deve dimostrare di non essere in grado di provvedere al pagamento delle rate del mutuo, per le quali chiede la sospensione, e degli oneri delle procedure bancarie e degli onorari notarili necessari per il perfezionamento degli atti di sospensione dei pagamenti. Le norme di attuazione sono state stabilite con regolamento emanato con decreto del Ministro dell’economia n. 132 del 21 giugno 2010.

 

Il comma 21, abrogato nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, disponeva la riapertura dei termini stabiliti dal D.L. 70/2011 ai fini del riconoscimento dei requisiti di ruralità dei fabbricati.

I termini stabiliti erano stati determinati dall’articolo 7, co. 2-bis e co. 2-ter del D.L. n. 70 del 2011, che ha introdotte nuove modalità di riconoscimento della ruralità dei fabbricati a fini catastali (ai sensi dell’articolo 9 del D.L. 557/1993). A tale scopo il soggetto interessato presenta, entro il 30 settembre 2011, all'Agenzia del territorio apposita domanda di variazione della categoria catastale, con autocertificazione attestante che l’immobile ha posseduto continuativamente per cinque anni i requisiti richiesti dalla legislazione vigente per il riconoscimento del carattere rurale; entro il 20 novembre 2011 l'Agenzia del territorio, verificata l'esistenza dei requisiti, convalida la certificazione e attribuisce la categoria catastale richiesta. Nel caso di mancato pronunciamento dell’amministrazione in termini, si consente al contribuente di assumere provvisoriamente (per 12 mesi) la categoria catastale richiesta. Ove intervenga un motivato diniego entro il 20 novembre 2012, il richiedente è tenuto al pagamento delle imposte non versate, degli interessi e delle sanzioni determinate in misura doppia.


In particolare:

-        la lettera a) posticipava al 31 marzo 2012 (dal precedente 30 settembre 2011) il termine per la presentazione della domanda;

-        la lettera b) stabiliva che l'Agenzia del territorio procedesse all’assegnazione della categoria catastale entro il 30 giugno 2012 (invece del 20 novembre 2011);

-        la lettera c) posticipava al 30 giugno 2013 (dal 20 novembre 2012) il termine entro il quale l’amministrazione poteva negare l’attribuzione della richiesta categoria catastale, obbligando il richiedente al versamento delle dovute imposte, interessi e sanzioni.


 

Articolo 14
(Istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi)

 

 

L’articolo 14 istituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2013 il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.

 

La norma è volta a risolvere la questione della tassa comunale sui rifiuti, con particolare riferimento alla qualificazione della natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti - che assume rilevanza con particolare riferimento all’obbligo di assoggettare o meno le somme all’imposta sul valore aggiunto (IVA) - e che è stata oggetto di diverse interpretazioni e di un ampio contenzioso, sul quale si è pronunciata anche la Corte costituzionale.

 

L'attuale situazione tariffaria e l'evoluzione
normativa (dalla TARSU alle tariffe TIA1 e TIA2)

L’art. 238 del D.Lgs. 152/2006 disciplina la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (comunemente indicata come “tariffa integrata ambientale” o TIA2) prevedendo, tra l'altro, che chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa che costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

Contemporaneamente all’istituzione della TIA2, l'art. 238 ha disposto l'abrogazione della precedente "tariffa Ronchi" (istituita dall’art. 49 del D.Lgs. 22/1997 e comunemente indicata come “tariffa d’igiene ambientale” o TIA1, avendo lo stesso acronimo della tariffa prevista dall’art. 238 del Codice dell’ambiente).

L'attuazione concreta della TIA2 è stata tuttavia differita (dal comma 11 dell’art. 238 citato) fino all'emanazione di un apposito decreto attuativo, a tutt’oggi non ancora emanato. Nelle more dell’emanazione di tale decreto è stata disposta (sempre ai sensi del comma 11 citato) l’applicazione delle norme regolamentari vigenti, e quindi fatta salva l'applicazione della “tariffa Ronchi” nei comuni che l'avevano già adottata o per quelli che l’hanno adottata entro la fine del 2006, visto che dal 2007 al 2009 (in virtù del comma 184 della L. 296/2006) non è stato più possibile cambiare il regime di prelievo.

Si ricorda che l’art. 49, comma 1, del cd. decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997) ha soppresso la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU, disciplinata dal Capo III del D.Lgs. 507/1993), a decorrere dai termini indicati dal D.P.R. 158/1999 (Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani), entro i quali i comuni avrebbero dovuto provvedere all’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa. Il comma 1-bis del medesimo art. 49 ha comunque consentito ai comuni di deliberare, in via sperimentale, l'applicazione della tariffa anche prima dei citati termini.

Termini però che, per effetto di successive proroghe legislative operate nei confronti delle disposizioni dell’art. 11 del D.P.R. 158/1999, non sono mai diventati operativi. L’art. 11, come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 134, della legge 266/2005 (finanziaria 2006) prevede, infatti, l’applicazione del sistema tariffario non prima del 2007. Ma prima che tale norma potesse esplicare i suoi effetti è intervenuta la citata disposizione recata dal comma 184 della L. 296/2006, volta a lasciare invariato il regime di prelievo (e quindi a consentire, nei fatti, l’applicazione della TARSU), dapprima per l’anno 2007 e poi, sulla base di successive novelle, anche per gli anni 2008-2009. In tal modo, nei comuni in cui fino al 2006 si applicava la TARSU si è continuato ad applicarla, così come si è continuato ad applicare la cd. tariffa Ronchi nei comuni che, in virtù del comma 1-bis dell’art. 49 citato, avevano anticipato l’applicazione della tariffa in via sperimentale; tutto ciò nonostante lo spirare delle rispettive discipline legislative.

 

Relativamente alla mancata applicazione della TIA2 prevista dall’art. 238, si fa notare che sullo scenario normativo suesposto si è innestata la norma recata dall’art. 5, comma 2-quater, del D.L. 208/2008, modificata prima dall’art. 23, comma 21, del D.L. 78/2009 (convertito dalla legge 102/2009) e poi dall'art. 8, comma 3, del D.L. 194/2009 (convertito dalla L. 25/2010). Tale comma 2-quater, nel testo novellato, consente ai comuni di adottare comunque la TIA2 sulla base delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti (quindi del D.P.R. 158/1999), anche in mancanza dell’emanazione (entro il 30 giugno 2010) da parte del Ministero dell’ambiente del regolamento - previsto dall’art. 238, comma 6, del D.Lgs. 152/2006 - volto a disciplinare l’applicazione della stessa TIA2.

 

Sulla natura tributaria della TIA1

La qualificazione della natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti, oggetto di diverse interpretazioni e di un ampio contenzioso, assume rilevanza con particolare riferimento all’obbligo di assoggettare o meno le somme all’imposta sul valore aggiunto (IVA).

La questione della natura tributaria piuttosto che "corrispettivo per il servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani" della TIA1 è stata oggetto di diverse, e talora contrastanti, pronunce giurisdizionali, nonché di differenti interpretazioni dottrinali.

Tra le varie pronunce, di indubbio rilievo è la sentenza n. 238 del 2009 della Corte costituzionale che le ha riconosciuto natura tributaria (e, quindi, la conseguente competenza della Commissioni tributarie a dirimere le relative controversie), non rilevando "né la formale denominazione di «tariffa», né la sua alternatività rispetto alla TARSU, né la possibilità di riscuoterla mediante ruolo". Tale sentenza ha determinato, di fatto, l’esclusione dalla imponibilità ai fini IVA delle somme dovute e la conseguente presentazione di numerosi ricorsi da parte dei contribuenti per il rimborso dell’IVA pagata.

La Corte costituzionale, nell'indicare i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi, ha infatti affermato che essi sono indipendenti dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i prelievi stessi, e consistono piuttosto nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis: sentenze n. 238 del 2009; n. 141 del 2009; n. 335 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005).

Questa sentenza differisce da precedenti orientamenti assunti - tra l'altro - dalla Corte di Cassazione civile che aveva qualificato come non tributaria tale prestazione pecuniaria (S.U. ordinanza n. 3274/2006), anche se successive decisioni della Corte stessa, con varie motivazioni e differenze, avevano invece ricondotto detta prestazione nel novero dei tributi (S.U.: ordinanza n. 3171 del 2008, sentenze n. 13902/2007 e n. 4895/2006; sezioni semplici: sentenze n. 5298 e n. 5297 del 2009, n. 17526/2007).

Quanto affermato dalla Corte Costituzionale è stato successivamente ribadito anche dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 8313 dell’8 aprile 2010) secondo la quale “il fatto generatore dell’obbligo di pagamento è legato non all’effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all’utilizzazione di superficie idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio (punto 7.2.3.1. della sentenza n. 238/2009). Ciò fa della TIA, come già della TARSU, un tributo, la cui natura non può essere mutata se non sganciando l’obbligazione dal presupposto impositivo, e non attribuendo ad un privato un impossibile potere impositivo”.

 

L'interpretazione autentica prevista dal D.L. 78/2010 e la circolare del MEF

L’articolo 14, comma 33, del D.L. 78/2010 reca una norma interpretativa diretta ad affermare la natura non tributaria della TIA2. La stessa norma, inoltre, affida le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente al 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del D.L. 78/2010) alla giurisdizione ordinaria.

Come risulta chiaramente dall'analisi esposta nei paragrafi precedenti, la finalità della norma recata dal comma in esame non è quella di dirimere le possibili controversie originanti dalla recente giurisprudenza (in primis la sentenza n. 238/2009 della Corte costituzionale), in quanto tale giurisprudenza investe la TIA1, ma quella di creare le premesse per consentire un avvio ordinato della nuova tariffa integrata ambientale (TIA2), avvio consentito (v. supra) dalla disposizione recata dall’art. 5, comma 2-quater, del D.L. 208/2008.

Sul punto è successivamente intervenuta la circolare n. 3/DF dell'11 novembre 2010, con cui il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) ha fornito chiarimenti in materia di applicabilità dei prelievi concernenti la gestione dei rifiuti solidi urbani (TARSU, TIA1 e TIA2), dando anche indicazioni circa la natura non tributaria della tariffa e conseguente assoggettabilità all'IVA. In particolare il MEF ha chiarito che si applicano sia alla TIA1 che alla TIA2 le disposizioni contenute nell'art. 14, comma 33, del D.L. 78/2010, secondo il quale «la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria».

 

Recenti interventi normativi

Il comma 123 dell'art. 1 della L. 220/2010 (legge di stabilità 2011) ha previsto che, sino all'attuazione del federalismo fiscale, la sospensione del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuiti agli enti territoriali, fatta eccezione per gli aumenti relativi alla tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU).

Successivamente è intervenuta la disposizione introdotta dalla legge di conversione n. 10/2011 nel testo dell'art. 2 del D.L. 225/2010 (cd. milleproroghe). Il comma 2-bis prevede che, nelle more della completa attuazione delle disposizioni di carattere finanziario in materia di ciclo di gestione dei rifiuti (comprese quelle riguardanti anche la regione e gli enti locali della Campania recate dagli artt. 11-12 del D.L. 195/2009), la copertura integrale dei costi dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti può essere assicurata - anche in assenza di una dichiarazione dello stato di emergenza e anche in deroga alle vigenti disposizioni in materia di sospensione recate dal citato comma 123 - con le seguenti modalità:

-        applicazione delle disposizioni di cui al comma 5-quater della legge n. 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), concernente il potere, attribuito al Presidente della Regione colpita da calamità naturali, di coprire gli oneri derivanti con aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, delle imposizioni tributarie attribuite alla regione, nonché elevando la misura dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, fino ad un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita; viene raddoppiato, tuttavia, in tal caso, il limite di incremento di imposta previsto dal comma 5-quater;

-        facoltà, per comuni e province, di deliberare una maggiorazione delle addizionali all'accisa sull'energia elettrica in misura non superiore al vigente importo delle addizionali.

 

Da ultimo è intervenuto il comma 7 dell'art. 14 del D.Lgs. 23/2011 (federalismo fiscale municipale) secondo cui, fino alla revisione della disciplina dei prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali in materia di TARSU e TIA1.

Lo stesso comma dispone altresì che resta ferma la possibilità per i comuni di adottare laTIA2.

 

 

In particolare, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame, a decorrere dal 1° gennaio 2013 il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi copre:

§      i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni;

§      i costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.

 

Soggetto attivo dell'obbligazione tributaria è il comune nel cui territorio insiste, interamente o prevalentemente, la superficie degli immobili assoggettabili al tributo (comma 2).

 

Il tributo, ai sensi del comma 3, è dovuto - con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali o le aree stesse (comma 5) - da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva (comma 4).

 

In caso di utilizzi temporanei di durata non superiore a sei mesi, il tributo è dovuto soltanto dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, superficie (comma 6), mentre per i locali in multiproprietà e i centri commerciali integrati il soggetto che gestisce i servizi comuni è responsabile del versamento del tributo dovuto per i locali ed aree scoperte di uso comune (comma 7).

 

Ai sensi del comma 8, la tariffa è commisurata all’anno solare, cui corrisponde un'autonoma obbligazione tributaria, nonché alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie (comma 9), in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.

La superficie assoggettabile al tributo è pari all'80 per cento della superficie catastale.

I comuni possono modificare d'ufficio, dandone comunicazione agli interessati, le superfici che risultano inferiori alla predetta percentuale a seguito di incrocio dei dati comunali, con quelli dell'Agenzia del territorio, secondo modalità di interscambio stabilite con provvedimento del Direttore della predetta Agenzia, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Gli intestatari catastali provvedono, a richiesta del comune, a presentare all'ufficio provinciale dell'Agenzia del territorio la planimetria catastale del relativo immobile. Per le altre unità immobiliari la superficie assoggettabile al tributo è costituita da quella calpestabile.

 

La tariffa, che deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio (comma 11), è composta da:

§      una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti;

§      una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione;

§      i costi dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche.

 

La definizione dei criteri per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa è demandata ad un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012. In via transitoria, a decorrere dal 1° gennaio 2013 si applicano le disposizioni di cui al citato D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani.

 

Alla tariffa così determinata, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato (comma 13), a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione per un importo massimo di 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove è ubicato.

Tale maggiorazione – secondo quanto emerge dalla relazione tecnica – determina un incremento delle entrate per i comuni stimato in 1.000 milioni di euro annui, al quale corrisponde, ai sensi del comma 13-bis, un riduzione di pari importo delle somme assegnate ai comuni a valere sul Fondo sperimentale di riequilibrio e sul fondo perequativo - di cui, rispettivamente, agli articoli 2 e 13 del decreto legislativo n. 23 del 2011[85] - nonché sui trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna[86], a decorrere dal 2013.

 

In caso di incapienza ciascun comune deve versare all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue.

Per quanto riguardo le rimanenti autonomie speciali (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, province di Trento e di Bolzano) si applicheranno le procedure previste all’articolo 27 della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale, prevedendosi peraltro che, fino alla conclusione di tali procedure – vale a dire fino all’emanazione delle norme di attuazione previste dallo stesso articolo 27 – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali di spettanza delle suddette regioni e province autonome venga accantonato un importo corrispondente al maggior gettito in questione.

L’articolo 27 prevede che le autonomie speciali concorrano al nuovo assetto fiscale delineato dalla legge n. 42/2009 secondo criteri da stabilire con norme di attuazione dei rispettivi statuti, da emanare entro trenta mesi dall’entrata in vigore della legge 42 medesima (vale a dire entro il 21 novembre 2011). Tale termine risulta ora soppresso dall’articolo 28, comma 4, del decreto legge in commento.

Si segnala che sul Fondo sperimentale di riequilibrio comunale interviene anche l’articolo 13 del decreto-legge in esame, che al comma 17 ne prevede la riduzione in misura corrispondente al maggior gettito attribuito ai comuni a seguito della nuova disciplina dell’imposta municipale, che la relazione tecnica quantifica in circa 2 miliardi di euro annui a partire dal 2012, nonché il successivo articolo 28, che ne dispone, al comma 7, una riduzione per complessivi 1.415 milioni a decorrere dall’anno 2012.

 

Ai sensi del comma 14, resta ferma la disciplina del tributo dovuto per il servizio di gestione dei rifiuti delle istituzioni scolastiche.

 

I commi da 15 a 21 prevedono specifiche ipotesi di riduzioni tariffarie, salva la facoltà, per il consiglio comunale, di deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni.

 

Il consiglio comunale determina, con apposito regolamento, la disciplina per l'applicazione del tributo e approva le tariffe del tributo entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani (commi 22 e 23).

 

I commi da 24 a 27 regolano il servizio di gestione dei rifiuti assimilati prodotti da soggetti che occupano o detengono temporaneamente locali od aree pubbliche o di uso pubblico.

 

Il comma 28 fa salva l'applicazione del tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell'ambiente di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Il tributo provinciale, commisurato alla superficie dei locali ed aree assoggettabili a tributo, è applicato nella misura percentuale deliberata dalla provincia sull'importo del tributo,.

 

I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono, con regolamento, prevedere l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo (commi 29-32).

 

Il costo del servizio da coprire con tale tariffa è determinato sulla base dei criteri stabiliti nel regolamento già previsto dal comma 12 per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). La tariffa così determinata è applicata e riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani. I comuni applicano quindi il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi limitatamente alla componente diretta alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni (vedi comma 13).

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato chiarito che le disposizioni contenute nei commi 30 e 31 riguardano esclusivamente le modalità di calcolo di tale tariffa e non si applicano al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) disciplinato nei commi precedenti.

 

I commi da 33 a 44 disciplinano gli aspetti procedurali concernenti la presentazione della dichiarazione e l’accertamento, statuendo anche in ordine alle sanzioni.

 

Il comma 45 rinvia alle disposizioni relative all'accertamento e alla riscossione, da parte degli enti locali, dei tributi di propria competenza, di cui all'articolo 1, commi da 161 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché alle norme in materia di potestà regolamentare delle province e dei comuni di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, per quanto attiene all'accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate.

 

Tale ultima norma prevede, tra l’altro, che l'accertamento dei tributi può essere effettuato dall'ente locale anche in forma associata; qualora, invece, sia deliberato di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali.

 

A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono quindi soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. E’ infine abrogato, con la medesima decorrenza, l'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 in materia di federalismo fiscale municipale, il quale, sino alla revisione della disciplina relativa alla gestione dei rifiuti solidi urbani, confermava la vigenza dei regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale nonché la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale (commi 46 e 47).


 

Articolo 14-bis
(Disposizioni in materia di riscossione dei comuni)

 

 

L’articolo 14-bis, inserito durante l’esame del provvedimento in sede referente, modifica le disposizioni in materia di riscossione delle entrate dei comuni recate dall’articolo 7, comma 2 del D.L. n. 70 del 2011[87] al fine di unificare le procedure e i poteri attribuiti agli organi di riscossione delle entrate comunali, indipendentemente dalle modalità con le quali l’ente deciderà di gestire tale servizio.

 

Si ricorda preliminarmente che i commi 13-septies e 13-octiesdell’articolo 10 del provvedimento in esame, anch’essi inseriti per effetto delle modifiche apportate in sede referente, recano norme complessivamente volte a posticipare al 31 dicembre 2012 i termini di operatività del nuovo sistema di accertamento e riscossione delle entrate dei comuni disciplinato dal D.L. 70/2011. Si rinvia alla relativa scheda di lettura per approfondimenti.

 

L’articolo 7, comma 2, lettere da gg-ter) a gg-septies) del decreto legge n. 70 del 2011[88] ha disposto che Equitalia Spa e le società da essa partecipate cessino di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione - spontanea e coattiva – delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate, con decorrenza originariamente fissata al 1° gennaio 2012, posticipata al 31 dicembre 2012 dall’articolo 10, comma 13-octies del provvedimento in esame. Dal momento della cessazione di Equitalia dalla gestione delle entrate comunali, spetterà ai comuni stessi effettuare la riscossione delle proprie entrate.

La lettera a), n. i)dell’articolo reca modifiche formali alla lettera gg-quater) del citato articolo 7, al fine di precisare che le norme del D.L. 70/2011 disciplinano le modalità con cui i comuni effettueranno la riscossione sia delle proprie entrate tributarie, sia di quelle patrimoniali.

 

La lettera a), nn. ii) e iii) modificano lamedesima lettera gg-quater), al fine di unificare le procedure e i poteri attribuiti agli organi di riscossione dei comuni, indipendentemente dalle modalità con le quali l’ente decide di gestire tale servizio.

L’attuale formulazione della lettera gg-quater), infatti, differenzia i poteri dei comuni che effettueranno la riscossione coattiva in forma diretta o mediante società interamente pubblica (n. 1) da quelli attribuiti, invece, ai comuni che utilizzeranno altre forme di gestione del servizio (n. 2): ai primi viene consentito di procedere sia in base alla procedura d'ingiunzione fiscale (prevista dal regio decreto n. 639 del 1910), sia in base alle disposizioni del titolo II (Riscossione coattiva) del D.P.R. n. 602 del 1973. I secondi potranno invece procedere esclusivamente con ingiunzione fiscale.

L’ingiunzione fiscale consiste in un atto amministrativo dell’ufficio finanziario contenente l’ordine per il debitore di imposta di pagare l’importo dovuto entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi. L’ingiunzione costituisce un atto complesso con molteplici funzioni e contenuti quali: determinare l’ammontare del tributo; mettere in mora il debitore; creare il titolo esecutivo.

 

Di conseguenza, eliminando l’ultimo periodo del citato n. 1) e sopprimendo il n. 2) della lettera gg-quater), le norme consentono ai comuni, indipendentemente dalla forma di esercizio del servizio da essi scelta, di utilizzare sia la procedura di ingiunzione fiscale, sia le norme in materia di riscossione coattiva ordinariamente previste per le entrate erariali dal D.P.R. n. 602/1973, per quanto compatibili.

 

La lettera b) modificaconseguentemente la lettera gg-sexies), prevedendo in sostanza che in tutti i comuni, e non più solo quelli in cui la riscossione è effettuata gestendo il servizio in forma diretta o con società del tutto pubblica, il sindaco o il legale rappresentante della società nomini uno o più funzionari responsabili della riscossione che esercitino le funzioni demandate agli ufficiali della riscossione, ovvero quelle attribuite al segretario comunale dall'articolo 11 del R.D. 639/1910 (assistenza all'incanto, stesura del relativo verbale), in ottemperanza ai requisiti di legge richiesti per ricoprire il ruolo di degli ufficiali della riscossione.


 

Articolo 15
(Disposizioni in materia di accise)

 

 

L’articolo 15, modificato nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, reca disposizioni in materia di accise sui prodotti energetici, in particolare incrementando la misura delle accise sui carburanti.

Per effetto delle modifiche apportate dalle Commissioni riunite V e VI, la decorrenza degli aumenti di accisa disposti dalle norme in commento è fissata, in luogo del 6 dicembre 2011, al 7 dicembre 2011 (giorno successivo a quello di entrata in vigore del decreto in esame).

La seguente tabella illustra le variazioni delle aliquote della benzina, della benzina senza piombo e del gasolio utilizzato come carburante (di cui all'Allegato I del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, approvato con il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni) come risultanti dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’articolo in esame (misura evidenziata in grassetto). I valori sono espressi in euro per mille litri:

 

 

fino al 31 ottobre 2011[89]

1° novembre-6 dicembre 2011[90]

7 dicembre 2011 -31 dicembre 2012

dal 1° gennaio 2013

Benzina e benzina con piombo

613,20

622,10

704,20

704,70

Gasolio carburazione

472,10

481,10

593,20

593,70

 

In merito si ricorda che:

-        l'Agenzia delle dogane, con determinazione del 28 ottobre 2011, ha stabilito il temporaneo aumento di 8,90 euro per mille litri dell'aliquota dell’accisa sulle benzine e sul gasolio usato come carburante, al fine di rimpinguare il fondo di riserva per le spese impreviste. Tale decisione è stata presa dopo che il Consiglio del Ministri del 28 ottobre 2011, deliberato lo stato di emergenza per gli eccezionali eventi alluvionali che hanno colpito i territori delle Regioni Liguria e Toscana, ha previsto un prelevamento dal predetto fondo di riserva per un importo di 65 milioni di euro. Di conseguenza, per un periodo transitorio – in sostanza, dal 1° novembre 2011 al 5 dicembre 2011 – la misura delle accise sui carburanti è stata pari a 622,10 euro per mille litri (481,10 euro per mille litri per il gasolio);

-        la misura dell’accisa sui carburanti per gli anni 2012 e 2013 è stata incrementata anche dalla legge di stabilità per il 2012 (articolo 34, comma 4 della legge n. 183 del 2012). In particolare, tale norma ha portato l’accisa sulla benzina (compresa la benzina con piombo) a 614,20 euro per mille litri a partire dal 1° gennaio 2012 e a 614,70 euro per mille litri a decorrere dal 1° gennaio 2013. Per quanto riguarda il gasolio utilizzato come carburante, essa è stata innalzata a 473,20 euro per mille litri nel 2012 e 473,70 euro dal 2013. Tale incremento dell’aliquota è connesso alla copertura dell’onere derivante dall’introduzione a regime della deduzione forfettaria in favore degli esercenti impianti di distribuzione del carburante;

-        l’articolo 33, comma 30 della legge di stabilità ha affidato a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Dogane un ulteriore aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina, sulla benzina senza piombo e sul gasolio utilizzato come carburante in misura tale da determinare maggiori entrate pari a 65 milioni di euro per l’anno 2012, a copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni che hanno concesso alle popolazioni dell’Abruzzo colpite dal sisma dell’aprile 2009 modalità agevolate di ripresa della riscossione di tributi e contributi sospesi.

 


Il comma 1 dell’articolo in esame dispone altresì l’aumento delle accise gravanti sui gas di petrolio liquefatti usati come carburante (GPL) e sul gas naturale per autotrazione, con le modalità illustrate nella seguente tabella (in grassetto le variazioni apportate dal provvedimento in esame):

 

 

fino al 6 dicembre 2011

7 dicembre 2011-31 dicembre 2012

GPL[91]

227,77
euro per
mille chili

267,77 euro per mille chili

Gas naturale autotrazione[92]

0,00291

per m3

0,00331 per m3

 

Ai sensi del comma 3, per l’aumento dell'accisa erariale sulla benzina non trovano applicazione i limiti di cui all’articolo 1, comma 154, secondo periodo, della legge n. 662 del 1996[93].

Tale norma stabilisce che eventuali aumenti erariali dell’accisa abbiano effetto, nelle regioni che hanno istituito tale imposta, solo per la differenza tra l’aumento erariale e la misura dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

In conseguenza della disapplicazione prevista dal comma 3 in esame, i predetti aumenti si sommano ad eventuali imposte regionali sulla benzina vigenti nelle regioni a statuto ordinario.

L’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398[94] ha autorizzato le regioni a statuto ordinario a istituire, con proprie leggi, un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva. Ai sensi del citato articolo 1, comma 154 della legge 662/1996, l’importo massimo di tale imposta è pari a 0,025 euro per litro. Diverse disposizioni hanno consentito, nel tempo, di derogare ai limiti massimi stabiliti dalla legge: da ultimo, l’articolo 2, comma 2-bis del D.L. n. 225 del 2010 (cd “milleproroghe”) ha autorizzato le Regioni ad innalzare il predetto limite, alle condizioni poste dalla norma medesima, per far fronte all’emergenza rifiuti.

 

Il comma 4 reca disposizioni in favore di alcune categorie di soggetti esercenti l’attività di trasporto.

 

Viene a tal fine disposto il rimborso del maggior onere derivante dagli aumenti di accisa sul gasolio, nei suindicati anni, nei confronti di:

§      soggetti esercenti le attività di trasporto merci (articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 452 del 2001[95]) con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate.

Si ricorda che il citato comma 1 prevede una riduzione dell'aliquota dell'accisa prevista per il gasolio per autotrazione utilizzato dagli esercenti le attività di trasporto merci con veicoli di massa massima complessiva superiore a 3,5 tonnellate;

§      enti pubblici e imprese pubbliche locali esercenti l'attività di trasporto pubblico locale (di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422[96], e relative leggi regionali di attuazione, norme richiamate dall’articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001);

§      imprese esercenti autoservizi di competenza statale, regionale e locale, (di cui alla legge 28 settembre 1939, n. 1822[97], al Regolamento (CEE) n. 684/92 del Consiglio del 16 marzo 1992[98], e successive modificazioni, e al citato decreto legislativo n. 422 del 1997, tutti richiamati dall’articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001);

§      enti pubblici e imprese esercenti trasporti a fune in servizio pubblico per trasporto di persone (articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001).

 

Il rimborso viene disposto con le modalità previste dall’articolo 6, comma 2, primo e secondo periodo, del decreto legislativo n. 26 del 2007, ai sensi del quale esso può venir effettuato anche in compensazione, a seguito della presentazione di apposita dichiarazione ai competenti Uffici dell'Agenzia delle dogane, secondo le modalità e con gli effetti previsti da apposito regolamento (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 277 del 2000, recante disciplina dell'agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci).


 

Articolo 16, commi 1-10 e 15-ter
(Disposizioni per la tassazione di auto e imbarcazioni di lusso)

 

 

Addizionale erariale tassa auto

Il comma 1 dell'articolo 16, novellando l’articolo 23, comma 21, del D.L. n. 98 del 2011 (legge n. 111/2011), introduce, a decorrere dal 2012, una addizionale erariale della tassa automobilistica per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose, da versare alle entrate del bilancio dello Stato, pari a 20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 185 chilowatt.

 

Il richiamato comma 21 ha introdotto, a decorrere dal 2011, una addizionale erariale della tassa automobilistica per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose, da versare alle entrate del bilancio dello Stato, nella misura di 10 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt.

Con decreto direttoriale del Ministero dell’Economia e delle finanze, d’intesa con l’Agenzia delle entrate del 7 ottobre 2011 (G.U. n. 237 dell’11 ottobre 2011) sono state individuate le modalità e i termini di pagamento dell'imposta. Per il 2011 il pagamento doveva essere effettuato entro il 10 novembre 2011. Per il 2012 e anni successivi il pagamento dell’addizionale dovrà essere corrisposto negli stessi termini previsti per il pagamento della tassa automobilistica.

La sanzione da applicare nell'ipotesi di omesso o insufficiente versamento dell’addizionale è pari al 30 per cento dell’importo non versato, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997[99].

Con circolare n. 49 dell’8 novembre 2011 l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito ai soggetti tenuti al pagamento, nonché alle modalità e termini di pagamento.

 

Il comma 15-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce che l’addizionale sia ridotta nella seguente misura:

§      al 60 per cento dopo 5 anni dalla data di costruzione del veicolo;

§      al 30 per cento dopo 10 anni dalla data di costruzione del veicolo;

§      al 15 per cento dopo 15 anni dalla data di costruzione del veicolo;

§      non è più dovuta decorsi 20 anni dalla data di costruzione del veicolo.

I predetti periodi decorrono dall’anno successivo a quello di costruzione.

 

Al fine di compensare le minori entrate determinate dalle riduzione per vetustà dei veicoli, il comma 15-ter prevede che l’aliquota dell’accisa del tabacco da fumo sia rideterminata con decreto del direttore generale dell’Amministrazione autonoma de monopoli di Stato (AAMS).


Tassa annuale di stazionamento

Il comma 2 prevede, a decorrere dal 1° maggio 2012, il pagamento della tassa annuale di stazionamento per le unità da diporto[100] che stazionino in porti marittimi nazionali, navighino o siano ancorate in acque pubbliche, anche se in concessione a privati.

La tassa di stazionamento viene calcolata per ogni giorno, o frazione di esso, nelle misure di seguito indicate:

 

Euro a giorno

Lunghezza scafo

5

da 10,01 a 12 metri

8

da 12,01 a 14 metri

10

da 14,01 a 17 metri

30

da 17,01 a 24 metri

90

da 24,01 a 34 metri

207

da 34,01 a 44 metri

372

da 44,01 a 54 metri

521

da 54,01 a 64 metri

703

superiore a 64 metri

 

 

I successivi commi stabiliscono riduzioni ed esenzioni dall’applicazione della tassa di stazionamento. In particolare:

§      riduzione al 50% per le unità con scafo di lunghezza fino ad 12 metri utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori e nelle isole della laguna di Venezia, nonché per le unità a vela con motore ausiliario (comma 3);

§      esclusione (comma 4) per:

-        le unità di proprietà o in uso allo Stato e ad altri enti pubblici;

-        quelle obbligatorie di salvataggio;

-        i battelli di servizio, purché questi rechino l’indicazione dell’unità da diporto al cui servizio sono posti;

-        le unità di indicate al comma 2 che si trovino in un’area di rimessaggio e per i giorni di effettiva permanenza in rimessaggio;

§      esenzione per le unità da diporto possedute ed utilizzate da enti ed associazioni di volontariato esclusivamente ai fini di assistenza sanitaria e pronto soccorso (comma 5).

§         esclusione per le nuove unità da diporto con targa “prova” che siano nelle disponibilità a qualsiasi titolo del cantiere, del manutentore o del distributore ovvero a quelle usate (cioè non nuove) che siano state ritirate dai cantieri o dai distributori con mandato di vendita e in attesa del perfezionamento dell’atto.

 

Il comma 15-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce che l’addizionale sia ridotta nella seguente misura:

§      del 15 per cento dopo 5 anni dalla data di costruzione dell’unità da diporto;

§      del 30 per cento dopo 10 anni dalla data di costruzione dell’unità da diporto;

§      del 45 per cento dopo 15 anni dalla data di costruzione dell’unità da diporto.

I predetti periodi decorrono dall’anno successivo a quello di costruzione.

 

Si ricorda che il pagamento di una tassa di stazionamento annuale era prevista dall’articolo 17 della legge n. 51 del 1976, e successive modifiche ed integrazioni, disposizione poi abrogata dall’articolo 15 della legge n. 172 del 2003. La norma prevedeva che la tassa annuale di stazionamento fosse composta da una quota fissa (360.000 lire) ed una variabile determinata in misura crescente in base alla lunghezza dell’unità da diporto. Oltre a prevedere sostanzialmente esenzioni e riduzioni analoghe a quelle ora proposte, veniva prevista anche una riduzione della tassa di stazionamento in base alla vetustà dell’imbarcazione.

 

Al fine di compensare le minori entrate determinate dalle riduzioni per vetustà dei veicoli, il comma 15-ter prevede che l’aliquota dell’accisa del tabacco da fumo sia rideterminata con decreto del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS).

 

Il comma 6 specifica che la misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto dovrà essere effettuata secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666[101]

 

Il comma 7 assoggetta al pagamento della tassa di stazionamento i proprietari, gli usufruttuari, gli acquirenti con patto di riservato dominio o gli utilizzatori a titolo di locazione finanziaria.

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità ed i termini di pagamento della tassa, di comunicazione dei dati identificativi dell’unità da diporto e delle informazioni necessarie all’attività di controllo.

I pagamenti sono eseguiti anche con moneta elettronica senza oneri a carico del bilancio dello Stato.

Il gettito della tassa di stazionamento affluisce all’entrata del bilancio dello Stato.

 

Il comma 8 prevede che la ricevuta di pagamento, anche elettronica, della tassa di stazionamento sia esibita dal comandante dell’unità da diporto all’Agenzia delle Dogane ovvero all’impianto di distribuzione di carburante, per l’annotazione nei registri di carico-scarico ed i controlli a posteriori, al fine di ottenere l’uso agevolato del carburante per lo stazionamento o la navigazione.

 

Il comma 9 prevede che le Capitanerie di porto, le forze preposte alla tutela della sicurezza e alla vigilanza in mare, nonché le altre forze preposte alla pubblica sicurezza o gli altri organi di polizia giudiziaria e tributaria vigilino sul corretto assolvimento degli obblighi derivanti dai precedenti commi da 2 a 7 ed elevano, in caso di violazione, apposito processo verbale di constatazione che trasmettono alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate competente per territorio, in relazione al luogo della commissione della violazione, per l’accertamento delle stesse.

 

Per l’accertamento, la riscossione e il contenzioso si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi.

 

Per l’irrogazione delle sanzioni si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, esclusa la definizione ivi prevista[102].

 

Viene prevista una definizione agevolata delle violazioni entro 60 giorni dalla elevazione del processo verbale di constatazione mediante il pagamento dell’imposta e della sanzione minima ridotta al 50%.

 

Le controversie concernenti l’imposta di stazionamento sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie.

 

Il comma 10 stabilisce che per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta si applichi una sanzione amministrativa tributaria dal 200 al 300 per cento dell’importo non versato, oltre all’importo della tassa dovuta.


 

Articolo 16, commi 11-15-bis
(Imposta erariale sugli aeromobili privati)

 

 

Il comma 11 dell’articolo 16 istituisce l’imposta erariale sugli aeromobili privati.

Secondo il codice della navigazione (articolo 743) per aeromobile si intende qualsiasi macchina destinata al trasporto per aria di persone o cose. Gli aeromobili privati (articolo 744 cod. nav.) sono gli aeromobili diversi dagli aeromobili di Stato ed equiparati, categoria questa che comprende:

§      gli aeromobili militari;

§      gli aeromobili di proprietà dello Stato, impiegati in servizi istituzionali delle Forze di polizia dello Stato, della Dogana, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Dipartimento della protezione civile o in altro servizio di Stato;

§      gli aeromobili utilizzati da soggetti pubblici o privati, anche occasionalmente, per attività dirette alla tutela della sicurezza nazionale.

 

L’imposta si applica agli aeromobili immatricolati nel registro aeronautico nazionale.

Il registro aeronautico nazionale è tenuto dall’Ente nazionale aviazione civile – ENAC e vi possono essere iscritti gli aeromobili che appartengono, in tutto o in parte maggioritaria (art. 756 cod. nav.):

a)    allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni e ad ogni altro ente pubblico e privato italiano o di altro Stato membro dell'Unione europea;

b)    ai cittadini italiani o di altro Stato membro dell'Unione europea;

c)    a società costituite o aventi una sede in Italia o in un altro Stato membro dell'Unione europea il cui capitale appartenga in tutto od in parte maggioritaria a cittadini italiani o di altro Stato membro dell'Unione europea, ovvero a persone giuridiche italiane o di altro Stato membro dell'Unione europea aventi le stesse caratteristiche di compagine societaria e il cui presidente, la maggioranza degli amministratori e l'amministratore delegato siano cittadini italiani o di altro Stato membro dell'Unione europea.

Non possono essere iscritti nel registro gli aeromobili che risultino già iscritti in registri aeronautici di altri Stati (articolo 751 cod. nav.). L’iscrizione nel registro è condizione per l’ammissione alla navigazione (articolo 749 cod. nav.).

 

Durante l’esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI, è stato introdotto il comma 14-bis che prevede l’applicazione dell’imposta anche agli aeromobili non immatricolati nel registro aeronautico nazionale, quando la sosta nel territorio nazionale si protrae oltre quarantotto ore.

 

L’imposta erariale si applica ai velivoli (aeroplani, idrovolanti e anfibi) e agli elicotteri in misura proporzionale al loro peso massimo al decollo, mentre agli alianti, motoalianti, autorigi e aerostati si applica in misura annuale fissa, pari a 450 euro.

La misura annuale dell’imposta applicabile ai velivoli è la seguente:

1.    fino a 1.000 kg. di peso massimo al decollo, euro 1,50 al kg;

2.    fino a 2.000 kg. di peso massimo al decollo, euro 2,45 al kg;

3.    fino a 4.000 kg. di peso massimo al decollo, euro 4,25 al kg;

4.    fino a 6.000 kg. di peso massimo al decollo, euro 5,75 al kg;

5.    fino a 8.000 kg. di peso massimo al decollo, euro 6,65 al kg;

6.    fino a 10.000 kg. di peso massimo al decollo, euro 7,10 al kg;

7.    oltre 10.000 kg. di peso massimo al decollo, euro 7,55 al kg.

L’imposta dovuta per gli elicotteri è pari al doppio di quella stabilita per i velivoli di corrispondente peso.

 

Il comma 12 stabilisce che l’imposta è dovuta dal soggetto che, nel registro aeronautico nazionale, in relazione all’aeromobile, risulta essere:

§      proprietario;

§      usufruttuario;

§      acquirente con patto di riservato dominio;

§      utilizzatore a titolo di locazione finanziaria.

L’imposta è corrisposta al momento della richiesta di rilascio o di rinnovo del certificato di revisione della aeronavigabilità, in relazione all’intero periodo di validità di tale certificato. Qualora il certificato abbia validità inferiore a un anno, l’imposta è dovuta nella misura di un dodicesimo dell’importo annuale, moltiplicato per i mesi di validità del certificato.

Si ricorda che il certificato di revisione della aeronavigabilità, emesso dall’ENAC o da imprese appositamente approvate, attesta il favorevole esito dell'esecuzione di una revisione della aeronavigabilità. Esso ha di norma una validità di dodici mesi.

 

Il comma 13 detta disposizioni per l’applicazione dell’imposta agli aeromobili con certificato di revisione della aeronavigabilità in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame: per questi aeromobili l’imposta è dovuta in misura pari a un dodicesimo dell’importo annuale, moltiplicato per il numero di mesi compresi tra quello in corso alla suddetta data e quello in cui scade la validità del certificato.

In questi casi l’imposta dovrà essere versata entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge. Questo stesso termine si applica anche al pagamento dell’imposta relativa agli aeromobili per i quali il certificato di revisione è rilasciato o rinnovato nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del decreto-legge e il 31 gennaio 2012.

 

Il comma 14 elenca gli aeromobili esenti dall’applicazione dell’imposta:

§      aeromobili di Stato ed equiparati (si veda il commento al precedente comma 11);

§      aeromobili di proprietà o in esercenza dei licenziatari dei servizi di linea e non di linea, nonché del lavoro aereo, di cui al codice della navigazione, parte seconda, libro I, titolo VI (Dell’ordinamento dei servizi aerei);

§      aeromobili di proprietà o in esercenza delle Organizzazioni Registrate (OR), delle scuole di addestramento FTO (Flight Training Organisation) e dei Centri di Addestramento per le Abilitazioni (TRTO - Type Rating Training Organisation);

§      aeromobili di proprietà o in esercenza dell’Aero Club d’Italia, degli Aero Club locali e dell’Associazione nazionale paracadutisti d’Italia;

§      aeromobili immatricolati a nome dei costruttori e in attesa di vendita;

§      aeromobili esclusivamente destinati all’elisoccorso o all’aviosoccorso.

 

Il comma 15 rinvia a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate per la determinazione delle modalità di versamento dell’imposta. Il provvedimento dovrà essere emanato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

 

Il nuovo comma 15-bis, introdotto durante l’esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI, stabilisce che il mancato o insufficiente pagamento dell’imposta comporta l’applicazione delle sanzioni previste dai decreti legislativi n. 471/1997 e n. 472/1997.

 

Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ha riformato le sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di IVA e di riscossione dei tributi, prevedendo in particolare, all’articolo 13, che la mancata esecuzione alle prescritte scadenze, in tutto o in parte, dei versamenti dovuti sia soggetto a una sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell’importo non versato. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la suddetta sanzione è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.

Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, detta disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, relative, tra gli altri, a imputabilità, cause di non punibilità, intrasmissibilità agli eredi, ravvedimento, procedimento di irrogazione, tutela giurisdizionale e ricorsi amministrativi, esecuzione, decadenza e prescrizione, riscossione.


 

Articolo 17
(Canone RAI)

 

 

L’articolo 17 reca una disposizione volta alla verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale.

La norma prevede che le imprese e le società devono indicare, nella dichiarazione dei redditi, il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione, la categoria di appartenenza ai fini dell'applicazione della tariffa di abbonamento radiotelevisivo speciale, nonché gli altri elementi che saranno eventualmente indicati nel provvedimento di approvazione del modello per la dichiarazione dei redditi.

 

Secondo quanto disposto dall’articolo 10 del R.D.L. n. 1917 del 1925 (legge n. 562 del 1926) – come modificato dall’articolo 2 del D.Lgs.Lgt. n. 458 del 1944, decreto successivamente abrogato dal combinato disposto del comma 1 dell’articolo 1 e dell’allegato 1 al DPR n. 248 del 2010 – e dall’articolo 27 del R.D.L. n. 246 del 1938 (legge n. 880 del 1938) - coloro che detengono apparecchi per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto, sono tenuti a stipulare un contratto di abbonamento speciale.

 

Da ultimo, per l’anno 2011, l’importo dei canoni di abbonamento speciale per la detenzione fuori dell’ambito familiare – differenziata per categorie – è stato determinato con decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 dicembre 2010 (G.U. n. 42 del 21 febbraio 2011) nelle seguenti misure:

 

 

Categoria

Canone

a)

alberghi con 5 stelle e 5 stelle lusso con un numero di camere pari o superiore a cento;

6.349,25

b)

alberghi con 5 stelle e 5 stelle lusso con un numero di camere inferiore a cento e superiore a venticinque; residence turistico-alberghieri con 4 stelle; villaggi turistici e campeggi con 4 stelle; esercizi pubblici di lusso e navi di lusso;

1.904,78

c)

alberghi con 5 stelle e 5 stelle lusso con un numero di camere pari o inferiore a venticinque; alberghi con 4 e 3 stelle e pensioni con 3 stelle con un numero di televisori superiore a dieci; residence turistico-alberghieri con 3 stelle; villaggi turistici e campeggi con 3 stelle; esercizi di prima e seconda categoria; sportelli bancari;

952,38

d)

alberghi con 4 e 3 stelle e pensioni con 3 stelle con un numero di televisori pari o inferiore a dieci; alberghi, pensioni e locande con 2 e 1 stella; residenze turistiche alberghiere e villaggi turistici con 2 stelle; campeggi con 2 e 1 stella; affittacamere; esercizi pubblici di terza e quarta categoria; altre navi, aerei in servizio pubblico; ospedali; cliniche e case di cura; uffici;

380,94

e)

strutture ricettive di cui alle lettere a), b), c) e d) con un numero di televisori non superiore ad uno; circoli; associazioni, sedi di partiti politici; istituti religiosi; studi professionali; botteghe; negozi ed assimilati; mense aziendali; scuole, istituti scolastici non esenti dal canone ai sensi della L. n. 1571 del 1951 come modificata dalla L. n. 421 del 1989.

190,49

 

La tabella n. 4 determina i canoni di abbonamento speciale alle radiodiffusioniper la detenzione di apparecchi nei cinema-teatri e in locali a questi assimilabili.


 

Articolo 18
(Clausola di salvaguardia)

 

 

L’articolo 18 è volto a sterilizzare gli effetti dell'articolo 40 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, che aveva previsto (nel testo modificato dall’articolo 1, comma 6, del decreto-legge 138 del 2011), la riduzione del 5% nel 2012 e del 20% a decorrere dal 2013 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell’allegato C-bis al medesimo decreto-legge n. 98. Sono inoltre modificati gli effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dal predetto articolo 40, che vengono rideterminati in 13.119 milioni di euro per l’anno 2013 ed a 16.400 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014.

 

Si ricorda, preliminarmente che ai sensi dell’articolo 21, comma 11, lettera a), della legge n. 196 del 2009, lo stato di previsione delle entrate del bilancio dello Stato reca una nota integrativa (che nella legge di bilancio 2011 era denominata allegato C-bis) che dà conto degli effetti connessi alle disposizioni normative vigenti, con separata indicazione di quelle introdotte nell'esercizio, recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l'indicazione della natura delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti. Il totale degli effetti finanziari derivanti dalle citate agevolazioni è indicato nell’allegato C-bis in 161,2 miliardi di euro, così articolati:

 

Agevolazioni a favore delle persone fisiche, di cui:

103,438

- Agevolazioni per la casa

9,197

- Agevolazioni per la famiglia

21,449

- Agevolazioni per lavoro e pensioni

56,812

- Agevolazioni per erogazioni liberali e al terzo settore

0,135

- Altre agevolazioni (comprese agevolazioni fiscalità finanziaria)

15,845

Agevolazioni in materia di enti non commerciali

0,403

Agevolazioni reddito impresa

10,300

Agevolazioni in materia di accisa

3,572

Agevolazioni in materia di IVA

38,797

Agevolazioni in materia di registro e imposte ipocatastali

4,724

TOTALE AGEVOLAZIONI

161,237

 

La legge 12 novembre 2011, n. 184, (legge di bilancio 2012) reca il predetto elenco negli allegati A e B alla nota integrativa della Tabella 1. Al riguardo si segnala che l’allegato A reca effetti finanziari parzialmente diversi rispetto a quelli esposti nell’allegato C-bis sopra richiamato. In particolare, l’ammontare complessivo delle agevolazioni è pari a 139.326,89 milioni di euro per il 2012, 140.884,77 milioni per il 2013 e 139.131, 39 milioni per il 2014.


Tale differenza è principalmente da ascriversi - oltre che alle modifiche congiunturali delle singole voci - al fatto che nel predetto allegato A non sono rappresentate numerose voci presenti invece nell’allegato C-bis, tra cui si segnalano quelle con più rilevanti effetti finanziari (in milioni di euro):

 

Deduzione contributi previdenziali e assistenziali obbligatori:

4.843

Tassazione redditi di capitale e plusvalenze

15.542

Imposta sostitutiva sui maggiori valori attribuiti in bilancio, all’avviamento, ai marchi di impresa e alle altre attività immateriali

1.171

Imposta sostitutiva per il riallineamento delle differenze dei valori civili e fiscali originati da deduzioni extracontabili

771

Imposta sostitutiva sui maggiori valori attribuiti in bilancio agli elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali

275

Deducibilità di un importo pari al 10% dell'IRAP dalle imposte dirette (IRPEF e IRES).

433

Esenzione per le cessioni gratuite di beni fatte ad enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica e alle ONLUS

155

Esenzione delle prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati da consorzi costituiti tra soggetti che effettuano essenzialmente operazioni esenti

496

Esenzione dall'imposta di bollo dei certificati rilasciati da organi dell'autorità giudiziaria relativi alla materia penale

175

Totale

23.861

 

Si ricorda che le voci sopra richiamate sono state oggetto di recenti modifiche legislative le quali hanno determinato, presumibilmente, l’esclusione delle fattispecie indicate dall’elenco in commento.

 

In particolare, il comma 1, lettera a), dell’articolo 18, mediante sostituzione del comma 1-ter del citato articolo 40, prevede che a decorrere dal 1° settembre 2012 le aliquote Iva del 10 e del 21 per cento sono incrementate di 2 punti percentuali.

Inoltre, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le predette aliquote sono ulteriormente incrementate di 0,5 punti percentuali.

 

Il comma 1-terdell’articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 (manovra) ha disposto la riduzionedel 5% nel 2012 e del 20% a decorrere dal 2013 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell’allegato C-bis al decreto.

Per i casi nei quali tale riduzione non sia suscettibile di diretta ed immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità tecniche per l’attuazione con riferimento ai singoli regimi interessati.

Il successivo comma 1-quater prevede che tale disposizione non si applichi qualora entro il 30 settembre 2012 siano adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi (cioè riduzioni), ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per il 2012 ed a 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2013.

Si ricorda inoltre che tale riordino dei regimi agevolativi è previsto nel disegno di legge di iniziativa governativa recante Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale, in discussione alla Camera dei deputati (A.C. 4566).

L’articolo 11 del ddl stabilisce che dall'attuazione della legge di delega, e in particolare dal riordino della spesa in materia sociale, nonché dall'eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, devono derivare effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l'anno 2013 e a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014.

 

Si ricorda che le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio, accanto all’aliquota normale (21 per cento, a seguito dell’incremento di un punto percentuale introdotto dai commi da 2-bis a 2-quater dell'articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011), si prevede un’aliquota ridotta del 10 per cento e un’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633.

In particolare, nella parte III della Tabella A vi è l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 10 per cento. La parte II della Tabella A reca invece l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 4 per cento.

Si fa presente, inoltre, che l’ordinamento prevede anche alcuni specifici regimi agevolati e forfetari di applicazione dell’IVA.

Si ricorda peraltro che la normativa sull’IVA è oggetto di disciplina europea. In particolare, la direttiva 2006/112/CE ha proceduto alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, contenute principalmente nella direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari (cosiddetta “sesta direttiva IVA”), più volte modificata nel corso degli anni da numerose direttive. La direttiva 2006/112/CE costituisce pertanto una sorta di testo unico di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo.

In materia di aliquote, l’articolo 97 della direttiva 2006/112/CE (cosiddetta direttiva IVA, vedi oltre) stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da ciascun paese membro non può essere, fino al 31 dicembre 2010, inferiore al 15%.

Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non può essere inferiore al 5%. In deroga alle regole normali, alcuni Stati membri sono stati autorizzati a mantenere delle aliquote ridotte, comprese le aliquote “ultraridotte” e le aliquote zero, in alcuni ambiti.

La direttiva 5 maggio 2009, n. 2009/47/CE è intervenuta sulla direttiva 2006/112/CE apportando, tra l’altro, modifiche all’allegato III della direttiva 2006/112/CE al fine di ampliare l’ambito delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate alle aliquote ridotte. Nel secondo considerando della direttiva 2009/47/CE viene evidenziato che la Commissione europea, nella sua Comunicazione sulle aliquote IVA diverse dall’aliquota IVA normale presentata al Consiglio e al Parlamento europeo nel luglio 2007, ha concluso che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente non pone problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, in presenza di determinate condizioni, produrre effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta all’economia sommersa.

La direttiva 2010/88/UE del Consiglio del 7 dicembre 2010 ha prorogato la durata dell'obbligo di applicazione di un'aliquota normale minima fino al 31 dicembre 2015.

 

Secondo quanto riportato nella relazione tecnica, l’incremento di due percentuali dell’aliquota ridotta al 10 per cento produce un maggior gettito su base annua pari a 1.16271 milioni di euro mentre l’incremento di due percentuali dell’aliquota ordinaria produce un maggior gettito su base annua pari a 8.471 milioni di euro. Dal 2014, con l’ulteriore aumento di mezzo punto di IVA si determinerà un maggior gettito complessivo rispettivamente pari a 5.810 e 10.590 milioni di euro.

 

Il comma 1, lettera b), dell’articolo 18, reca alcune modifiche al citato comma 1-quater dell’articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011, prevedendo che i provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale siano effettivamente entrati in vigore (e non solo adottati) alla data del 30 settembre 2012.

 

Sono inoltre modificati gli effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dall’articolo 40, che vengono rideterminati in 13.119 milioni di euro per l’anno 2013 ed a 16.400 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014.

Articolo 19
(Imposta di bollo su strumenti e prodotti finanziari; tassazione dei valori “scudati” e delle attività immobiliari e finanziarie estere)

 

 

1) Tassazione sul bollo per gli strumenti finanziari

L’articolo 19, modificato nel corso dell’esame in sede referente con un emendamento sostitutivo del governo, interviene (commi 1-5) sulla disciplina della tassazione sul bollo per gli strumenti finanziari, introducendo - a decorrere dal 1° gennaio 2012 - una imposizione su base proporzionale pari all’1 per mille per il 2012 e all’1,5 per mille a decorrere dal 2013 e, al contempo, ampliando la base imponibile su cui insiste l’imposta, al fine di includervi anche i prodotti finanziari non soggetti all’obbligo di deposito.

 

Si ricorda che il comma 7 dell'articolo 23 del decreto-legge n. 98 del 2011 - con una modifica all’articolo 13 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 642 del 1972 recante la disciplina dell'imposta di bollo (tale tariffa è contenuta nel D.M. 20 agosto 1992) - ha incrementatol’ammontare dell'imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai depositi di titoli inviati dagli intermediari finanziari.

Innanzitutto la lettera a)del comma 7 ha modificato il comma 2-bis del citato articolo 13, in modo da espungere le comunicazioni relative ai depositi di titoli[103] dal novero dei documenti attualmente sottoposti a imposta di bollo pari a 22,80 euro per ogni esemplare di comunicazione inviato con periodicità annuale (ossia 11,40 euro con periodicità semestrale, 5,70 euro con periodicità trimestrale e 1,90 euro con periodicità mensile). Per tali comunicazioni viene infatti disposta un’apposita disciplina alla successiva lettera b).

La lettera b) ha quindi inserito il comma 2-ter al citato articolo 13. Per effetto delle nuove norme, le comunicazioni relative ai depositi di titoli sono sottoposte a imposta di bollo secondo le seguenti modalità:

-        per le comunicazioni concernenti i depositi di titoli il cui complessivo valore nominale o di rimborso presso ciascuna banca sia inferiore a cinquantamila euro, dal 2011 l’imposta è aumentata rispetto agli importi previsti al citato comma 2-bis, ma il nuovo ammontare non viene incrementato nel tempo. In particolare, per ogni esemplare di comunicazione inviato con periodicità annuale l’imposta ammonta a 34,20 euro (ossia 17,1 euro con periodicità semestrale, 8,55 euro con periodicità trimestrale e 2,85 euro con periodicità mensile);

-        per le comunicazioni relative a depositi di ammontare pari o superiore alla predetta soglia di 50.000 euro, le norme dispongono un graduale aumento dell’imposta nel tempo, variabile secondo l’entità dei depositi.

 

In particolare quindi, ai sensi dei nuovi commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 13 della Tariffa, come sostituiti dall’emendamento del governo, gli estratti conto, inviati dalle banche ai clienti nonché gli estratti di conto corrente postale e rendiconti dei libretti di risparmio anche postali, sono soggetti ad una imposta fissa pari a:

§      34,20 euro se il cliente è persona fisica, prevedendo l’esenzione (ai sensi della nota 3-bis del predetto articolo 13 modificata dal nuovo comma 2 dell’articolo in commento), qualora il valore medio di giacenza annuo non sia superiore a euro 5.000

§      100 euro se il cliente è soggetto diverso da persona fisica.

 

Si ricorda che la predetta nota 3-bis, nella formulazione vigente, stabilisce, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, una maggiorazione dell'imposta, in funzione della periodicità dell'estratto conto, rispettivamente, di euro 26,40, euro 13,20, euro 6,60 ed euro 2,20. Tale maggiorazione non si applica agli estratti conto inviati alle società fiduciarie nel caso in cui il fiduciante sia una persona fisica.

 

Inoltre, le comunicazioni alla clientela relative ai prodotti e agli strumenti finanziari, anche non soggetti ad obbligo di deposito, ad esclusione dei fondi pensione e dei fondi sanitari, sono assoggettate ad una imposta proporzionale pari all’1 per mille per il 2012 e all’1,5 per mille a decorrere dal 2013.

 

Nella nuova formulazione della nota 3-bis è inoltre previsto che l'estratto conto o il rendiconto si considerano in ogni caso inviati almeno una volta nel corso dell'anno, anche quando non sussiste un obbligo di invio o di redazione. Se gli estratti conto sono inviati periodicamente nel corso dell'anno, l'imposta di bollo dovuta è rapportata al periodo rendicontato.

 

Il comma 3 (comma 2 nella formulazione originaria dell’articolo) modifica la nota 3-ter all’articolo 13 della Tariffa.

Quest’ultima, nella versione vigente, prevede che l'imposta è sostitutiva di quella dovuta per tutti gli atti e documenti formati o emessi ovvero ricevuti dalle banche, nonché dagli uffici dell'Ente poste italiane relativi a operazioni e rapporti regolati mediante conto corrente, ovvero relativi al deposito di titoli. L'estratto conto, compresa la comunicazione relativa ai depositi di titoli, si considera in ogni caso inviato almeno una volta nel corso dell'anno. Non sono soggetti all'imposta gli estratti dei conti correnti postali che presentino un saldo negativo per tre mesi consecutivi a seguito dell'applicazione della predetta imposta e che siano chiusi d'ufficio. Non sono altresì soggette all'imposta le comunicazioni relative ai depositi di titoli emessi con modalità diverse da quelle cartolari e comunque oggetto di successiva dematerializzazione, il cui complessivo valore nominale o di rimborso posseduto presso ciascuna banca sia pari o inferiore a mille euro.

 

La modifica interviene per precisare l’estensione dell’imposta anche alla comunicazione relativa ai prodotti finanziari non soggetti ad obbligo di deposito. L’emendamento del Governo, inoltre, vi include esplicitamente i buoni postali fruttiferi, ad eccezione di quelli di valore di rimborso non superiore a 5.000 euro.

Si chiarisce, inoltre, che qualora le comunicazioni siano inviate periodicamente nel corso dell’anno, l’imposta di bollo dovuta è rapportata al periodo rendicontato (lettera a). Vengono poi stabiliti gli importi minimi e massimi dell’imposta (34,20 e 1.200 euro) (lettera b).

Il comma 4 (comma 3 nella formulazione originaria) specifica che la percentuale della somma da versare entro il 30 novembre 2012 a titolo di acconto è ridotta al 50 per cento.

Si ricorda che l’articolo 15-bis del citato DPR n. 642 del 1972, stabilisce che Poste italiane s.p.a., le banche e gli altri enti e società finanziari entro il 30 novembre di ogni anno, versino, a titolo di acconto, una somma pari al settanta per cento dell'imposta.

 

Il comma 5, introdotto dall’emendamento del governo, demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze le modalità di attuazione delle disposizioni richiamate.

2) Imposta sulle attività emerse a seguito della normativa dello scudo fiscale

I commi da 6 a 12 dell’articolo 19 (come modificati dall’emendamento del governo) prevedono l’applicazione di un’imposta speciale annuale del 4 per mille sulle attività finanziarie oggetto di emersione a seguito delle disposizioni di cui agli articoli 12 e 15 del decreto legge n. 350/2001 e all’articolo 13-bis del decreto legge n. 78/2009 (c.d. scudo fiscale). Per gli anni 2012 e 2013 l’aliquota, è stabilita, rispettivamente, nella misura del 10 e del 13,5 per mille (comma 6).

Rispetto al testo originario del decreto-legge, la norma specifica l’ambito oggettivo di applicazione, che riguarda le sole attività finanziarie e non quelle patrimoniali (previste invece dallo scudo).

I nuovi commi 13-17 prevedono quindi una imposta sul valore degli immobili situati all’estero. E’ infine introdotta un’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (commi 18-21).

 

La disciplina sullo scudo fiscale è stata introdotta dall’articolo 13-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009 ed è stata modificata sia dal decreto-legge n. 103 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 141 del 2009 sia dal decreto-legge n. 194 del 2009 (c.d. "milleproroghe"). Le norme recano disposizioni in materia di “rimpatrio” ovvero “regolarizzazione” delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione degli obblighi valutari e tributari sanciti dal decreto legge n. 167 del 1990, convertito dalla legge n. 227 del 1990.

In particolare, si consentiva la regolarizzazione o il rimpatrio delle attività detenute all’estero in una data non successiva al 31 dicembre 2008. L’operazione, da effettuarsi nel periodo compreso tra il 15 settembre 2009 e il 15 aprile 2010, si perfezionava con il pagamento dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali istituita dal sopra richiamato articolo 13-bis. Poiché il termine finale, fissato al 15 dicembre 2009 dalla legge di conversione del D.L. 78/09, è stato modificato dal D.L. 194/2009 (entrato in vigore il 30 dicembre 2009), le operazioni di emersione effettuate nel periodo compreso tra il 16 e il 29 dicembre 2009 non sono considerate ammissibili. Il D.L. n. 194/2009 ha introdotto un incremento della misura dell'imposta dovuta da applicare alle operazioni di emersione effettuate successivamente al 15 dicembre 2009.

In merito alla disciplina generale e agli effetti prodotti i commi 4 e 5 dell’articolo 13-bis rinviano:

-        agli articoli 11, 13, 14, 15, 16, 17, 19 commi 2 e 2-bis, 20 comma 3 del decreto legge n. 350 del 2001, recante una precedente disciplina in materia di “scudo fiscale” che ha disposto la possibilità di regolarizzare le attività estere detenute almeno al 1° agosto 2001, nonché al decreto-legge n. 12 del 2002 il quale, agli articoli 1 e 2, reca modifiche ed integrazioni alla disciplina contenuta nel D.L. n. 350;

-        all’articolo 8, comma 6, lettera c), della legge n. 289 del 2002 (finanziaria 2003). Il richiamato articolo 8, recante “Integrazione degli imponibili per gli anni pregressi”, nell’introdurre la facoltà per i contribuenti di aderire alla definizione agevolata, individua nella lettera c) del comma 8 gli effetti penali conseguenti alla medesima regolarizzazione fiscale.

Per quanto concerne l’ambito oggettivo, la norma si applica alle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione delle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008.

La norma non individua espressamente l’ambito soggettivo di applicazione. Tuttavia, in virtù dei rinvii al decreto-legge n. 167 del 1990 e all’articolo 11 del decreto-legge n. 350 del 2001 nonché dei chiarimenti forniti con la richiamata circolare n. 43/E emanata dall’Agenzia delle entrate, la disciplina introdotta si applica nei confronti dei seguenti soggetti residenti nel territorio dello Stato: persone fisiche (anche titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo), enti non commerciali, società semplici e associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR).

Sono previste due modalità diverse da applicare in funzione dello Stato estero nel quale si trovano le attività interessate dalla presente disciplina:

-        qualora le attività si trovino in paesi non appartenenti all’Unione europea, ad eccezione di quelli indicati nel punto successivo, la procedura è subordinata al cosiddetto rimpatrio dei capitali, ovvero al rientro in Italia del denaro e delle attività.

-        qualora le attività si trovino in paesi dell’Unione europea ovvero in paesi aderenti allo Spazio economico europeo (SEE) che garantiscono un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa, i soggetti interessati possono scegliere di regolarizzare, ossia di continuare a mantenere le proprie attività all’estero, ovvero di rimpatriare le attività finanziarie e patrimoniali. La possibilità di effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione è ammessa anche per le imprese estere situate nei paradisi fiscali le cui partecipazioni di controllo o di collegamento sono detenute da soggetti residenti in Italia.

Le operazioni di rimpatrio e regolarizzazione sono effettuate attraverso una dichiarazione riservata che il contribuente presenta ad un intermediario abilitato. Gli intermediari garantiscono l’anonimato delle dichiarazioni di emersione delle attività nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Essi non sono tenuti a verificare la congruità delle informazioni contenute nelle dichiarazioni riservate, tuttavia hanno il compito di verificare la documentazione che viene allegata alla dichiarazione in caso di regolarizzazione delle attività. Per l’operazione di rimpatrio, le attività devono essere depositate presso l’intermediario italiano entro il termine fissato.

Gli intermediari assumono la qualifica di sostituto d’imposta, trattenendo le ritenute fiscali dovute e riversandole allo Stato senza indicare il nominativo del soggetto per conto del quale la ritenuta è stata operata. Sempre in qualità di sostituto d’imposta presentano una dichiarazione complessiva (mod. 770) concernente il totale delle somme rimpatriate o regolarizzate e le relative ritenute trattenute e versate.

La base imponibile è rappresentata dal rendimento presunto determinato in ragione del 2 per cento annuo per un periodo di cinque anni. In sostanza, quindi, l’imposta è applicata ad un imponibile corrispondente al 10 per cento del valore delle attività che si intende regolarizzare.

E’ istituita una imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali consistente in una aliquota sintetica comprensiva di sanzioni ed interessi, da applicare al rendimento presunto delle attività detenute all’estero. La misura dell'aliquota è pari al 50 per cento se l'operazione è effettuata entro il 15 dicembre 2009, al 60% per le operazioni effettuate entro il 28 febbraio 2010 e al 70% per le operazioni effettuate entro il 15 aprile 2010. In ogni caso, è esclusa la possibilità di scomputare dal pagamento dell’imposta dovuta eventuali ritenute o crediti vantati dal contribuente.

In sostanza, tenuto conto che l’imponibile è determinato sulla base di un rendimento presunto annuo del 2 per cento e di un periodo oggetto di emersione fissato in cinque anni e che l’aliquota d’imposta è pari al 50, 60 e 70 per cento, il carico tributario equivale ad un importo corrispondente, rispettivamente, al 5, 6 e 7 per cento delle attività finanziarie regolarizzate o rimpatriate.

La circolare n. 43/E dell’Agenzia delle entrate chiarisce, inoltre, che “in tutte le ipotesi di materiale rimpatrio delle attività patrimoniali vanno assolti gli obblighi in materia di IVA e diritti doganali eventualmente esistenti”.

 

Ai sensi del nuovo comma 7, l’imposta è determinata al netto dell’eventuale imposta di bollo sugli strumenti finanziari di cui ai commi precedenti.

Il versamento, con riferimento al valore delle attività ancora segretate al 31 dicembre dell’anno precedente, avviene - entro il 16 febbraio di ciascun anno - per il tramite degli intermediari finanziari, che provvedono a trattenere l’imposta del soggetto che ha effettuato l’emersione o ricevono provvista dallo stesso contribuente. Per il solo versamento da effettuare nel 2012 il valore delle attività segretate è quello al 6 dicembre 2011 (nuovo comma 8, comma 5 nella formulazione originaria).

Ai sensi del nuovo comma 9 (comma 6 nella formulazione originaria), gli intermediari segnalano all’Agenzia delle Entrate i contribuenti nei confronti dei quali non è stata applicata e versata l’imposta. Nei confronti dei contribuenti l’imposta è riscossa mediante iscrizione a ruolo. Per l’omesso versamento si applica una sanzione pari all'importo non versato, mentre per l’accertamento e la riscossione dell’imposta, nonché per il relativo contenzioso si applicano le disposizioni in materia di imposte di bollo (commi 10 e 11) e non, come originariamente previsto dal comma 8, in materia di persone fisiche.

Per le attività finanziarie oggetto di emersione che, alla data del 6 dicembre 2011, sono state in tutto o in parte prelevate dal rapporto di deposito, amministrazione o gestione acceso per effetto della procedura di emersione ovvero comunque dismesse, è dovuta, per il solo anno 2012, una imposta straordinaria pari al 10 per mille (nuovo comma 12).

3) Imposta sugli immobili detenuti all’estero

I commi da 13 a 21 dell’articolo 19istituiscono e disciplinano, rispettivamente, l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero e l’imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero.

Entrambe le forme di prelievo sembrano soggette alla sussistenza di forme di collaborazione con le autorità fiscali degli Stati esteri ove sono detenuti gli immobili e le attività finanziarie colpiti da imposta.

 

In particolare, i commi da 13 a 17, introdotti nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, istituiscono l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero.

 

L’imposta colpisce gli immobili siti all’estero, destinati a qualsiasi uso, e trova applicazione dal 2011 (comma 13).

 

Soggetti passivi (comma 14) sono le persone fisiche, residenti nel territorio dello Stato, titolari di diritto di proprietà o di altro diritto realesul bene immobile.

L’imposta è dovuta proporzionalmente alla quota di possesso e ai mesi dell’anno nei quali tale situazione di fatto si è protratta; a tal fine, il mese nel quale il possesso si è protratto per almeno quindici giorni è computato per intero.

L’aliquota dell’imposta (comma 15) è pari allo 0,76 per cento della base imponibile, consistente nel valore degli immobili risultante dall’atto di acquisto degli stessi o dai contratti. In mancanza, la base imponibile si desume dal valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile medesimo.

Ai sensi del comma 16, per evitare fenomeni di doppia imposizione, dalla predetta imposta è deducibile un credito d’imposta, fino a concorrenza del suo ammontare, pari al valore dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui è sito l’immobile.

Il comma 17 rimanda alla normativa in materia di IRPEF per quanto concerne i versamenti, la liquidazione, l’accertamento e la riscossione, le sanzioni, i rimborsi e il contenzioso.

4) Imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero

I commi da 18 a 21 disciplinano l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero.

Dalla formulazione delle norme introdotte, tale forma di tassazione sembra riferirsi al solo valore delle attività finanziarie, non colpendo dunque i dividendi percepiti in virtù del loro possesso, né le plusvalenze realizzate dalla loro cessione ma aggiungendosi a tali forme di prelievo, ove applicabili[104]. La natura patrimoniale dell’imposta sembra altresì desumersi dalla formulazione del comma 21, che prescrive la deducibilità dell’imposta patrimoniale eventualmente pagata all’estero sulle medesime attività.

Analogamente a quanto disposto per l’imposta sul valore degli immobili all’estero (di cui ai commi da 13 a 17), l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero colpisce le persone fisiche, a decorrere dal 2011 (comma 18).

Per quanto concerne i termini di decorrenza, valgono le considerazioni esposte al relativo paragrafo.

Essa è dovuta proporzionalmente alla quota e al periodo di detenzione (comma 19).

L’imposta è dovuta (comma 20) nella seguente misura:

§      1 per mille annuo per il 2011 e il 2012;

§      1,5 per mille annuo a decorrere dal 2013.

 

Base imponibile è il valore di mercato delle attività finanziarie, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui esse sono detenute, anche utilizzando la documentazione dell’intermediario estero di riferimento e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso.

Dall’imposta si deduce (comma 21), per evitare fenomeni di doppia imposizione, un credito d’imposta, fino a concorrenza del suo ammontare, pari al valore dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui sono detenute le predette attività finanziarie.

Anche per tale fattispecie, il comma 22 rimanda alla normativa in materia di IRPEF per quanto concerne i versamenti, la liquidazione, l’accertamento e la riscossione, le sanzioni, i rimborsi e il contenzioso.

 


Il nuovo comma 23 demanda a provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate le disposizioni di attuazione riguardanti l’imposta sulle attività emerse a seguito della normativa dello scudo fiscale, sugli immobili detenuti all’estero e sulle attività finanziarie detenute all’estero.

Il nuovo comma 24, infine, abroga il comma 5 dell’articolo 11 del decreto legge n. 691 del 1994, che aveva istituito un'addizionale nella misura del 50 per cento dell'imposta di bollo richiamata ai commi 1-3, ora sostituiti dall’articolo in commento.


 

Articolo 20
(Riallineamento partecipazioni)

 

 

L’articolo 20, modificato nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, estende anche alle operazioni aziendali straordinarie effettuate nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2011 la possibilità di “affrancare” fiscalmente i maggiori valori delle partecipazioni di controllo, iscritti in bilancio a seguito delle predette operazioni straordinarie, a titolo di avviamento, marchi d’impresa e altre attività immateriali.

Viene dunque ampliata l’operatività temporale della disciplina sul riallineamento delle divergenze contabili emerse a seguito di operazioni aziendali straordinarie relativamente agli avviamenti, ai marchi d'impresa e alle altre attività immateriali, introdotta dall’articolo 23, comma 12 e seguenti del D.L. 6 luglio 2011, n. 98[105]: Il comma 13 del citato articolo 23 limita infatti l’applicabilità delle suddette norme alle operazioni effettuate nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2010 e a quelle effettuate nei periodi di imposta precedenti.

 

In estrema sintesi, l’articolo 15, comma 10 del decreto-legge n. 185 del 2008[106] ha introdotto, per le imprese coinvolte in operazioni straordinarie (aggregazioni aziendali disciplinate dagli articoli 172, 173 e 176 del TUIR: rispettivamente, fusione, scissione e conferimenti d’azienda), la facoltà (in deroga rispetto a quella ordinariamente prevista dall’articolo 176, comma 2-ter del TUIR) di “affrancare” fiscalmente i maggiori valori risultanti dalle operazioni di fusione, scissione e conferimenti aziendali, limitatamente alle voci relative all’avviamento, ai marchi d’impresa e alle altre attività immateriali.

Tale facoltà si concretizza col pagamento di un’imposta sostitutiva in misura pari al 16% e con un riconoscimento fiscale dei maggiori valori che decorre dal periodo d’imposta nel quale è versata l’imposta sostitutiva.

In seguito l’articolo 23, comma da 12 del D:L. 98/2011 ha esteso la facoltà di affrancamento ai maggiori valori attribuiti alle partecipazioni di controllo iscritti in bilancio a seguito dell'operazione straordinaria a titolo di avviamento, marchi d'impresa e altre attività immateriali. Obiettivo di tale disposizione è stato quello di rendere possibile l’affrancamento anche quando le attività immateriali non emergono in via immediata nel bilancio individuale di ciascuna società, in quanto ricomprese nei maggiori valori attribuiti alle partecipazioni presenti.

L’articolo 15, comma 10, del D.L. 185/2008 consente infatti l’affrancamento delle attività immateriali solo se iscritte in modo autonomo nel bilancio di esercizio delle società risultanti dalle operazioni straordinarie.

Vi sono però operazioni in cui tali poste non sono iscrivibili autonomamente in bilancio; è il caso in cui l’attivo di bilancio delle società coinvolte in operazioni straordinarie sia rappresentato, in tutto o in parte, da partecipazioni di controllo (è il caso delle holding). I valori relativi alle attività immateriali, in tali casi, sono infatti inclusi nel valore di carico delle partecipazioni e non possono essere iscritti autonomamente in bilancio.

L’affrancamento è applicabile anche ai maggiori valori, attribuiti ad avviamento e altre attività immateriali, iscritti nel bilancio consolidato e derivanti da acquisti di partecipazioni di controllo in cessioni di azienda.

 

Le norme in esame stabiliscono (articolo 20, comma 1) che il versamento dell'imposta sostitutiva del 16% sia effettuato in tre rate di pari importo da versare:

a)   la prima, entro il termine di scadenza dei versamenti del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo d’imposta 2012;

b)   la seconda e la terza entro il termine di scadenza dei versamenti, rispettivamente, della prima e della seconda o unica rata di acconto delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta 2014.

 

Il comma 1-bis, inserito nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, estende i termini di versamento rateale dell’imposta sostitutiva anche alle operazioni effettuate nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2010 e in quelli precedenti.

In tal caso, a decorrere dal 1° dicembre 2011, su ciascuna rata sono dovuti interessi nella misura pari al saggio legale.

 

Per quanto concerne invece gli effetti del riallineamento effettuato ai sensi del comma 1, questi decorrono dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 (comma 2).

 

Il comma 3 dispone l’applicazione, ove compatibili, delle modalità attuative già previste dai commi da 12 a 14 del citato articolo 23 del D.L. n. 98/2011, disposte con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 22 novembre 2011.

Il predetto provvedimento ha chiarito (articolo 2) che le disposizioni si applicano a società di capitali, società di persone ed enti commerciali: esso disciplina inoltre le modalità di individuazione della base imponibile, gli effetti del riallineamento e precisa l’ambito temporale di applicabilità della disciplina.


 

Articolo 21, commi 1-9
(Soppressione INPDAP ed ENPALS)

 

 

I commi da 1 a 9 dispongono la soppressione di INPDAP ed ENPALS e il conseguente trasferimento delle funzioni all’INPS.

 

Il comma 1 prevede che la soppressione degli enti avvenga nel quadro di convergenza ed armonizzazione del sistema pensionistico attraverso l’applicazione del metodo contributivo e al fine di migliorare l’efficacia e l’efficienza amministrativa nel settore previdenziale e assistenziale. Le funzioni degli enti soppressi sono trasferite all’INPS, che succede in tutti i rapporti attivi e passivi degli Enti soppressi.

 

Per quanto riguarda la decorrenza della soppressione, il testo originario del decreto-legge prevede che essa avvenga a decorrere alla data di entrata in vigore del provvedimento; con una modifica introdotta nel corso dell’esame in sede referente è stato invece previsto che la soppressione avvenga a decorrere dal 1° gennaio 2012 e che fino a tale data INPDAP ed ENPALS possano svolgere solo atti di ordinaria amministrazione.

 

La disposizione si muove in linea con quanto già definito dall’articolo 01 del D.L. n.138/2011, che nel quadro di una procedura per la revisione integrale della spesa pubblica, aveva tra l’altro previsto “l'accorpamento degli enti della previdenza pubblica”.

 

L’ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo e dello Sport Professionistico) è l’Ente al quale i lavoratori dello spettacolo, siano essi subordinati o autonomi, sono iscritti obbligatoriamente, ai sensi dell’articolo 1 del D.P.R. 1420/1971, ai fini della tutela contro l'invalidità, la vecchiaia e per i superstiti.

L'ENPALS è stato istituito con il contratto collettivo corporativo del 28 agosto 1934, con la denominazione "Cassa nazionale di assistenza per i lavoratori dello spettacolo", è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’Ente è un fondo sostitutivo dell'Assicurazione generale obbligatoria (AGO) gestita dall'INPS, suscettibile di armonizzazione con l’AGO quanto a requisiti d'accesso, prestazioni pensionistiche e contribuzione, salve le normative speciali derivanti da effettive e rilevanti peculiarità professionali e lavorative presenti nel settore dello spettacolo.

In base a quanto disposto dall’articolo 43, comma 1, lettera c), della L. 289/2002, con il D.P.R. 24 novembre 2003, n. 357, l’ENPALS ha adeguato la propria struttura istituzionale ed operativa al modello organizzativo degli altri Enti previdenziali.

Da ultimo, l’articolo 7, comma 16, del D.L. n.78/2010, ha previsto la soppressione dell’Ente Nazione di Assistenza e Previdenza per i Pittori, Scultori, Musicisti, Scrittori ed Autori Drammatici (ENAPPSMSAD)[107] e il contestuale trasferimento delle relative funzioni all’ENPALS, che è pertanto subentrato in tutti i rapporti attivi e passivi.

 

L’INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti dell'Amministrazione Pubblica) è un ente pubblico non economico istituito (a seguito della delega conferita al Governo con la legge 537/1993) con il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 479.

L'Inpdap è nato dalla fusione dei seguenti Enti soppressi: l'Enpas (Ente Nazionale Previdenza Assistenza dipendenti Statali), competente per la liquidazione del trattamento di fine servizio (indennità di buonuscita) al personale dipendente dallo Stato; l'INADEL (Istituto Nazionale Assistenza Dipendenti Enti Locali), competente per la liquidazione del trattamento di fine servizio (indennità premio servizio) ai dipendenti degli enti locali; l'ENPDEP (Ente Nazionale Previdenza Dipendenti Enti diritto Pubblico), competente per la liquidazione dell'assegno funerario al personale dipendente dagli enti di diritto pubblico.

All'Inpdap sono date in gestione le seguenti casse previdenziali (in precedenza gestite dalla Direzione Generale degli Istituti di Previdenza, che era un'articolazione organizzativa del Ministero del Tesoro):

-        CPDEL (Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali);

-        CPUG (Cassa Pensioni Ufficiali Giudiziari e aiutanti ufficiali giudiziari);

-        CPI (Cassa Pensioni Insegnanti);

-        CPS (Cassa Pensioni Sanitari).

Nel 1996, all'interno dell'Inpdap è stata costituita la Ctps (Cassa Trattamenti Pensionistici Statali) (precedentemente, la gestione delle pensioni dei dipendenti statali era direttamente a carico del bilancio dello Stato).

 

Il comma 2 prevede che con decreti di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanarsi entro 60 giorni dall'approvazione dei bilanci di chiusura (al 31 dicembre 2011, come specificato nel corso dell'esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI) delle relative gestioni degli Enti soppressi e sulla base delle risultanze dei bilanci medesimi, da deliberare entro il 31 marzo 2012, le risorse strumentali, umane e finanziarie degli Enti soppressi sono trasferite all'INPS. Conseguentemente la dotazione organica dell'INPS è incrementata di un numero di posti corrispondente alle unità di personale di ruolo in servizio presso gli enti soppressi alla data di entrata in vigore del presente decreto. I dipendenti trasferiti mantengono l'inquadramento previdenziale di provenienza. Il trasferimento non riguarda le posizioni soprannumerarie rispetto alla dotazione organica vigente degli enti soppressi (ivi incluse quelle di cui all'articolo 43, comma 19 della legge 23 dicembre 2000, n. 388), che costituiscono eccedenze ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto il comma 2-bis, al fine di prevedere che in attesa dell’emanazione dei decreti di cui al comma 2, le strutture centrali e periferiche degli enti soppressi continuano ad espletare le attività connesse ai compiti istituzionali degli stessi e che a tale scopo l’INPS, nei giudizi incardinati o da incardinare, relativi alle attività degli enti soppressi, è rappresentato e difeso in giudizio dai professionisti già inseriti nella pianta organica delle consulenze legali dell’INPDAP e dell’ENPALS.

 

L’articolo 43, comma 19, della legge n.388/2000 prevede che i lavoratori, già dipendenti degli enti previdenziali, addetti al servizio di portierato o di custodia e vigilanza degli immobili che vengono dismessi, di proprietà degli enti previdenziali, restano alle dipendenze dell'ente medesimo. Nei loro confronti trova applicazione quanto previsto dagli articoli 33 e 34 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

L’articolo 16 della legge n.183/2011 (Legge di stabilità 2012), sostituendo l’articolo 33 del D.Lgs. n.165/2001, ha introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2012,una nuova disciplina in materia di mobilità e collocamento in disponibilità dei dipendenti pubblici, ridisegnando la procedura da attivare nel caso di situazioni di soprannumero o eccedenze di personale all’interno delle amministrazioni pubbliche. In particolare, al comma 1 si prevede che le pubbliche amministrazioni che abbiano situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall’articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo del D.Lgs. n. 165/2001[108], osservano le procedura di seguito prevista, dandone immediata comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica. Il comma 2 preclude la possibilità di assumere o instaurare qualsiasi rapporto di lavoro alle pubbliche amministrazioni che non abbiano compiuto la ricognizione annuale indicata al precedente comma. Il comma 3 prevede che la mancata attivazione delle procedure, in ricorrenza dei presupposti, da parte del dirigente responsabile, è valutabile ai fini della responsabilità disciplinare- Al comma 4 si prevede l’obbligo del dirigente responsabile di dare informazione preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo di comparto o di area. Al comma 5 si prevede che, trascorsi 10 giorni dalla comunicazione del dirigente responsabile a RSU e alle organizzazioni sindacali, si procede all’applicazione dell’articolo 72, comma 11 del D.L. 112/2008[109] (che prevede la risoluzione del rapporto di lavoro, con preavviso di sei mesi, nei confronti del personale dipendente che ha compiuto l’anzianità massima contributiva di 40 anni) o, in subordine, alla ricollocazione totale o parziale del personale in soprannumero o in eccedenza nell’ambito della stessa amministrazione ricorrendo a forme flessibili della gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell’ambito regionale, tenendo conto dell’articolo 1, comma 29 del D.L. 138/2011 e del successivo comma 6[110]. Il comma 6 prevede che i contratti collettivi nazionali possono stabilire criteri generali e procedure per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni al di fuori del territorio regionale, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali. La disposizione, inoltre, richiama l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 165/2001, che disciplina il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse. Il comma 7 prevede che entro 90 giorni dalla comunicazione del dirigente responsabile a RSU e alle organizzazioni sindacali, l'amministrazione dispone il collocamento in disponibilità del personale che non sia possibile impiegare diversamente nell'ambito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni in ambito regionale, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilità. Infine, il comma 8, si stabilisce che dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro, mentre il lavoratore ha diritto ad un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. I periodi di godimento dell'indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa. È riconosciuto altresì il diritto all'assegno per il nucleo familiare di cui all'articolo 2 del D.L. 69/1988[111].

 

Resta fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.

 

L’articolo 1, commi da 3 a 5, del decreto-legge n.138/2011, prevede che le amministrazioni pubbliche già interessate da analoghi provvedimenti adottati nel 2008 e nel 2009 debbano effettuare ulteriori riduzioni delle dotazioni organiche. In particolare, le amministrazioni dovranno procedere, entro il 31 marzo 2012,alla contrazione degli uffici dirigenziali di livello generale in misura non inferiore al 10%, nonché all’ulteriore riduzione, non inferiore al 10%, della spesa complessiva relativa al numero di posti di organico del personale non dirigenziale. Alle amministrazioni inadempienti è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.

 

I due posti di direttore generale degli Enti soppressi sono trasformati in altrettanti posti di livello dirigenziale generale dell'INPS, con conseguente aumento della sua dotazione organica.

 

Il comma 3 prevede che l’INPS subentri anche nella titolarità dei rapporti di lavoro diversi da quelli di cui al comma 2, per la loro residua durata.

 

Il comma 4 prevede che gli organi degli enti soppressi (ossia il presidente, il consiglio di indirizzo e vigilanza, il collegio dei sindaci e il direttore generale, di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479) cessano dalla data di adozione dei decreti di cui al comma 2.

 

Il comma 5 disciplina la collocazione dei sette componenti del Collegio dei sindaci dell’INPDAP, prevedendo che due vanno ad integrare il Collegio dei sindaci dell’INPS e cinque sono trasformati in posizioni dirigenziali di livello generale (per esigenze di consulenza, studio e ricerca) della ragioneria generale dello Stato.

 

Il comma 6 prevede che per far fronte all’incremento dell’attività dell’INPS a seguito della soppressione degli enti e per assicurare la rappresentanza degli interessi cui corrispondevano le funzioni istituzionali di ciascuno degli enti soppressi, il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INPS è integrato di sei rappresentanti secondo criteri definiti con decreto, non regolamentare, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

 

Si fa presente che non è previsto un termine per l’emanazione del suddetto decreto.

 

Il comma 7 prevede che entro sei mesi dall'emanazione dei decreti di cui al comma 2, l'Inps provvede al riassetto organizzativo e funzionale, operando una razionalizzazione dell'organizzazione e delle procedure.

 

Il comma 8 prevede che la riorganizzazione debbacomportare una riduzione dei costi complessivi di funzionamento non inferiore a 20 milioni di euro nel 2012, 50 milioni di euro per l'anno 2013 e 100 milioni di euro a decorrere dal 2014. I relativi risparmi sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo ammortamento titoli di Stato. Resta in ogni caso fermo il conseguimento dei risparmi, e il correlato versamento all'entrata del bilancio statale, derivante dall'attuazione delle misure di razionalizzazione organizzativa degli enti di previdenza già previste dall'articolo 4, comma 66, della legge 12 novembre 2011, n. 183.

 

L’articolo 4, comma 66, della legge n.183/2011 prevede che al fine di concorrere al raggiungimento degli obiettivi programmati di finanza pubblica per gli anni 2012 e seguenti l'INPS, I'INPDAP e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), nell'ambito della propria autonomia, adottano misure di razionalizzazione organizzativa volte a ridurre le proprie spese di funzionamento in misura non inferiore all'importo complessivo, in termini di saldo netto, di 60 milioni di euro per l'anno 2012, 10 milioni di euro per l'anno 2013 e 16,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è stabilito il riparto di tale importo tra gli enti sopracitati, nonché tra gli altri enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici individuati con il medesimo decreto. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente entro la data stabilita con il predetto decreto ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato.

 

Il comma 9 differisce la durata in carica del Presidente dell’INPS al 31 dicembre 2014. Al fine di verificare il conseguimento degli obiettivi, il Presidente dovrà presentare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali una relazione quadrimestrale, nonché una relazione conclusiva alla fine del mandato, che attesti i risultati conseguiti.

 

Si ricorda che l’attuale Presidente dell’INPS, dott. Antonio Mastrapasqua, è stato nominato, per la durata di un quadriennio, con decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 2008.


 

Articolo 21, commi 10 e 11
(Soppressione Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania - EIPLI)

 

 

Il comma 10 dispone la soppressione e messa in liquidazione dell’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania (EIPLI) a decorrere dall’entrata in vigore del decreto in commento.

 

Il comma 11 regola la fase di soppressione dell’ente, che deve essere realizzata entro 180 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame. Alle regioni spetta il compito di individuare o costituire il soggetto al quale saranno trasferite le funzioni dell’ente disciolto, con le relative risorse umane e strumentali, nonché tutti i rapporti attivi e passivi. Deve essere garantita l’occupazione dei titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’ente soppresso.

A decorrere dalla soppressione dell’ente – con l’entrata in vigore del decreto legge – e fino alla all’adozione delle misure di trasferimento delle funzioni ad un nuovo soggetto – entro 180 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento – prosegue la gestione commissariale attualmente in atto.

 

Va rammentato che l’EIPLI era stato incluso, già con l’art. 2, comma 636, della legge 244/2007 (finanziaria 2008) nell’elenco degli enti da riordinare o sopprimere per finalità di riduzione delle spese di funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Successivamente l’art. 26 del D.L. n. 112/2008 (cd. “taglia enti”) aveva disposto l’abrogazione del comma 636 dell’art. 2, prevedendo una diversa procedura per il riordino o la soppressione degli enti pubblici non economici, ed aveva altresì disposto la soppressione di tutti gli enti pubblici non economici per i quali, alla scadenza del 31 marzo 2009, non fossero stati emanati i regolamenti di riordino di cui al comma 634 dell'articolo 2 della n. 244/07.

E’ intervenuto quindi il comma 3-bis dell'art 3 del decreto-legge n. 171/2008, che - per il solo EIPLI - ha prorogato al 31 marzo 2010 il termine del 31 marzo 2009 precedentemente stabilito. Anche tale termine è stato tuttavia ulteriormente prorogato: al 31 dicembre 2010 dall’articolo 2 comma 6 del D.L. n. 194/2009; e quindi 31 dicembre 2011 dall’art. 2, comma 2-quinquiesdecies del D.L. n. 225/2010.

La norma ultima citata ha anche prescritto che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali debba procedere al riordino o alla soppressione, previa liquidazione, dell’Ente come stabilito dall’articolo 26 del D.L. 112/2008; in caso di soppressione e messa in liquidazione la responsabilità dello Stato è stata limitata all'attivo, in conformità alle norme sulla liquidazione coatta amministrativa.

L’Ente - istituito nel 1947 con il D.Lgs.cps n. 281, come persona giuridica di diritto pubblico sotto la vigilanza del Ministero dell'agricoltura - gestisce otto dighe, alle quali vanno aggiunte alcune centinaia di chilometri di canali di adduzione. L'attività dell'ente è finalizzata a far fronte alle esigenze potabili delle popolazioni della Puglia e della Basilicata, al fabbisogno irriguo di vasti comprensori delle stesse regioni, nonché di agglomerati industriali. L’EIPLI è da tempo amministrato da un Commissario straordinario.


 

Articolo 21, comma 12
(Istituzione Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini)

 

 

Il comma 12 dispone l’istituzione, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto in esame, del Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini, posto sotto la vigilanza del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, riunificando in un unico consorzio nazionale le funzioni dei tre consorzi del Ticino, dell’Oglio e dell’Adda[112].

In particolare, il nuovo Consorzio nazionale svolgerà le proprie funzioni con le risorse finanziarie, strumentali e di personale attribuite dall’art. 63, comma 8, del D.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) ai tre consorzi citati:

§      consorzio del Ticino-Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago Maggiore;

§      consorzio dell'Oglio - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago d'Iseo;

§      consorzio dell’Adda - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago di Como.

 

Si ricorda che il comma 8 dell’art. 63 del D.lgs. n. 152/2006 dispone che le Autorità di bacino coordinano e sovrintendono le attività e le funzioni di titolarità anche dei tre citati consorzi, con particolare riguardo all'esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche e di bonifica, alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, alla rinaturalizzazione dei corsi d'acqua ed alla fitodepurazione.

In estrema sintesi i tre consorzi sono stati tutti costituiti negli anni trenta quali enti regolatori del lago Maggiore (Consorzio del Ticino), del lago d’Iseo (Consorzio dell’Oglio) e del lago di Como (Consorzio dell’Adda) e sono sottoposti alla vigilanza del Ministero dell’ambiente.

 

Nel periodo transitorio, l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle attività istituzionali fino all'avvio del Consorzio nazionale spetteranno ad un commissario e a un sub-commissario, nonché ad un collegio di revisori composto da tre membri (quest’ultimo su designazione del Ministro dell’economia e delle finanze) nominati con decreto del Ministro dell'ambiente, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Dalla data di insediamento del commissario vengono, pertanto, soppressi i tre consorzi citati e decadono i relativi organi.

La denominazione “Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini” sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, le denominazioni: “Consorzio del Ticino - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago Maggiore”, “Consorzio dell'Oglio - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago d'Iseo” e “Consorzio dell’Adda - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago di Como”.

Con decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro e non oltre 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame e sentite le Commissioni parlamentari competenti che si esprimono entro 20 giorni dalla data di assegnazione, sono determinati, in coerenza con obiettivi di funzionalità, efficienza, economicità e rappresentatività, gli organi di amministrazione e controllo, la sede, nonché le modalità di funzionamento, e sono trasferite le risorse strumentali, umane e finanziarie degli enti soppressi, sulla base delle risultanze dei bilanci di chiusura delle relative gestioni alla data di soppressione.

I bilanci di chiusura delle relative gestioni devono essere deliberati dagli organi in carica alla data di soppressione, insieme alla relazione predisposta dall’organo interno di controllo in carica alla stessa data, e devono essere trasmessi per l’approvazione al Ministero dell’ambiente e al Ministero dell’economia e delle finanze.

Per quanto riguarda i compensi, le indennità o altri emolumenti spettanti ai componenti degli organi dei soppressi consorzi, essi dovranno essere corrisposti fino alla data di soppressione mentre per gli adempimenti relativi alla chiusura dei bilanci spetta esclusivamente, qualora dovuto, il rimborso delle spese effettivamente sostenute nella misura prevista dai rispettivi ordinamenti.

I dipendenti a tempo indeterminato dei soppressi Consorzi mantengono l’inquadramento previdenziale di provenienza e sono inquadrati nei ruoli del Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini cui si applica il contratto collettivo nazionale del comparto enti pubblici non economici.

La dotazione organica del Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini non può eccedere il numero del personale in servizio alla data di entrata in vigore del decreto in esame presso i soppressi Consorzi.


 

Articolo 21, commi 13-21
(Soppressione dell’Agenzia per la regolazione in materia di acqua, dell’Agenzia per la sicurezza nucleare e dell’Agenzia del settore postale)

 

 

Il comma 13 prevede la soppressione dei seguenti enti (indicati dall’Allegato A):

§      Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, le cui funzioni sono trasferite al Ministero dell'ambiente, ad eccezione (sulla base di una modifica apportata al comma 19 nel corso dell’esame in sede referente) di quelle attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici (che dovranno essere individuate, secondo quanto previsto dal comma 19, con apposito D.P.C.M. da adottare, su proposta del Ministro dell'ambiente, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto), che sono trasferite all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che viene conseguentemente inclusa nell’Allegato tra gli enti incorporanti;

Si ricorda che l’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua è stata recentemente istituita dall’art. 10, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, al fine di garantire l'osservanza dei principi contenuti nel D.Lgs. 152/2006 in tema di gestione delle risorse idriche e di organizzazione del servizio idrico, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse degli utenti, alla regolare determinazione e adeguamento delle tariffe, nonché alla promozione dell'efficienza, dell'economicità e della trasparenza nella gestione dei servizi idrici. A tale Agenzia sono state trasferite le funzioni della precedente Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche prevista dall'art. 161 del D.Lgs. 152/2006, conseguentemente soppressa.

§      Viene specificato che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas esercita le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici con i medesimi poteri ad essa attribuiti dalla legge 14 novembre 1995,n. 481.

Si rammenta che la legge 14 novembre 1995, n. 481, recante norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità, ha istituito le Autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità, competenti, rispettivamente, per l'energia elettrica e il gas e per le telecomunicazioni. Le Autorità operano in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione e sono preposte alla regolazione e al controllo del settore di propria competenza.

§      Agenzia per la sicurezza nucleare, le cui funzioni e risorse di personale, finanziarie e strumentali sono trasferite al Ministero per lo Sviluppo economico.

Si ricorda che l’Agenzia per la sicurezza nucleare è stata istituita dall’articolo 29[113] della legge 99/2009[114]utilizzando le strutture e le risorse del Dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale dell’ISPRA e dell’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA). Svolge le funzioni e i compiti di autorità nazionale per la regolamentazione tecnica, il controllo e l’autorizzazione ai fini della sicurezza delle attività concernenti la gestione e la sistemazione dei rifiuti radioattivi e dei materiali nucleari provenienti da attività mediche ed industriali, la protezione dalle radiazioni, nonché le funzioni e i compiti di vigilanza sulla salvaguardia degli impianti e dei materiali nucleari, comprese le loro infrastrutture e la logistica.

L’Agenzia vigila sulla sicurezza nucleare e sulla radioprotezione nel rispetto delle norme e delle procedure vigenti a livello nazionale, comunitario e internazionale, applicando le migliori efficaci ed efficienti tecniche disponibili, nel rispetto del diritto alla salute e all’ambiente ed in ossequio ai princìpi di precauzione suggeriti dagli organismi comunitari. L’Agenzia mantiene e sviluppa relazioni con le analoghe agenzie di altri Paesi e con le organizzazioni europee e internazionali d’interesse per lo svolgimento dei compiti e delle funzioni assegnati, anche concludendo accordi di collaborazione, e assicura la partecipazione ai processi internazionali di valutazione della sicurezza nucleare anche per gli impianti nucleari in esercizio in altri Paesi. L’Agenzia è la sola autorità nazionale responsabile per la sicurezza nucleare e la radioprotezione.

Lo statuto è stato approvato con D.P.C.M. 27 aprile 2010[115] e con decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2011 è stata costituita l'Agenzia per la sicurezza nucleare, composta dal Presidente prof. Umberto Veronesi e, in qualità di componenti, dal prof. Maurizio Cumo, dal prof. Marco Enrico Ricotti, dal dr. Stefano Dambruoso e dal dr. Stefano Laporta. Il Presidente ed i componenti dell'Agenzia per la sicurezza nucleare durano in carica sette anni.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserito un comma 20-bis in cuisi dispone, in via transitoria e fino all’adozione, d’intesa anche con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del decreto che disciplina il trasferimento delle risorse finanziarie e strumentali dell’ente soppresso (di cui al comma 15), l’attribuzione delle funzioni e dei compiti facenti capo all’Agenzia per la sicurezza nucleare all’Istituto superiore per la protezione della ricerca ambientale (ISPRA), avuto riguardo anche alla contestuale definizione di un assetto organizzativo rispettoso delle garanzie di indipendenza previste dall’Unione europea. Riguardo alla disposizione in esame, si fa presente che l’VIII Commissione (Ambiente), nel parere approvato nella seduta del 9 dicembre, aveva segnalato in un’osservazione l’opportunità di prevedere transitoriamente il passaggio delle funzioni della soppressa Agenzia per la sicurezza nucleare in capo all'ISPRA in ragione delle particolari competenze specialistiche necessarie allo svolgimento di tali compiti.

§      Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale, le cui funzioni sono trasferite all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

L’Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale, designata quale autorità nazionale di regolamentazione per il settore postale, è stata istituita con l’articolo 1 del decreto legislativo n. 58/2011, di recepimento della direttiva n. 2008/6/CE. L'Agenzia è soggetto giuridicamente distinto e funzionalmente indipendente rispetto agli operatori del settore postale, ed opera sulla base di principi di autonomia organizzativa, tecnico-operativa, gestionale, di trasparenza e di economicità.

All’Agenzia sono affidate funzioni: di regolazione dei mercati postali; di partecipazione ai lavori e alle attività dell'Unione europea e internazionali entro i limiti delle competenze di attribuzione; di adozione di provvedimenti regolatori in materia di qualità e caratteristiche del servizio postale universale; di adozione di provvedimenti regolatori in materia di accesso alla rete postale e relativi servizi, determinazione delle tariffe dei settori regolamentati e promozione della concorrenza nei mercati postali; di svolgimento, anche attraverso soggetti terzi, dell'attività di monitoraggio, controllo e verifica del rispetto di standard di qualità del servizio postale universale; di vigilanza sull'assolvimento degli obblighi a carico del fornitore del servizio universale e su quelli derivanti da licenze ed autorizzazioni, con particolare riferimento alle condizioni generali della fornitura dei servizi postali; di analisi e monitoraggio dei mercati postali.

Le funzioni di programmazione, indirizzo, regolazione e controllo in tali materie sono affidate ad un Collegio costituito da tre membri, di cui uno con funzioni di Presidente, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico. Le designazioni effettuate dal Governo sono previamente sottoposte al parere delle competenti Commissioni parlamentari: le nomine non possono essere effettuate in mancanza del parere favorevole espresso dalle Commissioni. Le Commissioni possono procedere all'audizione delle persone designate. I membri del Collegio sono scelti tra persone dotate di indiscusse moralità e indipendenza, alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore, durano in carica tre anni e possono essere confermati una sola volta.

 

Il comma 14 prevede che le funzioni attribuite agli enti di cui al comma 13 dalla normativa vigente e le inerenti risorse finanziarie e strumentali compresi i relativi rapporti giuridici attivi e passivi, sono trasferiti, senza che sia esperita alcuna procedura di liquidazione, neppure giudiziale, alle amministrazioni corrispondentemente indicate nel medesimo allegato A.

 

I commi da 15 a 18 disciplinano gli adempimenti conseguenti alla soppressione degli enti di cui sopra come segue:

§      il trasferimento delle risorse strumentali e finanziarie degli enti soppressi è determinato con decreti non regolamentari adottati dal Ministro interessato, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento (comma 15, primo periodo);

§      nelle more dell’adozione dei decreti di trasferimento, l’amministrazione incorporante può delegare ad uno o più dirigenti lo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione, ivi comprese le operazioni di pagamento e riscossione (comma 15, secondo periodo);

§      la deliberazione dei bilanci di chiusura degli enti soppressi è di competenza degli organi in carica alla data di cessazione dell’ente, essi devono essere deliberati entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente provvedimento e sono corredati della relazione redatta dall’organo interno di controllo in carica alla data di soppressione dell’ente medesimo e sono trasmessi per l’approvazione al Ministero vigilante e al Ministero dell’economia e delle finanze (comma 16, primo periodo);

§      ai componenti degli organi degli enti soppressi sono corrisposti regolarmente i compensi ad essi spettanti fino alla data di soppressione (comma 16, secondo periodo). Per la deliberazione dei bilanci di chiusura di cui sopra ai componenti degli organi spetta esclusivamente, ove dovuto, il rimborso delle spese effettivamente sostenute nella misura prevista dai rispettivi ordinamenti (comma 16, terzo periodo);

§      le amministrazioni incorporanti, per lo svolgimento delle nuove funzioni loro attribuite in relazione al trasferimento degli enti soppressi, possono avvalersi di personale comandato nel limite massimo delle unità previste dalle specifiche disposizioni di cui alle leggi istitutive degli enti soppressi (comma 17);

§      le amministrazioni di destinazione degli enti soppressi individuano le strutture interne che esercitano i nuovi compiti e funzioni (già facenti capo agli enti soppressi) utilizzando le sedi e gli uffici già facenti capo agli enti soppressi, almeno fino al perfezionamento del processo di riorganizzazione indicato; l’attività facente capo ai predetti enti continua ad essere esercitata presso le sedi e gli uffici già a tal fine utilizzati (comma 18).

 

Il comma 20 dispone la soppressione della Commissione Nazionale per la Vigilanza delle risorse idriche (Co.N.Vi.R.I.) di cui all'art. 161 del D.Lgs. 152/2006.

La relazione tecnica sottolinea che tale previsione si rende necessaria in quanto detta Commissione, soppressa dall’art. 10, comma 26, del D.L. 70/2011, “continuava ad operare, ai sensi del medesimo comma 26, sino alla nomina dei componenti dell’Agenzia”.

 

Il comma 21 precisa che dall’attuazione delle precedenti disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 22, comma 1
(Obbligo comunicazione bilanci al MEF da parte di enti e organismi che ricevono contributi a carico del bilancio dello Stato)

 

 

Il comma 1 reca una norma finalizzata a rafforzare il monitoraggio della spesa pubblica, attraverso la previsione di un obbligo generale,a carico degli enti ed organismi pubblici anche con personalità giuridica di diritto privato, ad esclusione delle società, che ricevono contributi dallo Stato o al cui patrimonio partecipa lo Stato mediante apporti, di trasmettere i propri bilanci alle amministrazioni vigilanti e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, entro dieci giorni dalla data di delibera o approvazione dei medesimi.


 

Articolo 22, commi 2-4
(
Riorganizzazione organi collegiali delle Agenzie)

 

 

L’articolo 22, comma 2, prevede l’adozione di uno o più regolamenti di delegificazione al fine di riordinare gli organi collegiali di indirizzo, amministrazione, vigilanza e controllo delle Agenzie, incluse quelle fiscali, e degli enti ed organismi strumentali, con l’obiettivo di ridurne le spese di funzionamento.

I regolamenti devono essere adottati entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge, su proposta dei Ministri vigilanti e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

L’unico criterio direttivo previsto dalla norma che autorizza la delegificazione è la riduzione del numero complessivo dei componenti degli organi delle agenzie.

 

Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione in esame, si ricorda che lo strumento delle agenzie amministrative è stato generalizzato dal D.Lgs. n. 300/1999[116], ispirato a modelli privatistici sulla base di criteri di efficacia e di efficienza, per rispondere all’esigenza di svolgere le attività di carattere tecnico dei dicasteri.

Il titolo II del D.Lgs. n. 300 del 1999 (artt. 8-10) detta le norme generali per l’istituzione delle agenzie. Queste svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, tradizionalmente esercitate da amministrazioni ed enti pubblici. Il ricorso all'agenzia si rende opportuno in presenza di funzioni che richiedano particolari professionalità, conoscenze specialistiche e specifiche modalità di organizzazione del lavoro, difficilmente realizzabili all'interno delle strutture ministeriali.

Le agenzie operano in condizioni di autonomia, nei limiti stabiliti dalla legge: dispongono di un proprio statuto; sono sottoposte al controllo della Corte dei conti ed al potere di vigilanza di un ministro; hanno autonomia di bilancio ed agiscono sulla base di convenzioni stipulate con le amministrazioni. A differenza delle autorità amministrative indipendenti (authorities), le Agenzie sono pertanto soggette al controllo governativo e non godono di totale autonomia dall’Esecutivo tanto che i vertici (direttori generali) vengono individuati dai Ministri e nominati con D.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri; rispetto ai dipartimenti ministeriali, pertanto, tali istituti godono di una maggiore autonomia ma non tanto da porli in una posizione di terzietà rispetto al Governo.

Oltre a prevedere un modello generale, il D.Lgs. 300/1999 ha individuato e disciplinato due gruppi di gruppi.

Nella prima categoria sono comprese quattro strutture: l’Agenzia industrie difesa (art. 22) e l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (artt. 38 e 39), uniche rese operative[117]; l’Agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture (art. 44) e l’Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale (art. 88), non ancora attive (sono state soppresse prima ancora di essere costituite, invece, l’Agenzia per le normative e i controlli tecnici, l’Agenzia per la proprietà industriale, l’Agenzia per la protezione civile e l’Agenzia per il servizio civile, quest’ultima prevista dal D.Lgs. n. 303/1999).

Nella seconda categoria, rientrano le agenzie fiscali, che sono disciplinate secondo disposizioni specifiche anche in deroga alle disposizioni generali. Si tratta di:

§       Agenzia delle entrate;

§       Agenzia delle dogane;

§       Agenzia del territorio;

§       Agenzia del demanio.

L’art. 10 del D.Lgs. 300/1999 individua nelle agenzie fiscali le agenzie “speciali”, in quanto soggette ad una disciplina speciale derogatoria rispetto a quella generale di cui ai precedenti artt. 8 e 9 del D.Lgs. 300/1999. La specifica disciplina di queste agenzie è recata dagli artt. 57-72.

Per quanto riguarda l’organizzazione interna delle agenzie disciplinate dagli art. 8 e 9 del D.Lgs. n. 300/1999, sono previsti quattro organi (direttore generale, comitato direttivo, collegio dei revisori dei conti, organismo preposto al controllo di gestione), mentre sono tre per le agenzie fiscali (direttore, comitato di gestione, collegio dei revisori dei conti).

Accanto a quelle citate, l’ordinamento prevede una serie di organismi, denominati “agenzie”, istituiti con distinti provvedimenti, prima del D.Lgs. 300/1999; si tratta dei seguenti:

§      Agenzia spaziale italiana (ASI);

§      Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN);

§      Agenzia per i servizi sanitari regionali;

§      Agenzia nazionale per la sicurezza del volo;

§      Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA);

§      Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), successivamente denominata Agenzia per il terzo settore.

Anche successivamente al D.Lgs. 300/1999, il legislatore ha provveduto ad istituire nuove “agenzie”, non sempre riconducibili alla disciplina generale prevista dai citati articoli 8-9. Senza pretesa di esaustività, si ricordano tra i nuovi organismi:

§       Agenzia italiana del farmaco;

§       Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione;

§       Agenzia nazionale del turismo;

§       Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR);

§       Agenzia nazionale per i giovani;

§       Agenzia nazionale per lo sviluppo della autonomia scolastica;

§       Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie;

§       Autorità nazionale per la sicurezza alimentare;

§       Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ex Enea);

§       Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;

§       Agenzia per la sicurezza nucleare;

§       Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale;

§       Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua.

Si segnala, peraltro, che il decreto-legge in esame prevede la soppressione delle ultime tre agenzie citate (v. supra, commento art. 21).

 

Il successivo comma 4 prevede che la riduzione dei componenti si applica a decorrere dal primo rinnovo degli organi di indirizzo, amministrazione, vigilanza e controllo successivo alla data di entrata in vigore dei regolamenti.

 

Il comma 3 estende alle Agenzie e agli enti o organismi strumentali comunque denominati sottoposti alla vigilanza delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali la norma - contenuta nell’articolo 6, comma 5 del D.L. n. 78/2010 – che dispone la riduzione del numero dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, nonché dei componenti del collegio dei revisori, rispettivamente, a cinque e a tre componenti.

A tal fine, gli enti territoriali vigilanti, negli ambiti di rispettiva competenza, sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal citato articolo 6, comma 5 del D.L. n. 78/2010, entro un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento in commento.

Si segnala che la relazione tecnica afferma che la disposizione determina sicuri risparmi di spesa quantificabili a consuntivo.

 

Il comma 5 dell’articolo 6 del D.L. n. 78/2010[118] prevede tutti gli enti pubblici, anche economici, e tutti gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato devono adeguare i rispettivi statuti, al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data del 31 maggio 2010[119]: gli organi di amministrazione e di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché gli organi di revisione, siano costituiti da un numero di componenti non superiore rispettivamente a 5 e a 3 componenti.

Il comma 5 fa obbligo alle amministrazioni vigilanti di adeguare, mediante regolamenti di delegificazione[120], la relativa disciplina di organizzazione con riferimento a tutti gli enti ed organismi pubblici da esse vigilati. Il mancato adeguamento nei termini indicati determina responsabilità erariale e tutti gli atti adottati dagli organi degli enti interessati sono nulli.


 

Articolo 22, comma 5
(
Regolamenti per il riordino settore lirico-sinfonico)

 

 

Il comma 5 posticipa al 31 dicembre 2012 il termine per l’emanazione dei regolamenti di delegificazione finalizzati a revisionare l’assettoordinamentale e organizzativodelle fondazioni lirico-sinfoniche, fissato in 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 64 del 2010 (L. 29 giugno 2010, n. 100) e, dunque, destinato a spirare a fine 2011.

 

Tra i criteri indicati per la revisione dell’organizzazione e del funzionamento delle fondazioni lirico-sinfoniche vi sono: tutela e valorizzazione professionale dei lavoratori; efficienza; corretta gestione; economicità; imprenditorialità; controllo e vigilanza sulla gestione economico-finanziaria; incentivazione del miglioramento dei risultati gestionali attraverso la rideterminazione dei criteri di ripartizione del contributo statale e destinazione di una quota crescente di quest’ultimo in base alla qualità della produzione; revisione organica del sistema di contrattazione collettiva; incentivazione della contribuzione da parte degli enti locali; eventuale previsione di forme organizzative speciali per alcune fondazioni; valorizzazione dei grandi teatri d’opera; valorizzazione delle finalità e del carattere sociale delle fondazioni e del loro ruolo educativo verso i giovani.

Al riguardo si ricorda che allo stato è intervenuto un primo regolamento di delegificazione attuativo dell’art. 1, comma 1, lett. f), del D.L. 64/2010: si tratta del DPR 19 maggio 2011, n. 117[121], recante criteri e modalità di riconoscimento a favore delle fondazioni lirico-sinfoniche di forme organizzative speciali.


 

Articolo 22, commi 6-9
(Riordino ICE)

 

 

Il comma 6 dell’articolo 22 sostituisce i commi da 18 a 26 dell’articolo 14 del decreto-legge n. 98/2011[122], che avevano soppresso l’Istituto per il commercio con l’estero (ICE) trasferendone funzioni, risorse umane, strumentali e finanziarie, al Ministero dello Sviluppo economico ed al Ministero degli Affari esteri per le parti di rispettiva competenza, e istituisce un nuovo organismo denominato ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.

 

In particolare, il comma 18 istituisce l’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, e sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello Sviluppo economico, che li esercita , per le materie di rispettiva competenza, d’intesa con il Ministero degli Affari esteri, sentito il Ministero dell’Economia e delle finanze. La previsione dell’intesa con il Ministero citato, al posto del “sentiti”, è stata introdotta nel corso dell’esame in sede referente.

 

Nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite V e VI, è stato introdotto il comma 18-bis che attribuisce i poteri di indirizzo in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese italiane al Ministro dello sviluppo economico e a quello degli affari esteri. Viene demandata, inoltre, la formulazione delle linee guida e di indirizzo strategico in detta materia, anche per quanto riguarda la programmazione delle risorse, ad una Cabina di regia, da costituirsi senza nuovi o maggiori oneri. Questo organo è copresieduto dai Ministri degli affari esteri e dello sviluppo economico, ed è composto dal Ministro dell'economia e delle finanze, o da persona dallo stesso designata, dal Presidente della Conferenza delle regioni e dai Presidenti, rispettivamente, di Unioncamere, della Confederazione generale dell'industria italiana, di Rete Imprese Italia e della Associazione bancaria italiana.

Le funzioni già attribuite all'ICE dalla normativa vigente e le risorse di personale, finanziarie e strumentali, sono trasferiti al Ministero dello sviluppo economico, che deve riorganizzarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, ai sensi dell'articolo 4 del D.Lgs. n. 300/1999, e all’Agenzia appena istituita. Le risorse già destinate all'ICE per il finanziamento dell'attività di promozione e di sviluppo degli scambi commerciali con l'estero, sono trasferite in un apposito Fondo per la promozione degli scambi e l'internazionalizzazione delle imprese, da istituire nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico (comma 19).

Il comma 20 definisce i compiti dell’Agenzia: sviluppo dell’internazionalizzazione delle imprese italiane; commercializzazione dei beni e dei servizi italiani nei mercati internazionali; promozione dell'immagine del prodotto italiano nel mondo. Essa opera in stretto raccordo con le regioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le organizzazioni imprenditoriali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati.

Il comma 21 individua gli organi dell’Agenzia: presidente, nominato, al proprio interno, dal consiglio di amministrazione; consiglio di amministrazione, costituito da cinque membri, di cui uno con funzioni di presidente, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello Sviluppo economico; collegio dei revisori dei conti, composto di tre membri ed un membro supplente, con funzioni di controllo di regolarità amministrativo-contabile e di verifica sulla regolarità della gestione dell'Agenzia, designati dai Ministeri dello Sviluppo economico, degli Affari esteri e dell’Economia e delle finanze, che nomina anche il supplente. All’Agenzia si applica il D.Lgs. n. 123/2011, in materia di controlli di regolarità amministrativa e contabile. È esclusa l’applicabilità della disciplina della revisione legale di cui al D.Lgs. n. 39/2010.

Il comma 22 disciplina le funzioni del direttore generale l'Agenzia, nominato per un periodo di quattro anni, rinnovabili per una sola volta: direzione; coordinamento e controllo; formulazione di proposte al consiglio di amministrazione; attuazione di programmi e deliberazioni da questo approvati; adempimenti di carattere tecnico-amministrativo. Il direttore generale è nominato per un periodo di quattro anni, rinnovabili per una sola volta. Al direttore generale non si applica il comma 8 dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, relativo all'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, che prevede che gli incarichi di funzione dirigenziale cessino decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo.

Il comma 23 stabilisce che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione siano determinati con decreto del Ministro dello Sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, in conformità alle norme di contenimento della spesa pubblica e, comunque, entro i limiti di quanto previsto per enti di analoghe dimensioni.

Il regolamento di organizzazione, di contabilità, la dotazione organica del personale, nel limite massimo di 300 unità, ed i bilanci sono deliberati dal consiglio di amministrazione, e sono trasmessi ed approvati dai Ministeri vigilanti, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle finanze. Il piano annuale di attività è definito tenuto conto delle proposte provenienti dalle rappresentanze diplomatiche e consolari (comma 24).

L’Agenzia opera all’estero nell’ambito delle Rappresentanze diplomatiche e consolari con modalità stabilite con apposita convenzione stipulata tra l’Agenzia, il Ministero degli Affari esteri e il Ministero dello Sviluppo economico. Il personale dell’Agenzia all’estero può essere accreditato, previo nulla osta del Ministero degli Affari esteri, in conformità alla normativa internazionale (comma 25).

I commi 26 e 26-bis disciplinano l’individuazione delle risorse umane, strumentali, finanziarie, e dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al soppresso istituto, da trasferire all’Agenzia e al Ministero dello Sviluppo economico. Si provvede mediante uno o più decreti di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze. Durante l’esame presso le commissioni riunite si è previsto che venga sentito il Ministro degli affari esteri, per le materie di sua competenza. In una prima fase sarà trasferito all’Agenzia un contingente massimo di 300 unità, proveniente dal personale dipendente a tempo indeterminato dell’istituto soppresso, scelto sulla base di una valutazione comparativa per titoli. Con i medesimi decreti si provvede a rideterminare le dotazioni organiche del Ministero dello Sviluppo economico in misura corrispondente alle unità di personale in servizio a tempo indeterminato trasferito. Il Ministero dello Sviluppo economico può delegare un dirigente per lo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione, al fine di garantire la continuità dei rapporti che facevano capo all’ICE.

Il comma 26-ter stabilisce che, a decorrere dal 2012, la dotazione del Fondo di cui al comma 19 è determinata dalla legge di stabilità ed è destinata all’erogazione all’Agenzia di un contributo annuale per il finanziamento delle attività di promozione all’estero e di internazionalizzazione delle imprese italiane. A decorrere dal medesimo anno sarà iscritto nello stato di previsione del Ministero dello Sviluppo economico un apposito capitolo, destinato al finanziamento delle spese di funzionamento, la cui dotazione è determinata dalla medesima legge di stabilità, e un capitolo per il finanziamento delle spese di natura obbligatoria dell’Agenzia.

Il comma 26-quater elenca le entrate dell’Agenzia, in aggiunta ai contributi di cui al comma precedente:

a)   eventuali assegnazioni per la realizzazione di progetti finanziati parzialmente o integralmente dall'Unione europea;

b)   corrispettivi per servizi prestati agli operatori pubblici o privati e compartecipazioni di terzi alle iniziative promozionali;

c)   utili delle società eventualmente costituite o partecipate;

d)   altri proventi patrimoniali e di gestione.

Il comma 26-quinquies specifica che L’Agenzia provvede alle proprie spese di funzionamento e alle spese relative alle attività di promozione all’estero e internazionalizzazione delle imprese italiane nei limiti delle risorse finanziarie assegnate dai commi precedenti.

Il comma 26-sexies prevede che, entro sei mesi dalla costituzione, l’Agenzia, sulla base delle linee guida e di indirizzo strategico adottate dalla Cabina di regia e fatte proprie dal Ministero dello Sviluppo economico, d’intesa con il Ministero degli affari esteri per quanto di competenza, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze, provvede a:

a)   riorganizzare gli uffici presso le rappresentanze diplomatiche e consolari, mantenendo in Italia soltanto gli uffici di Roma e Milano;

b)   rideterminare le modalità di svolgimento delle attività di promozione fieristica;

c)   concentrare le attività di promozione sui settori strategici e sull’assistenza alle piccole e medie imprese.

Le modalità di adozione delle linee guida sono state modificate nel corso dell’esame presso le commissioni riunite. In precedenza si disponeva che queste fossero adottate dal Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero degli affari esteri e, per quanto di competenza, il Ministero dell’economia e delle finanze.

I commi 26-septies e 26-octies dispongono l’inquadramento nei ruoli del Ministero dello Sviluppo economico dei dipendenti a tempo indeterminato dell’istituto soppresso; l’eventuale trasferimento di dipendenti alle Regioni o alle Camere di commercio; il mantenimento, da parte dei dipendenti trasferiti al Ministero dello Sviluppo economico e all’Agenzia, dell’inquadramento previdenziale di provenienza e del trattamento economico fondamentale e accessorio limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento dell'inquadramento.

Ai sensi dei commi 26-novies e 26-decies. l'Agenzia si avvale del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, mentre la Corte dei Conti esercita il controllo sulla sua gestione finanziaria.

 

Il comma 7 dell’articolo 22. attribuisce ad uno o più decreti del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro degli Affari esteri la definizione delle iniziative di promozione e internazionalizzazione da realizzare, in attesa della piena operatività dell’Agenzia disciplinata dal comma 6.

 

Il comma 8 definisce i poteri del dirigente delegato di cui al comma 26-bis, introdotto dal precedente comma 6 del medesimo articolo 22, e precisamente i poteri attribuiti al consiglio di amministrazione e al direttore generale del soppresso ICE, necessari per la realizzazione delle iniziative di cui al precedente comma 7. Stipula, inoltre, i contratti e autorizza i pagamenti e può delegare ai titolari degli uffici del soppresso istituto la stipula dei contratti e l’autorizzazione dei pagamenti. Si stabilisce, infine, la temporanea operatività del personale in servizio presso gli uffici all’estero dell’ICE e la prosecuzione del controllo sulla sua gestione da parte del collegio dei revisori dell’Istituto stesso.

 

Il comma 9 dispone che non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato dall’attuazione dei commi 6-8, prevedendo l’utilizzazione delle risorse già destinate al soppresso ICE e le risorse per le spese di funzionamento e per le spese di natura obbligatoria dell’ente soppresso.


 

Articolo 22, comma 9-bis
(Trasferimento a Fintecna delle partecipazioni di ANAS)

 

 

Il comma 9-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, modifica la disciplina riguardante il trasferimento delle partecipazioni di ANAS[123] a Fintecna[124] società interamente controllata dal MEF, che era stata prevista dal comma 7 dell’articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 successivamente modificato dall’articolo 20, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012).

 

Si ricorda che la cessione delle partecipazioni dell’ANAS è prevista nell’ambito del riordino operato dall’art. 36, comma 1, del D.L. 98/2011 (convertito dalla legge 111/2011) che reca un’articolata disciplina volta a ridefinire l’assetto delle funzioni e delle competenze in materia di gestione della rete stradale e autostradale di interesse nazionale, per un verso, attraverso l’istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e, per l’altro, la trasformazione di ANAS S.p.A. in società in house del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT).

Il comma 7 dell’articolo 36, come modificato dall’articolo 20, comma 1, della legge n. 183/2011, prevede, a decorrere dal 1° gennaio 2012, il trasferimento a Fintecna S.p.A. di tutte le partecipazioni detenute da ANAS S.p.A. anche in società regionali, al valore netto contabile risultante al momento della cessione; la cessione è esente da imposte dirette, indirette e da tasse.

 

La novella introdotta dal comma in esame differisce al 31 marzo 2012 il termine entro il quale si procederà al trasferimento delle partecipazioni da ANAS a Fintecna. Si specifica, inoltre, che le partecipazioni oggetto di trasferimento sono quelle detenute da ANAS in società co-concedenti. Come già disposto dal testo vigente, la cessione è esente da imposte (dirette e indirette) e tasse, mentre, rispetto al testo vigente, si prevede che la cessione è realizzata da Fintecna e da ANAS al valore netto contabile risultante al momento della cessione ovvero, qualora Fintecna lo richieda, quello risultante da una perizia realizzata da un collegio di tre esperti nominati, due, da ciascuna delle società, e il terzo, in qualità di Presidente, congiuntamente dalle stesse.

 

La norma in esame sembra finalizzata ad imporre la cessione non di tutte le partecipazioni detenute dall’Anas ma solamente di quelle in società che, insieme all’Anas, svolgono funzioni di soggetto concedente, perché in effetti solo per tali soggetti si pone il problema del conflitto di interessi causato dalla concentrazione nello stesso soggetto delle qualità di controllore e controllato, problema che la riforma dell’Anas recata dall’art. 36 del D.L. 98/2011 cerca di risolvere con l’istituzione dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, cui vengono trasferiti, tra gli altri, i compiti di amministrazione concedente prima spettanti all’Anas (comma 4 dell’art. 36).

L’aggettivo “co-concedenti” sembra riguardare esclusivamente le società regionali partecipate al 50% dall’Anas e costituite (nella forma della S.p.A.) in attuazione delle norme sul federalismo infrastrutturale introdotto dal comma 289 dell’art. 2 della L. 244/2007 (finanziaria 2008).

Si tratta delle seguenti società che, in forza del citato comma 289, esercitano “le funzioni e i poteri di soggetto concedente e aggiudicatore”: Autostrade del Lazio, Concessionarie Autostradali Lombarde (CAL), Concessionarie Autostradali Piemontesi (CAP), Concessionarie Autostradali Venete (CAV) e Autostrade del Molise.

Si fa notare che la società CAV non è attualmente soggetto concedente, in quanto il testo del comma 290 della L. 244/2007, come modificato dal comma 6-sexies dell'art. 15 del D.L. 78/2010, prevede che il trasferimento delle funzioni e dei poteri di soggetto concedente e aggiudicatore avvenga a partire dal 1° aprile 2017[125].

Non rientra tra le società co-concedenti la società Stretto di Messina S.p.A., che rappresenta in termini economici la partecipazione più importante detenuta dall’Anas[126]. Si ricorda, infatti, che l’art. 3-bis della L. 1158/1971 (introdotto dal D.Lgs. 114/2003) prevede che la società Stretto di Messina S.p.A. è “concessionaria per legge della realizzazione del collegamento stabile viario e ferroviario, ivi comprese le necessarie opere connesse, nonché della gestione e manutenzione del collegamento viario e di altri servizi pubblici pertinenti il collegamento tra la Sicilia ed il continente”. Il successivo art. 5, comma 1, prevede che “Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti assume la funzione di concedente della società Stretto di Messina S.p.A. e per l'effetto subentra …ad ANAS … nei rapporti con la società concessionaria di cui alla convenzione in data 27 dicembre 1985”.


 

Articolo 23, commi 1-3
(Riduzione dei componenti delle Autorità amministrative indipendenti)

 

 

L’articolo 23, comma 1, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede la riduzione dei componenti delle autorità amministrative indipendenti.

 

La composizione delle autorità indipendenti è stabilita dalle singole leggi istitutive insieme con i criteri e le modalità di nomina. Tutte le autorità presentano strutture collegiali, ma con difformità quanto al numero di componenti.

Al riguardo, si oscilla dai quattro membri dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali ai nove membri dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione di garanzia sull’esercizio del diritto di sciopero. Il modello legislativo che sembra prevalere prevede una struttura composta dal Presidente e da quattro membri (così, Autorità per l’energia elettrica e il gas, Autorità garante della concorrenza e del mercato, Commissione nazionale per la società e la borsa, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche).

 

La disposizione in commento riduce a cinque il numero dei componenti delle Autorità che attualmente consistono di nove membri (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - AGCom e Commissione di garanzia sull’esercizio del diritto di sciopero), e a tre quello delle autorità composte da sette (Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private di interesse collettivo) o cinque membri (Autorità per l’energia elettrica e il gas, Autorità garante della concorrenza e del mercato, Commissione nazionale per la società e la borsa, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche).

Sono peraltro escluse dalla riduzione della struttura gli organi della Banca d’Italia e l’Autorità garante per la protezione dei dati personali, che è organo collegiale costituito da quattro componenti.

Per completezza, si ricorda inoltre che l’articolo 21, co. 13 e seguenti, del decreto-legge in esame prevede il trasferimento all’Autorità per l’energia elettrica e il gas delle funzioni attinenti alla regolazione e alla vigilanza della tariffa relativa ai servizi idrici, nonché il trasferimento delle funzioni di regolamentazione del settore postale all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

 

Per quanto riguarda l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con una modifica introdotta nel corso dell’esame in Commissione, è specificato che in conseguenza della riduzione del numero dei membri del Consiglio, anche il numero dei componenti delle due commissioni è ridotto da quattro a due, escluso il presidente.

In proposito, si ricorda che ai sensi della L: 249/1997, sono organi dell'Autorità:

§      il Presidente;

§      la Commissione per le infrastrutture e le reti;

§      la Commissione per i servizi e i prodotti;

§      il Consiglio.

Secondo la legge istitutiva, le due Commissioni sono costituite ciascuna dal Presidente dell'Autorità e da quattro commissari. Il Consiglio è costituito dal Presidente dell’Autorità e da tutti gli otto commissari.

 

Se si sommano tutti i collegi interessati dalla disposizione di cui al comma 1, il numero dei componenti delle autorità viene ridotto quasi del 50 per cento, passando dagli attuali cinquantasette a trentuno membri.

 

Il comma 2 dell’articolo 23 stabilisce che la riduzione non trova applicazione per i componenti già nominati alla data di entrata in vigore del decreto in esame. Ciò comporta che l’efficacia della disposizione si produrrà gradualmente in relazione alle scadenze dalla carica dei singoli componenti delle diverse autorità.

La disposizione specifica ulteriormente che nei casi in cui l’ordinamento preveda la cessazione contestuale di tutti componenti (come, ad esempio, nell’ipotesi dell’AGCom o della CIVIT), la riduzione si applica a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Nella tabella che segue, sono indicati per le autorità interessate le composizioni risultanti dalle modifiche del decreto, nonché i titolari attualmente in carica con le date di scadenza del mandato.


 

Ente

Composizione
vigente

Composizione
D.L. 201/2011

Titolari in carica

Scadenza

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

AGCOM

9

5

Presidente:

Corrado Calabrò

Consiglio:

Enzo Savarese

Michele Lauria

Stefano Mannoni

Roberto Napoli

Nicola D’angelo

Sebastiano Sciortino

Antonio Martusciello

9/05/2012

 

9/05/2012

 

 

 

 

 

 

Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture

AVCP

7

3

Presidente:

Sergio Santoro

(reggente)

Consiglio:

Giuseppe Borgia

Piero Calandra

Andrea Camanzi

Alfredo Meocci

 

27/07/2017

 

 

24/09/2016

03/03/2014

03/03/2014

26/06/2015

Autorità per l’energia elettrica e il gas

AEEG

5

3

Presidente:

Guido Pier Paolo Bortoni

Consiglio:

Luigi Carbone

Rocco Colicchio

Valeria Termini

Alberto Biancardi

18/3/2018

 

18/3/2018

 

 

Autorità garante della concorrenza e del mercato

AGCM

 

 

 

 

5

3

Presidente:

Giuseppe Pitruzzella

Consiglio:

Antonio Pilati

Piero Barucci

Carla Rabitti Bedogni

Salvatore Rebecchini

 

18/11/2018

 

29/12/2011

03/03/2014

03/03/2014

12/02/2016

Commissione nazionale per la società e la borsa

CONSOB

5

3

Presidente:

Giuseppe Vegas

Consiglio:

Vittorio Conti

Michele Pezzinga

Luca Enriques

Paolo Troiano

 

gennaio 2018

 

agosto 2013

novembre 2013

giugno 2014

gennaio 2018

Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private di interesse collettivo

ISVAP

7

3

Presidente:

Giancarlo Giannini

Consiglio:

Luigi Fabbri

Gabriele Frigato

Mario Masini

Mario Mustilli

Luigi Sappa

Antonio Marotti

5/07/2012

 

20/7/2013

Commissione di vigilanza sui fondi pensione

COVIP

5

3

Presidente:

Antonio Finocchiaro

Consiglio:

Eligio Boni

Giancarlo Morcaldo

Giuseppe Stanghini

 

gennaio 2013

 

dicembre2012

settembre 2012

marzo 2013

Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche

CIVIT

5

3

Presidente:

Antonio Martone

Consiglio:

Luciano Hinna

Alessandro Natalini

Romilda Rizzo

22/12/2015

 

22/12/2015

 

Commissione di garanzia sull’esercizio del diritto di sciopero

CGS

9

5

Presidente:

Roberto Alesse

Consiglio:

Pietro Boria

Gaetano Caputi

Alessandro Forlani

Elena Montecchi

Nunzio Pinelli

Iolanda Piccinini

Salvatore Vecchione

28/2/2016

 

28/2/2016

 

 

Per effetto delle modifiche apportate in sede referente, il comma 2 prevede altresì che, nel caso in cui il numero dei componenti, incluso il presidente, risulti pari, ai fini delle deliberazioni, il voto del presidente vale doppio.

In tal modo, si estende alle autorità di cui al comma 1 il principio della prevalenza del voto del presidente in sede deliberante, attualmente previsto solo per l’Autorità garante per la protezione dei dati personali[127], che è collegio in numero pari.

 

Diversamente, le autorità a cui si applica la nuova disposizione sono tutti collegi dispari. Pertanto è necessario individuare i presupposti per l’applicazione della regola di prevalenza. La formulazione della disposizione recita “nel caso in cui il numero dei componenti risulti pari”: espressione nella quale potrebbero rientrare le ipotesi in cui il collegio si trova in numero pari sia per vacanza di uno o più posti, sia in caso di assenza o di temporaneo impedimento di uno o più componenti a partecipare a sedute deliberative.

 

Si segnala, in merito alla disposizione in commento, che anche il disegno di legge "Norme e principi in materia di organizzazione e di funzionamento delle Istituzioni pubbliche indipendenti e delle Agenzie", approvato dal Consiglio dei ministri nel 2003 su proposta del Ministro della funzione pubblica, Mazzella, prevedeva la prevalenza del voto del Presidente in caso di parità come norma generale per le authorities ivi disciplinate e al tempo stesso ne individuava la composizione in un collegio con sei commissari, compreso il presidente (quindi, numero pari).

 

I commi 2-bis e 2-ter, introdotti nel corso dell'esame in sede referente, apportano alcune modifiche alla disciplina relativa alla Commissione nazionale per la società e la borsa (CONSOB), conseguenti alla nuova composizione prevista al comma 1.

In particolare, sono abrogate le disposizioni vigenti che – stante il collegio di cinque membri (ora ridotto a tre) – prevedono una maggioranza qualificata pari a quattro voti per l’adozione di determinate delibere. Nel dettaglio, tale maggioranza è prevista per: l’adozione dei regolamenti di organizzazione e funzionamento della Commissione (art. 1, co. 9, D.L. 95/1974[128]); le deliberazioni relative alla nomina del direttore generale e del vicedirettore generale (art. 2, co. 4, terzo periodo, D.L. 95/1974); la nomina del segretario generale (art. 2, co. 4, ultimo periodo, D.L. 95/1974); l’attribuzione di incarichi e qualifiche dirigenziali (art. 2, co. 5, D.L. 95/1974); le deliberazioni relative all’assunzione di dipendenti con contratto a tempo determinato (art. 2, co. 8, D.L. 95/1974); le deliberazioni relative alla possibilità di avvalersi di personale delle amministrazioni dello Stato ai sensi dell’art. 4, L. 281/1985[129], nonché all’inquadramento in ruolo di determinate categorie di personale (art, 4, co. 7, L. 281/1985).

 

Il comma 3 uniforma la disciplina del mandato dei componenti di tutte le autorità amministrative indipendenti escludendo la possibilità di conferma alla cessazione dalla carica. In tal modo, si stabilisce un divieto di rinnovo consecutivo della carica, ferme restando le disposizioni di settore che prevedono, per singole autorità, la rinnovabilità dell’incarico.

Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la disposizione fa riferimento alle Autorità amministrative indipendenti di cui al comma 1 (v. supra) nonché alle altre previste dall'Elenco (ISTAT) di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

Pertanto, oltre agli organismi già previsti dal precedente comma, la disposizione riguarda anche i componenti della Autorità garante per la protezione dei dati personali. Mentre, resta esclusa dal campo di applicazione della disposizione la Banca d’Italia, non inclusa nell’elenco ISTAT.

In relazione al contenuto della disposizione in esame, occorre rilevare come il legislatore abbia già in parte proceduto – ex art. 47-quater del D.L. n. 248/2007[130] - ad una sostanziale “omogeneizzazione” del quadro normativo relativo sia alla durata in carica dei membri delle autorità che alla possibilità di rinnovare l’incarico. Infatti, a seguito dell’intervento del legislatore, a decorrere dal 2008, la durata del mandato di tutti i componenti della Consob, del Garante per la protezione dei dati personali e dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture è stata equiparata a quella già prevista per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, pari a sette anni, senza possibilità di rinnovo.

Di converso, le autorità per le quali è previsto un mandato rinnovabile sono, oltre alla Banca d’Italia, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private di interesse collettivo, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione e la Commissione di garanzia sull’esercizio del diritto di sciopero.

La disposizione in esame pertanto ha contenuto innovativo nei confronti di queste ultime autorità, con l’eccezione sopra ricordata della Banca d’Italia.

 

Da ultimo, per quanto riguarda l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il comma 3 fa salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 3, della legge n. 249/1997[131], che prevede, quale unica eccezione al divieto di rinnovo per i componenti di tale autorità, la possibilità di conferma per il commissario che subentri in caso di morte, di dimissioni o di impedimento di altro commissario, quando mancano meno di tre anni alla scadenza ordinaria del mandato.


 

Articolo 23, commi 4 e 5
(Acquisizione di lavori, servizi e forniture nei piccoli comuni)

 

 

Il comma 4 dell’articolo in esame introduce un comma 3-bis all’art. 33 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) ai sensi del quale i Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture:

§      nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti;

§      ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici.

 

Si ricorda che le unioni di comuni sono disciplinate dall’art. 32 del D.Lgs. 267/2000. In particolare il comma 1 le definisce come “enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza”, mentre l’art. 31 del medesimo decreto disciplina i consorzi che gli enti locali possono costituire per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio associato di funzioni.

 

Quanto alle centrali di committenza si rammenta la definizione recata dall’art. 3, comma 34, del D.Lgs. 163/2006, secondo cui la centrale di committenza è “un'amministrazione aggiudicatrice che

-        acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o

-        aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori”.

L’art. 33 prevede, quindi, che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi e che tali centrali sono tenute all’osservanza del codice.

Si ricorda in proposito che l'articolo 13 della legge n. 136/2010 ha previsto l’istituzione della Stazione Unica Appaltante (SUA), che, su base regionale, potrà gestire le gare di lavori, forniture e servizi, per tutte le amministrazioni, mediante apposite convenzioni. La SUA, come anche chiarito dal comma 2, lettera b), del predetto articolo 13, ha natura giuridica di centrale di committenza e cura, per conto degli enti aderenti, l’aggiudicazione dei contratti pubblici in ambito regionale, provinciale e comunale. In attuazione del citato articolo 13 è stato emanato il D.P.C.M. 30 giugno 2011 che ha chiarito che l'adesione alla SUA da parte delle amministrazioni pubbliche è facoltativa ed avviene sulla base di convenzioni alle quali gli enti possono aderire. Con il decreto vengono altresì definiti gli elementi essenziali della convenzione e vengono disciplinati sia l'ambito di operatività della SUA (in funzione degli importi di gara o di altri criteri) sia le modalità per il rimborso dei costi dalla stessa sostenuti. Lo stesso decreto elenca, tra gli enti che possono aderire alla SUA, anche unioni e consorzi di comuni.

 

La relazione tecnica sottolinea che la finalità del comma in esame è quella di pervenire ad una”riduzione dell’elevata frammentazione del sistema degli appalti pubblici” che dovrebbe portare ad una conseguente riduzione dei costi di gestione delle procedure grazie alle economie di scala.

 

In base al successivo comma 5, la norma introdotta al citato comma 3-bis si applica alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012.


 

Articolo 23, comma 6
(Trattamento economico dei membri del Governo)

 

 

Il comma 6 interviene sul trattamento economico spettante ai membri di Governo.

In primo luogo, il comma in esame, reca una disposizione di interpretazione autentica volta a chiarire che, fermi restando i divieti e le incompatibilità previsti dalla legge, nel calcolo del trattamento economico dei dipendenti pubblici, non parlamentari, nominati ministri o sottosegretari[132], devono essere comprese anche le componenti accessorie e variabile della retribuzione, ai fini del calcolo del limite (pari all’indennità parlamentare) oltre al quale detto trattamento economico non spetta.

Si osserva che dal momento che la disposizione è in forma di interpretazione autentica, essa ha carattere retroattivo e, pertanto, potrebbe incidere su situazioni retributive passate.

Ai sensi dell’art. 2 della legge 212/1952[133], ai ministri ed ai sottosegretari di Stato è attribuito uno stipendio pari al trattamento economico complessivo stabilito, rispettivamente, per il personale dei gradi I e II dell’ordinamento gerarchico, previsto dal regio decreto 2395/1923[134].

Al Presidente del Consiglio dei ministri spetta lo stipendio fissato per i ministri, maggiorato del 50%.

Ai vice ministri, la cui figura non era prevista all’epoca, spetta comunque il trattamento economico dei sottosegretari[135].

Il trattamento economico ora illustrato si cumula con l’indennità parlamentare.

Per i ministri e sottosegretari non parlamentari, la legge 418/1999[136] (art. 1) ha stabilito che sia corrisposta, in aggiunta allo stipendio di cui sopra, anche una indennità pari a quella spettante ai membri del Parlamento, al netto degli oneri previdenziali e assistenziali.

I membri del Governo non parlamentari che siano dipendenti pubblici possono optare, in alternativa alla indennità ex L. 418/1999, per il trattamento di cui all’art. 47 della L. 146/1980[137] (legge finanziaria per il 1980), che ne prevede il collocamento in aspettativa – per il periodo durante il quale esercitano le loro funzioni – con la conservazione del trattamento economico spettante (in misura comunque non superiore all’indennità parlamentare).

 

La disposizione, inoltre, stabilisce che per il calcolo ai fini dell’anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza, del periodo di aspettativa deve farsi riferimento all’ultimo trattamento economico in godimento, inclusa, per i dirigenti, la parte fissa e variabile della retribuzione di posizione, ed esclusa la retribuzione di risultato.

Si ricorda, che il trattamento economico dei dirigenti (art. 24, D.Lgs. 165/2001) è determinato dai contratti collettivi per le aree dirigenziali ed è costituito da una parte fondamentale e da una parte accessoria correlata alle funzioni e alle connesse responsabilità. La graduazione delle funzioni e delle responsabilità ai fini del trattamento accessorio è definita con decreto ministeriale, per le amministrazioni dello Stato, e con provvedimenti dei rispettivi organi di governo per le altre amministrazioni o enti. Unicamente per gli incarichi di uffici dirigenziali di livello generale, come individuati ai sensi dell’art. 19, co. 3 e 4, il trattamento economico fondamentale è stabilito con contratto individuale, assumendo come parametri di base i valori economici massimi contemplati dai contratti collettivi per le aree dirigenziali. Il contratto individuale determina, inoltre, gli istituti del trattamento economico accessorio, collegato al livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione ed ai risultati conseguiti nell’attività amministrativa e di gestione, ed i relativi importi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti criteri per l’individuazione dei trattamenti accessori massimi, secondo princìpi di contenimento della spesa, di uniformità e di perequazione.

 

Nell’ultimo decennio si sono susseguiti diversi interventi volti alla riduzione degli emolumenti dei ministri.

L’importo degli stipendi spettanti ai soli ministri è stato ridotto del 10 per cento dalla legge finanziaria per il 2002 (art. 23, co. 1, L. 448/2001[138]). Successivamente, anche lo stipendio dei sottosegretari è stato ridotto del 10 per cento dalla legge finanziaria per 2006 (art. 1, co. 53, L. 266/2005)[139]. Entrambe le disposizioni non hanno però direttamente novellato la disposizione di riferimento.

L’art. 1, co. 575, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006)[140] ha ulteriormente ridotto del 30 per cento il trattamento economico complessivo dei ministri e dei sottosegretari di Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2007, limitatamente ai ministri e sottosegretari di Stato che siano anche membri del Parlamento.

Infine, è intervenuto il decreto-legge 78/2010[141] (art. 5, comma 2), che ha ridotto del 10 per cento, a decorrere dal 1° gennaio 2011, il trattamento economico complessivo dei ministri e dei sottosegretari di Stato che non siano membri del Parlamento. La norma ha attenuato la differenza di trattamento venutasi a creare con la decurtazione del 30% dello stipendio di ministri e sottosegretari che siano anche parlamentari disposta dalla citata legge 269/2006.

Anche l’indennità ex legge 418 (quella spettante ai ministri non parlamentari) è stata ridotta nel tempo.

Una riduzione del 10 per cento dell’indennità dei parlamentari, e di conseguenza anche di quella ex legge 418, è stata operata dall’art. 1, co. 52, della citata legge 266/2005.

Inoltre, la legge finanziaria 2008 (art. 1, co. 375)[142] ha stabilito che per 5 anni a partire dal 2008 nella determinazione delle quote mensili dell’indennità parlamentare non vengano applicati gli adeguamenti retributivi annuali pari a quelli previsti per i magistrati dall’art. 24, co. 1 e 2, della L. 448/1998.

Infine, anche all’indennità spettante ai ministri non parlamentari si applica il taglio degli emolumenti dei membri degli organi costituzionali introdotta dal decreto-legge 138/2011.

Il decreto-legge 138 del 2011 (la cosiddetta manovra bis) ha disposto la riduzione delle retribuzioni o indennità di carica dei membri degli organi costituzionali per gli anni 2011, 2012 e 2013, ad eccezione della Presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale. In particolare, la norma dispone la riduzione del 10% per la parte eccedente i 90.000 euro e fino a 150.000 euro, nonché del 20% per la parte eccedente 150.000 euro. A seguito della predetta riduzione, il trattamento economico complessivo non può comunque essere inferiore a 90.000 euro lordi annui (art. 13, comma 1).

La riduzione operata dal D.L. 138 si applica, oltre che all’indennità dei parlamentari, anche all’indennità spettante ai ministri non parlamentari ex legge 418 del 1999 di cui sopra (Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi, Direzione centrale dei sistemi informativi e dell’innovazione, Messaggio 2 novembre 2011, n. 169, Applicazione articolo 13, comma 1, D.L. 138/2011).


 

Articolo 23, comma 7
(Livellamento remunerativo Italia-Europa)

 

 

Il comma 7 dell’articolo 23, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede che, qualora la Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia-Europa, non abbia provveduto entro i termini di legge (ossia entro il 31 dicembre 2011) alla individuazione della media dei trattamenti economici europei dei titolari di cariche elettive e di incarichi di vertice delle pubbliche amministrazioni, il Parlamento e il Governo, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni, adotteranno immediatamente appositi atti per il conseguimento del livellamento remunerativo.

Nel testo originario del decreto-legge si prevede l’intervento sostitutivo del solo Governo, attraverso l’adozione di un “apposito provvedimento d’urgenza”.

La modifica accoglie una condizione contenuta nel parere espresso dalla I Commissione Affari costituzionali che ha rilevato l’incongruità del rinvio al provvedimento d'urgenza (qualora con tale rinvio si intenda lo strumento del decreto legge) in quanto “i presupposti per la sua emanazione possono essere rinvenuti solo nella disciplina costituzionalmente stabilita, non potendo fonti inferiori ad essa operare una valutazione preventiva della loro verificabilità” (seduta del 7 dicembre 2011).

Inoltre, la modifica distingue le competenze proprie di Parlamento e Governo, affidando ad entrambi gli organi, ciascuno nel proprio ambito, l’adozione delle misure necessarie per il livellamenti retributivo.

 

La manovra finanziaria adottata con decreto-legge n. 98 del 2011[143] prescrive, all’articolo 1, che il trattamento economico di titolari di cariche elettive e i vertici di enti e istituzioni pubbliche non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'area euro.

In vista dell’attuazione di tale disposizione, il comma 3 del citato articolo 1, ha previsto l’istituzione, con D.P.C.M. da adottarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto, di una Commissione, presieduta dal Presidente dell’ISTAT e composta da quattro esperti di chiara fama, tra cui un rappresentante di Eurostat, che durano in carica quattro anni[144].

La Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia-Europa è stata istituita con D.P.C.M. 28 luglio 2011.

La Commissione, entro il 1° luglio di ciascun anno e con provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale, provvede alla ricognizione e all’individuazione della media dei trattamenti economici di cui al comma 1 riferiti all’anno precedente, ed aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza. La partecipazione alla commissione è a titolo gratuito.

In via transitoria, la norma prevede che la ricognizione e l'individuazione riferite all'anno 2010 sono provvisoriamente effettuate entro il 31 dicembre 2011 ed eventualmente riviste entro il 31 marzo 2012.

 

E proprio sulla fase transitoria interviene il comma in esame che introduce una norma di chiusura la quale prevede che se entro il 2011 la Commissione non abbia provveduto alla ricognizione e individuazione delle medie europee, vi provveda Governo e Parlamento con appositi provvedimenti e ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni.


 

Articolo 23, comma 8-13
(Riordino del CNEL)

 

 

I commi da 8 a 13 dell’articolo in esame intervengono sull’organizzazione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro provvedendo, tra l’altro, a ridurne il numero dei componenti.

 

Il CNEL è previsto dall'art. 99 della Costituzione, ai sensi del quale esso è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa.

Il CNEL è organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Esso ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.

La composizione, le attribuzioni ed il funzionamento del CNEL sono attualmente disciplinate dalla legge 30 dicembre 1986, n. 936, recante "Norme sul Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro", che ha abrogato e sostituito la precedente legge 5 gennaio 1957, n. 33, recante "Ordinamento e attribuzioni del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro".

 

Il comma 8 apporta alcune puntuali modifiche alla legge di disciplina del CNEL (legge 936/1986).

 

In particolare, la lettera a), modificata nel corso dell’esame in sede referente, interviene sull’articolo 2 della legge 936/1986 riducendo il numero dei componenti del CNEL da 70 (oltre al presidente e al segretario generale) a 64, oltre al presidente, eliminando il riferimento al segretario generale.

Si tratta del secondo intervento normativo sulla disciplina del CNEL in pochi mesi. Infatti, già il decreto-legge 138/2011[145] (art. 17) aveva drasticamente ridotto il numero dei membri da 121 (più il presidente) a 70 (comprendendovi oltre al presidente anche il segretario generale, figura già prevista dalla legge 936 (art. 22) che però non lo comprendeva tra i membri del CNEL.

Il decreto-legge 138/2011 aveva anche previsto che la ripartizione tra categorie dei membri non fosse più stabilita per legge (come in precedenza), ma da un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, che avrebbe dovuto essere emanato entro 60 giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

La lettera a) del comma in esame ripristina la ripartizione per legge dei membri del CNEL, prevedendo la seguente composizione:

§      10 esperti in materia economica, sociale e giuridica, dei quali 8 nominati dal Presidente della Repubblica e 2 proposti dal Presidente del Consiglio (nella versione delle legge antecedente il decreto-legge 138 gli esperti erano 12, dei quali 8 nominati dal Presidente della Repubblica e 4 proposti dal Presidente del Consiglio);

§      48 rappresentanti delle categorie produttive (erano 99) dei quali 22 (erano 44) rappresentanti dei lavoratori dipendenti con la specificazione, inserita in sede referente, che tre di questi sono in rappresentanza dei dirigenti e quadri pubblici e privati, 9 (erano 18) rappresentanti dei lavoratori autonomi (la modifica apportata dalle Commissioni riunite V e VI espunge il riferimento ai rappresentanti delle professioni), 17 (erano 37) rappresentanti delle imprese;

Si segnala come la modifica intervenuta nel corso dell’iter parlamentare abbia rimosso anche l’indicazione relativa alla produzione “di beni e servizi” avuto riguardo ai rappresentanti delle categorie produttive in generale.

§      6 rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato, dei quali 3 nominati dall’Osservatorio nazionale dell’associazionismo e 3 designati dall’Osservatorio nazionale per il volontariato (la correzione operata in sede referente ha nuovamente diminuito il dato numerico che, nella versione originaria del testo, era fissato in 10 la cui nomina era ripartita in 5 per ciascuno dei due organismi citati).

 

A seguito di una modifica introdotta nell’esame in sede referente, è stato, altresì, inserito un nuovo comma 1-bisall’art. 2 della L. n. 936/1986, con il quale si prevede che l’Assemblea elegge due vice presidenti in un'unica votazione.

L’art. 2 della L. n.936/1986, come sostituito dall'art. 23, comma 8, lett. a) del D.L. n. 201/2011, prevede che siano i rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi e quelli delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato, a nominare fra loro, rispettivamente, tre vicepresidenti, uno per ciascuna delle categorie produttive, ed un vicepresidente, previsione confermata dall’’art. 23, nel testo antecedente alla modifica intervenuta in sede referente che, per l'appunto, opera un’ulteriore razionalizzazione di tali figure in seno al CNEL.

 

Le lettere b) e c)modificano, rispettivamente gli articoli 3 e 4 della legge 936 ridisciplinando la procedura di nomina dei componenti.

Il testo previgente (come modificato dal decreto-legge 138) prevedeva che i componenti fossero nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 2 L. 936).

Il comma in esame ripristina in parte le procedure di nomina previste dalla legge 936 prima dell’intervento del decreto-legge 138 stabilendo che:

§      gli esperti sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica;

§      i rappresentanti delle categorie produttive e delle associazioni sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Nel testo previgente le procedure di nomina dei componenti del terzo settore erano contenute al comma 10 dell’articolo 4, il comma in esame trasferisce tale disposizione all’articolo 3 (prima disciplinante esclusivamente le procedure di nomina degli esperti) e di conseguenza abroga il comma 10 dell’articolo 4 e muta la rubrica dell’articolo 3 che diventa “Procedure di nomina dei componenti” (e non più “Procedura di nomina degli esperti”). Parimenti, viene modificata anche la rubrica dell’articolo 4 (“Procedure di nomina dei rappresentanti delle categorie produttive”) in “Procedure di nomina dei rappresentanti”, adeguandola al contenuto del’articolo 4 che, con una modifica apportata nel 2000, regola anche le procedure di nomina dei rappresentanti delle associazioni e non solo delle categorie produttive[146].

I successivi commi da 9 a 13 contengono una serie di disposizioni di carattere transitorio e finale.

In particolare si prevede che:

§      i componenti del CNEL sono nominati, secondo la nuova ripartizione di cui sopra, entro 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento in esame, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Viene, dunque, derogata la disposizione che prevede la nomina degli esperti con semplice D.P.R. senza proposta del Governo (comma 9, primo periodo);

§      la riduzione entra in vigore subito: infatti, fino alla nomina dei nuovi componenti, restano confermati gli attuali componenti, ai quali però si applica la riduzione operata in base ai criteri di maggiore rappresentatività nella categoria di riferimento (secondo i dati acquisiti ai fini del rinnovo della composizione per il quinquennio 2010-2015, tenendo anche conto della specificità del settore rappresentato nell’ambito della categoria di riferimento) e in base al principio del pluralismo (comma 9, secondo e terzo periodo);

§      viene fissata la durata in carica dei nuovi componenti, coincidente con quella dell’attuale consiliatura relativa al quinquennio 2010- 2015; pertanto in sede di prima applicazione i componenti resteranno in carica 3 anni e non 5, come stabilito in via ordinaria dall’articolo 7 della legge 936 (comma 10);

§      viene ribadito il carattere transitorio delle disposizione di cui sopra, prevedendo che alla procedura di nomina dei componenti alle successive scadenze (dal 2015), si applicano le disposizioni degli articoli 3 e 4, della legge n. 936 del 1986 (comma 11);

§      viene soppresso l’articolo 17, comma 2, terzo periodo del citato decreto-legge 138/2011, che prevedeva che decorsi 60 giorni dalla data di entrata in vigore del D.P.R. che avrebbe dovuto fissare la nuova composizione del CNEL, sarebbero decaduti in membri in carica e si sarebbe provvede alla nomina dei nuovi membri (comma 12);

§      viene, infine, prevista la consueta clausola di invarianza finanziaria, secondo la quale dalle nuove disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato (comma 13).


 

Articolo 23, commi 14-21
(Disposizioni in materia di province)

 

 

I commi 14-21 dell’art. 23 dispongono in tema di funzioni, organi di governo e legislazione elettorale delle province, materia che, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. p) della Costituzione e limitatamente a quelle fondamentali per ciò che riguarda le funzioni, è affidata alla competenza esclusiva della legge dello Stato.

Le funzioni delle province

Il comma 14, modificato in sede referente, prevede che spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni. Tale previsione è disposta con riferimento alle materie e ai limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Nel testo originario del decreto-legge sono affidate alle province le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento. La modifica apportata dalle Commissioni in sede referente ha espunto la connotazione “politica” delle funzioni provinciali, accogliendo una condizione espressa in tal senso dalla Commissione Affari costituzionali. Nel suo parere, reso il 7 dicembre 2011, la I Commissione ha giudicato “incongruo il riferimento alle funzioni di indirizzo politico delle province, considerato che ciò comporterebbe l'attribuzione di funzioni di indirizzo politico da parte di un ente di secondo livello rispetto ad un ente eletto dai cittadini”. Il riferimento è al comma 16 dell’articolo in esame che riforma le modalità di elezione del consiglio provinciale e presidente della provincia che sono eletti, rispettivamente, dai consigli comunali della provincia e dal consiglio provinciale (vedi oltre).

 

In tema di funzioni delle province occorre ricordare che, a livello costituzionale, l’art. 114, comma secondo, stabilisce che le Province, con i Comuni, le Città metropolitane e le Regioni, sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione.

Nella giurisprudenza costituzionale, che sottolinea la diversità dei poteri spettanti a Stato, regioni, province, comuni e città metropolitane, è stato precisato che alle province diverse da quelle autonome, come ai comuni e alle città metropolitane, non spettano potestà legislative.

Le province autonome di Trento e Bolzano sono menzionate nell’art. 116, comma secondo, e l’art. 117, comma quinto, ne indica specifiche competenze.

Con riferimento alle province delle Regioni a statuto speciale, occorre precisare che tali regioni hanno potestà legislativa in materia di autonomie locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia, “in armonia con la Costituzione, con i princìpi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali”. In particolare, ciascuno statuto di autonomia espressamente comprende l’“ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni” nell’elenco delle materie in cui la regione ha potestà legislativa primaria: così, per la regione Friuli-Venezia Giulia, la L.Cost. 1/1963, art. 4, e per la regione Sardegna la L.Cost. 3/1948, art. 3. Per la Regione siciliana l’art. 15 del R.D.Lgs. 455/1946 dispone la soppressione delle circoscrizioni provinciali vigenti al momento dell’entrata in vigore dello Statuto e dispone che “spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”.

L’art. 118, secondo comma, stabilisce che le province, come i comuni e le città metropolitane, sono titolari di funzioni amministrative proprie e di funzioni conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze.

L’art. 117, secondo comma, lett. p), attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di funzioni fondamentali delle province, oltre che dei comuni e delle città metropolitane.

 

La differente qualificazione delle funzioni non ha impedito a parte della dottrina di identificare le funzioni proprie con quelle fondamentali (quindi da determinare con legge statale), con individuazione uniforme a livello nazionale delle funzioni di base.

 

A livello di legislazione ordinaria l’art. 19 del D.Lgs. 267/2000 (TUEL) attribuisce alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei settori seguenti:

a)    difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità;

b)    tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;

c)    valorizzazione dei beni culturali;

d)    viabilità e trasporti;

e)    protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali;

f)      caccia e pesca nelle acque interne;

g)    organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;

h)    servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

i)      compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

l)         raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.

Lo stesso art. 19 TUEL stabilisce che la provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti, promuove e coordina attività, nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo. La gestione di tali attività ed opere avviene attraverso le forme previste dal TUEL per la gestione dei servizi pubblici locali.

 

L’art. 20 del TUEL riconduce poi alle funzioni di programmazione della provincia le seguenti attività:

a)    raccogliere e coordinare le proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione economica, territoriale ed ambientale della Regione;

b)    concorrere alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;

c)    formulare e adottare, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di sviluppo, propri programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuovere il coordinamento dell'attività programmatoria dei comuni.

 

Inoltre, la provincia, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio.

In particolare, tale piano indica:

a)    le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;

b)    la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;

c)    le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

d)    le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.

 

Occorre precisare che le richiamate disposizioni del TUEL non esauriscono le funzioni delle province alle quali vanno ascritte anche quelle conferite dalle leggi regionali e statali.

 

II dettato costituzionale in materia di funzioni fondamentali è stato oggetto di più di un tentativo di attuazione.

Tale attuazione, infatti, è stata tentata una prima volta con la legge n. 131 del 2003[147] che recava la delega, mai esercitata, per l’individuazione delle “funzioni fondamentali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento” (art. 2).

In questa legislatura, è stato presentato alla Camera dei deputati, il 13 gennaio 2010, un disegno di legge (AC 3118) dal titolo “Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati”, approvato in prima lettura alla Camera il 30 giugno 2010 e trasmesso al Senato (AS 2259) ove è tuttora all’esame della 1ª Commissione Affari costituzionali.

L’art. 3 dell’AS 2259 prevede che “ferme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, le funzioni fondamentali delle province sono:

a)    la normazione sull’organizzazione e sullo svolgimento delle funzioni spettanti in qualità di enti autonomi dotati di propri statuti e muniti di autonomia finanziaria di entrata e di spesa;

b)    la pianificazione e la programmazione delle funzioni spettanti;

c)    l’organizzazione generale dell’amministrazione e la gestione del personale; d) la gestione finanziaria e contabile;

d)    il controllo interno;

e)    l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito provinciale;

f)      la vigilanza e il controllo nelle aree funzionali di competenza e la polizia locale;

g)    la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento;

h)    la gestione integrata degli interventi di difesa del suolo;

l)      l) nell’ambito dei piani nazionali e regionali di protezione civile, l’attività di previsione, la prevenzione e la pianificazione d’emergenza in materia; la prevenzione di incidenti connessi ad attività industriali; l’attuazione di piani di risanamento delle aree ad elevato rischio ambientale;

m)  m) la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza, ivi compresi i controlli sugli scarichi delle acque reflue e sulle emissioni atmosferiche ed elettromagnetiche; la programmazione e l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, nonché le relative funzioni di autorizzazione e di controllo;

n)    n) la tutela e la gestione, per gli aspetti di competenza, del patrimonio ittico e venatorio; o) la pianificazione dei trasporti e dei bacini di traffico e la programmazione dei servizi di trasporto pubblico locale, nonché le funzioni di autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato in ambito provinciale, in coerenza con la programmazione regionale;

o)    p) la costruzione, la classificazione, la gestione e la manutenzione delle strade provinciali e la regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

p)    q) la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi scolastici, compresa l’edilizia scolastica, relativi all’istruzione secondaria di secondo grado;

q)    r) la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi per il lavoro, ivi comprese le politiche per l’impiego;

r)      s) la programmazione, l’organizzazione e la gestione delle attività di formazione professionale in ambito provinciale, compatibilmente con la legislazione regionale;

s)    t) la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico del territorio provinciale.

 

La determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali risulta rilevante ai fini del federalismo fiscale.

Infatti, l’art. 119, comma quarto, Cost. stabilisce che le risorse degli enti locali (e delle regioni) – ossia tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito erariale e fondo perequativo - devono consentire il finanziamento integrale delle “funzioni pubbliche loro attribuite”. L’individuazione di tali funzioni appare, pertanto, un passaggio necessario per la valutazione dell’entità delle risorse finanziarie da attribuire alle autonomie locali.

L’importanza dell’individuazione delle funzioni territoriali è confermata dalla legge n. 42 del 2009, sul federalismo fiscale di attuazione dell’art. 119 Cost. Tale legge, nell’indicare i princìpi e i criteri direttivi della delega relativa al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, prevede una classificazione delle spese degli enti locali ripartite in:

-        spese riconducibili alle funzioni fondamentali individuate dalla legislazione statale;

-        spese relative alle altre funzioni;

-        spese finanziate con contributi speciali.

In particolare, la legge n. 42 prevede l’integrale finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali, la cui individuazione è rinviata alla legislazione statale di attuazione dell’articolo 117, comma secondo, lett. p), mediante tributi propri, compartecipazioni e addizionali ai tributi erariali e regionali e fondo perequativo, che andranno a sostituire integralmente i trasferimenti statali. La garanzia del finanziamento integrale delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni da esse eventualmente implicate deve avvenire con modalità definite in base al “fabbisogno standard”, modalità che consente di superare il vigente criterio di finanziamento, basato sulla spesa storica (art. 11, co. 1, lett. b)).

La fase transitoria, riconducibile ad un periodo di cinque anni per consentire il superamento definitivo del criterio della spesa storica, è disciplinata dall’art. 21 della legge sul federalismo che contiene principi e criteri direttivi per l’attuazione con decreti legislativi da parte del governo. In particolare, l’art. 21, co. 1, lett. e), dispone che, fin tanto che non saranno in vigore le disposizioni concernenti le funzioni fondamentali, il finanziamento delle spese degli enti locali avviene sulla base di alcuni specifici criteri. In particolare:

§      il fabbisogno delle funzioni di comuni e province viene finanziato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali (punto 1);

§      l’80 per cento delle spese di comuni e province (cioè quelle di cui al punto 1), afferenti alle funzioni fondamentali, viene finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il residuo 20 per cento delle spese di cui al punto 1, relative alle altre funzioni, è finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo (punto 2).

§      a tal fine, il punto 3 prevede che venga preso a riferimento l’ultimo bilancio degli enti locali certificato a rendiconto, disponibile alla data di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.

 

Successivamente, l’articolo 3 del D.lgs. 26 novembre 2010, n. 216 (Determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province) considera, in via transitoria, quali funzioni fondamentali dei comuni e delle province le funzioni già individuate in via provvisoria come tali dall’articolo 21, commi 3 e 4, della legge 5 maggio 2009, n. 42, che recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

§      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

§      funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

§      funzioni nel campo dei trasporti;

§      funzioni riguardanti la gestione del territorio;

§      funzioni nel campo della tutela ambientale;

§      funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

Rispetto alle funzioni individuate dal D.P.R. n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: cultura e beni culturali; settore turistico, sportivo e ricreativo; settore sociale; sviluppo economico, relativamente ai servizi per l’agricoltura e per l’industria, il commercio e l’artigianato.

I decreti legislativi prevedono altresì che l'elenco provvisorio delle funzioni possa essere adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata (comma 5).

 

Nel corso della legislatura sono stati presentati progetti di legge recanti interventi di razionalizzazione sulle province, riconducibili a due distinti orientamenti, uno di soppressione delle province, l’altro di regionalizzazione delle stesse.

Quanto al primo orientamento, il 19 maggio 2009 la Commissione affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame di sei proposte di legge di modifica costituzionale (A.C. 1990 e abbinate) intese a sopprimere l’ente Provincia, espungendolo dall’ordinamento territoriale della Repubblica.

Le sei proposte, tutte di iniziativa parlamentare, modificano vari articoli della Costituzione sopprimendo in essi i riferimenti alla provincia. Due di esse (A.C. 2010 e A.C. 2264) apportano analoghe modifiche agli statuti speciali di tre regioni (Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia). Nessuna, peraltro, modifica la condizione delle province autonome di Trento e di Bolzano (quanto alla Valle d'Aosta, in essa non esiste un’amministrazione provinciale e la regione svolge anche i compiti della provincia).

Tutte le proposte recano, in appositi articoli, disposizioni transitorie o di attuazione di diversa formulazione e ampiezza. Una di esse (A.C. 2264) destina le risorse finanziarie che si renderanno disponibili a seguito della soppressione delle province al finanziamento di iniziative per promuovere l’occupazione giovanile.

A seguito dell'iscrizione del provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea, la Commissione (8 ottobre 2009) ha conferito al relatore il mandato a riferire in senso contrario all'Assemblea (A.C. 1990-A, presentata dai deputati Donadi ed altri). Nella seduta del 13 ottobre 2009, l'Assemblea ha approvato una questione sospensiva: la discussione del provvedimento è stata conseguentemente rinviata fino alla presentazione e all'esame del disegno di legge del Governo sulla Carta delle autonomie locali. Nella successiva seduta del 18 gennaio 2011, l'Assemblea ha deliberato un nuovo rinvio in Commissione delle proposte di legge costituzionali n. 1990 e abbinate (n. 1989 e n. 2264), sulla base delle stesse richieste della Commissione di valutare meglio gli emendamenti presentati al fine di verificare la possibilità di addivenire a una riorganizzazione del sistema delle province che, senza sopprimerle, ne ridimensioni l'ambito e, al limite, ne riduca il numero. I lavori della Commissione hanno consentito di abbinare un'ulteriore proposta (A.C. 2579) e di adottare come testo base per il seguito dell'esame la proposta di legge costituzionale n. 1990 (25 gennaio 2011); sugli emendamenti si è svolto un approfondimento preliminare in comitato ristretto, che non ha tuttavia concluso i propri lavori a seguito di una ulteriore iscrizione del provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea. Dopo che il 25 maggio 2011 la Commissione aveva concluso l'esame conferendo al relatore il mandato a riferire in senso contrario sul provvedimento, l'Assemblea della Camera lo ha respinto il 5 luglio 2011.

 

Quanto alla "regionalizzazione" delle province, pochi giorni dopo che l'Assemblea della Camera aveva respinto la proposta di legge di soppressione delle province, la I Commissione Affari costituzionali inizia l'esame di alcune proposte di legge costituzionale (A.C. 1242, 4439, 4493 e 4499) che trasferiscono dallo Stato alle regioni la competenza in materia di istituzione di nuove province e di mutamento dei confini delle province esistenti.

A tal fine le proposte A.C. 1242, 4439, 4493 modificano il primo comma dell’art. 133 Cost. che prevede una riserva di legge statale in materia di istituzione di province, mentre l’A.C. 4499 dispone la competenza regionale nel secondo comma dell’art. 114 Cost., e, conseguentemente, abroga il primo comma dell’art. 133 Cost.

Ad esclusione della pdl A.C. 1242, le proposte in esame intervengono anche sulla disciplina delle città metropolitane, stabilendo che la loro costituzione comporti la soppressione delle province nel medesimo territorio.

 

Con successiva legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze, sono stabiliti la materia e i limiti entro i quali si dispiega la suddetta funzione. Pertanto, essa è espressamente esclusa dal comma 18 da quelle funzioni, già conferite alle province dalla normativa vigente, che lo Stato e le Regioni, ciascuno per quanto di competenza, devono trasferire, con propria legge, ai Comuni entro il 31 dicembre 2012. Il termine originariamente fissato dal decreto-legge (30 aprile 2012) è stato così posticipato nel corso dell’esame in sede referente.

L’obbligo di trasferimento ai comuni delle funzioni finora già conferite trova un solo limite, conforme alle previsioni del primo comma dell’art. 118 Cost., costituito dall’esigenza di assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, a garanzia del quale possono essere “acquisite” dalle Regioni. Si valuti l’opportunità di riformulare la clausola che dispone l’“acquisizione” in quanto, da un punto di vista sostanziale, essa non potrebbe indicare un tertium genus rispetto al trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni o al mantenimento di funzioni in capo alle regioni stesse.

Il decorso del termine del 31 dicembre 2012 in mancanza di trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni comporta un intervento statale di sostituzione normativa, con legge dello Stato, con il procedimento previsto dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Il richiamo a tale disposizione dovrebbe riguardare solo le previsioni compatibili sia con il termine già fissato per l’adempimento da parte delle regioni sia con la previsione dello strumento della legge a fini di sostituzione.

L’art. 8 della legge 131/2003 prevede, al comma 1, che, nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

 

Il comma 19 stabilisce che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della provincia.

Gli organi delle province

I commi 15, 16 e 17 ridisegnano gli organi della provincia, senza peraltro delineare la forma di governo dell’ente, e le relative modalità di elezione, riducendone il novero al consiglio provinciale e al presidente della provincia, con eliminazione delle giunte.

Sia il consiglio provinciale che il presidente della provincia sono configurati - a differenza degli altri enti indicati dall’art. 114 Cost. - come organi ad elezione indiretta, eletto il primo dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio della provincia e il secondo dal consiglio provinciale stesso tra i suoi componenti.

Tali organi durano in carica cinque anni e le modalità di elezione del consiglio provinciale, composto da non più di dieci membri, e del presidente della provincia (come specificato da una modifica apportata dalle Commissioni V e VI in sede referente)[148] sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012, termine così fissato nel corso del’esame in sede referente (il testo originario del decreto-legge stabilisce il termine al 30 aprile 2012).

Il comma 20 nel testo vigente rinvia alla legge statale la determinazione del termine decorso il quale gli organi in carica delle Province decadono. Nel corso dell’esame in sede referente tale norma è stata sostituita da una disciplina transitoria, diversificata per gli organi provinciali che vanno in scadenza prima del 31 dicembre 2012 (termine ultimo per l’adozione della nuova legge elettorale) e per quelli che devono essere rinnovati successivamente.

Per i primi, per i quali si dovrebbe procedere all’indizione delle elezioni nella primavera 2012, si applica l’articolo 141 del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) che prevede lo scioglimento del consiglio e la nomina di un commissario fino al 31 dicembre 2012, dopodiché si procede alle elezioni con le nuove disposizioni.

 

L’articolo 141 TUEL prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, possa essere disposto lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, in alcuni casi tassativamente indicati dalla legge, quali violazione della Costituzione o della legge, gravi motivi di ordine pubblico, impedimento o dimissioni del sindaco o del presidente della provincia, dimissioni della maggioranza dei consiglieri ecc.

Ad eccezione dei casi di impedimento, rimozione, decadenza e decesso del sindaco o del presidente della provincia, il decreto di scioglimento reca contestualmente la nomina di un commissario che esercita le attribuzioni conferitogli dal decreto stesso (art. 141, comma 3).

Affatto diversa, l’ipotesi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa, disciplinata dall’articolo 143 TUEL.

 

La necessità di introdurre una norma transitoria per gli organi provinciali che dovranno essere rinnovati nel 2012 per scadenza naturale (Vicenza, Ancona, Ragusa, Como, Belluno, Genova e La Spezia) o per altre cause, è stata esplicitata dalla Commissione affari costituzionali nel proprio parere, in quanto, qualora la legge statale non fosse intervenuta prima della loro scadenza e della conseguente indizione di nuove elezioni, si sarebbe proceduto a un rinnovo del tutto temporaneo.

 

Gli organi provinciali che vanno in scadenza dopo il 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale e vengono rinnovati secondo le nuove regole.

La forma di governo provinciale vigente nelle regioni a statuto ordinario

Come sopra precisato, l’art. 117, co. 2, lett. p), della Costituzione ricomprende tra le competenze legislative esclusive dello Stato quelle della legislazione elettorale e degli organi di governo di comuni, province e città metropolitane.

La disciplina della forma di governo dei comuni e delle province è stata modificata in maniera incisiva con la legge n. 81 del 1993, che ha introdotto l’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia. La relativa disciplina è confluita nel testo unico sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000).

 

Gli organi di governo della provincia sono: il presidente della provincia, il consiglio, organo rappresentativo eletto dalla collettività provinciale e la giunta, organo esecutivo (art. 36, comma 2, TUEL).

Il presidente della provincia è eletto a suffragio diretto, dura in carica cinque anni ed è rieleggibile per una sola volta.

Questi provvede alla scelta degli assessori e può disporne la revoca. A ciascun assessore è assegnato uno specifico settore di attività.

La composizione del consiglio provinciale è variabile e dipende dall’ampiezza demografica della provincia (art. 37 TUEL).

Attualmente i consigli provinciali sono composti dal presidente della provincia e:

-        da 45 membri nelle province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti;

-        da 36 membri nelle province con popolazione residente superiore a 700.000 abitanti;

-        da 30 membri nelle province con popolazione residente superiore a 300.000 abitanti;

-        da 24 membri nelle altre province.

 

Il numero dei consiglieri provinciali è stato ridotto del 20%, con arrotondamento dell’entità della riduzione all’unità superiore, ad opera della legge 191/2009[149] (art. 2, comma 184, come modificato dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 2/2010)[150]. Ai fini della riduzione è escluso dal computo il presidente della provincia. La riduzione si applica a decorrere dal 2011 e per tutti gli anni a seguire, ai singoli enti per i quali ha luogo il primo rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia della data del medesimo rinnovo.

Inoltre, il decreto-legge 138/2011 (art. 15)[151] ha stabilito un’altra riduzione pari alla metà (con arrotondamento all'unità superiore) sia del numero dei consiglieri provinciali, sia di quello degli assessori provinciali. Anche questa riduzione si applica a tali organi a decorrere dal primo loro rinnovo.

 

Il numero degli assessori è stabilito dallo statuto in relazione a quello dei consiglieri. Ai sensi del testo unico, la Giunta provinciale è composta dal presidente della provincia, che la presiede, e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tale fine il presidente della provincia, e comunque non superiore a 12 unità (art. 47 TUEL). Il limite massimo di assessori, in precedenza pari a 16 unità è stato ridotto a 12 dalla legge 244/2007 (art. 2, comma 23)[152]. Il numero degli assessori è stato ulteriormente rideterminato in misura pari a un quarto del numero dei consiglieri della provincia, con arrotondamento all’unità superiore, sempre computando il presidente della provincia, dalla citata legge 191/2009 (art. 2, comma 185, come modificato dall'art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge 2/2010).

Il nuovo limite, come stabilito dall’art. 2, comma 1, del citato D.L. 2/2010, si applica a decorrere dal 2010, e per tutti gli anni a seguire, ai singoli enti per i quali ha luogo il primo rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo.

Si ricorda, inoltre, che il citato decreto-legge 138/2011 (art. 15), ha stabilito un’altra riduzione pari alla metà (con arrotondamento all'unità superiore), oltre che del numero dei consiglieri provinciali, anche di quello degli assessori provinciali. Anche questa riduzione si applica a tali organi a decorrere dal primo loro rinnovo.

 

Il presidente della provincia ed il consiglio provinciale sono eletti contestualmente con sistema misto a doppio turno in base a liste formate da gruppi di candidati nei collegi uninominali (artt. 74 e 75 TUEL).

Analogamente a quello per l’elezione dei sindaci, questa elezione collega un sistema proporzionale (quello per la elezione del consiglio) con l’elezione diretta dei presidenti di provincia. Alle liste collegate al candidato presidente vincente viene attribuito (se necessario) un premio di maggioranza che garantisce a tali liste di raggiungere comunque il 60 % dei seggi del consiglio.

Peculiarità del sistema per l’elezione del consiglio provinciale è quella di svolgersi formalmente nell’ambito di collegi uninominali. Il territorio della provincia è diviso in tanti collegi uninominali quanti sono i seggi assegnati alla provincia in ragione della popolazione residente. Le candidature al consiglio si presentano infatti nell’ambito di collegi uninominali definiti all’interno del territorio provinciale. Tuttavia i seggi sono attribuiti proporzionalmente in ambito provinciale con il metodo dei divisori d’Hondt sulla base dei voti ottenuti nell’intero territorio provinciale dai gruppi di candidati uninominali tra loro collegati.

Il consiglio può votare la sfiducia alla giunta. Alla approvazione della mozione di sfiducia consegue non solo la cessazione dalla carica del presidente della giunta provinciale e della sua giunta, ma anche lo scioglimento del consiglio stesso.

Il consiglio si configura, in linea di principio, quale organo deputato all’adozione degli indirizzi e alla effettuazione dei controlli, mentre la giunta è incaricata del governo dell’ente locale in attuazione di quegli indirizzi. Oltre alle funzioni di indirizzo, il consiglio esercita anche compiti normativi e programmatici, assume le decisioni fondamentali inerenti l’ordinamento dell’ente e approva i bilanci.

 

In sede referente è stato introdotto il comma 20-bis che fa salve le competenze statutarie in materia di province delle regioni a statuto speciale, fermo restando l’obbligo per quest’ultime di adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi precedenti, entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame (entro il 6 giugno 2012).

Un’altra modifica ha escluso dall’ambito di applicazione delle disposizioni le province autonome di Trento e Bolzano.

Si ricorda che la Commissione Affari costituzionali ha condizionato il proprio parere favorevole all’introduzione di una “clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano, alla luce delle disposizioni costituzionali in materia e dell'autonomia statutaria propria delle regioni a statuto speciale nella quale rientra la competenza in tema di ordinamento degli enti locali”.

 

Il comma 21 prevede che i comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa.

 

L’unione di comuni costituisce una delle forme per l’esercizio associato di funzioni prevista dall’art. 32 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL). Infatti il TUEL prevede anche altre forme per l’esercizio associato di funzioni: la convenzione (art. 30), l’accordo di programma (art. 34) e il consorzio (art. 31).

 

Sulla materia è recentemente intervenuto l’articolo 16 del D.L. 138/2011, convertito dalla legge 148/2011, che ha previsto, per la razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali, l’obbligatorio esercizio in forma associata delle funzioni amministrative e dei servizi spettanti a legislazione vigente dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, attraverso lo strumento dell’unione dei comuni dettandone una specifica disciplina derogatoria dell’art. 32 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL).

 

Appare pertanto opportuno approfondire: se la disposizione del comma 21 sostituisca la disciplina introdotta con il citato articolo 16 del d.l. 138/2011 anche per il profilo dell’obbligatorietà per i comuni con popolazione fino a 1000 abitanti; se le unioni richiamate da tale comma siano riconducibili al citato art. 32 TUEL; la natura degli “organi di raccordo” e se anch’essa vada definita in relazione a quanto già previsto dal TUEL.


 

Articolo 23, comma 22
(Gratuità delle cariche elettive di enti territoriali
non previsti dalla Costituzione)

 

 

L’articolo 23, comma 22, modificato nel corso dell'esame in sede referente, stabilisce che la titolarità di qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione è a titolo esclusivamente onorifico e non può dare luogo ad alcuna forma di remunerazione, indennità o gettone di presenza.

Gli enti territoriali previsti dalla Costituzione sono quelli che compongo la Repubblica e che sono indicati all’art. 114 Cost., e cioè i comuni, le città metropolitane, le regioni e lo Stato.

La norma in esame, prevede appunto che le cariche elettive in enti territoriali diversi da questi non possono essere remunerate, ma sono esercitate a titolo onorifico.

Nel corso dell’esame in sede referente è stata introdotta una deroga nei confronti degli organi di cui all’articolo 2, comma 186, della legge finanziaria 2010, ossia le circoscrizioni di decentramento comunale dei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti.

 

L’articolo 2, comma 186, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 prevede per i comuni l’obbligo di adottare alcune misure consequenziali alla riduzione del contributo ordinario disposta dal comma 183 del medesimo articolo 2.

In particolare, la lettera b) prevede l’obbligo, per i comuni, di procedere alla soppressione delle circoscrizioni comunali, di cui all’articolo 17 del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) ad eccezione dei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti.

 

La esclusione dovrebbe riguardare esclusivamente i presidenti delle circoscrizioni che ai sensi dell’art. 82, comma 1, del testo unico enti locali percepiscono una indennità legata alla loro carica, mentre, ai sensi del successivo comma 2, nessuna indennità è dovuta ai consiglieri circoscrizionali ad eccezione dei consiglieri circoscrizionali delle città metropolitane (peraltro quest’ultime non ancora istituite).

 

Si osserva che comunque non appare chiara la platea dei destinatari del divieto di retribuzione, poiché gli amministratori delle comunità montane e delle unioni di comuni (anch’essi, come le circoscrizioni, enti territoriali non previsti dalla Costituzione) non hanno diritto ad alcuna retribuzione.

Infatti, l’art. 5, co. 7, del D.L. 78/2010, da un lato, vieta di attribuire emolumenti in qualsiasi forma (compresi retribuzioni, gettoni, o indennità) agli amministratori di comunità montane e unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali, aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche; dall’altro, prevede la riduzione delle indennità di sindaci, presidenti di provincia, assessori ed altri amministratori locali secondo fasce parametrali rapportate inversamente al fattore demografico.

 

In particolare, la disposizione citata prevede che, con decreto del Ministro dell'Interno, gli importi delle indennità siano ridotte, per un periodo non inferiore a tre anni, di una percentuale pari a:

-        il 3 per cento per i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti e per le province con popolazione fino a 500.000 abitanti;

-        il 7 per cento per i comuni con popolazione tra 15.001 e 250.000 abitanti e per le province con popolazione tra 500.001 e un milione di abitanti;

-        il 10 per cento per i restanti comuni e per le restanti province.

-        Sono esclusi dall'applicazione della disposizione i comuni con meno di 1.000 abitanti.


 

Articolo 23-bis
(Compensi per gli amministratori con deleghe delle Società partecipate dal Ministero dell’economia e delle finanze)

 

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto l’articolo 23-bis, il quale reca norme in materia di compensi per gli amministratori rivestiti di particolari cariche nelle società partecipate dal Ministero dell’economia e finanze.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze saranno classificate per fasce sulla base di indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi.

Per società direttamente controllate il comma intende quelle ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1) del codice civile e dunque le società in cui si dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria.

 

Ai sensi dei comma 1 e 5, la classificazione per fasce avverrà con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, e da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti.

 

Ai sensi del comma 1, per ciascuna fascia sarà determinato il compenso massimo al quale i consigli di amministrazione delle società direttamente controllate dal MEF dovranno fare riferimento, per la determinazione secondo criteri oggettivi e trasparenti, degli emolumenti da corrispondere agli amministratori investiti di particolari cariche, ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile.

L’articolo 2389 c.c. disciplina, infatti, i compensi degli amministratori delle società[153]. In particolare, il terzo comma dell’articolo prevede che la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale[154].

 

Si ricorda che la disciplina vigente prevede specifiche norme in merito alla possibilità, per le società non quotate controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni statali, di attribuire e di remunerare deleghe operative agli amministratori.

In particolare – ai sensi dell’articolo 3, comma 12 della legge n. 244/2007, come sostituito dalla legge n. 69/2009 e modificato dal D.L. n. 78/2009[155] - per le società non quotate controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni statali:

§       l’organo di amministrazione - previa delibera dell’assemblea dei soci - può attribuire deleghe operative al presidente sulle materie delegabili. In tal caso ne fissa in contenuto e compenso ai sensi dell'articolo 2389, comma 3 c.c.(articolo 3, comma 12, lettera b), legge n. 244/2007);

§       la carica di vice presidente è soppressa, ovvero lo statuto deve specificare che essa permane solo in modo da individuare il sostituto del presidente in caso di sua assenza o impedimento, senza compensi aggiuntivi (articolo 3, comma 12, lettera c), legge n. 244/2007);

§       l’organo di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un solo componente, al quale, unitamente al presidente, nell’ipotesi in cui ad esso siano state attribuite deleghe operative, possono essere riconosciuti compensi ai sensi del citato articolo 2389, comma 3 cc.(articolo 3, comma 12, lettera d), legge n. 244/2007);

§       l’organo di amministrazione può conferire deleghe per singoli atti anche ad altri membri dell’organo, senza compensi aggiuntivi (articolo 3, comma 12, lettera e), legge n. 244/2007).

 

Ai sensi del comma 1, l’individuazione delle fasce di classificazione e dei relativi compensi potrà essere effettuata anche sulla base di analisi effettuate da primarie istituzioni specializzate.

E’ inoltre fatto salvo quanto previstodall’articolo 19, comma 6, del D.L. n. 78/2009[156], il quale reca una norma di interpretazione autentica dell’articolo 2497, primo comma, del codice civile, relativo alla responsabilità degli enti o società che, esercitando attività di direzione e coordinamento di altre società, agiscono in violazione dei principi di corretta gestione societaria[157].

La citata norma di interpretazione autentica stabilisce, in particolare, per enti si intendono soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.

 

Il limite ai compensi opera anche per le società non quotate controllate dalle società direttamente controllate dal MEF.

Ai sensi del comma 4, i Consigli di amministrazione di tali società nella determinazione degli emolumenti da corrispondere agli amministratori investiti di particolari cariche non potranno infatti superare il limite massimo, sancito nel decreto ministeriale, per le società controllanti ed in ogni caso dovranno attenersi ai medesimi principi di oggettività e trasparenza.

 

Il comma 3 prevede specificamente che gli emolumenti agli amministratori investiti di particolari cariche potranno includere una componente variabile che non potrà risultare inferiore al 30 per cento della componente fissa.

Tale componente variabile dovrà essere corrisposta in misura proporzionale al grado di raggiungimento degli obiettivi annuali, oggettivi e specifici determinati preventivamente dal Consiglio di amministrazione.

L’assemblea è tenuta a verificare il raggiungimento dei predetti obiettivi.

 

Il comma 2 prevede la rideterminazione, almeno ogni tre anni, delle fasce di classificazione e dell’importo massimo dei relativi compensi.

La rideterminazione avviene con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, tenuto conto dei mutamenti di mercato e in relazione al tasso di inflazione programmato, nel rispetto degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica.

Con riferimento al comma 2, si osserva che per il decreto di rideterminazione delle classi e dei relativi compensi massimi, non si prevede il parere delle Commissioni parlamentari competenti, né la registrazione da parte della Corte dei Conti. Essi infatti sono previsti solo per il decreto di cui al comma 1.

 

La disciplina dettata dall’articolo in esame si intreccia con quella, attualmente vigente, e in parte già sopra commentata, relativa ai limiti ai limiti al numero e ai compensi e degli amministratori di società non quotate partecipate da amministrazioni statali.

Pertanto, sebbene l’articolo non operi un richiamo alle disposizioni vigenti, la fissazione dei compensi massimi che avverrà, ai sensi dell’articolo in esame, con successivo decreto ministeriale, dovrà comunque tener conto dei “tetti” già in generale fissati dalla normativa vigente.

 

Si ricorda, in proposito, che– ai sensi del già citato articolo 3, commi 12 e 16, legge n. 244/2007, come sostituito dalla legge n. 69/2009 e modificato dal D.L. n. 78/2009[158] - per le società non quotate controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazionistatali:

-        il numero massimo dei componenti gli organi di amministrazione è ridotto a cinque o sette: cinque, se lo statuto prevedeva (alla data del 1 gennaio 2008) un numero massimo di componenti superiore; sette, se lo statuto prevedeva (alla stessa data) un numero massimo di componenti superiore[159];

-        per le società già operanti (alla data del 1 gennaio 2008), è stata operata una riduzione dei compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo del 25 per centorispetto ai compensi precedentemente deliberati per ciascun componente dell’organo di amministrazione (articolo 3, comma 12, lettera a), ultimo periodo, legge n. 244/2007);

Tra i vincoli ai compensi, il più rilevante è il “tetto” al trattamento economico onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzionistabilito dall’art. 3, comma 44, legge n. 244/2007). Con riferimento alle società, tale limite si applica al trattamento economico onnicomprensivo:

-        che le società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica e le loro controllate conferiscono a soggetti con i quali essi hanno rapporti di lavoro dipendente o autonomo;

-        dei presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo delle società non quotate.

Il trattamento economico non può essere superiore a quello del primo presidente di Corte di Cassazione[160].

La deroga al tetto vi può essere solo per motivate esigenze di carattere eccezionale e per un periodo di tempo non superiore a tre anni. Inoltre, le società sono obbligate a comunicarlo preventivamente alla Corte dei conti.

Vi sono poi obblighi di trasparenza: nessun atto che comporta la corresponsione di una retribuzione può essere attuato, se non viene previamente reso noto, con l’indicazione dei destinatari e dell’ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web della società, nonché deve essere comunicato al Governo e al Parlamento (art. 3, comma 44, legge n. 244/2007).

Il regolamento governativo attuativo della suddetta disciplina è stato adottato con D.P.R. n. 195 del 5 ottobre 2010.

Inoltre, per ciò che concerne i compensi degli amministratori delle società partecipate dal MEF, vige lo specifico divieto di inserire clausole nel rapporto contrattuale di amministrazione, che prevedano per gli amministratori, al momento della cessazione dell'incarico, benefici economici superiori ad una annualità di indennità (art. 1, comma 466 legge n. 296/2006, modificato dall’articolo 3, comma 51, della legge n. 244/2007) .

Da ultimo, nel corso del 2010, sono state introdotte misure che impongono ulteriori e più stringenti vincoli ai compensi degli organi sociali delle seguenti tipologie di società non quotate:

-        società pubbliche inserite nel conto economico della pubblica amministrazione;

-        società interamente possedute (alla data del 31 maggio 2010) dalle pubbliche amministrazioni.

Per tali società, il compenso dei consiglieri d’amministrazione e dei sindaci è ridotto del 10 per cento. La riduzione di applica a decorrere dalla prima scadenza del consiglio o del collegio (articolo 6, comma 6 del decreto legge n. 78/2010[161]).


 

Articolo 23-ter
(Limiti al trattamento economico nelle pubbliche amministrazioni)

 

 

L’articolo 23-ter è stato introdotto nel corso dell’esame in sede referente.

 

La disposizione prevede, al comma 1, che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sia definito il trattamento economico di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto di un parametro massimo.

In particolare, la disposizione riguarda chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, compreso il c.d. personale non contrattualizzato.

Per pubbliche amministrazioni si intendono quelle indicate all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 165/2001 e viene specificato che tra queste rientrano nel campo di applicazione della norma soltanto quelle statali; il personale non contrattualizzato trova invece riferimento normativo nell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.

 

Ai sensi dell’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001, citato nella norma, per amministrazioni pubbliche si intendono “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.

 

Il personale non contrattualizzato (di cui all’articolo 3 del D.lgs. 165/2001) è costituito, tra le altre, dalle seguenti categorie:

-        magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato;

-        personale militare e Forze di polizia di Stato;

-        personale della carriera diplomatica;

-        personale della carriera prefettizia;

-        personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

-        personale della carriera dirigenziale penitenziaria;

-        professori e ricercatori universitari.

 

Viene specificato che il trattamento economico deve essere considerato onnicomprensivo, e dunque comprende le somme erogate dal medesimo o da diversi organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi.

Il decreto del Presidente del Consiglio, da adottarsi, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, dovrà dunque definire, in relazione alle diverse funzioni svolte, tanto nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente quanto di rapporti di lavoro autonomo, il trattamento economico erogabile, utilizzando come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del Primo presidente della Corte di Cassazione.

 

Attualmente il tetto massimo delle retribuzioni è fissato dall’articolo 3, commi 43-53-bis, della legge finanziaria per il 2008 che, analogamente alla disposizione in esame, individua il limite nel trattamento economico del Primo presidente della Corte di Cassazione. Tra le innovazioni principali del comma in esame, rispetto alla disciplina vigente, si segnala il riferimento al trattamento economico complessivo, mentre la norma vigente, pur avendo ad oggetto il trattamento economico complessivo, esclude la retribuzione percepita dal dipendente pubblico presso l’amministrazione di appartenenza, nonché il trattamento di pensione, dal computo che concorre alla definizione del limite (comma 52-bis introdotto dall’articolo 4-quater del decreto-legge 97/2008).

 

In relazione al limite massimo della retribuzione si riporta quanto chiarito nella direttiva del Presidente del consiglio del 16 marzo 2007: «Tale dato [la retribuzione del Primo presidente della Corte di cassazione] non è, di per sé, fisso, perché la retribuzione del singolo magistrato che rivesta la carica è determinata da fattori individuali di anzianità di carriera. Nel concetto è, poi, insito l'automatico adeguamento alla retribuzione percepita nel corso degli anni. Peraltro, una variabilità rapportata ai mutamenti del magistrato che ricopre la citata carica potrebbe comportare adeguamenti continui. Deve pertanto individuarsi il parametro con riferimento alla data di entrata in vigore della legge in esame e parametrare periodicamente tale riferimento agli adeguamenti periodici della retribuzione di quella carica»[162]. La stessa direttiva del 2007 individuava in 273.471,61 euro annui lordi la retribuzione dell’allora ultimo Presidente in carica; una successiva circolare del gennaio 2008[163] individuava in € 289.984,00 annui lordi tale retribuzione.

 

I commi da 43 a 53-bis dell’articolo 3 della legge finanziaria per il 2008 hanno introdotto disposizioni di contenimento delle retribuzioni e degli emolumenti a carico di pubbliche amministrazioni e di società a partecipazione pubblica, attraverso la fissazione di tetti retributivi, accompagnate da specifici obblighi di pubblicità e di comunicazione. La disciplina ha sostituito il precedente regime introdotto dalla legge finanziaria per il 2007 (art. 1, co. 593) mantenendo la misura del tetto retributivo ivi previsto, pari al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione,ed estendendone il campo di applicazione[164].

La disciplina, di carattere generale, si riferisce al “trattamento economico onnicomprensivo[165] di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica nonché le loro controllate[166], ovvero sia titolare di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano. Sono escluse dall’ambito di applicazione della normativa Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, loro consorzi e associazioni.

Sono inoltre escluse dalla disposizione la Banca d’Italia “e le altre Autorità indipendenti”. Ad esse si applicano solo gli obblighi di pubblicità (cfr.oltre) per gli emolumenti superiori al limite fissato (art. 3, co. 44, ultimo periodo); Per tali soggetti la disciplina in ordine ai controlli sulla spesa, i modi di finanziamento, le retribuzioni e gli emolumenti, sarà prevista in una futura legge di riforma nel rispetto degli adempimenti previsti a livello comunitario (art. 3, co. 45, modificato dall’art. 42, co. 2, del D.L. 248/2007). Gli emolumenti corrisposti da tali organismi non possono comunque superare il doppio del trattamento retributivo del Primo presidente della Corte di Cassazione (art. 46)[167].

Sono invece esplicitamente inclusi nel novero dei soggetti cui si applica il predetto limite retributivo i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, i presidenti e i componenti di collegi ed organi di governo e di controllo delle società non quotate e i dirigenti[168].

Per ciò che attiene all’ambito oggettivo, la legge finanziaria ha espressamente previsto che il limite non si applica alle attività di natura professionale e ai contratti d'opera aventi ad oggetto una prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva concorrenza. Si deve però trattare di contratti che non possono in alcun caso essere stipulati con chi ad altro titolo percepisce emolumenti o retribuzioni ai sensi dei precedenti periodi (art. 2, comma 44, terzo periodo).

Sul punto è intervenuto il D.L. 248/2007[169], il quale ha specificato (art. 24, co. 4-bis) che ferma restando l'inapplicabilità del limite alle attività soggette a tariffe professionali, il tetto si applica ai contratti d'opera. L’applicazione a tali contratti decorre dall'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri volto a definire, entro il 1° luglio 2008, le tipologie di contratti d'opera artistica o professionale escluse.

È prevista infine la possibilità di deroga al regime del tetto al trattamento economico, laddove ricorrano motivate esigenze di carattere eccezionale e per un periodo di tempo non superiore a tre anni. Per le amministrazioni statali le deroghe possono essere autorizzate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite massimo di 25 unità corrispondenti alle posizioni di più elevato livello di responsabilità (art. 3, co. 44).

Per le Amministrazioni dello Stato e, in via generale, in relazione ai soggetti cui non si applica il suddetto limite, non si può comunque superare il doppio del trattamento retributivo del Primo Presidente della Corte di cassazione.

Per ciò che attiene al regime di pubblicità e di comunicazione degli atti comportanti spesa per retribuzioni, viene sostanzialmente riprodotta la disciplina già contenuta nella legge finanziaria per il 2007. La comunicazione è condizione per l’attuazione dell’atto: esso deve essere preventivamente pubblicato sul sito web dell'amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo[170] , al Parlamento e alla Corte dei conti. Per le retribuzioni dirigenziali e i compensi per la conduzione di trasmissioni di qualunque genere presso la RAI - Radiotelevisione italiana Spa è specificamente previsto che esse siano rese note alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (art. 3, co. 50).

Il tetto retributivo non opera per i contratti di natura privatistica in corso alla data del 28 settembre 2007[171] i quali non possono in alcun caso essere prorogati[172] (art. 3, co. 48). Ai contratti in essere si applica invece il regime di pubblicità e trasparenza sopra menzionato (art. 3, co. 49). Con riferimento agli incarichi o rapporti di natura non privatistica il superamento del limite retributivo comporta un “rientro” graduale, mediante una decurtazione annuale del 25 per cento della parte eccedente[173].

Il Presidente del Consiglio dei Ministri deve presentare alle Camere, entro il 30 settembre 2008, una relazione sull’attuazione della disciplina del tetto retributivo (art. 3, co. 52), mentre la Corte dei conti verifica l'attuazione delle disposizioni in oggetto in sede di controllo successivo sulla gestione del bilancio (art. 3, co. 53).

Il comma 52-bis introdotto dall’articolo 4-quater del decreto-legge 97/2008[174] dispone che la disciplina trova applicazione a decorrere dalla data di entrata in vigore di un regolamento di delegificazione adottato entro il 31 ottobre 2008 con D.P.R., ex art. 17, co. 2, della L. 400/1988, Il comma introduce i seguenti “criteri” per l’adozione del regolamento:

-        esclusione della retribuzione percepita dal dipendente pubblico presso l’amministrazione di appartenenza, nonché del trattamento di pensione, dal computo che concorre alla definizione del limite;

-        non applicabilità della disciplina agli emolumenti correlati a prestazioni professionali o a contratti d’opera di natura non continuativa nonché agli emolumenti determinati ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile: quest’ultima disposizione si riferisce alla rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche, nelle società per azioni;

-        obbligo per la singola amministrazione o società, che conferisca nel medesimo anno allo stesso soggetto incarichi che superino il limite massimo, di fornire adeguata e specifica motivazione e dare pubblicità all’incarico medesimo;

-        obbligo per il soggetto che riceve un incarico di comunicare, all’amministrazione che conferisce l’incarico, tutti gli altri incarichi in corso, ai quali dare adeguata pubblicità;

-        individuazione di specifiche forme di vigilanza e controllo sulle modalità applicative della disciplina.

Il regolamento è stato adottato con il DPR 5 ottobre 2010, n. 195 che ha stabilito che il Ministro della giustizia, entro il 31 gennaio di ogni anno, comunichi al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e al ministro dell’economia e delle finanze l’ammontare del trattamento annuale complessivo spettante per la carica di Primo Presidente della Corte di Cassazione (art. 4).

 

Il comma 2 individua un ulteriore parametro limite per le somme che possono essere corrisposte ai dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, che sianochiamati a svolgere funzioni direttive dirigenziali o equiparate presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti.

In particolare, la disposizione prevede che questi soggetti - se conservano il trattamento economico riconosciuto dall’amministrazione di appartenenza - non possano ricevere a titolo di retribuzione, indennità, o anche solo per il rimborso spese, più del 25% dell’ammontare complessivo del trattamento economico già percepito.

 

Il comma 3 precisa che, con lo stesso decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, di cui al comma 1, potranno essere previste deroghe motivate al tetto delle retribuzioni per coloro che siano chiamati a ricoprire posizioni apicali nell’amministrazione. Il decreto potrà inoltre fissare un tetto massimo a titolo di rimborso spese.

 

Il comma 4 destina al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato le risorse derivanti dall’applicazione dei commi precedenti.


 

Articolo 24, comma 1
(Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici)

 

 

L’articolo 24 reca numerose e sostanziali modifiche alla normativa previdenziale vigente.

Ai sensi del comma 1, le disposizioni dell’articolo in esame hanno lo scopo di garantire il rispetto, nel tempo, dei vincoli di bilancio, della stabilità economico-finanziaria nonché di rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul P.I.L., sulla base dei seguenti principi e criteri:

a)   equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli;

b)   flessibilità nell'accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa;

c)   adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita;

d)   semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali.

 

In particolare dal 1° gennaio 2012:

§      si introduce il sistema di calcolo contributivo pro-rata per le quote di pensioni con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere dalla medesima data, quindi anche per i lavoratori che possedevano almeno 18 anni di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 (comma 2);

§      si riconosce la certezza, attraverso un’apposita certificazione, dei diritti dei lavoratori che abbiano già raggiunto, al 31 dicembre 2011, i requisiti al pensionamento ai sensi della normativa previgente (comma 3);

§      si prevede che la pensione di vecchiaia possa conseguirsi all'età in cui operano i requisiti minimi previsti dallo stesso articolo 24, disponendo altresì un incentivo al proseguimento dell'attività lavorativa attraverso una riparametrazione dei coefficienti di trasformazione, calcolati fino all'età di 70 anni (comma 4);

§      si sopprime il regime delle decorrenze (cd. finestre) annuali per i soggetti che maturano i requisiti per l’accesso al pensionamento per il pensionamento di vecchiaia ed il pensionamento anticipato (comma 5);

§      si attua una revisione complessiva del sistema pensionistico (commi 6 e 7), in particolare accelerando il processo di allineamento del requisito anagrafico previsto per il pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti private da 1° gennaio 2018; nonché incrementando di un anno, dal 2018, il requisito anagrafico per l’accesso all’assegno sociale e ad altre provvidenze specifiche (comma 8). Allo stesso tempo, viene introdotto un limite anagrafico minimo per l’accesso alla pensione di vecchiaia tale da garantire un'età minima di accesso al trattamento pensionistico non inferiore a 67 anni per i soggetti, in possesso dei predetti requisiti, che maturino il diritto alla prima decorrenza utile del pensionamento dall'anno 2021 (comma 9);

§      allo stesso tempo, si razionalizza la possibilità si accesso al pensionamento anticipato attraverso l’introduzione della pensione anticipata per i soggetti che accedano al trattamento pensionistico con età inferiori ai requisiti richiesti in precedenza esclusivamente con una specifica anzianità contributiva, prevedendo altresì la possibilità – per i soggetti con una quota di pensione calcolata con il sistema retributivo - di accedere al pensionamento con un’età inferiore ai 62 anni ma con una riduzione del 2% di tale quota (comma 10). In particolare, per tali soggetti è prevista una riduzione percentuale della quota di pensione nel caso in cui questi ultimi accedano al pensionamento anticipato con un’età inferiore ai 63 anni (comma 11);

§      si prevede il coordinamento dell’aggiornamento con cadenza triennale dei requisiti anagrafici (e dei valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva) per l’accesso ai trattamenti pensionistici anche al requisito contributivo della pensione anticipata (comma 12). Allo stesso tempo, si prevede che gli adeguamenti successivi a quello del 1° gennaio 2019 abbiano cadenza biennale (comma 13);

§      si dispongono specifiche esenzioni all’applicazione della nuova normativa per determinate categorie di lavoratori, nel limite di un contingente di 50.000 soggetti (comma 14), disponendo altresì il monitoraggio, da parte degli enti previdenziali, delle domande di pensione presentate dai lavoratori interessati (comma 15);

§      l’estensione dei coefficienti di trasformazione nel sistema contributivo per età fino a 70 anni a decorrere dal 1° gennaio 2013 (comma 16).

§      alcune modifiche all’articolo 1 del D.lgs. 67/2011 che riducono il periodo di transitorio per l’accesso al pensionamento anticipato per i lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, ferma la previsione dei commi 10 e 11dell’articolo 24 in tema di pensione anticipata(comma 17);

§      l’adozione di un regolamento, da emanare entro il 30 giugno 2012, per l’armonizzazione dei requisiti di accesso ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche con requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria, compresi alcuni tipologie di lavoratori come quelli del settore minerario, il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, dei vigili del fuoco e relativi dirigenti e gli iscritti ai dipendenti della Ferrovie dello Stato Spa (comma 18);

§      la facoltà,in materia di totalizzazione, per i soggetti interessati, di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti, di qualsiasi durata ai fini del conseguimento di un'unica pensione(comma 19);

§      la conferma dell’applicazione degli istituti dell’esonero dal servizio, permanenza in servizio oltre i limiti di età, collocamento a riposo e risoluzione del rapporto di lavoro per i dipendenti pubblici, con specifiche eccezioni per i soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla medesima data(comma 20);

§      l’introduzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e fino al 31 dicembre 2017, di un contributo di solidarietà a carico degli iscritti e dei pensionati delle gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti e del Fondo di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea, allo scopo di determinare il concorso dei medesimi al riequilibrio del predetto Fondo, secondo un ammontare definito (comma 21);

§      l’aumento delle aliquote contributive pensionistiche, di finanziamento e di computo, delle gestioni pensionistiche dei lavoratori artigiani e commercianti iscritti alle gestioni autonome dell'INPS nella misura dello 0,3% annuo, fino a raggiungere il livellodel 22% (comma 22);

§      la rideterminazione delle aliquote contributive pensionistiche di finanziamento e di computo dei lavoratori agricoli, coltivatori diretti, mezzadri e coloni iscritti alla relativa gestione autonoma dell’INPS (comma 23);

§      l’adozione entro e non oltre il 31 marzo 2012, ai fini dell’equilibrio finanziario delle gestioni degli enti previdenziali di diritto privato dei professionisti, di misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di 50 anni, sottoposte all’ all’approvazione dei Ministeri vigilanti, con specifiche sanzioni in assenza di tali provvedimenti (comma 24);

§      il riconoscimento della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici solamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a due volte il trattamento minimo INPS (comma 25);

§      l’estensione ai professionisti iscritti alla gestione separata INPS, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, delle tutele in materia di malattia e maternità (comma 26);

§      l’istituzionepresso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne (comma 27);

§      la costituzione di una specifica Commissione composta da esperti e da rappresentanti di enti gestori di previdenza obbligatoria nonché di Autorità di vigilanza operanti nel settore previdenziale, incaricata di svolgere entro il 31 dicembre 2012 un’analisi supossibili ed ulteriori forme di gradualità nell'accesso al trattamento pensionistico ed eventuali forme di decontribuzione parziale dell'aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi (comma 28);

§      l’elaborazione, a cadenza annuale, da parte del Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali, assieme agli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, di un programma coordinato di iniziative di informazione e di educazione previdenziale, finalizzato anche a diffondere tra le giovani generazioni, la consapevolezza della necessità dell'accantonamento di risorse a fini previdenziali (comma 29);

§      la promozione da parte del Governo, entro il 31 dicembre 2011, di un tavolo di confronto con le parti sociali al fine di riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali e degli istituti di sostegno al reddito e della formazione continua (comma 30);

§      la disapplicazione, per la quota di alcune tipologie di indennità di fine rapporto previste nel T.U.I.R., di importo eccedente euro 1.000.000,00, del regime di tassazione separata e assoggettato alla formazione del reddito complessivo (comma 31).


 

Articolo 24, comma 2
(Calcolo contributivo pro-rata)

 

 

Il comma 2 prevede, a decorrere dal 1° gennaio 2012, con riferimento alle anzianità maturate a decorrere dalla medesima data, il calcolo della quota di pensione corrispondente a tali anzianità secondo il metodo di calcolo contributivo (calcolo pro-rata).

 

Senza dubbio il fattore più qualificante della riforma in materia di previdenza obbligatorio nella L. 335/1995 fu l’introduzione del metodo di calcolo contributivo dei trattamenti pensionistici, in luogo del metodo retributivo.

Il provvedimento, infatti, muovendo dalla constatazione che il metodo retributivo costituisse una fonte di iniquità del sistema, sia intergenerazionale, sia interna a ciascuna generazione di percettori , introdusse un nuovo metodo di calcolo dei trattamenti pensionistici, mediante il quale si ritengono perseguibili, a regime, entrambi gli obiettivi della sostenibilità finanziaria del sistema e della equità nei rendimenti corrisposti.

Differentemente da quest'ultimo, il metodo contributivo, come prefigurato nei commi da 6 a 16 dell'articolo 1 della L. 335/1995, mette in relazione vita contributiva e trattamento previdenziale di ciascun soggetto: ciò comporta che, a regime, il pensionato riceverà un trattamento commisurato a quanto ha accumulato nel suo periodo attivo. E' però importante sottolineare che il nuovo sistema contributivo si muove sempre all'interno di un ordinamento che funziona secondo il criterio della ripartizione: la pensione è sì commisurata alla storia contributiva del lavoratore, ma è comunque pagata dalle entrate contributive correnti del sistema, che resta a pieno titolo un sistema pensionistico pubblico. Può dunque parlarsi di un sistema contributivo che funziona all'interno di un quadro ripartitorio pubblico.

 

La totale diversità del nuovo metodo impose una sua introduzione graduale, delineata dai commi 12 e 13 dell'articolo 1, che in sostanza stabilirono una tripartizione del sistema di computo delle pensioni. In particolare:

-        per i lavoratori privi di anzianità contributiva alla data del 1° gennaio 1996 (c.d. neo-assunti) la pensione sarebbe stata calcolata interamente con il metodo contributivo;

-        per i lavoratori con una anzianità contributiva inferiore a 18 anni, la pensione sarebbe stata calcolata con il metodo del "pro-rata", cioè dalla somma di una quota, corrispondente alle anzianità anteriori al 31 dicembre 1995, determinata, (con riferimento alla data di decorrenza della pensione), con il metodo retributivo previgente alla predetta data e di una quota, corrispondente alle ulteriori anzianità contributive, calcolata con il sistema contributivo;

-        per i lavoratori con almeno 18 anni di anzianità, la pensione sarebbe stata liquidata interamente secondo il sistema retributivo.

Negli ultimi due casi, fu prevista l'eventualità di liquidare il trattamento esclusivamente con le regole contributive, in conseguenza dell'esercizio della facoltà di opzione prevista dal comma 23 dell'articolo 1 della L. 335, ai sensi del quale i lavoratori interessati potevano optare per l'integrale liquidazione della pensione con il metodo contributivo, se in possesso di una anzianità contributiva pari almeno a 15 anni, di cui almeno 5 nel nuovo sistema contributivo (cioè a partire dal 1° gennaio 2001, iniziando il nuovo sistema dal 1° gennaio 1996).

Il secondo elemento innovatore, strettamente dipendente dalla scelta del metodo contributivo, è costituito dal meccanismo di funzionamento del metodo medesimo, incentrato sulla capitalizzazione dei contributi versati[175]. In particolare, la capitalizzazione è effettuata secondo un indicatore oggettivo, costituito, secondo quanto puntualmente specifica l'articolo 1, comma 9, della L. 335, dalla variazione media quinquennale del PIL nominale, calcolata con riferimento al quinquennio di ciascun anno da rivalutare. L'accumulo contributivo così capitalizzato dà luogo al "montante contributivo": quest'ultimo, rapportato ai divisori (cd. coefficienti di trasformazione[176]) previsti dalla Tabella A allegata alla legge (e che sono anch'essi costituiti secondo un criterio oggettivo, rapportato alla speranza di vita del pensionato viene moltiplicato per i coefficienti di trasformazione), dando come prodotto l'ammontare della rendita pensionistica di ciascuno.

Si ricorda che, nell’ambito del sistema contributivo di calcolo della pensione, il coefficiente di trasformazione è il valore al quale si moltiplica il montante individuale dei contributi al fine di ottenere l’importo attualizzato della pensione annua, in altri termini è la percentuale per la quale si moltiplicano i contributi accumulati in tutta la vita lavorativa al fine di determinare l'importo dell’assegno pensionistico[177].


 

Articolo 24, comma 3
(Certificazione dei requisiti d’accesso e fattispecie pensionistiche)

 

 

Il comma 3 prevede una certificazione dei diritti acquisiti prima della data di entrata in vigore del provvedimento in esame – su domanda dei soggetti interessati - per i lavoratori che maturino entro il 31 dicembre 2011, in relazione ai requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente ai fini del diritto all'accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità,.

A decorrere dal 1° gennaio 2012 per i soggetti che, nei regimi misto e contributivo, maturino i requisiti a partire dalla medesima data, le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità sono sostituite, dalle seguenti prestazioni: a) «pensione di vecchiaia », conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di cui ai commi 6 e 7; b) «pensione anticipata», conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di cui ai comma 10 e 11, salvo quanto stabilito ai successivi commi 14, 17 e 18.

 

Lo stesso comma prevede altresì la sostituzione, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti che maturino, nei regimi misto e contributivo, i requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico a partire dalla medesima data, delle pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata[178], di anzianità con le seguenti prestazioni:

§      la pensione di vecchiaia, di cui ai successivi commi 6 e 7 (vedi infra);

§      la pensione anticipata, di cui ai successivi commi 10 e 11 (vedi infra).

Le nuove discipline trovano applicazione salvo quanto stabilito in materia di esenzioni dell’applicazione della nuova disciplina (comma 14), di prepensionamento per lavori usuranti (comma 17) e di armonizzazione dei requisiti per l’accesso al pensionamento dei regimi diversi dall’AGO. (comma 18).


 

Articolo 24, comma 4
(Flessibilità in uscita ed incentivazioni)

 

 

Il comma 4 dispone la possibilità, per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione viene liquidata a carico dell'Assicurazione Generale Obbligatoria (di seguito AGO) e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 335/1995, di conseguire la pensione di vecchiaia all'età in cui operano i requisiti minimi previsti dalle successive disposizioni.

E’ inoltre previsto un sistema di incentivazione al proseguimento dell'attività lavorativa, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, attraverso una riparametrazione dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di 70 anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dall'articolo 12 del D.L. 78/2010 (vedi infra).

Lo stesso comma prevede altresì che nei confronti dei lavoratori dipendenti, l'efficacia delle disposizioni di cui all'articolo 18 della L. 300/1970 operi fino al conseguimento del richiamato limite massimo di flessibilità.

 

L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori prevede la c.d. "tutela reale", che comporta la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro. Tale forma di tutela si applica nei confronti dei datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento.

Si ricorda che la normativa vigente, a parte il caso del licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, prevede la tutela reale (e quindi la reintegrazione), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice abbia:

-        dichiarato inefficace il licenziamento per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso (articolo 2 della legge n. 604/1966);

-        ovvero dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, in quanto determinato (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4 della legge n. 604/1966 e articolo 15 della legge n. 300/1970).

Con la stessa sentenza con cui il giudice dispone la reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1 (che, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, è provvisoriamente esecutiva) il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. Il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo18, comma 4).

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro è riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5).


 

Articolo 24, comma 5
(Soppressione del regime delle decorrenze annuali)

 

 

Il comma 5 prevede, con riferimento esclusivamente ai soggetti che a decorrere dal 1° gennaio 2012 maturino i requisiti per il pensionamento di vecchiaia ordinario e anticipato (di cui ai commi da 6 ad 11 dell’articolo in esame), la non applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 12, commi 1 e 2 del D.L. 78/2010, e delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 21, primo periodo, del D.L. 138/2011, recanti, rispettivamente, disposizioni in materia di decorrenze per la generalità dei lavoratori e per il personale del comparto scuola (c.d. finestre).

Al riguardo, la relazione tecnica sottolinea che in conseguenza alla soppressione del richiamato regime i livelli dei requisiti di accesso sono stati rideterminati ”al fine di inglobare il posticipo originariamente implicito nel rinvio della decorrenza del trattamento”.

 

L’articolo 12, commi 1 e 2, del D.L. 78/2010 aveva introdotto le cd. decorrenze annuali[179] rispettivamente, per i soggetti che, a decorrere dal 2011 maturino il requisito anagrafico per il diritto, rispettivamente, alla pensione di vecchiaia (comma 1) e alla pensione di anzianità (comma 2). Più specificamente, è stato stabilito che il termine di decorrenza della pensione di vecchiaia (compresi i trattamenti liquidati interamente con il sistema contributivo) sia pari:

-        per i lavoratori dipendenti, a 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti per il relativo trattamento;

-        per gli iscritti alle gestioni INPS relative agli artigiani, commercianti, coltivatori diretti e alla Gestione separata INPS, 18 mesi dalla data di maturazione dei requisiti[180].

L’articolo 1, comma 21, primo periodo, del D.L. 138/2011, ha invece modificato, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la disciplina delle decorrenze iniziali dei trattamenti pensionistici (di vecchiaia e anzianità) per il personale del comparto scuola.

In particolare, il comma ha disposto che i trattamenti decorrano dall’inizio dell'anno scolastico e accademico che ricade nell'anno solare successivo rispetto a quello in cui si siano maturati i requisiti (nella disciplina previgente la decorrenza era prevista dall'inizio dell'anno scolastico e accademico che ricadeva nell'anno solare di maturazione dei requisiti per il trattamento). Resta ferma l'applicazione della disciplina previgente per i soggetti che abbiano conseguito o conseguano entro il 31 dicembre 2011 i requisiti per il trattamento.


 

Articolo 24, commi 6, 7 e 9
(Pensione di vecchiaia)

 

 

Il comma 6 ridefinisce i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2012.

 

Si ricorda che i requisiti introdotti dalla L. 243/2004 per la pensione di vecchiaia liquidata esclusivamente con il sistema contributivo, applicabili dal 1° gennaio 2008, prevedevano che i lavoratori dipendenti potessero andare in pensione in presenza, alternativamente, di una delle seguenti situazioni:

1)    età anagrafica pari a 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini; versamento e accreditamento di almeno 5 anni di contribuzione effettiva; importo della pensione non inferiore a 1,2 volte l’assegno sociale;

2)    anzianità contributiva non inferiore a 40 anni (in questo caso si prescinde dal requisito anagrafico);

3)    anzianità contributiva non inferiore a 35 anni; età anagrafica pari a 60 anni per i lavoratori dipendenti e 61 anni per i lavoratori autonomi nel biennio 2008-2009; il requisito dell’età anagrafica veniva aumentato di un anno per il periodo 2010-2013 e di un ulteriore anno a decorrere dal 2014 (62 anni per i lavoratori dipendenti e 63 anni per gli autonomi).

Successivamente, è intervenuta in materia la L. 247/2007, la quale ha modificato i requisiti introdotti dalla L. 243/2004 per l‘accesso alla pensione di vecchiaia di cui alla terza ipotesi richiamata in precedenza, non modificando le altre ipotesi.

Pertanto, a seguito di tale modifica, a decorrere dal 2008, per accedere alla pensione di vecchiaia con il sistema contributivo in base all’ipotesi 3), era necessario possedere i seguenti requisiti:

-        per il 2008 e dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2009, almeno 35 anni di anzianità contributiva insieme ad una età anagrafica di almeno 58 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e di 59 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” (data dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) pari almeno a 95 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 59 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni;

-        per gli anni 2011 e 2012, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni;

-        dall’anno 2013, infine, a regime, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 97 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 98, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 62 anni (a meno che il Ministro del lavoro non emani il decreto di cui al comma 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004 al fine di differire l’innalzamento dei requisiti pensionistici).

Più specificamente, tra gli interventi di revisione effettuati, si segnala l’innalzamento a 66 anni del limite minimo per accedere alla pensione di vecchiaia sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi, nonché l’anticipazione della disciplina a regime dell’innalzamento progressivo dell’età anagrafica delle lavoratrici dipendenti private al 2018 (in luogo del 2026).

Allo stesso tempo, si precisa che il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia si consegua in presenza di un'anzianità contributiva minima pari a 20 anni (in luogo dei 5 richiesti dalla normativa previgente), a condizione che l'importo della pensione risulti essere non inferiore a 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale.

Tutti i meccanismi di innalzamento comunque precisano che resta in ogni caso ferma la disciplina di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita ai sensi dell'articolo 12 del D.L. 78/2010 (vedi infra).

In particolare, il comma in esame, al fine di conseguire una convergenza verso un requisito uniforme per il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia tra uomini e donne e tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, prevede, relativamente ai soggetti che maturino i requisiti per il pensionamento di vecchiaia ordinario e anticipato a decorrere appunto dal 1° gennaio 2012, ridefinisce i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione di vecchiaia nei seguenti termini:

§      62 anni per le lavoratrici dipendenti private, la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive della medesima (lettera a)). Tale requisito anagrafico viene ulteriormente innalzato a:

-        63 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014;

-        65 anni a decorrere dal 1° gennaio 2016;

-        66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018;

In materia di innalzamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento delle lavoratrici dipendenti private, l’articolo 18 del D.L. 98/2001 aveva stabilito in primo luogo (comma 1), a decorrere dal 1° gennaio 2020, un progressivo innalzamento, da 60 a 65 anni, del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. In particolare, il requisito anagrafico di 60 anni per il sistema retributivo e misto e il requisito di 60 anni di cui all’articolo 1, comma 6, lettera b), della L. 243/2004 (pensione liquidata con il calcolo contributivo) venivano incrementati di 1 mese. Tali requisiti erano ulteriormente incrementati di 2 mesi a decorrere dal 2021, di 3 mesi dal 2022, di 4 mesi dal 2023, di 5 mesi dal 2024, di 6 mesi dal 2025 per ogni anno fino al 2031 e di ulteriori 3 mesi a decorrere dal 2032[181].

Successivamente, l’articolo 1, comma 20, del recente D.L. 138/2011 era intervenuto nuovamente su tale disciplina prevedendo un anticipo dell’innalzamento progressivo, con inizio dal 2014, (anziché dal 2020) e con l’entrata a regime della disciplina il 1° gennaio 2026 (anziché il 1° gennaio 2032).

La disciplina a regime veniva raggiunta attraverso l’innalzamento di un mese a decorrere dal 2014, di ulteriori 2 mesi dal 2015, di 3 mesi dal 2016, di 4 mesi dal 2017, di 5 mesi dal 2018, di 6 mesi dal 2019 per ogni anno fino al 2025 e di ulteriori 3 mesi a decorrere dal 2026, anno, appunto, in cui la disciplina entra a regime con il raggiungimento di 65 anni ai fini del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia.

§      63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO nonché della gestione separata INPS (lettera b)). Tale requisito anagrafico è fissato a:

-        64 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014;

-        65 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2016;

-        66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018;

§      66 anni per i lavoratori privati e i pubblici dipendenti (lavoratori e, ai sensi dell’articolo 22-ter del D.L. 78/2009, lavoratrici), la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima (il precedente requisito anagrafico era pari a 65 anni sia per l'accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema misto sia per l’accesso alla pensione liquidata esclusivamente con il sistema contributivo, ai sensi dell'articolo 1, comma 6, lettera b), della L. 243/2004) (lettera c));

L’articolo 22-ter del D.L. 78/2009 è intervenuto in materia di requisiti anagrafici richiesti ai fini del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti iscritte alle forme esclusive dell'AGO per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti (cioè le lavoratrici dipendenti pubbliche).

In particolare, è stato aggiunto un periodo all’articolo 2, comma 21, della L. 335/1195, in base al quale i requisiti anagrafici di 60 anni per le lavoratrici del pubblico impiego, individuato dallo stesso comma 21 nonché dall’articolo 1, comma 6, lettera b), della L. 243/2004, sono incrementati di un anno, a decorrere dal 2010. Lo stesso periodo dispone altresì un ulteriore incremento di un anno a decorrere dal 1° gennaio 2012 nonché di un ulteriore anno per ogni biennio successivo, fino al raggiungimento dei 65 anni nel 2018.

Successivamente, l’articolo 12, comma 12-sexies, del D.L. 78/2010 ha modificato, tale disciplina, disponendo l'elevamento del requisito da 61 a 65 anni con decorrenza dal 1° gennaio 2012. Resta fermo il diritto al trattamento per le lavoratrici che maturino, entro il 31 dicembre 2011, i requisiti anagrafici e contributivi vigenti alla suddetta data; tali dipendenti possono chiedere all'ente pensionistico di appartenenza la certificazione del diritto.

§      66 anni per i lavoratori autonomi la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO nonché della gestione separata INPS (anche in questo caso il precedente il requisito anagrafico era pari a 65 anni per l'accesso sia alla pensione di vecchiaia nel sistema misto sia per l’accesso alla pensione liquidata esclusivamente con il metodo contributivo) (lettera d)).

Ai sensi del successivo comma 7, il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue in presenza di un'anzianità contributiva minima pari a 20 anni (in luogo dei 5 richiesti in precedenza), a condizione che l'importo della pensione risulti essere non inferiore, per i lavoratori con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre successivamente al 1° gennaio 1996, a 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della L. 335/1995., rivalutato annualmente sulla base della variazione media quinquennale del PIL nominale, appositamente calcolata dall'ISTAT, con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare. In occasione di eventuali revisioni della serie storica del PIL operate dall'ISTAT, i tassi di variazione da considerare devono essere quelli relativi alla serie preesistente anche per l'anno in cui si verifica la revisione e quelli relativi alla nuova serie per gli anni successivi. Il predetto importo soglia non può in ogni caso essere inferiore, per un dato anno, a 1,5 volte l'importo mensile dell'assegno sociale stabilito per il medesimo anno.

Si prescinde dall’importo minimo solamente se si è in possesso di un'età anagrafica pari a 70 anni, ferma restando un'anzianità contributiva minimaeffettiva di cinque anni.

Lo stesso comma, infine, per esigenze di coordinamento legislativo, provvede, fermo restando quanto previsto dall'articolo 2 del D.L. 355/2001, a sopprimere il riferimento ai lavoratori cd. “diciottisti”[182] all’articolo 1, comma 23 della L. 335/1995, (cfr. il paragrafo relativo all’introduzione del metodo di calcolo contributivo).

Il successivo comma 9 stabilisce un limite anagrafico minimo per l’accesso alla pensione di vecchiaia per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata INPS.

In particolare, i requisiti anagrafici devono essere tali da garantire un'età minima di accesso al trattamento pensionistico non inferiore a 67 anni per i soggetti, in possesso dei predetti requisiti, che maturino il diritto alla prima decorrenza utile del pensionamento dall'anno 2021.

Qualora, per effetto degli adeguamenti dei predetti requisiti agli incrementi della speranza di vita ai sensi dell'articolo 12 del D.L. 78/2010, la richiamata età minima di accesso non fosse assicurata, è disposto un ulteriore incremento degli stessi, con lo stesso decreto direttoriale di cui al citato articolo 12, comma 12-bis, del D.L. 78/2010, da emanare entro il 31 dicembre 2019, al fine di garantire, per i richiamati soggetti in possesso dei predetti requisiti un'età minima di accesso al trattamento pensionistico comunque non inferiore a 67 anni.

Resta anche in questo caso ferma la disciplina di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita, per gli adeguamenti successivi a quanto previsto dal penultimo periodo del presente comma.

Infine, per esigenze di coordinamento legislativo, viene soppresso l'articolo 5 della L. 183/2011.

Tale norma, ferma restando la normativa vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici (c.d. finestre) e di adeguamento all’incremento delle aspettative di vita, era volta a garantire un'età minima di accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia non inferiore a 67 anni, tenuto conto del regime delle decorrenze, e riguardava esclusivamente le pensioni di vecchiaia per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 335/1995. In particolare, si stabiliva che, a prescindere dalle misure del processo di elevamento richiamato in precedenza, i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema retributivo e misto nonché i requisiti anagrafici richiesti per la liquidazione dei trattamenti pensionistici di cui all'articolo 1, comma 6, lettera b), della L. 243/2004, come modificati, per le lavoratrici, dall'articolo 22-ter, comma 1, del D.L. 78/2009 e dall'articolo 18, comma 1, del D.L. 98/2011, dovessero essere tali da garantire un'età minima di accesso al trattamento pensionistico non inferiore a 67 anni, tenuto conto del regime delle decorrenze, per i soggetti, in possesso dei predetti requisiti, che maturassero il diritto alla prima decorrenza utile del pensionamento dall'anno 2026[183].


 

Articolo 24, comma 8
(Assegno sociale)

 

 

Il comma 8 incrementa di una anno, a decorrere dal 1° gennaio 2018, il requisito anagrafico per il conseguimento dell'assegno sociale, portandolo quindi a 66 anni. Analogo incremento viene dispostoper il conseguimento delle prestazioni di cui all'articolo 10 della L. 381/1970 (pensione sociale per i sordomuti) e dell'articolo 19 della L. 118/1971 (pensione sociale per i mutilati ed invalidi civili)

Introdotto con effetto dal 1° gennaio 1996 dall’articolo 3, comma 6, della L. 335/1995, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, l’assegno sociale è una prestazione di carattere assistenziale che prescinde del tutto dal versamento dei contributi e spetta ai cittadini che si trovino in condizioni economiche disagiate ed abbiano situazioni reddituali particolari previste dalla legge. La verifica del possesso dei requisiti viene fatta annualmente: l'assegno sociale è sempre liquidato con carattere di provvisorietà sulla base del reddito presunto. Nell’anno successivo l’INPS opera la liquidazione definitiva o la modifica o la sospensione sulla base delle dichiarazioni reddituali rese dagli interessati. L’assegno sociale non è soggetto a trattenute Irpef, non è reversibile ed è inesportabile.


 

Articolo 24, commi 10 e 11
(Pensione anticipata)

 

 

Il comma 10 innalza, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti la cui pensione è liquidata a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 335/1995, che maturino i requisiti a partire dalla medesima data, il limite massimo di 40 anni richiesto ai fini del riconoscimento del diritto al pensionamento in base al solo requisito di anzianità contributiva a prescindere dall’età anagrafica (c.d. “quarantesimi”).

 

Sulla base delle nuove disposizioni, l’accesso al trattamento pensionistico è consentito esclusivamente qualora risulti maturata anzianità contributiva di:

§      nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne;

§      nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41 anni e 2 mesi per le donne;

§      a decorrere dal 2014, 42 anni e 3 mesi per gli uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne.

 

Lo stesso comma conferma altresì l’applicabilità a tale fattispecie della disciplina di adeguamento dei requisiti contributivi agli incrementi della speranza di vita, ai sensi dell'articolo 12 del D.L. 78/2010, come integrato dal successivo comma 12 (vedi infra).

In virtù di tale disposizione viene soppressa, sempre a decorrere dal 2012, la possibilità (come peraltro evidenziato nella relazione tecnica) di accedere al pensionamento anticipato con il sistema delle cd. “quote” introdotto dalla L. 247/2007[184], con un’anzianità minima compresa tra 35 e 36 anni di contributi.

Inoltre, il requisito dei 42 anni e 3 mesi richiesto a decorrere dal 2014 non può essere considerato a regime, bensì sottoponibile ad eventuali ulteriori riparametrazioni in relazione al richiamato adeguamento a decorrere dal 2013.

 

Il sistema delle “quote” continua peraltro a trovare applicazione per i “lavori usuranti” (v. oltre, comma 17)

 

Inoltre, si prevede l’applicazione di una riduzione percentuale per ogni anno anticipato nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni. Nel corso dell'esame in sede referente, è stato disposto che tale percentuale sia pari all’1%, con elevazione al 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto a 2 anni.

Il testo originario prevedeva l’applicazione di una riduzione percentuale pari al 2% sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente al 1° gennaio 2012, per ogni anno anticipato nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni.

In sostanza, la riduzione percentuale sarebbe pari all’1% in presenza di un accesso al pensionamento con 61 e 60 anni e salirebbe al 2% in presenza di un accesso al pensionamento pari e minore a 59 anni.

Nel caso in cui l’età al pensionamento non sia intera, è prevista una riduzione percentuale proporzionale al numero di mesi.

 

Il comma 11 prevede un requisito anagrafico minimo per accedere alla pensione anticipata nel sistema contributivo, in alternativa alla maturazione dell’anzianità contributiva analizzata nel comma precedente, per i lavoratori ai quali il primo accredito contributivo decorra successivamente al 1° gennaio 1996.

Più specificamente, fermo restando quanto previsto dal comma 10, per tali i lavoratori il diritto alla pensione anticipata, previa risoluzione del rapporto di lavoro, può essere conseguito, altresì, al compimento del requisito anagrafico di 63 anni, a condizione che risultino versati e accreditati in favore dell'assicurato almeno 20 anni di contribuzione effettiva e che l'ammontare mensile della prima rata di pensione risulti essere non inferiore ad un importo soglia mensile, annualmente rivalutato sulla base della variazione media quinquennale del PIL nominale, appositamente calcolata dall'ISTAT, con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare, pari - per l'anno 2012 - a 2,8 volte l'importo mensile dell'assegno sociale.

In occasione di eventuali revisioni della serie storica del PIL operate dall'ISTAT i tassi di variazione da considerare sono quelli relativi alla serie preesistente anche per l'anno in cui si verifica la revisione e quelli relativi alla nuova serie per gli anni successivi. Il predetto importo soglia mensile non può in ogni caso essere inferiore, per un dato anno, a 2,8 volte l'importo mensile dell'assegno sociale stabilito per il medesimo anno.


 

Articolo 24, commi 12 e 13
(Adeguamento dei requisiti per l’accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita)

 

 

Il comma 12 ribadisce la vigenza della disciplina degli adeguamenti dei requisiti per l’accesso al pensionamento, così come modificati dall’articolo in esame, agli incrementi della speranza di vita previsti dall'articolo 12, commi da 12-bis a 12-quater, del D.L. 78/2010.

 

Il comma 2 dell’articolo 22-ter del D.L. 78/2009 aveva disposto un intervento di portata generale rivolto a tutti i lavoratori, sia pubblici sia privati. Esso stabiliva che a decorrere dal 1° gennaio 2015 i requisiti anagrafici per l’accesso al sistema pensionistico italiano dovessero essere adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT e convalidato dall’EUROSTAT, con riferimento ai 5 anni precedenti.

L’attuazione della relativa normativa tecnica era demandata ad un apposito regolamento di delegificazione, da emanare entro il 31 dicembre 2014. In ogni caso, in sede di prima attuazione il richiamato incremento riferito ai 5 anni antecedenti non poteva superare i 3 mesi.

Successivamente, l’articolo 12, commi 12-bis-12-quinquies, del D.L. 78/2010, ha dato attuazione alle disposizioni del richiamato articolo 22-ter[185], modificandole in alcune parti. In particolare, si prevede l’adeguamento con cadenza triennale dei requisiti di accesso ai trattamenti, al fine di adeguarli all’incremento della speranza di vita rilevato annualmente dall’ISTAT, entro il 30 giugno, a decorrere dal 2015. In sede di prima applicazione tale aggiornamento non può in ogni caso superare i 3 mesi. Il secondo aggiornamento è previsto a decorrere dal 2019, mentre successivamente si procederà ad aggiornamenti con cadenza triennale. Per valori del requisito anagrafico superiori a 65 anni si dispone, poi, l’adattamento dei coefficienti di trasformazione, al fine di assicurare trattamenti pensionistici correlati alla maggiore anzianità lavorativa richiesta.

Da ultimo, l’articolo 18, comma 4, del D.L. 98/2011, modificando i richiamati commi, ha anticipato al 1° gennaio 2013 (invece del 1° gennaio 2015) la data del primo adeguamento dei trattamenti pensionistici all’indice di speranza di vita. Allo stesso tempo, è stato anticipato al 2011 (in luogo del 2014) l’obbligo per l'ISTAT di rendere disponibili i dati relativi alla variazione della speranza di vita, richiamato in precedenza. Inoltre, viene posticipato al 31 dicembre di ciascun anno (in luogo del 30 giugno) l’obbligo per l'ISTAT di rendere disponibile il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all'età corrispondente a 65 anni. Infine, attraverso l’abrogazione dell’ultimo periodo del comma 12-ter, è stata eliminata la previsione che il secondo adeguamento fosse calcolato su base biennale, in relazione a ciò tutti gli adeguamenti successivi al primo hanno pertanto cadenza triennale.

 

Lo stesso comma, per esigenze di coordinamento legislativo con le disposizioni di cui al precedente comma 6 concernente l’introduzione dell’istituto della pensione anticipata, provvede altresì a modificare le disposizioni di cui ai richiamati commi 12-bis, 12-ter e 12-quater, legando l’adeguamento triennale dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico anche ai requisiti contributivi introdotti dall’articolo in esame.

 

Il successivo comma 13 stabilisce la cadenza biennale dell’aggiornamento degli adeguamenti agli incrementi della speranza di vita successivi a quello effettuato con decorrenza 1° gennaio 2019, secondo le modalità previste dall'articolo 12 del D.L. 78/2010.

Per esigenze di coordinamento legislativo, inoltre, dalla medesima data i riferimenti al triennio, di cui al comma 12-ter dell'articolo 12 del richiamato D.L. 78/2010, devono riferirsi al biennio.


 

Articolo 24, commi 14 e 15
(Esenzioni dall’applicazione della nuova disciplina previdenziale)

 

 

Il comma 14, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede, riprendendo analoghe disposizioni presenti in precedenti norme, che le disposizioni previgenti in materia di requisiti di accesso e di regime di decorrenza dei trattamenti pensionistici (c.d. finestre”) continuino ad applicarsi, in primo luogo:

§      ai soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011;

§      ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 9, della legge n.243 del 2004[186].

Le disposizioni previgenti continuano, altresì, ad applicarsi, nei limiti delle risorse stabilite ai sensi del comma 15 e sulla base della procedura ivi disciplinata (secondo quanto aggiunto nel corso dell’esame in sede referente; il testo originario prevedeva un contingente massimo di 50.000 lavoratori), a una serie di lavoratori, ancorché maturino i requisiti per l’accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011, riconducibili alle seguenti categorie:

§       lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della L. 223/1991, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011[187], e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità (articolo 7, comma 2, della L. 223/1991) (lettera a));

§       lavoratori collocati in mobilità lunga, ai sensi dell’articolo 7, commi 6 e 7, della L. 223/1991, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011[188](lettera b));

§       lavoratori che, all’entrata in vigore del provvedimento in esame, siano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all’articolo 2, comma 28, della L. 662/1996[189], nonché – secondo la modifica intervenuta nel corso dell’esame in sede referente - i lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati entro la medesima data del 4 dicembre 2011 il diritto di accesso ai predetti fondi di solidarietà; questi ultimi lavoratori restano a carico dei Fondi medesimi fino al compimento di almeno 59 anni di età, ancorché maturino prima del compimento della predetta età i requisiti per l’accesso al pensionamento previsti prima della data di entrata in vigore del decreto in esame (lettera c));

§       lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011[190], siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione (lettera d));

§       lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011[191]abbiano in corso l’istituto dell’esonero dal servizio di cui all’articolo 72, comma 1, del D.L. 112/2008[192]; nella modifica intervenuta in sede referente si è precisato che ai fini della presente lettera e) l’istituto dell’esonero si considera, comunque, in corso qualora il provvedimento di concessione sia stato emanato prima del 4 dicembre 2011; inoltre, dalla data di entrata in vigore del decreto n. 201 (6 dicembre 2011) sono abrogati i commi da 1 a 6 dell’articolo 72 del D.L. 112/2008, che continuano a trovare applicazione per i lavoratori di cui alla presente lettera e). Infine, la lettera in commento prevede la disapplicazione delle disposizioni contenute in leggi regionali recanti discipline analoghe a quelle dell’istituto dell’esonero dal servizio (lettera e)).

 

Il comma 15, interamente sostituito nel corso dell’esame in sede referente, prevede che con decreto interministeriale del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 3 mesi, sono definite le modalità di attuazione del comma 14. La disciplina attuativa, in particolare, dovrà provvedere alla determinazione del numero massimo di beneficiari nel limite di tetti annui di spesa (240 milioni per i 2013; 630 milioni per il 2014; 1.040 milioni per il 2015; 1.220 milioni per il 2016; 1.030 milioni per il 2017; 610 milioni per il 2018; 300 milioni per il 2019)

Agli Enti gestori di forme di previdenza obbligatorie è rimesso il compito di monitorare l’accesso ai benefici, con l’obbligo di non prendere in considerazione ulteriori domande una volta raggiunto il limite numerico corrispondente ai tetti annui di spesa.

La disposizione, infine, precisa che nell’ambito del predetto limite numerico vadano computati anche i lavoratori che intendono avvalersi, se in possesso dei richiesti requisiti, anche del beneficio – in aggiunta a quello indicato relativo al regime delle decorrenze annuali disciplinato dall’articolo 12, comma 5, del D.L. 78/2010, per il quale risultano comunque computati nel relativo limite numerico di cui al predetto articolo 12, comma 5 afferente al beneficio concernente il regime delle decorrenze.

L’articolo 12, comma 5, del D.L. n.78/2010, ha previsto l’applicazione della normativa previgente in materia di regime delle decorrenze a condizione che i lavoratori maturino i requisiti per l’accesso al pensionamento a decorrere dal termine del 1° gennaio 2011, e comunque nei limiti di 10.000 soggetti beneficiari, a favore delle categorie di lavoratori indicati nelle lettera da a) a c) del comma in esame (lavoratori collocati in mobilità, lavoratori collocati in mobilità lunga, lavoratori che, all’entrata in vigore del provvedimento in esame, fossero titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore).

 

In ogni caso resta fermo che ai richiamati soggetti che maturino i requisiti dal 1° gennaio 2012 trovino comunque applicazione le disposizioni inerenti l’adeguamento dei requisiti per l’accesso ai trattamenti pensionistici agli incrementi della speranza di vita di cui al comma 12.


 

Articolo 24, comma 15-bis
(Regime agevolato di accesso al pensionamento)

 

 

Il nuovo comma 15-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, prevede un regime agevolato di accesso al sistema pensionistico per i lavoratori dipendenti del settore privato con pensioni liquidate a carico dell’AGO e delle forme sostitutive della medesima, in possesso di specifici requisiti.

 

In particolare, tale regime opera nei confronti:

§      dei lavoratori che abbiano maturato un'anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012, a condizione che avessero maturato, prima dell'entrata in vigore del provvedimento in esame, i requisiti per il trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2012 (“quota 96” quale somma tra età anagrafica e contributiva in presenza di un’età anagrafica minima di 60 anni) ai sensi della Tabella B allegata alla L. 243/2004 (lettera a)).

Si ricorda che la richiamata tabella B, così come modificata dall’articolo 1, commi 1 e 2 della L. 247/2007, ha modificato i requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico di anzianità e al trattamento pensionistico di vecchiaia liquidato esclusivamente con il sistema contributivo, a decorrere dal 1° gennaio 2008, previsti appunto dalla L. 243/2004. A tal fine la Tabella A allegata alla L. 243 è stata sostituita dalle Tabelle A e B di cui all’Allegato n. 1 della L. 247. In particolare, la Tabella B, di seguito riportata (la quale è attinente ai soli lavoratori dipendenti, in quanto non sono stati evidenziati i lavoratori autonomi), ha previsto una maggiore gradualità nell’innalzamento del requisito dell’età anagrafica per l’accesso al trattamento pensionistico di anzianità, introducendo, a decorrere dal 1° luglio 2009, il sistema delle “quote”, date dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva.

 

 

Lavoratori dipendenti pubblici

e privati

 

Somma di età anagrafica e anzianità contributiva

Età anagrafica minima per la maturazione del requisito indicato in colonna 1

dal 01/07/2009 al 01/12/2009

95

59

2010

95

59

2011

96

60

2012

96

60

dal 2013

97

61

 

Tali lavoratori possono conseguire la pensione anticipata al compimento di un'età anagrafica non inferiore a 64 anni;

 

§      delle lavoratrici che maturino entro il 31 dicembre 2012 un'anzianità contributiva di almeno 20 anni e conseguano alla stessa data un'età anagrafica di almeno 60 anni (lettera b)).

 

Queste ultime possono conseguire il trattamento di vecchiaia oltre che, se più favorevole, ai sensi del precedente comma 6, lettera a), con un'età anagrafica non inferiore a 64 anni.


 

Articolo 24, comma 16
(Rideterminazione dei coefficienti di trasformazione)

 

 

Il comma 16 prevede una rideterminazione dei coefficienti di trasformazione con effetto dal 1° gennaio 2013.

In particolare, si estende, mediante il ricorso allo stesso decreto direttoriale di aggiornamento triennale dei coefficienti di trasformazione, di cui all’articolo 1, comma 11, della L. 335/1995, ed in via derogatoria a quanto previsto all’articolo 12, comma 12-quinquies del D.L. 78/2010, dalla data richiamata, lo stesso coefficiente di trasformazione anche per le età corrispondenti a valori fino a 70.

 

Tale valore deve comunque essere adeguato agli incrementi della speranza di vita nell’ambito del procedimento già previsto per i requisiti del sistema pensionistico dall'articolo 12 del D.L. 78/2010. In relazione a ciò è altresì prevista un’ulteriore estensione del coefficiente – nell’ambito della medesima procedura di cui all’articolo 1, comma 11, della L. 335/1995 - considerando quindi anche le età maggiori del limite di 70 anni, ogniqualvolta il predetto adeguamento triennale comporti, con riferimento al valore originariamente indicato in 70 anni per l’anno 2012, l’incremento dello stesso tale da superare di una o più unità il predetto valore soglia.

 

In ogni caso, la rideterminazione aggiornata del coefficiente di trasformazione esteso anche per età corrispondenti a valori superiori a 70 anni è effettuata con la predetta procedura di cui al richiamato articolo 1, comma 11, della L. 335/1995.

 

Come accennato, il sistema di calcolo contributivo del trattamento pensionistico, introdotto dalla L. 335/1995, differisce notevolmente dal sistema retributivo: la prestazione pensionistica, infatti, non è legata alla retribuzione ma è vincolata alla contribuzione accreditata a favore del dipendente nell'arco dell'intera sua vita lavorativa. L'importo della pensione si ottiene quindi moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'età del dipendente alla data di decorrenza della pensione (o alla data del decesso, nel caso di pensione indiretta). I coefficienti di trasformazione sono i coefficienti utilizzati nel metodo di calcolo contributivo per la trasformazione del montante contributivo (cioè, il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni di lavoro attivo) in rendita. Tali indici variano in base all’età anagrafica al momento del pensionamento e sono costruiti tenendo conto della speranza di vita media alla pensione e incorporando il tasso di crescita del PIL di lungo periodo stimato nell’1,5%. Introdotti dall’articolo 1, comma 6, della L. 335/1995, tali coefficienti sono stati rideterminati ai sensi dell’articolo 1, comma 14, della L. 247/2007, con effetto 1° gennaio 2010. Il successivo comma 15, semplificando la procedura per la rideterminazione dei coefficienti e riducendone la periodicità, ha disposto la rideterminazione triennale degli stessi con apposito decreto interministeriale. L'accesso ai trattamenti per i destinatari del sistema contributivo è condizionato alla maturazione dell'età minima di 57 anni, fatte salve alcune eccezioni. Il valore del coefficiente di trasformazione è legato all’età posseduta, aumentando al crescere della stessa. Più specificamente, si considera il limite inferiore di 57 anni (età inferiore) per arrivare ad un valore massimo del coefficiente in corrispondenza dei 65 anni (età superiore). In sostanza, quindi, un’età pensionabile più avanzata permette di conseguire una pensione più consistente.

Si ricorda, inoltre, che la L. 247/2007 ha disposto, in fase di prima rideterminazione dei coefficienti di trasformazione, la sostituzione (articolo 1, comma 14) della Tabella A allegata alla L. 335/1995 con la nuova Tabella A di cui all’Allegato n. 2 alla L. 247/2007, a decorrere dal 1° gennaio 2010. Si consideri che il valore dei coefficienti di trasformazione corrispondente alle varie età anagrafiche viene ridotto: la riduzione dei coefficienti è riportata nella seguente tabella (tasso di sconto = 1,5%):

 

 

Divisori

Età

Valori

22,627

57

4,419%

22,035

58

4,538%

21,441

59

4,664%

20,843

60

4,798%

20,241

61

4,940%

19,635

62

5,093%

19,024

63

5,257%

18,409

64

5,432%

17,792

65

5,620%

 

La stessa legge ha altresì modificato la disciplina relativa alle modalità di rideterminazione dei coefficienti di trasformazione, alla quale si provvede - sempre sulla base degli andamenti demografici e dell'andamento effettivo del tasso di variazione del PIL rispetto all’andamento dei redditi soggetti a contribuzione previdenziale - con cadenza triennale con apposito decreto interministeriale. Infine, è stato disposto (comma 16) che il Governo deve procedere ogni dieci anni, con le parti sociali, alla verifica della sostenibilità ed equità del sistema pensionistico.


 

Articolo 24, comma 17
(
Lavori usuranti)

 

 

Il comma 17 dispone alcune modifiche all’articolo 1 del D.Lgs. 67/2011[193], che disciplina l’accesso al pensionamento anticipato per i lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti (c.d. lavori usuranti), al fine di attenuare la portata dei benefici previdenziali in precedenza previsti.

 

Il decreto legislativo n. 67/2011, nel testo originario, consentiva ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico, di maturare il diritto al trattamento pensionistico con un anticipo di 3 anni (fermi restando il requisito minimo di anzianità contributiva di 35 anni, la nuova disciplina relativa alla decorrenza del pensionamento - cd. “finestre” - e l’adeguamento dell’età pensionabile all’incremento dell’aspettativa di vita.

Per quanto riguarda la platea dei soggetti beneficiari, possano usufruire del pensionamento anticipato quattro diverse categorie di soggetti:

-        i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti (di cui all’articolo 2 del D.M. 19 maggio 1999);

-        i lavoratori subordinati notturni;

-        i lavoratori addetti alla cd. “linea catena” che, nell’ambito di un processo produttivo in serie, svolgano lavori caratterizzati dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale;

-        i conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone.

Condizioni per l’accesso al beneficio pensionistico sono che le attività usuranti vengano svolte al momento dell’accesso al pensionamento e che siano state svolte per una certa durata nel corso della carriera lavorativa (nella fase transitoria, ossia fino al 2017, per un minimo di 7 anni negli ultimi 10 anni di attività lavorativa; a regime, ossia dal 2018, per un arco di tempo almeno pari alla metà dell’intera vita lavorativa).

 

Le novità introdotte rispetto alla normativa previgente sono:

§      la limitazione agli anni 2008-2011 (anziché 2008-2012) del periodo transitorio;

§      per quanto concerne la disciplina a regime (a decorrere, quindi, dal 1° gennaio 2012, anziché dal 1° gennaio 2013), la previsione che il pensionamento avvenga secondo il sistema delle “quote” previste dalla Tabella B di cui all'Allegato 1 della legge 247/2007 (ferma restando, comunque, la possibilità di pensionamento anticipato ai sensi dei commi 10 e 11 dell’articolo 24 in commento: v.retro).

Nella normativa previgente (testo originario dell’articolo 1, comma 4, del d.lgs. n.67/2011) il diritto al trattamento pensionistico veniva invece conseguito con un'età anagrafica ridotta di tre anni ed una somma di età anagrafica e anzianità contributiva ridotta di tre unità rispetto ai requisiti previsti dalla Tabella B sopra citata (si ricorda che la tabella B di cui all’Allegato 1 alla legge 247/2007 prevede per i lavoratori dipendenti un età minima anagrafica di 60 anni e una somma di età anagrafica e anzianità contributiva di 96 per il 2012; e un età minima anagrafica di 61 anni e una somma di età anagrafica e anzianità contributiva di 97 dal 2013);

§      per quanto concerne, specificamente, i lavoratori turnisti che hanno prestato lavoro notturno, la disciplina vigente (che prevede una riduzione massima dell’età anagrafica di uno o due anni, rispettivamente per i lavoratori che abbiano svolto turni da 64 a 71 giorni all’anno, ovvero da 72 a 78 giorni all’anno) viene limitata al periodo 2009-2011; a regime, ossia dal 1° gennaio 2012, viene invece previsto che il pensionamento avvenga secondo il sistema delle “quote” previste dalla Tabella B di cui all'Allegato 1 della legge 247/2007, incrementate di due anni e due unità per i lavoratori che abbiano svolto turni notturni da 64 a 71 giorni all’anno, e di una un anno e una unità per i lavoratori che abbiano svolto turni da 72 a 78 giorni all’anno.

 

Le modifiche sopra indicate, tuttavia, non scontano il fatto che la norma prevede l’applicazione per i lavoratori in questione del regime delle decorrenze, (c.d. finestre) (v. supra, comma 5 dell’articolo 24 in commento).

Si ricorda che l’articolo 12, comma 2 del D.L. 78/2010[194] ha modificato il regime delle decorrenze per il pensionamento disponendo che, a decorrere dal 1° gennaio 2011, per il diritto alla pensione di anzianità, il termine di decorrenza della pensione sia pari a 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti per il relativo trattamento per i lavoratori dipendenti e di 18 mesi dalla data di maturazione dei requisiti per il relativo trattamento per gli iscritti alle gestioni INPS relative agli artigiani, commercianti, coltivatori diretti e alla Gestione separata INPS.


 

Articolo 24, comma 18
(
Armonizzazione dei requisiti pensionistici)

 

 

Il comma 18 prevede l’adozione di un regolamento, da emanare entro il 30 giugno 2012, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze[195], per l’armonizzazione dei requisiti di accesso ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria, compresi quelli relativi ai:

§      lavoratori indicati all’articolo 78, comma 23, della legge 388/2000[196]che hanno effettuato lavori di sottosuolo in miniere, cave o torbiere ed hanno cessato la loro prestazione lavorativa a seguito della chiusura definitiva di tali attività, senza poter raggiungere il diritto a conseguire i benefici di cui all'articolo 18 della legge 153/1969[197];

§      il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, di cui al D.Lgs. 195/1995[198];

§      il personale dei vigili del fuoco nonché dei rispettivi dirigenti, di cui alla legge 1570/1941[199];

§      i lavoratori iscritti al Fondo speciale istituto presso l’INPS ai sensi dell’articolo 43 della legge 488/1999[200]dei dipendenti della Ferrovie dello Stato S.p.A..


 

Articolo 24, comma 19
(
Totalizzazione dei periodi assicurativi)

 

 

L’articolo 24, comma 19, modifica l’articolo 1 del D.Lgs. 42/2006[201],in materia di totalizzazione, prevedendo la facoltà, per i soggetti interessati, di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti, di qualsiasi durata (a fronte del limite minimo di 3 anni attualmente previsto) ai fini del conseguimento di un'unica pensione.

 

La totalizzazione è l’istituto in base al quale il soggetto iscritto a due, o più, forme di assicurazione obbligatoria IVS, ha la facoltà di utilizzare, sommandoli, i periodi assicurativi maturati, al fine di perfezionare i requisiti richiesti per il conseguimento della pensione di vecchiaia, di anzianità, di inabilità ed indiretta.

In seguito alla nuova disciplina della totalizzazione, introdotta dal D.Lgs. 42/2006, emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 1, commi 1, lettera d), 2, lettera o), e 46, della L. 23 agosto 2004, n. 243, dal 1° gennaio 2006 è stata estesa a tutti i lavoratori la totalizzazione gratuita dei periodi assicurativi, cioè la possibilità di cumulare tutta la contribuzione versata in diverse gestioni pensionistiche(precedentemente riservata ai soli soggetti con pensione liquidata esclusivamente con il sistema contributivo). In particolare, l’articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 42 del 2006, ha previsto che per la totalizzazione ai fini della pensione di vecchiaia e di anzianità la durata minima dei periodi assicurativi utile per il cumulo sia di almeno tre anni.


 

Articolo 24, comma 20
(
Permanenza in servizio, esonero dal servizio e risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro pubblico)

 

 

Il comma 20 prevede che continuino a trovare applicazione gli istituti previsti dall’articolo 72 del D.L. 112/2008[202], fermo restando che per i soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2012 sitiene conto della rideterminazione dei requisiti di accesso al pensionamento (come disciplinata dal presente articolo 24).

L’articolo 72 del D.L. n. 112/2008 reca alcune disposizioni concernenti lo stato di servizio e il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici, prevedendo, in particolare:

§       l’introduzione dell’istituto dell’esonero dal servizio, consistente nella possibilità, per i dipendenti pubblici prossimi al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo, di usufruire su richiesta, appunto dell’esonero dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione dell’anzianità massima contributiva di 40 anni (commi 1-6);

§       la facoltà, per le pubbliche amministrazioni, di accogliere la richiesta da parte del dipendente pubblico di permanenza in servizio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo, sulla base di determinati parametri soggettivi ed oggettivi (commi 7-10);

§       la possibilità per le pubbliche amministrazioni, con preavviso di un anno, di risoluzione del rapporto di lavoro del dipendente con almeno 40 anni di anzianità contributiva (l’operatività di tale norma è stata prorogata al triennio 2012-2014) (comma 11);

 

Infine, la norma precisa che per agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche amministrazioni, restano salvi i provvedimenti di collocamento a riposo per raggiungimento del limite di età già adottati, prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento, nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2011[203], anche se aventi effetto successivamente al 1° gennaio 2012.


 

Articolo 24, comma 21
(
Contributo di solidarietà personale di volo)

 

 

Il comma 21 prevede l’istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e fino al 31 dicembre 2017, di un contributo di solidarietà a carico degli iscritti e dei pensionati delle gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti e del Fondo di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea, allo scopo di determinare in modo equo il concorso dei medesimi al riequilibrio dei predetti Fondi.

L’ammontare della misura del contributo è definita dalla Tabella A di cui all’Allegato n. 1 del presente decreto-legge, ed è determinata in rapporto al periodo di iscrizione antecedente l’armonizzazione conseguente alla legge 335/1995[204], e alla quota di pensione calcolata in base ai parametri più favorevoli rispetto al regime dell’assicurazione generale obbligatoria.

 

Nella Tabella A sopra citata, che fa riferimento ai pensionati e ai lavoratori dell’ex Fondo trasporti, ex Fondo elettrici, ex Fondo telefonici, ex Inpdai e del Fondo volo, si fissa il contributo di solidarietà per i vari fondi, in ragione del periodo di iscrizione al 31 dicembre 1995, nei seguenti termini:

§      per i Pensionati, per lo 0,3% da 5 a 15 anni, per lo 0,6% da 15 a 15 anni e dell’1% per oltre i 25 anni;

§      per i lavoratori, per lo 0,5% per qualunque periodo di iscrizione.

 

Sono escluse dal contributo di solidarietà le pensioni di importo pari o inferiore a 5 volte il trattamento minimo INPS[205], le pensioni e gli assegni di invalidità e le pensioni di inabilità.


 

Articolo 24, comma 22
(Aumento delle aliquote contributive dei lavoratori artigiani e commercianti)

 

 

Il comma 22, modificato durante l’esame in referente, ha disposto l’aumento delle aliquote contributive pensionistiche, di finanziamento e di computo, delle gestioni pensionistiche dei lavoratori artigiani e commercianti iscritti alle gestioni autonome dell'INPS secondo il seguente scaglionamento:

§      a partire dall’anno 2012, nella misura di 1,3 punti percentuali;

§      dagli anni successivi nella misura di 0,45 punti percentuali per ogni anno fino a raggiungere il livello del 24per cento.

 

Nel testo originario del decreto-legge in esame, l’aumento delle aliquote contributive pensionistiche di finanziamento e di computo, delle gestioni pensionistiche dei lavoratori artigiani e commercianti iscritti alle gestioni autonome dell'INPS era prevista, a partire dal 1° gennaio 2012, nella misura dello 0,3% annuo, fino a raggiungere il livello del 22 per cento.

 

Nel regime previgente al decreto-legge n. 201 in commento, per i lavoratori artigiani e commercianti si applicavano le aliquote contributive del 20%, previste all’articolo 1, comma 768 della legge 296/2006 (finanziaria 2007)[206].

Per i lavoratori commercianti, a tali aliquote doveva essere sommato lo 0,09%, a titolo di aliquota aggiuntiva (articolo 5, D.Lgs. 207/1996[207]) ai fini dell’indennizzo per la cessazione definitiva dell’attività commerciale. L’obbligo al versamento di tale contributo è stato prorogato, fino al 31 dicembre 2014 [208].

Per i collaboratori di età fino a 21 anni si applicano le agevolazioni previste dall’articolo 1, comma 2, della legge 233/1990[209].

Si ricorda l’applicazione della riduzione del 50% dei contributi dovuti dagli artigiani e dagli esercenti attività commerciali con più di sessantacinque anni di età, già pensionati presso le gestioni dell’Istituto[210].

Inoltre, è dovuto un contributo per le prestazioni di maternità stabilito, per gli iscritti alle gestioni degli artigiani e dei commercianti, nella misura di € 0,62 mensili[211].

Ai fini del calcolo del contributo, si fa riferimento a un reddito minimo (minimale di reddito), comunque dovuto anche nel caso in cui quello effettivo accertato ai fini fiscali si mantenga al di sotto di tale soglia (inferiore o negativo), da utilizzare come base di riferimento per il pagamento dei contributi previdenziali: il c.d. contributo minimo obbligatorio. Per l'anno 2011, il reddito minimo annuo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del contributo IVS dovuto dagli artigiani e dagli esercenti attività commerciali è pari a euro 14.552,00.

In presenza di un reddito d'impresa superiore al limite di retribuzione annua pensionabile cui si applica la percentuale massima di commisurazione della pensione prevista per l'assicurazione generale obbligatoria IVS dei lavoratori dipendenti (2,00%), la quota di reddito eccedente tale limite (euro 43.042,00 per il 2011) viene presa in considerazione, ai fini del versamento dei contributi previdenziali, fino a concorrenza di un importo pari ai due terzi del limite stesso (euro 28.695,00)[212].


 

Articolo 24, comma 23
(Aliquote lavoratori agricoli, coltivatori diretti, mezzadri e coloni

 

 

Il comma 23 prevede, a partire dal 1° gennaio 2012, la rideterminazione delle aliquote contributive pensionistiche di finanziamento e di computo dei lavoratori coltivatori diretti, mezzadri e coloni iscritti alla relativa gestione autonoma dell’INPS, secondo le Tabelle B e C di cui all’allegato n. 1 del presente decreto-legge, sostituite durante l’esame in sede referente, di seguito riportate:

 

Tabella B – Aliquota di finanziamento

 

Zona normale

Zona svantaggiata

 

Maggiore di 21 anni

Minore di 21 anni

Maggiore di 21anni

Minore di 21 anni

Anno 2011

20,3%

17,8%

17,3%

12,8%

2012

21,6%

19,4%

18,7%

15,0%

2013

22,0%

20,2%

19,6%

16,5%

2014

22,4%

21,0%

20,5%

18,0%

2015

22,8%

21,8%

21,4%

19,5%

2016

23,2%

22,6%

22,3%

21,0%

2017

23,6%

23,4%

23,2%

22,5%

Dal 2018

24,0%

24,0%

24,0%

24,0%

 

 

Tabella C – Aliquota di computo

Anni

Aliquota di computo

2012

21,6%

2013

22,0%

2014

22,4%

2015

22,8%

2016

23,2%

2017

23,6%

dal 2018

24,0%

 


 

Qui di seguito, si riportano le Tabelle B e Coriginariamente allegate al decreto-legge n. 201 in esame.

 

Tabella B – Aliquota di finanziamento

 

Zona normale

Zona svantaggiata

 

Maggiore di 21 anni

Minore di 21 anni

Maggiore di 21anni

Minore di 21 anni

Anno 2011

20,3%

17,8%

17,3%

12,8%

2012

20,6%

18,4%

17,7%

14,0%

2013

20,9%

19,0%

18,1%

15,0%

2014

21,2%

19,6%

18,5%

16,0%

2015

21,5%

20,2%

18,9%

17,0%

2016

21,8%

20,8%

19,3%

18,0%

2017

22,0%

21,4%

19,7%

19,0%

Dal 2018

22,0%

22,0%

20,0%

20,0%

 

 

 

Tabella C – Aliquota di computo

Anni

Aliquota di computo

2012

20,6%

2013

20,9%

2014

21,2%

2015

21,5%

2016

21,8%

2017

22,0%

dal 2018

22,0%

 

Si osserva che la disposizione in esame sembrerebbe escludere dalla revisione delle aliquote contributive gli Imprenditori Agricoli Professionali (in quanto non espressamente menzionati), benché anch’essi iscritti alla medesima gestione separata INPS.

 

Relativamente all’anno 2011 va fatto riferimento alla circolare INPS n. 26 del 2011 che ha stabilito che, ai fini del calcolo dei contributi I.V.S., dovuti dai coltivatori diretti, coloni, mezzadri ed imprenditori agricoli professionali (IAS), al reddito delle aziende agricole classificato in quattro fasce di reddito convenzionale, per l’anno 2011, vengono applicate le seguenti aliquote:

-        per i maggiori di 21 anni, in ragione del 20,30%, per le zone normali, e del 17,30%,per i territori montani e le zone svantaggiate;

-        per i minori di 21 anni, in ragione del 17,80%, per le zone normali, e del 12,80%, per i territori montani e le zone svantaggiate[213].

 

In merito alle figure soggettive che hanno titolo per usufruire dei benefici va richiamato l’articolo 1 del D.Lgs. n. 99/2004[214], successivamente modificato dal decreto legislativo n. 101/05[215], che ha introdotto in via generale nell’ordinamento nazionale, in luogo di quella di imprenditore agricolo a titolo principale (IATP), la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), adeguandola alle nuove norme approvate con il regolamento CE n.1257/1999. La norma prevede che la qualifica di IAP venga riconosciuta a chi, in possesso di specifiche conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi da tali attività almeno il 50% del proprio reddito globale. Per i soggetti che operino nelle zone svantaggiate i requisiti suddetti sono ridotti al 25%[216]. La qualifica di IAP può essere riconosciuta, a determinate condizioni, differenziate a seconda delle forme societarie, anche alle società che abbiano come unico oggetto sociale l’esercizio di attività agricole.

Per la definizione di coltivatore diretto va invece richiamata la legge n.203 del 1982 che prevede che siano coltivatori diretti coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, sempreché tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto, agli effetti del computo delle giornate necessarie per la coltivazione del fondo stesso, anche dell'impiego delle macchine agricole.


 

Articolo 24, comma 24
(
Casse previdenziali privatizzate)

 

 

Il comma 24 interviene in tema di enti previdenziali di diritto privato dei professionisti, prevedendo cheai fini dell’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni, in conformità alle disposizioni di cui al D.Lgs. 509/1994[217], e al D.Lgs. 103/1996[218], adottino, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di 50 anni.

 

Per quanto concerne il termine per l’adozione delle misure, nel corso dell’esame in sede referente il termine inizialmente previsto (31 marzo 2012) èstato differito al 30 giugno 2012.

 

Le relative delibere sono sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti[219], secondo le disposizioni contenute nei predetti decreti n. 509/1994 e 103/1996, che si esprimono in via definitiva entro trenta giorni dalla loro ricezione.

Decorso il termine senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza 1° gennaio 2012:

§      le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 24 in esame sull’applicazione del sistema contributivo pro-rata agli iscritti alle relative gestioni (lettera a));

§      un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1% (lettera b)).

 

Per quanto concerne gli enti gestori di forme di previdenza per i liberi professionisti,occorre ricordare che le Casse di previdenza cui sono iscritti coloro che esercitano attività professionali sono state privatizzate, dal 1° gennaio 1995, nell’ambito del riordino generale degli enti previdenziali disposto con l’articolo 1, commi da 32 a 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

In attuazione della delega è stato emanato il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, che ha disposto la trasformazione in associazione o fondazione, con decorrenza dal 1° gennaio 1995, dei seguenti enti:

§      Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;

§      Cassa di previdenza tra dottori commercialisti;

§      Cassa nazionale previdenza e assistenza geometri;

§      Cassa nazionale previdenza e assistenza architetti ed ingegneri liberi professionisti;

§      Cassa nazionale del notariato;

§      Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali;

§      Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (ENASARCO);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza consulenti del lavoro (ENPACL);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (ENPAM);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti (ENPAF);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza veterinari (ENPAV);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell'agricoltura (ENPAIA);

§      Fondo di previdenza per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime (FASC);

§      Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI);

§      Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (ONAOSI).

Gli enti, una volta privatizzati, hanno continuato a sussistere come enti senza scopo di lucro, assumendo la personalità giuridica di diritto privato (artt. 12 e seguenti del Codice civile) e subentrando in tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali: in particolare ne hanno mantenuto la funzione previdenziale, continuando a svolgere le corrispondenti attività nei confronti delle categorie per le quali gli enti medesimi sono stati istituiti, e fermo restando l'obbligo, da parte dei destinatari, della iscrizione e della contribuzione. Il decreto ha stabilito, poi, le regole che devono presiedere all'equilibrio gestionale dei nuovi enti privatizzati (introducendo accanto alle riserve tecniche una "riserva legale" pari ad almeno cinque annualità dell'importo delle pensioni in pagamento e prevedendo l'obbligo della redazione almeno triennale di un "bilancio tecnico"), i criteri di trasparenza che devono presiedere ai rapporti con gli iscritti, nonché i poteri di vigilanza affidati al Ministero del lavoro (il quale, oltre ad approvare gli statuti istitutivi ed i regolamenti, verifica l'andamento gestionale e formula, se necessario, gli opportuni rilievi. Benché con consistenti ritardi rispetto al termine inizialmente stabilito (1° gennaio 1995), tutti gli enti elencati hanno proceduto alla trasformazione in associazione o fondazione di diritto privato.

Successivamente, il comma 25 dell’articolo 2 della L. 8 agosto 1995, n. 335 (“Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), ha delegato il Governo ad emanare norme volte ad assicurare la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi. In attuazione di tale norma è stato emanato il D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, che ha assicurato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale per i richiamati soggetti.

In attuazione del D.Lgs. 103/1996 sono stati istituiti i seguenti enti privatizzati:

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza psicologi (ENPAP);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza periti industriali (EPPI);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia (IPASVI);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza biologi (ENPAB);

§      Ente nazionale di previdenza e assistenza pluricategoriale per agronomi forestali, attuari, chimici e geologi (EPAB).

L’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 103/1996 ha disposto l’applicazione, per tali enti, indipendentemente dalla forma gestoria prescelta, del sistema di calcolo contributivo, con aliquota di finanziamento non inferiore a quella di computo, e secondo specifiche modalità attuative.


 

Articolo 24, comma 25
(
Perequazione automatica dei trattamenti pensionistici)

 

 

Il comma 25, come modificato durante l’esame in sede referente, prevedechela rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, attuata secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 448/1998, per il biennio 2012 e 2013 viene riconosciuta, nella misura del 100%, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS.

 

Si ricorda che il testo originario del decreto-legge prevedeva che la suddetta rivalutazionefosse limitata ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a due volte il trattamento minimo Inps.

 

Per le pensioni di importo superiore a due volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l’aumento di rivalutazione era comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.

 

Si fa presente che la circolare INPS n. 167 del 30 dicembre 2010, fissa per il 2011 l'importo del trattamento minimo delle pensioni in euro 467,43 euro mensili.

 

Si ricorda che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici viene attribuita sulla base della variazione del costo della vita, con cadenza annuale e con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento. Più in particolare, la rivalutazione si commisura al rapporto percentuale tra il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo all'anno di riferimento e il valore medio del medesimo indice relativo all'anno precedente. Tale percentuale è applicata, in base all’articolo 69, comma 1, della L. 388/2000, - fatte salve le modifiche transitorie di cui al presente comma 3:

-        nella misura del 100% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il trattamento minimo INPS (pari, nel 2011, a 6.076,59 euro);

-        nella misura del 90% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il predetto trattamento

-        nella misura del 75% per la fascia di importo dei trattamenti superiore a 5 volte il medesimo trattamento minimo.

Il meccanismo di rivalutazione si applica, ai sensi dell’articolo 34, comma 1, della L. 448/1998, tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dal medesimo soggetto. L'aumento derivante dalla rivalutazione viene attribuito, per ciascun trattamento, in misura proporzionale all'importo del medesimo trattamento rispetto all'ammontare complessivo.

 

La disposizione in commento dispone, poi, la soppressione dell'articolo 18, comma 3, del D.L. 98/2011[220].

 

La norma richiamata prevedeva, per il biennio 2012-2013, delle limitazioni alla rivalutazione automatica sui trattamenti pensionistici di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS. Per tali trattamenti pensionistici la rivalutazione non era concessa, con esclusione della fascia di importo inferiore a 3 volte il trattamento minimo, con riferimento alla quale la rivalutazione era comunque applicata nella misura del 70%.

Sempre per le pensioni di importo superiore a cinque volte il trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base della normativa vigente, l’aumento di rivalutazione era comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.


 

Articolo 24, comma 26
(Estensione tutele prestazioni temporanee
ai professionisti Gestione separata)

 

 

Il comma 26 estendeai professionisti iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995, a decorrere dal 1° gennaio 2012, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, le tutele in materia di malattia e maternità previste all'articolo 1, comma 788 della legge 296/2006[221].

 

L’articolo 1, comma 788, della legge n. 296/2006 ha previsto l’estensione, a partire dal 1° gennaio 2007, per i lavoratori a progetto e le categorie assimilate iscritti alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995[222], non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, di alcuni benefici riconosciuti ai lavoratori dipendenti in riferimento agli eventi della malattia e maternità.

Sono obbligati all’iscrizione alla Gestione separata INPS i seguenti soggetti:

§      professionisti: soggetti che percepiscono redditi derivanti (articolo 53, comma 1, del T.U.I.R.[223]) dall'esercizio per professione abituale, anche se non esclusiva, di attività di lavoro autonomo. L'attività non deve, comunque, essere condotta in forma di impresa commerciale. Rientrano, in tale categoria e sono tenuti al pagamento del contributo previdenziale:

-       professionisti iscritti in albi senza cassa di previdenza ma titolari di partita IVA;

-       professionisti iscritti in albi con cassa di previdenza ma non iscritti a quest'ultima;

-       professionisti iscritti in albi con cassa di previdenza, in relazione ai redditi professionali non assoggettati a contribuzione presso la cassa stessa;

-       professionisti senza albo e senza cassa (es. consulente di informatica, esperto in marketing, traduttori o interpreti, ecc.);

§      collaboratori coordinati e continuativi: (articolo 53, comma 2, T.U.I.R.) si tratta di quei rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività, non rientranti nell'oggetto dell'arte o della professione esercitata dal contribuente ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, che, pur avendo contenuto intrinsecamente artistico o professionale, vengono svolte a favore di un soggetto, senza vincolo di subordinazione, e sono inserite in un rapporto unitario e continuativo, con retribuzione periodica prestabilita (amministratori, sindaci o revisori di società, associazioni ed altri enti; membri di commissione e collegi; soggetti che collaborano a giornali, riviste, enciclopedie e simili, tranne i casi in cui si rientri nel diritto d'autore; amministratori di condominio);

§      venditori porta a porta: soggetti incaricati delle vendite a domicilio (articolo 36 della L. 426/1971[224]). Per effetto dell'articolo 44, comma 2, del D.L. 269/2003[225], dal 1° gennaio 2004 devono essere iscritti alla Gestione separata, come pure gli esercenti attività di lavoro autonomo occasionale, solo qualora il reddito annuo sia superiore a € 5.000;

§      titolari di borse di studio: per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca (articolo 1, L. 315/1998[226]); per il sostegno della mobilità internazionale degli studenti ed assegni per attività di tutorato o didattico-integrative, propedeutiche o di recupero (D.L. 105/2003[227]);

§      pensionati: coloro che, pur in quiescenza, svolgono le attività sopradescritte; sono tenuti alla contribuzione alla Gestione separata in relazione ai soli redditi percepiti a seguito dell'esercizio di dette attività;

§      lavoratori dipendenti: i lavoratori dipendenti, sia privati che pubblici, che percepiscono compensi che non sono già assoggettati a contribuzione previdenziale obbligatoria.

§      associati in partecipazione: per effetto del comma 157 dell'articolo 1 della L. 311/2004[228].

 

Per quanto concerne i benefici sopra citati, si tratta, in primo luogo, della corresponsione di un’indennità giornaliera di malattia, a carico dell’INPS, entro il limite massimo di giorni pari a un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a 20 giorni durante l’anno solare, con esclusione degli eventi morbosi di durata inferiore a quattro giorni.

Ai fini del riconoscimento di tale indennità si applicano i requisiti contributivi e reddituali previsti per la corresponsione dell’indennità di degenza ospedaliera a favore dei lavoratori iscritti alla gestione separata.

La misura della prestazione è stabilita in misura pari al 50 per cento dell’importo corrisposto a titolo di indennità per degenza ospedaliera richiamato in precedenza, restando fermo, in caso di degenza ospedaliera, il limite massimo indennizzabile di centottanta giorni nell’arco dell’anno solare.

Ai fini della certificazione e dell’attestazione dello stato di malattia per la fruizione alla relativa indennità trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2 del D.L. 663/1979[229].

Si applicano le disposizioni in materia di fasce orarie di reperibilità e di controllo dello stato di malattia di cui all’articolo 5, comma 14, del D.L. 463/1983[230].

Si dispone, inoltre, la corresponsione ai lavoratori in questione, aventi titolo all’indennità di maternità, per gli eventi di parto verificatisi a decorrere dal 1° gennaio 2007, di un trattamento economico per congedo parentale, limitatamente ad un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino, in misura pari al 30 per cento del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell’indennità di maternità. Tale trattamento economico viene concesso anche nei casi di adozione o affidamento per ingressi in famiglia con decorrenza dal 1° gennaio 2007.

Infine si prevede che gli oneri derivanti dalle prestazioni di cui al comma in esame siano finanziati a valere sul contributo di cui all’articolo 84 del testo unico di cui al decreto legislativo 151/2001[231].


 

Articolo 24, comma 27
(Fondo per occupazione giovanile e femminile)

 

 

Il comma 27, modificato nel corso dell’esame in sede referente, istituisce presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne, rinviando a decreti interministeriali (del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concento con il Ministro dell'economia e delle finanze) la definizione dei criteri e delle modalità istitutive.

Il fondo è finanziato con 200 milioni di euro per l'anno 2012, 300 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 240 milioni di euro per l’anno 2015.

La disposizione è stata modificata nel corso dell’esame in sede referente, al fine di prevedere che il finanziamento del Fondo sia limitato agli anni 2012-2015 e ridotto da 300 a 240 milioni di euro per l’anno 2015 (il testo iniziale del provvedimento prevedeva, infatti, un finanziamento di 200 milioni di euro per il 2012 e di 300 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013).


 

Articolo 24, comma 27-bis
(
Fondo interventi strutturali di politica economica)

 

 

Il comma 27-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente riduce di 0,5 milioni di euro, per l’anno 2013, la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.

 

L’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 282/2004[232] ha istituito il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (ISPE) al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari. Il Fondo è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze (cap. 3075/Economia, missione 1 “Politiche economico-finanziarie e di bilancio”, programma 1.7 “Analisi, monitoraggio e controllo della finanza pubblica e politiche di bilancio”).

Nella legge di bilancio per il 2012 la dotazione del FISPE ammonta a 44,8 milioni per il 2012, a 49,3 milioni per il 2013 e a 43,8 milioni per il 2014.


 

Articolo 24, comma 28
(Commissione di esperti per nuove modalità di accesso graduale al pensionamento e decontribuzione parziale per i giovani)

 

 

Il comma 28 prevede la costituzione, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, di una Commissione composta da esperti e da rappresentanti di enti gestori di previdenza obbligatoria nonché di Autorità di vigilanza operanti nel settore previdenziale, incaricata di svolgere entro il 31 dicembre 2012 un’analisi su:

§      possibili ed ulteriori forme di gradualità nell'accesso al trattamento pensionistico determinato secondo il metodo contributivo rispetto a quelle previste dal presente decreto, nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica e delle compatibilità finanziarie del sistema pensionistico nel medio/lungo periodo; la norma precisa che tali forme devono essere funzionali a scelte di vita individuali, anche correlate alle dinamiche del mercato del lavoro, fermo restando il rispetto del principio dell'adeguatezza della prestazione pensionistica;

§      eventuali forme di decontribuzione parziale dell'aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi, in particolare a favore delle giovani generazioni, di concerto con gli enti gestori di previdenza obbligatoria e con le Autorità di vigilanza operanti nel settore della previdenza.


 

Articolo 24, comma 29
(Iniziative di promozione della cultura del risparmio previdenziale)

 

 

Il comma 29 prevede l’elaborazione, a cadenza annuale, da parte del Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali, assieme agli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, di un programma coordinato di iniziative di informazione e di educazione previdenziale.

A tal fine, gli enti gestori di previdenza obbligatoria comunicano la posizione previdenziale di ciascun iscritto e le attività di comunicazione e promozione istruite da altre Autorità operanti nel settore della previdenza.

La finalità del programma è quello di diffondere la consapevolezza, in particolare tra le giovani generazioni, della necessità dell'accantonamento di risorse a fini previdenziali, in funzione dell'assolvimento del disposto dell'articolo 38 della Costituzione[233].

La disposizione precisa che per le iniziative esaminate si provvede attraverso le risorse umane e strumentali previste a legislazione vigente.


 

Articolo 24, comma 30
(Riordino degli strumenti di sostegno al reddito)

 

 

Il comma 30 prevede la promozione da parte del Governo, entro il 31 dicembre 2011, di un tavolo di confronto con le parti sociali al fine di riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali e degli istituti di sostegno al reddito e della formazione continua.

 

Si ricorda che l’articolo 46 della L. 183/2010 (cd. “collegato lavoro”) ha riaperto i termini temporali per l'esercizio di alcune deleghe, contenute nella legge 24 dicembre 2007, n. 247[234], scadute il 1° gennaio 2009, tra le quali rientra anche la delega per la revisione della disciplina degli ammortizzatori sociali (articolo 1, comma 28, della L. 247). La nuova formulazione fissa il nuovo termine per l’esercizio delle richiamate deleghe a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame (quindi al 24 novembre 2012)[235].


 

Articolo 24, comma 31
(Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - TFR di importo elevato)

 

 

Il comma 31 dell’articolo 24 sottrae allo speciale regime di tassazione separata parte dell’indennitàdi fine rapporto (TFR) e delle indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per l’importo eccedente 1.000.000 di euro.

 

Il regime di tassazione separata consiste nell’applicazione dell’IRPEF con modalità diverse da quelle ordinarie, relativamente ad alcune voci che costituiscono reddito (determinato mediante i criteri generali), tassativamente indicate dall’articolo 17, comma 1 del TUIR: si tratta di redditi percepiti in un determinato periodo di imposta, ma maturati in diversi periodi di imposta precedenti a quello di effettiva percezione.

La ratio della tassazione separate è rinvenuta nell’esigenza di evitare che tali redditi siano tassati secondo il sistema di imposizione progressiva, risultando colpiti da un’aliquota superiore a quella che sarebbe risultata applicabile ove il reddito fosse stato tassato di volta in volta nei periodi d’imposta di maturazione. La tassazione separata avviene mediante applicazione dell’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente del biennio precedente.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 19 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), di cui al DPR 22 dicembre 1986, n. 917, il trattamento di fine rapporto gode di un trattamento fiscale singolare anche nell’ambito della tassazione separata.

Le modalità di tassazione del TFR e delle altre indennità collegate alla cessazione del rapporto sono state oggetto di modifica nel tempo, in particolare ad opera del D.Lgs. n. 47 del 2000. Per il TFR maturando dal 2001, il predetto decreto ha previsto un regime di tassazione “a titolo non definitivo” suddiviso in due parti:

-        la parte di accantonamento del TFR (quota capitale): tassata tramite aliquota determinata ad hoc al momento dell’erogazione;

-        la parte di rivalutazione (quota finanziaria) tassata annualmente, a prescindere dall’erogazione, tramite imposta sostitutiva in misura dell’11 per cento (con il sistema acconto e saldo).

Per il TFR maturando prima del 2001, la tassazione concepiva il TFR in blocco unico (quota capitale e finanziaria) tassata con un’aliquota apposita. La tassazione è calcolata dal sostituto d’imposta, che provvede ad applicare le ritenute (ai sensi dell’articolo 23, comma 2, lettera d) del DPR n. 600/1973).

 

Per effetto delle norme in esame, è sottratta alla tassazione separata di cui all’articolo 19 una quota delle seguenti voci, indicate dall’articolo 17, comma 1, lettere a) e c),erogate in denaro e in natura, di importo che complessivamente eccede euro 1.000.000:

§      il trattamento di fine rapporto e le indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente; altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l'indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell'obbligo di non concorrenza, nonché le somme e i valori comunque percepiti al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro;

§      le indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, se il diritto all'indennità risulta da atto di data certa anteriore all'inizio del rapporto nonché, in ogni caso, le somme e i valori comunque percepiti al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

 

L’importo eccedente tale soglia concorre alla formazione del reddito complessivo imponibile secondo le regole ordinarie (applicando dunque a tali somme l’aliquota relativa all’anno di percezione dell’indennità).

Inoltre, tali disposizioni del presente comma si applicano in ogni caso a tutti i compensi e indennità a qualsiasi titolo erogati agli amministratori delle società di capitali.

In deroga al principio di irretroattività delle norme che impongono un prelievo fiscale (articolo 3 della legge 23 luglio 2000, n. 212 - statuto del contribuente), tali disposizioni si applicano con riferimento alle indennità ed ai compensi il cui diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011.


 

Articolo 24, comma 31-bis
(Contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici più elevati)

 

 

Il comma 31-bis, introdottonel corso dell’esame in sede referente, modifica l’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98/2011, al fine di prevedere l’incremento del contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici più elevati ivi previsto, fissandolo al 15% per la parte eccedente i 200.000 euro.

Per effetto della disposizione in commento il contributo di solidarietà è pertanto rideterminato nel modo seguente:

§      5% per gli importi da 90.000 a 150.000 euro;

§      10% per gli importi da 150.000 a 200.000 euro;

§      15% per gli importi oltre i 200.000 euro.

 

Si ricorda che l’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98/2011 ha introdotto, in ragione dalla eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, un contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 nelle seguenti modalità:

-        per gli importi che superino i 90.000 euro lordi annui e fino a 150.000 euro, il contributo è pari al 5% della parte eccedente il predetto importo[236];

-        per la parte eccedente i 150.000 euro pari al 10%.

Ai predetti importi concorrono anche i trattamenti erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui:

-        al D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 563, recante “Attuazione della delega conferita dall'art. 2, comma 23, lettera b), della L. 8 agosto 1995, n. 335, in materia di trattamenti pensionistici, erogati dalle forme pensionistiche diverse da quelle dell'assicurazione generale obbligatoria, del personale degli enti che svolgono le loro attività nelle materie di cui all'art. 1 del D.Lgs. C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691;

-        al D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, Disposizioni sulla previdenza degli enti pubblici creditizi;

-        al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”;

-        i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale, nonché degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, recante “Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente”;

-        la gestione speciale ad esaurimento di cui all’articolo 75 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, in tema di “Stato giuridico del personale delle Unità sanitarie locali”;

-        le gestioni di previdenza obbligatorie presso l’INPS per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende private del gas e per il personale già addetto alle esattorie e alle ricevitorie delle imposte dirette.

In pratica, si tratta del personale della Banca d’Italia, dell’UIC, degli enti pubblici creditizi, delle regioni, del c.d. parastato, del personale addetto alle imposte di consumo, delle aziende del gas, delle esattorie e delle ricevitorie (platea peraltro già individuata, in termini analoghi, all’articolo 1, comma 2, lettera u) della legge 243/2004).

Ai fini applicativi, si prevede che la trattenuta relativa al contributo qui esaminato viene applicata, in via preventiva e salvo conguaglio, a conclusione dell’anno di riferimento, all’atto della corresponsione di ciascun rateo mensile. Inoltre, viene preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l’anno considerato.

La norma attribuisce poi all’INPS, sulla base dei dati del Casellario centrale dei pensionati[237], il compito di fornire a tutti gli enti interessati i necessari elementi per l’effettuazione della trattenuta del contributo di perequazione.

Infine, la disposizione prevede che le somme trattenute dagli enti vengono versate all’entrata del bilancio dello Stato, entro il quindicesimo giorno dalla data di erogazione del trattamento su cui è effettuata la trattenuta.

 

Merita segnalare, infine, che analoghi interventi in tema di contributi di solidarietà erano stati previsti anche negli anni passati, dalle seguenti disposizioni:

-        articolo 3, commi 102-103, della Legge 350/2003[238], che ha previsto un contributo di solidarietà del 3% sui trattamenti pensionistici corrisposti dagli enti gestori della previdenza obbligatoria con importi complessivamente superiori a 25 volte (170.914,25 euro) il trattamento minimo delle pensioni nel regime generale INPS (6.836,57 euro) stabilito secondo l’articolo 38, comma 1 della legge L 448/2001;

-        articolo 1, comma 2, lettera u) primo e secondo periodo, della legge 243/2004[239], che ha disposto un contributo di solidarietà del 4% per le pensioni elevate su importi maggiori di 25 volte il trattamento minimo, rivalutabile per gli anni successivi al 2007, in base alle variazioni integrali del costo della vita (pensioni d’oro); secondo i successivi periodi concorrono ai fini del contributo di solidarietà i trattamenti integrativi per i soggetti con prestazioni aggiuntive o integrative (BI-UIC, enti pubblici creditizi, dipendenti pubblici, personale imposte consumo aziende gas esattorie e ricevitorie imposte dirette);

-        articolo 1, commi 222-223 della legge 296/2006[240], che hanno previsto un contributo di solidarietà a partire dal 1° gennaio 2007 del 15% sul TFR o il TFS e i trattamenti integrativi di importo complessivo superiore a 1,5 mln €[241].


 

Articolo 25
(Riduzione del debito pubblico)

 

 

L’articolo 25, comma 1, destina al Fondo ammortamento titoli di Stato una quota dei proventi della vendita all’asta dei diritti di emissione di CO2.

La quota deve essere stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare e del Ministro dell’economia e finanze.

 

La relazione tecnica afferma che da stime preliminari, considerando uno scenario low, è possibile valutare prudenzialmente i ricavi derivanti dal sistema delle aste per i diritti di emissione di CO2 – di cui alla Direttiva 2003/87/CE[242] - nell’ordine di complessivi 780-840 milioni di euro negli anni 2013 e 2014, e che le quote a disposizione dell’Italia sono stimate su base annua in circa 94 milioni di euro.

La norma in esame – afferma la citata relazione - è finalizzata a consentire il riacquisto di titoli del debito pubblico e lanciare, quindi, un forte segnale ai mercati finanziari circa la volontà dell’Italia di ridurre il più velocemente possibile il proprio debito. Nelle more della definizione della quota da destinare al Fondo da parte del D.P.C.M. non vengono, in via prudenziale, ascritti effetti positivi sui saldi.

 

Nell’ambito delle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi posti dal protocollo di Kyoto, la direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, denominato Emission Trading System (ETS). Tale direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216.

Si ricorda inoltre che all'interno dell'Allegato B della legge comunitaria 2009 (L. 96/2010) è inclusa la direttiva 2009/29/CE (che concerne la revisione per il periodo post-2012 del sistema comunitario ETS), il cui termine di recepimento per gli Stati membri scade il 31 dicembre 2012 e che fa parte del cd. pacchetto clima-energia.

Nella fase post-2012 del sistema ETS si avrà uno spostamento progressivo verso la messa all’asta integrale delle quote, in sostituzione dell’attuale sistema che ne prevede l’assegnazione gratuita[243].

Relativamente alla messa all’asta si ricorda che l’art. 2, comma 4, del D.L. n. 72/2010[244] demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze[245] la definizione delle procedure di versamento all'entrata del bilancio dello Stato dei proventi della vendita all'asta delle quote di emissione di CO2 e la successiva riassegnazione di esse ai pertinenti capitoli di spesa per le attività stabilite dalla Direttiva 2009/29/CE, articolo 10, paragrafo 3[246].

L’art. 10, par. 3 dispone che gli Stati membri stabiliscono l’uso dei proventi della vendita delle quote, riservando almeno il 50% dei proventi a uno o più dei seguenti scopi:

a)  ridurre le emissioni dei gas a effetto serra, anche contribuendo al Fondo globale per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili e al Fondo di adattamento reso operativo dalla conferenza di Poznan sui cambiamenti climatici (COP 14 e COP/MOP 4);

b)  sviluppare le energie rinnovabili al fine di rispettare l’impegno comunitario di utilizzare il 20% di energia rinnovabile entro il 2020 e sviluppare altre tecnologie;

c)  favorire misure atte ad evitare la deforestazione e ad accrescere l’afforestazione e la riforestazione;

d)  favorire il sequestro mediante silvicoltura nella Comunità;

e)  incentivare la cattura e lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuri di CO2;

f)   incoraggiare il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni;

g)  finanziare la ricerca e lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle tecnologie pulite

h)  favorire misure intese ad aumentare l’efficienza energetica e l’isolamento delle abitazioni o a sostegno delle problematiche sociali dei nuclei a reddito medio-basso;

i)   coprire le spese amministrative connesse alla gestione del sistema comunitario.

 

Per quanto riguarda il Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato - istituito dalla legge 27 ottobre 1993, n. 432 con l’obiettivo di destinare i proventi delle operazioni di privatizzazione alla riduzione del debito pubblico – si ricorda che esso è attualmente disciplinato dal D.Lgs. 30 dicembre 2003, n. 396Testo unico delle disposizioni legislative in materia di debito pubblico” e dalle relative disposizioni regolamentari di cui al D.P.R. n. 397/2003. In base a queste ultime (art. 48), le disponibilità che affluiscono al Fondo debbono essere interamente impiegate nell'acquisto di titoli di Stato in circolazione o nel rimborso di titoli di Stato in scadenza, nonché per l'acquisto di partecipazioni azionarie possedute da società in cui il Tesoro è unico azionista, ai fini della loro dismissione.

Le risorse finanziarie di cui il Fondo può disporre (art. 45, D.Lgs. n. 396/2003) sono individuate in:

a)       titoli di Stato corrisposti dagli acquirenti come prezzo dovuto per la vendita di beni del patrimonio immobiliare ovvero di partecipazioni dello Stato;

b)       proventi relativi alla vendita di partecipazioni dello Stato; sono in ogni caso esclusi i proventi derivanti dalle dismissioni di immobili statali confluiti in fondi immobiliari[247];

c)       gettito derivante da entrate straordinarie dello Stato;

d)       eventuali assegnazioni da parte del Ministero dell’economia e delle finanze;

e)       proventi derivanti da donazioni o da disposizioni testamentarie, comunque destinate al conseguimento delle finalità del Fondo;

f)         proventi derivanti dalla vendita di attività mobiliari e immobiliari confiscate dall'autorità giudiziaria e corrispondenti a somme sottratte illecitamente alla pubblica amministrazione.

Le somme destinate al Fondo affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato[248], per essere poi trasferiti ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’economia (capitolo 9565 dell’UPB 26.2) ed essere infine accreditate presso la Banca d'Italia, in un conto intestato appunto al Fondo.

 

Il comma 1-bis dell’articolo 25, introdotto durante l’esame in sede referente, dispone che le somme non impegnate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto per la realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico delle scuole previste dall’art. 2, comma 239 della legge n. 191/2009 (finanziaria 2010), in misura pari a 2,5 milioni di euro, come indicato nella risoluzione approvata dalle competenti Commissioni della Camera V e VII il 25 novembre 2010, vengano destinate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui all'art. 44 del D.P.R. n. 398/2003.

 

In materia di interventi per la messa in sicurezza delle scuole si veda anche la scheda relativa all’art. 30, comma 5-bis.

 

Si ricorda che l’art. 2, comma 239, della legge 191/2009 (finanziaria 2010) ha introdotto alcune norme procedurali in merito alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza ed adeguamento antisismico delle scuole. Pertanto, previa approvazione di apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per materia nonché per i profili di carattere finanziario, devono essere individuati gli interventi immediatamente realizzabili fino ad un importo complessivo di 300 milioni euro, con la relativa ripartizione tra gli enti territoriali interessati, nell’ambito delle risorse previste ai sensi dell’art. 7-bis del decreto-legge 137/2008[249].

La risoluzione n. 8-00099 è stata quindi approvata il 25 novembre 2010 dalle Commissioni V e VII della Camera e nelle premessa della citata risoluzione si faceva presente che “il gruppo dell'Italia dei Valori ha proposto che una quota pari a euro 2.500.000 delle predette risorse sia destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398”.

Successivamente, tenuto conto delle risultanze dell'audizione svolta dal sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti presso le Commissioni riunite V e VII, in data 21 luglio 2011, si è ravvisata la necessità di adottare una nuova risoluzione in sostituzione della n. 8-00099 a seguito della necessità, per i soggetti richiedenti i finanziamenti di produrre idonea certificazione della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge finanziaria 2010. Pertanto, nella seduta del 2 agosto 2011 è stata approvata dalle Commissioni V e VII della Camera una nuova risoluzione n. 8-00143 dove è stato sottolineato come risultino da erogare risorse pari a circa 115 milioni di euro e che il Governo dovrà attenersi, ai fini dell'assegnazione delle citate risorse, alle priorità indicate nell'elenco 1 allegato alla stessa risoluzione. Analogamente alla precedente risoluzione, è stato ribadito, su proposta del gruppo dell'Italia dei Valori, che una quota pari a euro 2.500.000 delle predette risorse sia destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398, inserendo tale destinazione nelle priorità dell’elenco 1 cui rinvia il dispositivo.

 

Per quanto concerne la ricostruzione normativa del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato si rinvia a quanto riportato nella scheda relativa al comma 1 dell’articolo 25.

 

Alla luce di quanto precedentemente rilevato, sarebbe opportuno fare riferimento all’atto di indirizzo approvato dalle competenti Commissioni parlamentari nella seduta del 2 agosto 2011. Si segnala, comunque, che il disposto di cui all’articolo 30, comma 5-bis, del presente decreto-legge, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, già prevede che il Governo dia attuazione al contenuto della risoluzione approvata il 2 agosto 2011 nel cui dispositivo è indicata la destinazione di 2,5 milioni di euro al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.


 

Articolo 26
(Prescrizione anticipata delle lire in circolazione)

 

 

L’articolo 26 prevede la prescrizione a favore dell’erario delle banconote, dei biglietti e delle monete in lire ancora in circolazione e destina il relativo controvalore al Fondo ammortamento dei titoli di Stato.

 

La prescrizione opera con decorrenza immediata, in deroga:

§      al termine di prescrizione decennale dei biglietti, delle banconote e delle monete che hanno cessato il loro corso legale, previsto dall’articolo 3, comma 1 della legge n. 96/1997[250] e dall’articolo 52-ter comma 1 del D.Lgs. n. 213/1998[251];

§      al termine del 28 febbraio 2012 previsto per la conversione in euro delle lire in circolazione, ai sensi dell’articolo 3, comma 1-bis, della legge n. 96/1997 e dall’articolo 52-ter, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 213/1998.

 

Si osserva che la norma in esame, più che operare una “deroga”, opera un’abrogazione implicita dell’articolo 3, comma 1-bis della legge n. 96/1997 e dell’articolo 52-ter, comma 1-bis del D.Lgs. n. 213/1998.

 

Si ricorda che l’articolo 3 della legge n. 96 del 7 aprile 1997, al comma 1, prevede che le banconote ed i biglietti a debito dello Stato si prescrivono a favore dell'Erario decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso legale. Il medesimo articolo, al comma 1-bis[252], dispone che le banconote in lire possono essere convertite in euro presso le filiali della Banca d'Italia non oltre il 28 febbraio 2012. L’articolo 52-ter del D.Lgs. n. 213/1998, reca le stesse previsioni di cui sopra con riferimento alle monete metalliche in lire.

 

La relazione tecnica afferma che la quantificazione delle risorse oggetto della norma in commento sarà possibile solo all’esito dell’operazione, fermo restando che le stesse, in base alle regole di contabilità nazionale, non rappresentano un’entrata avente effetti migliorativi dell’indebitamento netto.


 

Articolo 27, comma 1
(Valorizzazione dei beni pubblici anche attraverso
strumenti societari)

 

 

Il comma 1, attraverso l’inserimento di un articolo 33-bis nel decreto-legge n. 98 del 2011, attribuisce all’Agenzia del demanio il compito di promuovere iniziative volte alla costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari con la finalità di valorizzare e alienare il patrimonio immobiliare pubblico di proprietà dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e degli enti vigilati. Qualora si costituiscano delle società, ad esse partecipano i soggetti che apportano i beni e, necessariamente, l’Agenzia del demanio in qualità di finanziatore e di struttura tecnica di supporto.

Il nuovo articolo 33-bis, inoltre, modifica i primi due commi dell’articolo 58 del decreto legge n. 112 del 2008, relativo al “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari” con il quale le Regioni, gli enti locali e, a seguito della modifica introdotta, anche gli enti a totale partecipazione degli stessi, individuano gli immobili suscettibili di valorizzazione o di dismissione. Con la modifica in esame l’approvazione del Piano da parte del consiglio comunale non costituisce più automaticamente una variante allo strumento urbanistico generale: l’eventuale equivalenza della deliberazione del consiglio è disciplinata dalle Regioni entro 60 giorni dall’entrata in vigore della norma in esame.

 

La normativa in materia di gestione, valorizzazione, utilizzazione e dismissione dei beni immobili appartenenti al patrimonio dello Stato è caratterizzata da una notevole stratificazione di disposizioni normative succedutesi a partire dalla legge n. 579/1993. Oltre alle norme sulle procedure generali per la dismissione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, la normativa in materia contempla alcune disposizioni relative alla gestione e alla alienazione di specifiche categorie di beni immobili. In primo luogo, merita rilevare che la legge n. 127/1997, sullo snellimento delle procedure amministrative (articolo 12), ha stabilito che i comuni e le province possono procedere alle alienazioni del proprio patrimonio immobiliare anche in deroga alle norme sulla contabilità generale degli enti locali, fermi restando i principi generali dell'ordinamento giuridico contabile. Più di recente, il D.L. n. 351 del 2001 ha dettato disposizioni in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare.

Disposizioni in materia sono state dettate dal D.L. n. 112 del 2008, in particolare all’art. 58 (il cui comma 8 riguarda lo strumento dei fondi comuni) e dal più recente D.Lgs. 85 del 2010 che, all’art. 6 disciplinava – senza prevedere una SGR - la valorizzazione dei beni attraverso lo strumento dei fondi comuni di investimento immobiliare.

Con particolare riferimento alle iniziative a livello locale, l'articolo 33 del decreto legge n. 98 del 2011 haistituito una Società di gestione del risparmio (SGR), con un capitale di 2 milioni di euro interamente posseduto dal Ministero dell'Economia, con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui siano conferiti immobili oggetto di progetti di valorizzazione.

I fondi istituiti dalla SGR possono non solo sottoscrivere le quote di tali fondi comuni d'investimento immobiliare, offerte su base competitiva a investitori qualificati per poter conseguire la liquidità necessaria realizzare gli interventi di valorizzazione, ma anche investire direttamente al fine di acquisire immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni.

I fondi possono altresì – previo decreto attuativo del Ministero dell'economia e finanza-partecipare a fondi titolari di diritti di concessione o d'uso su beni indisponibili e demaniali, che prevedano la possibilità di locare tutto o in parte il bene oggetto della concessione.

La norma ha previsto inoltre la liquidazione della società Patrimonio dello Stato S.p.A.

Il comma 2 dell’articolo 33 ha stabilito che ai fondi d'investimento immobiliare degli enti locali possono essere apportati beni immobili e diritti con le procedure previste dall'art. 58 del D.L. 112/2008, a fronte della correlata emissione di quote, nonché quelli trasferiti ai sensi del D.Lgs. 85 del 2010 (federalismo demaniale).

Condizione preliminare per gli apporti dei beni o degli immobili è il progetto di utilizzo o di valorizzazione (proposto anche dai privati) approvato con delibera dell'ente, previo esperimento di procedura di selezione di evidenza pubblica da parte della SGR. In caso di beni trasferiti nell’ambito del federalismo demaniale, la domanda di acquisizione può essere motivata dal trasferimento dei beni ai fondi.

 

In tema di valorizzazione degli immobili pubblici da ultimo l’articolo 6 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) ha autorizzato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a conferire o a trasferire beni immobili dello Stato ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliari o a uno o più società di gestione del risparmio anche di nuova costituzione. I proventi netti derivanti dalle cessioni delle quote dei fondi o delle azioni delle società sono destinati alla riduzione del debito pubblico. Sono conferiti o trasferiti gli immobili di proprietà dello Stato e una quota non inferiore al 20 per cento delle carceri inutilizzate e dalle caserme assegnate in uso alle forze armate. I beni immobili da conferire o trasferire sono individuati con uno o più DPCM, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare in Gazzetta Ufficiale; il primo di tali decreti deve essere emanato entro il 30 aprile 2012. I conferimenti o i trasferimenti degli immobili individuati sono disposti mediante decreti di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze; con gli stessi decreti sono anche stabiliti i criteri e le procedure per l’individuazione o l’eventuale costituzione della (o delle) società di gestione del risparmio, nonché per il collocamento delle quote del fondo o delle azioni delle società e i limiti per l’eventuale assunzione di finanziamenti da parte del fondo e delle società.

L’articolo 7 dello stesso provvedimento ha disposto l’alienazione a cura dell’Agenzia del Demanio dei terreni agricoli di proprietà dello Stato non utilizzabili per altre finalità istituzionali, mediante trattativa privata per gli immobili di valore inferiore a 400 mila euro e mediante asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 400 mila euro. Le regioni, le province e i comuni possono vendere, per le finalità e con le modalità stabilite dalla norma in esame, i beni di loro proprietà aventi destinazione agricola, anche avvalendosi dell’Agenzia del Demanio.

 

Il nuovo articolo 33-bis del decreto legge n. 98 del 2011 prevede l’istituzione di strumenti sussidiari per la gestione degli immobili pubblici. La costituzione, ad iniziativa dell’Agenzia del demanio senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di società, consorzi o fondi immobiliari ha lo scopo di valorizzare, trasformare, gestire e alienare il patrimonio immobiliare pubblico di proprietà dei Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni, Stato e degli Enti vigilati dagli stessi, nonché dei diritti reali relativi ai beni immobili, anche demaniali.

Il comma 2 dell’articolo 33-bis dispone che l'avvio della verifica di fattibilità delle iniziative sopra menzionate è promosso dall'Agenzia del demanio ed è preceduto dalle attività di cui al comma 4 dell'articolo 3-ter del decreto legge 25 settembre 2001 (introdotto dal secondo comma dell’articolo 27 del decreto-legge in esame), ai sensi del quale l’Agenzia e le strutture tecniche della Regione e degli enti locali possono individuare le azioni, gli strumenti, le risorse, con particolare riguardo a quelle potenzialmente derivanti dalla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, che saranno oggetto di sviluppo nell’ambito dei programmi unitari di valorizzazione territoriale, eventualmente costituendo una struttura unica di attuazione del programma.

 

Qualora siano compresi immobili soggetti a vincoli di tutela, per l'acquisizione di pareri e nulla-osta preventivi ovvero orientativi da parte delle Amministrazioni preposte alla tutela, l'Agenzia del demanio procede alla convocazione di una conferenza dei servizi. Conclusa la procedura di individuazione degli immobili i soggetti interessati si pronunciano entro 60 giorni dal ricevimento della proposta. In caso di mancata espressione entro il termine, la proposta deve essere considerata inattuabile.

Nel caso in cui vengano istituite delle società l’Agenzia del demanio vi aderisce anche nel caso in cui non vi siano inclusi beni di proprietà dello Stato in qualità di finanziatore e di struttura tecnica di supporto. L'Agenzia del demanio individua, attraverso procedure di evidenza pubblica, gli eventuali soggetti privati partecipanti e, per lo svolgimento delle attività relative all'attuazione del presente articolo, può avvalersi di soggetti specializzati nel settore, individuati tramite procedure ad evidenza pubblica o di altri soggetti pubblici. Lo svolgimento di tali attività deve avvenire nel limite delle risorse finanziarie disponibili. Le iniziative realizzate in forma societaria sono soggette al controllo della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria.

I rapporti tra l’Agenzia del demanio e i soggetti partecipanti sono disciplinati dalla legge e da un atto contenente a pena di nullità i diritti e i doveri delle parti, anche per gli aspetti patrimoniali. Tale atto deve contenere, inoltre, la definizione delle modalità e dei criteri di eventuale annullamento dell'iniziativa, prevedendo l'attribuzione delle spese sostenute, in quota proporzionale, tra i soggetti partecipanti.

L'investimento nelle iniziative avviate da queste procedure di valorizzazione immobiliare è compatibile con i fondi disponibili degli Enti previdenziali di cui all'articolo 2, comma 488, della legge n. 244 del 2007.

Il comma 488 disciplina i limiti e le modalità degli investimenti immobiliari degli enti previdenziali, prevedendo che a decorrere dall’anno 2008, al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede europea, indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, gli enti previdenziali pubblici possono effettuare investimenti immobiliari, esclusivamente in forma indiretta e nel limite del 7 per cento dei fondi disponibili.

 

Per allineare il modulo procedimentale agli strumenti di valorizzazione, alienazione e dismissione utilizzabili dagli enti territoriali e locali, il comma 7 del nuovo articolo 33-bis introduce una modifica al secondo comma dell’articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008 volta anche a superare, con l’applicazione di un riferimento oggi considerabile principio generale di semplificazione, le censure della Corte Costituzionale circa la procedura di variazione urbanistica, connessa all’approvazione del “piano di valorizzazione” allegato al bilancio degli enti territoriali.

 

L’articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha previsto che per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, province, comuni e altri enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di governo individua, redigendo apposito elenco, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica. Per i soggetti diversi dai comuni, i beni immobili inclusi nei predetti elenchi, cui si applica la procedura prevista dall'articolo 3-bis del D.L. n. 351 del 2001, per la valorizzazione dei beni dello Stato, possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, per un periodo non superiore a cinquanta anni, ai fini della riqualificazione e riconversione tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini. Gli enti possono in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell'interesse pubblico e mediante l'utilizzo di strumenti competitivi, conferire i propri beni immobili anche residenziali a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione secondo le disposizioni degli articoli 4 e seguenti del D.L. n. 351 del 2001.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 340 del 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, nella parte in cui disciplinava le modalità di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni e di approvazione della variante allo strumento urbanistico generale, in quanto nella materia “governo del territorio”, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio.

 

I nuovi primo e secondo comma dell’articolo 58 del D.L.. 25 giugno 2008, n. 112, inseriti dal comma 7 del nuovo articolo 33-bis del decreto-legge n. 98 del 2011, sembrano porre rimedio alla pronuncia di incostituzionalità segnalata. Si prevede in particolare che nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione, previa intesa, sono inseriti immobili di proprietà dello Stato individuati dall’Agenzia del demanio tra quelli che insistono nel relativo territorio.

Inoltre, fermo restando che l'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile, fatto salvo il rispetto delle tutele ambientali e paesaggistiche, si prevede che il piano sia trasmesso agli Enti competenti, i quali si esprimono entro trenta giorni, decorsi i quali, in caso di mancata espressione da parte dei medesimi Enti, la predetta classificazione è resa definitiva. La deliberazione del consiglio comunale di approvazione, ovvero di ratifica dell'atto di deliberazione se trattasi di società o Ente a totale partecipazione pubblica, del piano delle alienazioni e valorizzazioni determina le destinazioni d'uso urbanistiche degli immobili. Le Regioni, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplinano l'eventuale equivalenza della deliberazione del consiglio comunale di approvazione quale variante allo strumento urbanistico generale, ai sensi dell'articolo 25 della legge 28 febbraio 1985, n. 47[253], anche disciplinando le procedure semplificate per la relativa approvazione.

Le Regioni, nell'ambito della predetta normativa approvano procedure di copianificazione per l'eventuale verifica di conformità agli strumenti di pianificazione sovraordinata, al fine di concludere il procedimento entro il termine perentorio di 90 giorni dalla deliberazione comunale. Trascorsi i predetti 60 giorni, si applica il comma 2 dell'articolo 25 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

 

La normativa indicata prescrive che le regioni entro centottanta giorni dalla entrata in vigore della presente legge emanano norme che:

a)    prevedono procedure semplificate per la approvazione degli strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali;

b)    definiscono criteri ed indirizzi per garantire l'unificazione ed il coordinamento dei contenuti dei regolamenti edilizi comunali, nonché per accelerare l'esame delle domande di concessione e di autorizzazione edilizia;

c)    prevedono procedure semplificate per la approvazione di varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzate all'adeguamento degli standards urbanistici posti da disposizioni statali o regionali.

Al secondo comma si prevede che le norme su indicate devono garantire le necessarie forme di pubblicità e la partecipazione dei soggetti pubblici e privati, nonché i termini, non superiori a centoventi giorni, entro i quali la regione deve comunicare al comune le proprie determinazioni. Trascorsi tali termini i provvedimenti di cui al precedente comma si intendono approvati.

Le varianti agli strumenti urbanistici non sono soggette alla preventiva autorizzazione della regione.

 

Le varianti urbanistiche di cui al presente comma, qualora rientrino nelle previsioni di cui al comma 3 e all'art. 3 della direttiva 2001/42/CE e del comma 4 dell'art. 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i. non sono soggette a valutazione ambientale strategica.

Si segnala che, probabilmente per un refuso, il riferimento al “comma 3” (dello stesso articolo 58) non appare pertinente, ma dovrebbe piuttosto considerarsi rispetto all’articolo 3 della direttiva 2001/42/CE.

L'articolo 3 della direttiva 2001/42/CE dispone che per i piani e i programmi di cui al paragrafo 2 che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al paragrafo 2, la valutazione ambientale è necessaria solo se gli Stati membri determinano che essi possono avere effetti significativi sull'ambiente.

Il comma 4 dell'art. 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 dispone che sono sottoposti a VIA secondo le disposizioni delle leggi regionali, i progetti di cui agli allegati III (Progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano) e IV (Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano) al presente decreto.

 

Si segnala, infine, che il D.Lgs. 28 maggio 2010, n. 85 concernente il federalismo demaniale, ha previsto l'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti, con D.P.C.M., a comuni, province, città metropolitane e regioni.

Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso. L'ente territoriale, a seguito dell'attribuzione, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorirne la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono peraltro anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione; la deliberazione dell’ente territoriale di approvazione del piano di alienazioni e valorizzazioni dovrà tuttavia essere trasmessa ad una apposita conferenza di servizi volta ad acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni necessari alla variazione di destinazione urbanistica dei beni. Inoltre i beni trasferiti possono essere alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico, ed a seguito di apposita attestazione di congruità rilasciata da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio.

Sono in ogni caso esclusi dal trasferimento, tra gli altri, gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle Amministrazioni pubbliche; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale; i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle energetiche e le strade ferrate in uso;i parchi nazionali e le riserve naturali statali, nonché i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato, alla Camera, alla Corte Costituzionale e agli organi di rilevanza costituzionale.

Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati è previsto uno specifico meccanismo sanzionatorio, in base al quale il Governo esercita il proprio potere sostitutivo al fine di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento in un apposito patrimonio vincolato, entro il quale con apposito D.P.C.M. dovranno, altresì, confluire i beni per i quali non sia stata presentata la domanda di attribuzione.


 

Articolo 27, comma 2
(Programmi unitari di valorizzazione territoriale)

 

 

Il comma 2, attraverso l’inserimento di un nuovo articolo 3-ter nel decreto legge n. 351 del 2001, nell’ambito di un complessivo processo di valorizzazione degli immobili pubblici, disciplina la formazione di programmi unitari di valorizzazione territoriale per il riutilizzo funzionale e la rigenerazione degli immobili di proprietà di Regioni, Provincie e comuni e di ogni soggetto pubblico, anche statale, proprietario, detentore o gestore di immobili pubblici, nonché degli immobili oggetto di procedure di valorizzazione di cui al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 (federalismo demaniale – sul punto si veda la scheda riferita all’art. 27, comma 8).

I programmi unitari di valorizzazione territoriale sono concepiti come strumenti volti a promuovere un processo di valorizzazione unico degli immobili pubblici, in coerenza con gli indirizzi di sviluppo territoriale e con la programmazione economica, fungendo anche da elemento di stimolo e di attrazione di investimenti.

Il compito di promuovere l’iniziativa per la formazione del programma in esame è attribuito di norma al Presidente della Giunta regionale, d’intesa con gli enti locali interessati, attraverso lo strumento degli accordi fra amministrazioni, disciplinato dall’articolo 15 della legge n. 241 del 1990 (nella norma in esame definiti “protocolli d’intesa”). Tuttavia qualora i programmi coinvolgano un livello di governo diverso (solo alcuni enti territoriali ovvero amministrazioni centrali) il potere d’impulso può essere esercitato dall’ente interessato ovvero dall’Agenzia del demanio.

Dal punto di vista dei principi applicabili la norma ispira l’attività degli enti territoriali e dello Stato ai principi di cooperazione istituzionale e di copianificazione e al rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché di leale collaborazione tra le istituzioni.

Per attuare tali piani l’Agenzia del demanio e le strutture tecniche degli enti territoriali coinvolti possono individuare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, le azioni, gli strumenti e le risorse che saranno oggetto di sviluppo nell’ambito dei programmi unitari di valorizzazione territoriale, potendo costituire una struttura unica di attuazione del programma anche nelle forme (società, consorzi o fondi immobiliari)disciplinate dall’articolo 33-bis del decreto legge n. 98 del 2011 (inserito dal comma precedente dell’articolo in esame, alla cui scheda si rimanda).

Qualora sia necessario riconfigurare gli strumenti territoriali e urbanistici per dare attuazione ai programmi di valorizzazione, il Presidente della Giunta regionale, ovvero l’organo di governo preposto, promuove la sottoscrizione di un accordo di programma ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nell’ambito del quale può essere attribuita agli enti locali interessati dal procedimento una quota compresa tra il 5% e il 15% del ricavato della vendita degli immobili valorizzati se di proprietà dello Stato da corrispondersi a richiesta dell’ente locale interessato, in tutto o in parte, anche come quota parte dei beni oggetto del processo di valorizzazione. Qualora tali immobili, ai fini di una loro valorizzazione, siano oggetto di concessione o locazione onerosa, all’amministrazione comunale è riconosciuta una somma non inferiore al 50% e non superiore al 100% del contributo di costruzione dovuto ai sensi dell’art. 16 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (contributo per il rilascio del permesso di costruire) e delle relative leggi regionali. La regolamentazione per l’attribuzione di tali importi è definita nell’accordo stesso, in modo commisurato alla complessità dell’intervento e alla riduzione dei tempi del procedimento, in vista dell’applicazione dei commi da 138 a 150 dell’art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Patto di stabilità per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano). I suddetti importi sono versati all’ente territoriale direttamente al momento dell’alienazione degli immobili valorizzati. Sono, infine, previste norme volte a garantire la conclusione in tempi certi dell’accordo di programma.

Per la realizzazione dei programmi unitari di valorizzazione territoriale è possibile avvalersi di quanto previsto dagli articoli 33 (società di gestione del risparmio) e 33-bis (società, consorzi o fondi immobiliari)del decreto legge n. 98 del 2011 e delle procedure di cui all’articolo 58 del decreto legge n. 112 del 2008, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Per il finanziamento degli studi di fattibilità e delle azioni di supporto dei programmi unitari di valorizzazione territoriale, l’Agenzia del demanio, anche in cofinanziamento con la Regione, le Province e i comuni, può provvedere a valere sui propri utili di gestione ovvero sul capitolo relativo alle somme da attribuire all’Agenzia del demanio per l’acquisto dei beni immobili, per la manutenzione, la ristrutturazione, il risanamento e la valorizzazione dei beni del demanio e del patrimonio immobiliare statale, nonché per gli interventi sugli immobili confiscati alla criminalità organizzata.

L'articolo 33 del decreto legge n. 98 del 2011 haistituito una Società di gestione del risparmio (SGR), con un capitale di 2 milioni di euro interamente posseduto dal Ministero dell'Economia, con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui siano conferiti immobili oggetto di progetti di valorizzazione. I fondi istituiti dalla SGR possono non solo sottoscrivere le quote di tali fondi comuni d'investimento immobiliare, offerte su base competitiva a investitori qualificati per poter conseguire la liquidità necessaria realizzare gli interventi di valorizzazione, ma anche investire direttamente al fine di acquisire immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni. I fondi possono altresì – previo decreto attuativo del Ministero dell'economia e finanza -partecipare a fondi titolari di diritti di concessione o d'uso su beni indisponibili e demaniali, che prevedano la possibilità di locare tutto o in parte il bene oggetto della concessione.

Il comma 2 dell’articolo 33 ha stabilito che ai fondi d'investimento immobiliare degli enti locali possono essere apportati beni immobili e diritti con le procedure previste dall'art. 58 del D.L. 112/2008, a fronte della correlata emissione di quote, nonché quelli trasferiti ai sensi del D.Lgs. 85 del 2010 (federalismo demaniale). Condizione preliminare per gli apporti dei beni o degli immobili è il progetto di utilizzo o di valorizzazione (proposto anche dai privati) approvato con delibera dell'ente, previo esperimento di procedura di selezione di evidenza pubblica da parte della SGR. In caso di beni trasferiti nell’ambito del federalismo demaniale, la domanda di acquisizione può essere motivata dal trasferimento dei beni ai fondi.

L’articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha previsto che per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, province, comuni e altri enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di governo individua, redigendo apposito elenco, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica. Per i soggetti diversi dai comuni, i beni immobili inclusi nei predetti elenchi, cui si applica la procedura prevista dall'articolo 3-bis del D.L. n. 351 del 2001, per la valorizzazione dei beni dello Stato, possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, per un periodo non superiore a cinquanta anni, ai fini della riqualificazione e riconversione tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini. Gli enti possono in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell'interesse pubblico e mediante l'utilizzo di strumenti competitivi, conferire i propri beni immobili anche residenziali a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione secondo le disposizioni degli articoli 4 e seguenti del D.L. n. 351 del 2001.

 

I commi 9 e 10 del nuovo art. 3-ter del D.L. 351/2001, come emerge dalla relazione tecnica, inseriscono nel procedimento esplicite garanzie volte a presidiare il rispetto dei beni assoggettati o assoggettabili a tutele ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

 

In particolare, il comma 9 dispone che il Presidente della giunta regionale, le province e i comuni, ovvero l’Amministrazione promuovente per l’attuazione dei processi di valorizzazione di cui al comma 2, possono concludere uno o più accordi di cooperazione con il Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 42 del 2004, anche al fine di supportare la formazione del programma unitario di valorizzazione territoriale, procedendo alla identificazione degli elementi vincolanti per la trasformazione dei beni immobili, in coerenza con la sostenibilità economica-finanziaria ed attuativa del programma stesso.

 

Al riguardo, poiché il comma 2 dell’art. 3-ter del D.L. 351/2001 dispone che i programmi unitari di valorizzazione territoriale possono riguardare anche gli immobili oggetto di procedure di valorizzazione di cui al d.lgs. 85/2010 - tra i quali vi sono i beni culturali cui fa riferimento l’art. 5, comma 5, dello stesso D.Lgs - sembrerebbe opportuno chiarire il raccordo fra l’accordo di valorizzazione da raggiungere ai sensi dello stesso art. 5, comma 5, del d.lgs. 85/2010, e l’accordo di cooperazione da promuovere sulla base del comma 9 sopra illustrato.

 

I commi 4 e 5 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 42/2004 prevedono la possibilità, rispettivamente, da parte di regioni e altri enti pubblici territoriali, di individuare con accordi o intese, previo parere della Conferenza Stato-regioni, forme di coordinamento in materia di tutela del patrimonio culturale ulteriori rispetto a quelle individuate nei commi precedenti[254].

Con riferimento agli “elementi vincolanti” citati dalla norma, si ricordano gli immobili per i quali deve essere dichiarato il notevole interesse pubblico soggetti alle disposizioni della parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio e, che ai sensi dell'art. 136 sono costituiti, tra l'altro, da ville, giardini e parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza, complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici. Per essi è avviato un apposito procedimento disciplinato dagli artt. 137 e segg. volto alla dichiarazione di notevole interesse pubblico e per il quale sono istituite apposite commissioni regionali che hanno il compito di formulare proposte alla regione per l'adozione della relativa dichiarazione[255].

Si valuti l’opportunità di una più esaustiva definizione di “elementi vincolanti” per la trasformazione dei beni immobili.

 

Il comma 10 prevede che gli organi periferici dello Stato preposti alla valutazione delle tutele di natura storico-architettonica e paesaggistico-ambientale si esprimono nell’ambito dell’accordo di programma di cui al comma 6 - vale a dire l’accordo volto alla definizione e all'attuazione di opere, interventi o programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, province e regioni, amministrazioni statali e altri soggetti pubblici (v. infra)[256] - unificando tutti i procedimenti previsti dal Codice dei beni culturali.

 

In proposito si citano, a titolo esemplificativo, alcuni dei procedimenti che, in base al Codice dei beni culturali e del paesaggio potrebbero coinvolgere organi periferici dello Stato, come l’autorizzazione per interventi di edilizia (art. 22) - anche se, al riguardo si ricorda, che, in base all’art. 24, per gli interventi su beni culturali pubblici da eseguirsi da parte di amministrazioni dello Stato, delle regioni, di altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico, l'autorizzazione può già essere espressa nell'àmbito di accordi tra il Ministero ed il soggetto pubblico interessato - l’avvio della Conferenza dei servizi in materia di misure di protezione dei beni nei procedimenti relativi ad opere o lavori incidenti su beni culturali (art. 25), l’adozione di misure cautelari e preventive che il soprintendente può ordinare ai fini della sospensione di determinati interventi eseguiti contro ovvero in difformità delle autorizzazioni previste (art. 28), l’avvio di procedure di esecuzione di interventi conservativi imposti (art. 33) o di prescrizioni di tutela indiretta per evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili (art. 45).

 

Al riguardo, per una più chiara formulazione del testo, si valuti l’opportunità di esplicitare a quali procedimenti previsti dal d.lgs. 42/2004 si intenda fare riferimento.

 

Qualora l’espressione delle valutazioni di competenza non avvenga entro i termini stabiliti nell’accordo di programma[257], il Ministro per i beni e le attività culturali può avocare a sè la determinazione, assegnando alle proprie strutture centrali un termine non superiore a 30 giorni per l’emanazione dei pareri, resi ai sensi del Codice dei beni culturali, anche proponendo eventuali adeguamenti o prescrizioni per l’attuazione del programma unitario di valorizzazione territoriale. La norma riserva analoga facoltà al Ministro per l’ambiente, per la tutela del territorio e del mare, per i profili di sua competenza.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire se si intenda fare riferimento al termine di 120 giorni di cui al primo periodo del comma 8, ovvero anche all’ulteriore termine di 60 giorni di cui al terzo periodo dello stesso comma.

 

Tra i diversi pareri previsti ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio si ricordano, a titolo esemplificativo, quelli resi in materia di manifesti e cartelli pubblicitari quando questi devono essere collocati in prossimità di edifici o aree tutelati come beni culturali(art. 49), ovvero in materia di alienabilità di immobili appartenenti al demanio culturale (art. 55) su autorizzazione del Ministero che viene rilasciata su parere del soprintendente, sentita la regione e, per suo tramite, gli altri enti pubblici territoriali interessati.

 

Al riguardo per una più chiara formulazione del testo, si valuti l’opportunità di esplicitare a quali pareri previsti dal D.Lgs. 42/2004 si intenda fare riferimento.

 

In relazione alla valorizzazione degli immobili in uso al Ministero della Difesa, il comma 12 dell’articolo 33-ter introduce una disciplina derogatoria rispetto a quella dettata dal precedente comma 2 in relazione alla valorizzazione degli immobili pubblici.

 

Al riguardo, si ricorda che ai sensi del comma 2, qualora i programmi di valorizzazione siano riferiti ad immobili di proprietà dello Stato o in uso alle Amministrazioni centrali dello Stato, il potere di impulso in merito alla loro definizione “è assunto dal Ministero dell’economia e delle finanze- Agenzia del demanio, concordando le modalità di attuazione e i reciproci impegni con il Ministero utilizzatore”.

 

Nello specifico, la disposizione in esame:

§      affida al Ministero della Difesa il compito di individuare la destinazione d’uso da assegnare ai richiamati immobili in uso al Ministero della difesa;

§      prevede l’acquisizione, da parte del Ministro della difesa, della previa intesa degli organi di governo dei comuni interessati e del Presidente della Regionale o della Provincia;

La medesima disposizione dispone, poi, che la citata individuazione dovrà tener conto di quanto previsto dagli strumenti territoriali ed urbanistici e precisa che, nel caso in cui tali strumenti siano oggetto di riconformazione, spetta al Presidente della giunta regionale o al Presidente della provincia il compito di promuovere un accordo di programma ai sensi dell’articolo 34 testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali".

Al riguardo, si ricorda che ai sensi del richiamato articolo 34 si può ricorrere all'accordo di programma per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province, di regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici o comunque di due o più tra i soggetti predetti. Il procedimento per la conclusione dell'accordo è promosso dal presidente della regione, dal presidente della provincia o dal sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento.

Per verificare la possibilità di concordare l'accordo di programma, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco convoca una conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate.

 

Il comma 13 dell’articolo 33-ter prevede la possibilità di far ricorso all’istituto della concessione di valorizzazione al fine di procedere alle attività di conservazione, recupero e riutilizzo degli immobili non necessari in via temporanea alle finalità della difesa.

Lo strumento della concessione di valorizzazione è stato previsto dalla legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) il cui comma 259 dell’articolo 1 ha inserito il nuovo articolo 3 bis nel decreto legge n. 351 del 2001 prevedendo la possibilità di concedere o locare a terzi i beni immobili individuati dall’articolo 1 del medesimo decreto legge. La concessione e la locazione sono consentite a titolo oneroso per un periodo non superiore a 50 anni e risultano finalizzate alla riqualificazione e riconversione dei beni attraverso interventi di recupero, restauro e ristrutturazione, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o di servizio dei cittadini nel rispetto delle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Le concessioni e le locazioni sono affidate con procedure di evidenza pubblica.

 

La medesima disposizione, oltre a disporre che il ricorso alla concessione di valorizzazione deve avvenire previa intesa con il Comune e l’Agenzia del demanio, quest’ultima per quanto di sua competenza, precisa, inoltre, che:

§      il ricorso alo strumento della concessione di valorizzazione è consentito nel rispetto delle volumetrie esistenti;

§      la concessione di valorizzazione può essere attivata anche per lo svolgimento di interventi di restauro e di risanamento conservativo;

 

Al riguardo, si ricorda che ai sensi della lettera c) dell’articolo 3 del D.P. R. 6 giugno 2001, n. 380, espressamente richiamata dal comma in esame, per interventi di restauro e di risanamento conservativo si intendono gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio.

§      possono essere monetizzati gli oneri di urbanizzazione;

§      in sede di concessione dell’immobile possono essere previsti accordi con l’amministrazione comunale finalizzati alla esecuzione di opere di riqualificazione degli immobili per consentire parziali usi pubblici dei beni stessi.

 

Per quanto riguarda, poi, gli adempimenti che gravano sul titolare della concessione, la disposizione in esame prevede espressamente l’obbligo di ripristinare l’originario stato dei luoghi al termine della concessione o della locazione, ove richiesto. La disposizione riconosce poi al Comune, in aggiunta a quanto percepito in virtù della concessione, un’aliquota del 10 per cento del canone relativo alla concessione.


 

Articolo 27, comma 3
(Alienazione dei terreni agricoli di proprietà dello Stato, degli enti territoriali e degli enti pubblici nazionali)

 

 

Il comma 3 novella l’art. 7 della legge n. 183/2011 (Legge di stabilità 2012), che ha introdotto disposizioni volte alla dismissioni di terreni agricoli dello Stato o di enti pubblici nazionali, attribuendo ai giovani un diritto di prelazione nel processo di alienazione.

In particolare l’articolo 7 della legge n. 183 dispone che l’Agenzia del Demanio debba curare l’alienazione dei terreni agricoli di proprietà dello Stato non utilizzabili per altre finalità istituzionali, ricorrendo alla trattativa privata per gli immobili di valore inferiore a 400 mila euro, e mediante asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 400 mila euro. Per le stesse finalità e con le medesime modalità anche le regioni, le province e i comuni possono vendere i beni di loro proprietà aventi destinazione agricola, anche avvalendosi dell’Agenzia del Demanio. I proventi netti derivanti dalle operazioni di dismissione sono destinati alla riduzione del debito pubblico.

Inoltre, nel caso in cui nei cinque anni successivi alla vendita si verifichi un incremento del valore dei terreni a causa di cambi di destinazione urbanistica, è riconosciuta allo Stato una quota pari al 75% della rivalutazione.

Oggetto dell’alienazione possono essere i terreni statali “a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali” (co. 1), e quelli regionali o comunali “aventi destinazione agricola” (co. 4).

 

 

In particolare, sono introdotte diverse novelle all’articolo 7 della legge n. 183:

§      la modifica apportata al primo comma, con il primo capoverso dell’articolo in esame, e quelle apportate al comma 4, con il quarto e quinto capoverso dell’articolo in esame, rendono omogenea la definizione dell’oggetto dell’alienazione che viene individuato nei terreni a vocazione agricola e agricoli, siano essi statali o degli enti territoriali;

§      la modifica apportata al secondo comma, con il secondo capoverso dell’articolo in esame, chiarisce che la devoluzione allo Stato di una quota della eventuale rivalutazione dei terreni alienati va applicata alle sole dismissioni operate in base allo stesso articolo 7;

§      il capoverso aggiunto al primo comma, con il terzo capoverso dell’articolo in esame, stabilisce che il prezzo dei terreni da alienare, che determina il ricorso alla procedura dell’asta pubblica e della trattativa privata, va determinato sulla base di valori di agricoli medi di cui al D.P.R. n. 327/2001, Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità.


 

Articolo 27, comma 4
(Locazioni passive di immobili pubblici)

 

 

Il comma 4, modificando la normativa in materia di locazioni passive di immobili da parte delle amministrazioni dello Stato, prevista dall’articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009, sopprime il Fondo unico destinato alle spese per canoni di locazioni di immobili assegnati alle predette amministrazioni e dispone che non sia più l’Agenzia del demanio a stipulare e ad adempiere i contratti di locazione: tale compito è assegnato alle singole amministrazioni, previo nulla osta dell’Agenzia del demanio.

 

Ai sensi dell’articolo 2, comma 222, terzo e quarto periodo, della legge n. 191 del 2009, a decorrere dal 1° gennaio 2011 l’Agenzia del demanio è individuato come “conduttore unico”, ovvero come l’unico soggetto tenuto a stipulare, per conto delle amministrazioni dello Stato, i contratti di locazione passiva, qualora, all’esito del processo di razionalizzazione degli spazi, dovessero emergere concrete e improcrastinabili esigenze allocative da soddisfare mediante il ricorso al mercato privato, compatibilmente con le misure di contenimento della spesa. L’Agenzia, quindi, dopo aver verificato la corrispondenza dei fabbisogni comunicati con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, svolge i seguenti compiti:

a)    accerta l'esistenza di immobili da assegnare in uso fra quelli di proprietà dello Stato ovvero trasferiti ai fondi immobiliari pubblici (al riguardo si ricorda che con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge n. 351 del 2001, è stato istituito il Fondo immobili pubblici): tali immobili sono concessi in locazione all'Agenzia del demanio, la quale li assegna ai soggetti che li hanno in uso, per periodi di durata fino a nove anni rinnovabili, secondo i canoni e le altre condizioni fissate dal Ministero dell'economia e delle finanze sulla base di parametri di mercato;

b)    verifica la congruità del canone degli immobili di proprietà di terzi, individuati dalle predette amministrazioni tramite indagini di mercato, attraverso la Commissione per la verifica di congruità delle valutazioni tecnico-economico-estimative, istituita in seno all’Agenzia del demanio ai sensi dell'articolo 1, comma 479, della legge n. 266 del 2005;

c)    stipula i contratti di locazione, ovvero rinnova, qualora ne persista il bisogno, quelli in scadenza sottoscritti dalle predette amministrazioni e adempie i predetti contratti;

d)    consegna gli immobili locati alle amministrazioni interessate che, per il loro uso e custodia, ne assumono ogni responsabilità ed onere.

E’ prevista inoltre l’istituzione, all’interno dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze, di un Fondo unico destinato alle spese per canoni di locazione di immobili assegnati alle predette amministrazioni dello Stato. Per la quantificazione delle risorse finanziarie da assegnare a tale Fondo, le amministrazioni sono tenute a comunicare annualmente al Ministero dell'economia e delle finanze l'importo dei canoni locativi. Le risorse iscritte al Fondo vengono impiegate dall'Agenzia del demanio per il pagamento dei canoni di locazione.

 

Il comma 4 in commento sostituisce le lettere c) e d) del comma 222, prevedendo che la stipula dei contratti di locazione sia effettuata dalle singole amministrazioni, previo nulla osta dell’Agenzia del demanio. Le predette amministrazioni, inoltre, adempiono i contratti sottoscritti, effettuano il pagamento dei canoni di locazione ed assumono ogni responsabilità ed onere per l’uso e la custodia degli immobili assunti in locazione.

E’ nullo ogni contratto di locazione stipulato dalle predette amministrazioni senza il preventivo nulla osta alla stipula dell’Agenzia del demanio, fatta eccezione per quelli stipulati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dichiarati indispensabili per la protezione degli interessi della sicurezza dello Stato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Le amministrazione comunicano all’Agenzia del demanio, entro 30 giorni dalla stipula, l’avvenuta sottoscrizione del contratto di locazione trasmettendone copia, con gli estremi della registrazione presso il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate.

Il Fondo unico destinato alle spese per canoni di locazione di immobili assegnati alle predette amministrazioni dello Stato è soppresso.

 

La relazione illustrativa afferma che la norma in esame è stata elaborata alla luce di alcune criticità emerse in fase di prima applicazione delle disposizioni su cui intende incidere ed è finalizzata a semplificare, snellire e rendere più spedita l’azione amministrativa connessa all’attuazione del citato articolo 2 comma 222, senza intaccare i presupposti e la ratio che governano tale norma e lasciando sostanzialmente inalterato l’impianto generale della stessa. Infatti, in base all’attuale formulazione del comma 222, pur essendo l’Agenzia del demanio tenuta a sottoscrivere il contratto di locazione con la proprietà dell’immobile, è l’amministrazione utilizzatrice che risponde ex lege di tutti gli oneri e le responsabilità connessi all’uso del bene. Tale situazione determina un rapporto triadico alquanto complesso che, come si è potuto verificare nella quotidianità, costringe tutte le parti interessate ad una continua mediazione per conciliare le diverse esigenze con conseguente allungamento dei tempi occorrenti per addivenire alla stipula del contratto di locazione.

La previsione del rilascio del nulla osta alla stipula da parte dell’Agenzia del demanio e della nullità degli atti contrattuali sottoscritti in assenza di detto provvedimento superano le criticità riscontrate, non intaccando la struttura generale della norma e garantendo comunque il pieno soddisfacimento delle esigenze di monitoraggio e coordinamento della pianificazione dei fabbisogni delle amministrazioni dello Stato voluti dal legislatore.


 

Articolo 27, comma 5
(Agenzia del demanio – Manutentore unico)

 

 

Il comma 5, modificando la normativa in materia di manutenzione degli immobili pubblici, posticipa al 1° gennaio 2013 il termine a partire dal quale sono attribuiti all’Agenzia del demanio le decisioni di spesa relative agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria effettuati sugli immobili di proprietà dello Stato, in uso per finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, e gli altri adempimenti in materia.

Si prevede, inoltre, una clausola di salvaguardia circa la copertura finanziaria di quegli interventi che pur ricompresi nel piano generale degli interventi non possono essere affidati secondo il sistema centralizzato, nell’eventualità che contingenze particolari impediscano la stipula dei relativi accordi o delle relative convenzioni quadro. Gli interventi manutentivi curati dalle singole amministrazioni, infatti, devono essere comunicati all’Agenzia del demanio che ne assicurerà la copertura finanziaria allorché siano ricompresi nel piano generale degli interventi.

 

L’articolo 12 (commi da 2 ad 11) del decreto-legge n. 98 del 2011 ha attribuito all'Agenzia del demanio la gestione accentrata delle risorse relative alle attività di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili pubblici. Tali risorse confluiscono in appositi fondi di parte corrente e di conto capitale appositamente istituiti presso il Ministero dell'economia e delle finanze, escluse le quote residuali di interventi di pertinenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e, limitatamente ad opere di piccola manutenzione, delle singole Amministrazioni che gestiscono gli immobili.

In particolare l’Agenzia del demanio, a decorrere dal 1° gennaio 2012, ha compiti di gestione e di spesa relativamente agli interventi di manutenzione sugli immobili di proprietà dello Stato utilizzati per finalità istituzionali e sui beni immobili di proprietà di terzi utilizzati a qualsiasi titolo da parte delle pubbliche amministrazioni (sono esclusi gli interventi di piccola manutenzione curati in proprio dagli utilizzatori).

 

La relazione illustrativa afferma che la norma in commento è volta a superare le criticità operative scaturenti dall’incoerenza tra l’avvio del sistema di gestione centralizzata degli interventi manutentivi sugli immobili in uso alle Amministrazioni dello Stato fissato al 1° gennaio 2012 e la previsione dei relativi stanziamenti a decorrere dal 1° gennaio 2013. La proposta prevede il riallineamento dei due termini (fissati rispettivamente al comma 2 e al comma 6), fermo restando che nel corso del 2012 saranno avviate tutte quelle attività preordinate alla gestione degli interventi stessi (programmazione; stipula degli accordi o delle convenzioni per l’esecuzione degli interventi).

 


La norma in esame, oltre a posticipare, come detto, l’inizio dell’attività manutentiva ad opera dell'Agenzia del demanio al 1° gennaio 2013, le attribuisce la facoltà di dotarsi proprie professionalità e di strutture interne dedicate al fine di verificare e monitorare gli interventi necessari di manutenzione ordinaria e straordinaria, sostenendo i relativi oneri con le risorse previste dalla norma nella misura massima dello 0,5%.

In alternativa l’Agenzia può avvalersi delle strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti senza nuovi o maggiori oneri ovvero, in funzione della capacità operativa di tali strutture, può selezionare società specializzate ed indipendenti.


 

Articolo 27, comma 6
(Alloggi pubblici)

 

 

Il comma 6 prevede il diretto coinvolgimento dei comuni nella gestione di alloggi costruiti a favore di chi occupava originariamente abitazioni malsane.

La norma abroga una disposizione di interpretazione autentica, il comma 442 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004. Conseguentemente a queste abitazioni si applica la norma (comma 441) che prevede che gli alloggi e le relative pertinenze di proprietà dello Stato, costruiti in base a leggi speciali di finanziamento per sopperire ad esigenze abitative pubbliche, compresi quelli affidati agli appositi enti gestori, ed effettivamente destinati a tali scopi, possono essere trasferiti, a richiesta, a titolo gratuito, ai comuni nel cui territorio gli stessi sono ubicati.

 

La relazione illustrativa chiarisce che la norma è volta a ricondurre anche gli alloggi realizzati a totale carico dello Stato e destinati all’eliminazione delle abitazioni malsane (L. n. 640/1954) nell’alveo della disciplina prevista dai primi due periodi del comma 441 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004, ai sensi dei quali gli alloggi di proprietà dello Stato, costruiti in base a leggi speciali di finanziamento per sopperire ad esigenze abitative pubbliche, sono trasferiti in proprietà, a titolo gratuito, ai Comuni nel cui territorio gli stessi sono ubicati.

Ciò per ragioni di razionalità, coerenza, economicità ed unificazione delle competenze in capo ai medesimi soggetti, ed al fine di consentire che anche gli immobili in argomento, che non presentano peculiarità tali da giustificare l’esclusione degli stessi dal trasferimento ai Comuni, possano essere utilizzati da questi ultimi per sopperire ad esigenze di carattere sociale.

Peraltro la proposta è coerente con il recente orientamento seguito dal legislatore, che, con il comma 15 dell’articolo 2 della legge n. 244 del 2007 (Finanziaria 2008), ha ricondotto anche gli alloggi realizzati a favore dei profughi ai sensi della legge n. 137 del 1952 nella disciplina generale di cui al citato comma 441.


 

Articolo 27, comma 7
(Semplificazione normativa in materia immobiliare)

 

 

Il comma 7mira ad abrogare alcune disposizioni relative a Roma Capitale che devono intendersi ormai superate per effetto dell’entrata in vigore di leggi ordinarie di epoca successiva volte ad innovare la disciplina relativa alla razionalizzazione degli spazi allocativi utilizzati dalle Amministrazioni sia a titolo di locazioni passive che di usi governativi.

 

In particolare:

§      viene modificato l’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge n. 396 del 1990 relativa a Roma capitale, sopprimendo la disposizione che considerava di preminente interesse nazionale per l'assolvimento da parte della città di Roma del ruolo di capitale della Repubblica la definizione del piano di localizzazione delle sedi del Parlamento, del Governo, delle amministrazioni e degli uffici pubblici anche attraverso il conseguente programma di riutilizzazione dei beni pubblici;

§      viene abrogata la disposizione di cui all’articolo 62, comma 4, della legge n. 388/2000, che non richiedeva per la stipula dei contratti di locazione sottoscritti in attuazione dei piani di razionalizzazione e riduzione degli spazi adibiti a pubblici uffici il parere di congruità del canone di locazione, né la previa attestazione dell'inesistenza di immobili demaniali ed il nulla osta alla spesa previsti. La norma che viene abrogata prevedeva, inoltre, che per le sedi ubicate nelle aree di competenza dell'Ufficio del programma per Roma Capitale doveva essere preventivamente acquisito il relativo nulla-osta, da rilasciare entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta;

§      è inoltre abrogata la norma di cui all’articolo 1, comma 208, della legge n. 296/2006, che prevedeva l’emanazione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di natura non regolamentare per la definizione dei criteri, delle modalità e dei termini per la razionalizzazione e la riduzione degli oneri, nonché dei contenuti e delle modalità di trasmissione delle informazioni da parte delle amministrazioni usuarie e conduttrici all'Agenzia del demanio. Conseguentemente viene abrogato il comma 209, che faceva discendere dall’entrata in vigore del suddetto decreto l’abrogazione di una serie di disposizioni legislative, tra cui il suddetto comma 208.


Al riguardo si osserva che l’abrogazione del comma 209 risulta coerente con l’intento abrogativo del comma 208. Tuttavia desta qualche perplessità rispetto alle altre due norme ivi citate per le quali risulta dubbia l’attuale vigenza. Si tratta del comma 9 dell'articolo 55 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e dell'articolo 24 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, in materia di gestione delle locazioni passive delle amministrazioni pubbliche.

§      è previsto infine che il direttore dell'Agenzia del demanio non rivesta più la qualifica di membro di diritto del Consiglio superiore dei lavori pubblici (articolo 3, comma 4, lett. h), del D.P.R. n. 204 del 2006).


 

Articolo 27, comma 8
(Federalismo demaniale relativo ai beni culturali)

 

 

Il comma 8 modifica l’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 85 del 2010, in materia di federalismo demaniale relativo ai beni culturali, eliminando alcuni vincoli temporali che non apparivano chiari.

La relazione tecnica evidenzia, infatti, che la norma è “volta a superare la rigida prescrizione, nell’ambito del federalismo demaniale, di applicare una sola volta la possibilità di devoluzione agli enti territoriali di beni immobili statali appartenenti al patrimonio culturale”.

 

Al riguardo, si ricorda, preliminarmente, che il D.Lgs. n. 85 del 2010 - primo provvedimento di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale (L. n. 42 del 2009) – dispone l’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (c.d. federalismo demaniale)[258].

Ai sensi del comma 2 dell’art. 5, dal trasferimento dei beni statali sono esclusi i beni appartenenti al patrimonio culturale, “salvo quanto previsto dalla normativa vigente e dal comma 7” (rectius: comma 5).

Il comma 5, esplicitando il riferimento alla normativa vigente contenuto nel comma 2, specifica quali beni culturali possono essere trasferiti: dispone, infatti, che, in sede di prima applicazione del D.Lgs. ed entro un anno dalla sua entrata in vigore (ovvero, entro il 26 giugno 2011), lo Stato provvede al trasferimento alle regioni e agli altri enti territoriali, ai sensi dell’art. 54, co. 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004), di cose e beni culturali inalienabili indicati in specifici accordi di valorizzazione, definiti ai sensi e con i contenuti di cui all’art. 112, co. 4, dello stesso codice.

 

Con la disposizione in commento, l’applicazione del meccanismo delineato nell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 85/2010 non è più riferita alla fase di prima applicazione e il termine di un anno entro il quale deve intervenire il trasferimento non decorre più dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, bensì dalla data di presentazione della domanda di trasferimento.

 

Al riguardo si ricorda che con circolare 18 maggio 2011, n. 18[259] il MIBAC ha emanato le Linee guida per l’elaborazione dei programmi di valorizzazione per il federalismo demaniale, facendo seguito al Protocollo d’intesa sottoscritto il 9 febbraio 2011 con l’Agenzia del Demanio, alle prime riflessioni sviluppate nell’ambito della Cabina di Regia istituita ai sensi dell’art. 6 dello stesso Protocollo, nonché alle prime esperienze operative condotte presso i Tavoli Tecnici Operativi istituiti a livello regionale ai sensi dell’art. 4 del medesimo Protocollo.

Nell’allegato A[260] si precisa, per quanto qui interessa, che l’iniziativa in merito all’attivazione del procedimento è in capo agli enti territoriali interessati ad acquisire in proprietà beni appartenenti al patrimonio culturale statale, che presentano alla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici e alla filiale dell’Agenzia del Demanio competente per territorio una richiesta contenente anche l’illustrazione delle finalità e delle linee strategiche generali che si intende perseguire con l’acquisizione del bene.

In base a notizie di stampa, che fanno riferimento a fonti del Demanio, il canale previsto dall'articolo 5, co. 5, del d.lgs. 85/2010 è stato attivato da 211 enti locali sparsi in 15 regioni. Ne sono nati altrettanti tavoli territoriali per la cessione di 466 beni [261].

 

Per completezza si ricorda che l’art. 4, comma 16, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011), al fine di riconoscere massima attuazione al federalismo demaniale e semplificare i procedimenti amministrativi relativi ad interventi edilizi nei Comuni che adeguano gli strumenti urbanistici alle prescrizioni dei piani paesaggistici regionali, ha elevato a settanta anni (dai precedenti cinquanta) la soglia di età dei beni culturali immobili, al di sotto della quale gli stessi non sono soggetti alle disposizioni di tutela di cui al Titolo I della parte seconda del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Parallelamente, ha spostato ad oltre settanta anni il limite di età dei beni immobili per i quali vige la presunzione di interesse culturale, fino a quando non sia stata effettuata la relativa verifica e ha disposto l’inalienabilità dei beni immobili la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica dell’interesse culturale.

In base alla relazione illustrativa, attraverso queste novità si è sottratto al meccanismo dell’art. 5, co. 5, del d.lgs. 85/2010 una ampia quantità di immobili statali o di enti pubblici non economici realizzati subito dopo la II guerra mondiale e quasi sempre privi di effettivo interesse culturale.


 

Articolo 27, commi 9-17
(Dismissione di immobili per fronteggiare il sovraffollamento degli istituti penitenziari)

 

 

Al fine di risolvere i problemi legati all’eccessivo sovraffollamento degli istituti penitenziari, il comma 9 consente al Ministero della Giustizia di individuare propri beni immobili, suscettibili di valorizzazione e dismissione in favore di soggetti pubblici e privati, attraverso la permuta, anche parziale, con altri immobili, già esistenti o da edificare, da destinare a nuovi istituti penitenziari. Nel caso in cui gli immobili da destinare a nuovi istituti penitenziari siano da edificare i soggetti pubblici e privati in favore dei quali possono essere dismessi gli immobili non devono essere inclusi nella lista delle amministrazioni pubbliche redatta dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

 

Il comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 196/2009 prevede che la ricognizione delle amministrazioni pubbliche centrali è operata annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre. Si fa presente che le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato sono state individuate nell'elenco di cui al Comunicato del 30 settembre 2011.

 

Le procedure di valorizzazione e dismissione sono effettuate dal Ministero della giustizia, sentita l'Agenzia del demanio, anche in deroga alle norme in materia di contabilità generale dello Stato.

Il Ministero della giustizia, valutate le esigenze dell'amministrazione penitenziaria, individua i comuni nel cui territorio devono insistere gli immobili già esistenti o da edificare e da destinare a nuovi istituti penitenziari e determina le opere da realizzare (comma 10). A seguito di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente, il Ministero affida a società partecipata al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze, in qualità di centrale di committenza (ai sensi dall’articolo 33 del Codice dei contratti di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) il compito di provvedere alla stima dei costi e alla selezione delle proposte per la realizzazione delle nuove infrastrutture penitenziarie privilegiando le proposte conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente (comma 11). Si ricorda, in proposito, che il testo originario del decreto faceva riferimento all’affidamento a una società partecipata al 100 % dal Ministero dell’economia e delle finanze in qualità di contraente generale. La societàpuò convocare una o più conferenze di servizi e promuovere accordi di programma (ex articolo 34 del TUEL), con la partecipazione delle Regioni, degli enti locali e delle altre amministrazioni interessate (comma 12) .

 

Si rammenta che l'art. 33 del D.Lgs. 163/2006 prevede che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi e che tali centrali sono tenute all’osservanza del codice. Le amministrazioni aggiudicatrici e i soggetti di cui all’articolo 32, lettere b), c), f) [262], non possono affidare a soggetti pubblici o privati l’espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici. Tuttavia le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare le funzioni di stazione appaltante di lavori pubblici ai servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) o alle amministrazioni provinciali, sulla base di apposito disciplinare che prevede altresì il rimborso dei costi sostenuti dagli stessi per le attività espletate, nonché a centrali di committenza.

Si ricorda, inoltre, che con il comma 1 dell’art. 44-bis del D.L. 207/2008 (convertito dalla L. 14/2009), per far fronte alla grave situazione di sovrappopolamento delle carceri, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) sono stati attribuiti, fino al 31 dicembre 2011, i poteri commissariali previsti dall’art. 20 del D.L. 185/2008.

Il comma 34 dell’art. 44-bis ha poi demandato ad appositi D.P.C.M. l’individuazione delle opere da realizzare, che – ai sensi del successivo comma 5 – vengono inserite nel Programma delle Infrastrutture Strategiche (PIS) di cui alla L. 443/2001 (legge obiettivo) .

Successivamente, con il D.P.C.M. 13 gennaio 2010 è stato dichiarato lo stato di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale fino al 31 dicembre 2010 (prorogato sino al 31 dicembre 2011 dal D.P.C.M. 11 gennaio 2011).

Con l’art. 17-ter del D.L. 195/2009 (convertito dalla L. 26/2010) sono state introdotte ulteriori disposizioni per la realizzazione urgente di istituti penitenziari. In particolare il comma 1 ha incaricato il Commissario straordinario per l’emergenza conseguente al sovrappopolamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale (individuato nella persona del capo del DAP dall’O.P.C.M. 19 marzo 2010, n. 3861 ) di provvedere, d’intesa con il Presidente della regione territorialmente competente e sentiti i sindaci dei comuni interessati, alla localizzazione delle aree destinate alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche .

Per l’attuazione, “anche per stralci, del programma degli interventi necessari per conseguire la realizzazione delle nuove infrastrutture carcerarie o l’aumento della capienza di quelle esistenti e garantire una migliore condizione di vita dei detenuti”, l’art. 2, comma 219, della L. 191/2009 (finanziaria 2010) ha stanziato complessivi 500 milioni di euro, a valere sulle disponibilità del Fondo infrastrutture di cui all’art. 18, comma 1, lett. b)), del D.L. 185/2008 .

 

Il comma 13 disciplina le procedure in base alle quali il Ministero della giustizia, sentita l'Agenzia del Demanio, individua con uno o più decreti i beni immobili oggetto di dismissione, che possono articolarsi nelle seguenti fasi:

a)   la possibilità per il Ministero della giustizia, di avvalersi del supporto tecnico-operativo di taluni enti;

b)   la determinazione del valore degli immobili oggetto di dismissione;

c)   la comunicazione al Ministero per i beni e le attività culturali dell'elenco degli immobili da valorizzare e dismettere, insieme alle schede descrittive di cui all'articolo 12, comma 3 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42[263]. Il Ministero per i beni e le attività culturali si pronuncia, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla ricezione della comunicazione, in ordine alla verifica dell'interesse storico-artistico e individua, in caso positivo, le parti degli immobili stessi soggette a tutela. Le approvazioni e le autorizzazioni previste dal citato codice sono rilasciate o negate entro sessanta giorni dalla ricezione dell'istanza. Qualora entro il termine di 60 giorni le amministrazioni competenti non si siano pronunciate, le approvazioni e le autorizzazioni previste dal citato codice si intendono acquisite con esito positivo;

d)   l’individuazione degli immobili da dismettere con decreto dal Ministero della giustizia, sentita l'Agenzia del demanio, e la confluenza nel patrimonio disponibile dello Stato;

e)   la possibilità di convocare le citate conferenze di servizi e promuovere accordi di programma con gli enti locali interessati per l'approvazione della valorizzazione degli immobili individuati e delle conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici;

f)     l’approvazione dei contratti di permuta da parte del Ministero della giustizia, che può essere negata per sopravvenute esigenze di carattere istituzionale dello stesso Ministero;

g)   il versamento degli eventuali disavanzi di valore tra i beni oggetto di permuta, esclusivamente in favore dell'Amministrazione statale, per una quota pari al 80%.

 

Il comma 14 pone a carico dei soggetti che risulteranno cessionari dei beni oggetto di valorizzazione e/o dismissione gli oneri economici derivanti dalle attività svolte dalla società di cui al comma 11.

In caso di immobili di nuova realizzazione, i soggetti pubblici e privati devono assumere a proprio carico gli oneri di finanziamento e di costruzione (comma 15).

In considerazione della necessità di procedere in via urgente all'acquisizione di immobili da destinare a nuovi istituti penitenziari, le conferenze di servizi e gli accordi di programma sono conclusi rispettivamente entro il termine di quindici giorni e di trenta giorni dal loro avvio. Ove l'accordo di programma comporti variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del sindaco deve essere ratificata dal consiglio comunale entro quindici giorni dall'approvazione dell'accordo, decorsi i quali l'accordo stesso si intende comunque ratificato (comma 16).

Il comma 17 fa salvo quanto previsto dagli statuti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e dalle pertinenti norme di attuazione relativamente al trasferimento dei beni oggetto dei commi da 9 a 16 (comma 17).


 

Articolo 28, commi 1- 6
(Concorso alla manovra delle regioni)

 

 

L'articolo 28, ai commi da 1 a 6, dispone l'aumento dell'aliquota base dell'addizionale regionale all'IRPEF dallo 0,9 all’1,23% (commi 1 e 2).

Per le regioni a statuto ordinario, dove l'imposta è destinata al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, la norma dispone – in conseguenza - la riduzione della compartecipazione all'IVA, anch'essa destinata al finanziamento della sanità per un importo corrispondente all'aumento dell'addizionale (comma 5).

Per le regioni a statuto speciale e le province autonome – nelle more dell'emanazione delle norme di attuazione che dovranno determinare la quota di competenza di ciascuna autonomia – la norma dispone l'accantonamento di una quota delle compartecipazioni ai tributi erariali ad esse spettanti, dell'importo corrispondente all'aumento dell'addizionale (commi 3 e 4). Disposizioni specifiche riguardano la Regione siciliana, in quanto ancora partecipe del Fondo sanitario nazionale.

 

Il comma 1, in particolare, dispone l'aumento dell'aliquota base dell'addizionale regionale all'IRPEF dallo 0,9 allo 1,23%, destinata al finanziamento del Servizio sanitario nazionale.

La norma modifica a tal fine il comma 1 dell'articolo 6 del decreto legislativo 68/2011 recante il cosiddetto federalismo fiscale regionale.

Il citato articolo 6 fissa la misura dell’aliquota di base dell’addizionale regionale all’IRPEF, attribuendo inoltre alle regioni a statuto ordinario, a decorrere dal 2012, il potere di modificare tale aliquota, nell’ambito dell’autonomia ad esse riconosciuta.

In particolare, la misura dell’aliquota di base è pari allo 0,9 per cento, sino a successiva rideterminazione da effettuarsi con D.P.C.M., che deve essere emanato entro il 26 maggio 2012 (ai sensi articolo 2, comma 1 dello stesso D.Lgs. 68/2011).

 

La modifica si applica a decorrere dall'anno di imposta 2011.

Tale previsione sembra derogare a quanto previsto dall’articolo 3 dello statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000), che sancisce il principio dell’irretroattività delle disposizioni tributarie: in particolare, in rapporto ai tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.

 

La relazione tecnica specifica che la norma determina un maggior gettito di 2.085 milioni di euro, cui corrisponde una riduzione di pari importo della compartecipazione IVA per le regioni a statuto ordinario, destinata al finanziamento della sanità, riduzione operata ai sensi del comma 5 dell'articolo in esame (vedi infra).

Regioni a statuto speciale

Il comma 2 estende l'aumento disposto dal comma 1 anche alle autonomie speciali. Le autonomie speciali sono titolari, al pari delle regioni a statuto ordinario, dell'addizionale regionale all'IRPEF.

L’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, così come disciplinato dagli statuti e dalle relative norme di attuazione, prevede la possibilità di riservare all’erario statale l’incremento di gettito delle imposte riscosse nel territorio delle regioni stesse, disposto dalla legge statale per far fronte a specifiche esigenze.

Si segnala che l'articolo 48 del testo in esame contiene una disposizione in tal senso riferita a tutte le maggiori entrate erariali derivanti dal decreto legge: in particolare che le maggiori entrate erariali derivanti dal provvedimento in esame siano riservate all’Erario, per un periodo di cinque anni, e siano finalizzate alle esigenze prioritarie del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche in considerazione dell’eccezionalità della situazione economica.

 

Con il successivo comma 3 lo Stato in sostanza 'riserva all'erario' il maggior gettito derivante dall'aumento dell'addizionale. Anche se in questo caso – trattandosi di una addizionale - il termine è improprio, gli effetti sono gli stessi dal momento che viene determinata la somma che le regioni a statuto speciale nel loro complesso debbono versare all'erario.

 

Il concorso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano alla manovra di finanza pubblica è così determinato in complessivi 920 milioni di euro annui.

A decorrere dal 2012 regioni e province autonome devono versare all'erario 857 milioni di euro annui e le regioni Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta e le due Province autonome di Trento e di Bolzano anche 60 milioni di euro annui da parte dei comuni ricadenti nei propri territori.

 

Per quanto attiene al contributo riferito ai comuni, sono escluse le regioni Sicilia e Sardegna, in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato. Per i comuni di Sicilia e Sardegna, infatti, si applicano le disposizioni recate dai commi 7 e 8 dell'articolo in esame (vedi oltre) al pari dei comuni del resto del territorio nazionale.

Tutte le regioni e province autonome hanno competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia e dalle norme di attuazione[264]: Per le regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e per le Province autonome di Trento e di Bolzano sono poi intervenute specifiche norme di attuazione dello statuto speciale che hanno disciplinato la materia della finanza locale, nel senso che è la regione [o la provincia autonoma] a provvedere alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio. Ciò non è avvenuto nel caso della regione Sardegna e della Regione siciliana, dove la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

 

Per le modalità applicative del concorso degli enti alla finanza pubblica la norma fa riferimento alle procedure stabilite dall'articolo 27 della legge 42/2009, che disciplina le modalità di attuazione del federalismo fiscale per le regioni a statuto speciale e le province autonome, prevedendo che tali enti, nel rispetto degli statuti speciali, concorrano al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti.

 

Il citato articolo 27 conferma la necessità dell'accordo con ciascuna regione o provincia autonoma e dispone che le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome dovranno essere introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali (comma 1); sono previste, inoltre, specifiche norme procedurali per l’attuazione della delega, quali il principio della partecipazione dei Presidenti delle regioni e delle province autonome alle riunioni del Consiglio dei ministri in cui si esaminano gli schemi delle rispettive norme di attuazione (comma 5); la partecipazione di un rappresentante tecnico della singola regione o provincia autonoma interessata alla Commissione tecnica paritetica per l’emanazione delle norme di attuazione (comma 6); l'istituzione dei tavoli paritetici tra ciascuna regione e Governo, volti a individuare linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi della legge delega di attuazione del federalismo fiscale e con i nuovi assetti della finanza pubblica (comma 7).

Si segnala, inoltre, che norme recanti disposizioni di attuazione del federalismo fiscale per le regioni a statuto speciale sono state emanate per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano con la legge finanziaria 2010 (legge n. 191/2009, art. 2, commi 106-125) e per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Regione autonoma Valle d'Aosta dalla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010, art. 1, rispettivamente, commi 151-159 e commi 160-164). In particolare, le disposizioni citate quantificano il contributo di ciascuna regione per l'attuazione dei principi di perequazione e solidarietà del federalismo fiscale, recano disposizioni sulla disciplina del patto di stabilità e norme generali per il coordinamento delle norme che provvederanno ad attuare il federalismo fiscale (i decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009) e l'ordinamento finanziario della regione.

 

Fino all'emanazione delle citate norme di attuazione, il risparmio di 920 milioni di euro dovrà essere realizzato attraverso un accantonamento di quote di compartecipazioni ai tributi erariali spettanti a ciascuna autonomia; la ripartizione di questa cifra tra le autonomie speciali verrà fatta sulla base della [in proporzione alla] media degli impegni finali di ciascun ente, nel triennio 2007-2009.

 

Com'è noto, le regioni a statuto speciale ricevono quote di tributi erariali, nella misura stabilita da ciascuno statuto speciale e da norme di attuazione. I tributi erariali sono riscossi dallo Stato che provvede poi a ‘devolvere’ alla regione la quota spettante; le somme transitano quindi nel bilancio dello Stato. Fanno eccezione la regione Sicilia e la regione Friuli-Venezia Giulia, che provvedono direttamente alla riscossione dei tributi; in questi casi si provvederà attraverso regolazioni contabili.

 

La norma precisa, inoltre, che per la regione Sicilia si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario operata ai sensi del comma 2 dell'articolo in esame.

Il riferimento è al finanziamento del Servizio sanitario regionale nella regione Sicilia, cui lo Stato contribuisce ancora per più del 50 per cento.

In sostanza, per la Regione siciliana, il maggiore gettito derivante dall'aumento dell'addizionale IRPEF (che la relazione tecnica quantifica in 130 milioni di euro) è destinato a finanziare una parte della quota di finanziamento del servizio sanitario nazionale ancora a carico dello Stato.

Si ricorda al riguardo che la regione siciliana è rimasta la sola, tra le autonomie speciali, a non finanziarie direttamente con risorse del proprio bilancio, il servizio sanitario nazionale nel proprio territorio. Da ultimo, la legge 296/2006, articolo 1 comma 830, "al fine di addivenire al completo trasferimento della spesa sanitaria a carico del bilancio della Regione siciliana", ha progressivamente aumentato la quota di partecipazione alla spesa sanitaria fino alla misura del 49,11%[265]. La regione perciò, per la parte restante, rientra nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale.

 

Il comma 4 sopprime il termine temporale per l'emanazione delle norme di attuazione degli statuti speciali di cui al citato articolo 27 della legge 42/2009 per l'adeguamento dell'ordinamento di quelle regioni ai principi del federalismo fiscale, fissato . Tale termine era quello di trenta mesi stabilito per l’emanazione dei decreti legislativi stabilito dall'articolo 2 della legge delega.


Regioni a statuto ordinario

Il comma 5 dispone la riduzione delle quote di compartecipazione all'IVA, direttamente sui conti di tesoreria per le regioni a statuto ordinario.

Ai fini della definizione della misura della compartecipazione IVA spettante a ciascuna regione a statuto ordinario – dispone la norma - si tiene conto degli effetti derivanti dall'aumento dell'aliquota dell'addizionale IRPEF, vale a dire si diminuisce per la cifra corrispondente.

 

Si ricorda che la compartecipazione IVA[266] finanzia il Fondo sanitario nazionale di parte corrente insieme alla addizionale IRPEF, all'IRAP ed alle entrate proprie delle regioni (ticket). L’ammontare complessivo spettante alle regioni viene ripartito tra le stesse sulla base sia delle quote di trasferimenti soppressi, sia della quota del fondo sanitario nazionale di parte corrente necessaria per finanziare la differenza tra il fabbisogno sanitario riconosciuto e le entrate specifiche delle regioni (IRAP, addizionale regionale IRPEF e altre entrate proprie)[267].

L'articolo 77-quater del D.L. 112/2008 disciplina l’accreditamento alle regioni a statuto ordinario – nei conti di tesoreria unica - delle somme che spettano loro in base alle assegnazioni del Fondo sanitario nazionale. In particolare, il comma 4 dispone che la compartecipazione IVA è corrisposta (in attesa della determinazione della quota IVA ad esse spettante) sulla base dell'ultima ripartizione disponibile e al netto della quota di fabbisogno indistinto, condizionatamente alla verifica degli adempimenti assunti in base alla legislazione vigente.

 

Il comma 6, infine, reca una disposizione ordinamentale, ancora in relazione ai conti di tesoreria ed alle erogazioni alle regioni per il finanziamento della sanità.

In particolare dispone in merito alle somme accantonate, pari alla quota del finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario, la cui erogazione è condizionata alla verifica degli adempimenti regionali, ai sensi della legislazione vigente (così dispone per tutte le regioni a statuto ordinario il comma 4 e per la regione Sicilia il comma 5 dell'art. 77-quater del decreto legge n.112/08). Queste somme rimangono accantonate in bilancio fino alla realizzazione delle condizioni che ne consentono l'erogabilità e comunque per un periodo non superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio.


 

Articolo 28, commi 7-10
(Riduzione fondi enti locali)

 

 

I commi 7 e 8 recano la riduzione dei Fondi sperimentali di riequilibrio e dei Fondi perequativi dei comuni e delle province, come determinati dai provvedimenti attuativi della legge n. 42/2011 di attuazione del federalismo fiscale, nonché dei tradizionali trasferimenti erariali, gestiti dal Ministero dell’interno, dovuti ai comuni e alle province della Regioni Sicilia e Sardegna.

 

In particolare, il comma 7 dispone, per i comuni, la riduzione complessiva di 1.450 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012, a valere sulle risorse del Fondo sperimentale di riequilibrio dei comuni e del Fondo perequativo - come determinati in attuazione del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale[268] - nonché a valere sui trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna.

 

Il comma 8dispone, per le province, la riduzione complessiva di 415 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012, a valere sulle risorse del Fondo sperimentale di riequilibrio delle province e del Fondo perequativo - come determinati in attuazione del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante disposizioni in materia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province[269] - nonché a valere sui trasferimenti erariali dovuti alle province della Regione Siciliana e della Regione Sardegna.

 

Si evidenzia che i commi 7 e 8, fanno riferimento agli enti locali delle regioni a statuto ordinario, nonché ai comuni e alle province delle sole regioni Sicilia e Sardegna in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato[270].

Per quanto concerne i nuovi Fondi per gli enti locali (Fondo sperimentale di riequilibrio e Fondo perequativo delle province e dei comuni), si ricorda che i provvedimenti attuativi della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale hanno determinato la soppressione dei tradizionali trasferimenti erariali e la loro sostituzione - ai fini del finanziamento delle funzioni degli enti locali - con entrate proprie e con risorse di carattere perequativo.

In particolare, i trasferimenti erariali in favore dei comuni sono stati soppressi già a decorrere dal 2011, dall’articolo 1, comma 8, del D.Lgs. n. 23/2001 sul federalismo fiscale municipale[271]; i trasferimenti erariali in favore delle province sono soppressi a decorrere dal 2012, ai sensi dell’articolo 18 del D.Lgs. n. 68/2011.

A seguito della soppressione dei trasferimenti, per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attribuzione ai comuni e alle province dell'autonomia di entrata, è stata prevista l’istituzione:

-        del Fondo sperimentale di riequilibrio per i comuni (art. 2, co. 3, D.Lgs. n. 23/2011), la cui durata è fissata in un periodo di tre anni a decorrere dal 2011, alimentato con quota parte del gettito della fiscalità immobiliare devoluta ai comuni stessi. Le modalità di alimentazione e di riparto del Fondo, nonché la tempistica di pagamento del Fondo, sono disciplinate dal D.M. Interno 21 giugno 2011.

-        Con riferimento alle modalità di alimentazione del Fondo, si ricorda che l’articolo 13 del provvedimento in esame prevede, ai commi 18 e 19, che, per il triennio 2012-2014, al Fondo confluisca anche il gettito dalla compartecipazione all’IVA attribuita ai comuni ai sensi dell’articolo 2, comma 4, del D.Lgs. n. 23/2011;

-        del Fondo sperimentale di riequilibrio per le province (art. 21, D.Lgs. n. 68/2011), la cui durata è fissata in un periodo di due anni a decorrere dal 2012, alimentato con quota parte del gettito della compartecipazione provinciale all’IRPEF.

L’istituzione del Fondo perequativo dello Stato per il finanziamento delle spese dei comuni e delle province è disciplinata dall’articolo 13 del D.Lgs. n. 23/2011. Il Fondo perequativo, destinato a sostituire il Fondo sperimentale di riequilibrio, è finalizzato al finanziamento delle spese dei comuni e delle province successivamente alla determinazione dei fabbisogni standard. Le modalità di alimentazione del Fondo sono disciplinate dal medesimo articolo 13 del D.Lgs. n. 23/2001 per quanto concerne le risorse per i comuni, e dall’articolo 23 del D.Lgs. n. 68/2011, per quel che concerne le risorse per le province.

 

Si osserva che l’utilizzo della locuzione “ulteriori” contenuta nei commi 7 e 8 riferita alle riduzioni dei trasferimenti non appare chiara in quanto non sembra correlata ad alcuna altra misura di riduzione contenuta nell’articolo in esame.

 

Con riferimento ai comuni, peraltro, la riduzione di 1.450 milioni dal 2012 disposta dal comma 7 potrebbe essere considerata ulteriore rispetto alle diminuzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio e del Fondo perequativo comunali disposte da altri articoli del decreto-legge in esame, in particolare, dall’articolo 13, comma 17, che ne prevede la riduzione in misura corrispondente al maggior gettito attribuito ai comuni a seguito della nuova disciplina dell’imposta municipale, che la relazione tecnica quantifica in circa 2 miliardi di euro annui a partire dal 2012, e dall’articolo 14, comma 13-bis, che ne prevede la riduzione in misura pari ai maggiori introiti derivanti ai comuni dalla maggiorazione della tariffa relativa al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, che la relazione tecnica quantifica in circa 1 miliardo di euro a decorrere dal 2013.

Per quanto concerne le province, invece, si ricordano soltanto le norme introdotte dall’articolo 23, comma 19, che, in relazione al trasferimento ai comuni, entro il 30 aprile 2012, delle competenze ora attribuite alle province, dispongono anche il trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite medesime.

 

Si ricorda che nel bilancio per il 2012 (legge n. 184/2011) il Fondo sperimentale di riequilibrio comunale - istituito nel corso dell’esercizio finanziario 2011 con una dotazione di 8.375,9 milioni di euro ai sensi del D.M. Interno 21 giugno 2011 – risulta dotato di 7.963,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012-2014 (capitolo 1350/Interno).

Il Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale, istituito nella legge di bilancio per il 2012, presenta una dotazione di 788 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012-2014 (capitolo 1352/Interno).

 

I successivi commi 9 e 10 sono finalizzati a disciplinare i criteri di riparto delle riduzioni dei trasferimenti ai comuni e alle province tra i singoli enti locali.

In particolare, per i comuni, la riduzione è ripartita in proporzione alla distribuzione territoriale dell’imposta municipale propria sperimentale, disciplinata dall’articolo 13 del decreto in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia (comma 9).

Per le province, la riduzione viene ripartita in misura proporzionale (comma 10).


 

Articolo 28, comma 11
(Soppressione attribuzione alle province della quota devoluta di compartecipazione IRPEF)

 

 

Il comma 11 sopprime il comma 6 dell’articolo 18 del D.Lgs. n.68/2011[272], recante una clausola di salvaguardia nei confronti delle province in esito al riordino fiscale per esse derivante dall’articolo 18 di tale decreto, con specifico riguardo alla soppressione dell’addizionale provinciale sull’energia elettrica

L’articolo 18 in questione ha disposto al comma 1 che a decorrere dal 2012 l’aliquota della compartecipazione provinciale all’IRPEF venga stabilita in modo tale da assicurare entrate corrispondenti:

-        ai trasferimenti statali soppressi, costituiti da tutti i trasferimenti di parte corrente e, se non finanziati tramite indebitamento, di conto capitale aventi carattere di generalità e di permanenza nel tempo);

-       alle entrate derivanti dall’ addizionale provinciale sull’energia elettrica, soppressa dall’articolo medesimo, con attribuzione allo Stato del relativo gettito.

Il comma 6 del medesimo articolo ha peraltro stabilito, in sostanza ribadendo la finalità espressamente enunciata nel comma 1 di tutelare le province da possibili perdite di risorse, che alla provincia competente per territorio venga devoluto un gettito non inferiore a quello derivante nel 2011 dalla soppressa addizionale dell’energia elettrica.

La soppressione del comma sembra pertanto da ricondursi alla finalità di una migliore formulazione dell’articolo 18, come del resto appare desumersi anche dalla relazione tecnica, che non ascrive effetti finanziari alla norma.


 

Articolo 28, comma 11-bis
(Imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile e imposta provinciale di trascrizione)

 

 

Le Commissioni V e VI riunite hanno introdotto all’articolo 28 il comma 11-bis.

Il primo periodo del nuovo comma dispone la soppressione dell’articolo 17, comma 5, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 relativo al federalismo fiscale per le regioni e le province, concernente la norma di salvaguardia per le autonomie speciali con riferimento specifico alle modalità di applicazione dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (RCAuto) nei confronti delle province ubicate nelle regioni a statuto speciale e delle province autonome.

 

Il secondo periodo del comma 11 dispone l’applicazione nell’intero territorio nazionale delle misure previste dall’articolo 1, comma 12, terzo, quarto e quinto periodo, del decreto-legge n. 138 del 2011relative all’imposta provinciale di trascrizione (IPT), per la quale si prevede la tassazione degli atti soggetti ad IVA in misura modulata sulla base delle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli soggetti ad immatricolazione.


 

Articolo 28, comma 11-ter
(Disposizioni per l’avvio della ridefinizione del
Patto di stabilità interno)

 

 

Il comma 11-ter dell’articolo 28, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca una norma di carattere programmatico che dispone, al fine di potenziare il coordinamento della finanza pubblica, la ridefinizione delle regole del patto di stabilità interno.

 

Si ricorda che per gli anni 2012 e successivi, la disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali e per le regioni è contenuta agli articoli 31 e 32 della legge di stabilità per il 2012 (legge n. 183/2011).

Per una analisi della disciplina del patto, si rinvia al Dossier Progetti di legge n. 567/1 del Servizio Studi.


 

Articolo 28, comma 11-quater
(Divieto di assunzioni negli enti locali)

 

 

Il comma 11-quater, introdotto nel corso dell’esame in sede referente presso le Commissioni V e VI, reca disposizioni in materia di riduzione e razionalizzazione della spesa di personale degli enti locali.

In particolare, viene modificato il comma 7 dell’articolo 76 del D.L. 112/2008, il quale vieta agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipologia contrattuale.

In base alla modifica introdotta, il richiamato divieto di assunzioni opera nei confronti degli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 50%.

 

Lo stesso comma ha disposto altresì che i restanti enti possano procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Ai fini del computo della richiamata percentuale si calcolano le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentari.

Infine, per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale sia pari o inferiore al 35% delle spese correnti vengono ammesse, in deroga al limite del 20% e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio di specifiche funzioni.


 

Articolo 29, commi 1 e 2
(Acquisizione di beni e servizi attraverso il ricorso
alla centrale di committenza nazionale)

 

 

Al fine di facilitare l’acquisizione di beni e servizi per importi superiori alle soglie di rilevanza comunitaria[273], il comma 1 dell’articolo in esame disciplina la facoltà per le amministrazioni pubbliche centrali di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni che ne regolamentano i rapporti, di Consip S.p.A.[274] come centrale di committenza.

 

La norma in esame si applica alle amministrazioni pubbliche centrali che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009, sono identificate con “gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari”.Il comma 3 dell’articolo 1 della medesima legge prevede che la ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 è operata annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre. Si fa presente che le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato sono state individuate nell'elenco di cui al Comunicato del 30 settembre 2011.

 

Si ricorda che il Codice dei contratti pubblici ha trasposto nell’ordinamento nazionale (art. 3, comma 34 e art. 33) le disposizioni in materia di centrali di committenza previste dalla normativa europea (art. 1, par. 10 e art. 11 della direttiva 2004/18/CE e art. 1, par. 8 e art. 29 della direttiva 2004/17/CE). Il ricorso a centri unici di imputazione di appalti non è un obbligo, ma è rimesso alla facoltà dei singoli Stati darvi attuazione nei loro ordinamenti (considerando n. 16). Ai sensi dell’art. 3, comma 34, del Codice dei contratti pubblici, la centrale di committenza è un'amministrazione aggiudicatrice che:

§      acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori;

§      aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori.

L’art. 33 prevede, quindi, che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi e che tali centrali sono tenute all’osservanza del codice.

L’istituto della centrale di committenza è entrato nell’ordinamento italiano con il D.M. 24 febbraio 2000, emanato sulla base dell’art. 26 della legge n. 488/1999 (legge finanziaria per il 2000)che ha affidato a Consip S.p.A: il compito di stipulare convenzioni e contratti quadro per l’acquisto di beni e servizi per conto delle amministrazioni dello Stato.

 

Per ciò che riguarda l’intervento di CONSIP, si ricorda che per gli acquisti di importo superiore alla soglia comunitaria, l’articolo 2, comma 574 della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008) prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze, entro il mese di marzo di ogni anno, individui [275], con decreto, le tipologie dei beni e dei servizi non oggetto di convenzioni stipulate da CONSIP Spa per le quali le amministrazioni statali centrali e periferiche hanno l’obbligo di ricorrere alla CONSIP Spa in qualità di stazione appaltante ai fini dell’espletamento dell’appalto e dell’accordo quadro[276], anche con l’utilizzo dei sistemi telematici. Le tipologie di tali beni e servizi sono state individuate da ultimo con il D.M. 12 febbraio 2009 [277].

 

Al riguardo, si segnala l’opportunità di valutare la coerenza della norma in esame con quanto previsto dalla disciplina vigente.

 

Al fine di agevolare il processo di razionalizzazione della spesa e garantire gli obiettivi di risparmio previsti dalla legislazione vigente, compresi quelli stabiliti dall’articolo 4, comma 66, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012), il comma 2 dell’articolo in esame disciplina la facoltà per gli enti nazionali di previdenza e di assistenza sociale di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni che ne regolamentano i rapporti, di Consip S.p.A. per lo svolgimento delle funzioni di centrale di committenza.

 

Si segnala che l’articolo 4, comma 66, della legge n. 183/2011 prevede l’adozione di misure di razionalizzazione organizzativa da parte dell’INPS, dell’INPDAP e dell’INAIL nell’ambito della propria autonomia al fine di concorrere al raggiungimento degli obiettivi programmati di finanza pubblica per gli anni 2012 e seguenti.

 

La relazione tecnica evidenzia che dalle disposizioni in esame derivano risparmi di spesa, sia pure quantificabili a consuntivo, attraverso una maggiore razionalizzazione e semplificazione dei processi di acquisto, nonché economie di scala realizzate mediante l’aggregazione di fabbisogni.


 

Articolo 29, comma 3
(Disposizioni in materia di editoria)

 

 

Il comma 3 dispone la cessazione del sistema di erogazione dei contributi diretti all’editoria di cui alla L. n. 250 del 1990 dal 31 dicembre 2014, con riferimento alla “gestione 2013”, allo scopo di contribuire all'obiettivo del pareggio di bilancio entro la fine del 2013.

Dispone, inoltre, che il Governo provvede alla revisione del regolamento di semplificazione e riordino dell'erogazione dei contributi all'editoria (D.P.R. n. 223 del 2010), con effetti a decorrere dal 1° gennaio 2012.

Le finalità sono il“risanamento della contribuzione pubblica” – che la relazione tecnica specifica come “riduzione della contribuzione pubblica”, in vista della cessazione del sistema di contribuzione diretta –,una più rigorosa selezione nell'accesso alle risorse, nonché il conseguimento di risparmi di spesa.

Al riguardo, sembrerebbe opportuno chiarire il bilancio di esercizio delle imprese beneficiarie a decorrere dal quale avranno effetto la cessazione dell’erogazione dei contributi diretti, nonché le disposizioni di modifica del regolamento di riordino.

I risparmi sono destinati – compatibilmente con le esigenze di pareggio di bilancio – alla ristrutturazione delle aziende già destinatarie della contribuzione diretta, all'innovazione tecnologica del settore, a fronteggiare l'aumento del costo delle materie prime, all'informatizzazione della rete distributiva.

 

La prima disciplina organica degli interventi a sostegno dell’editoria è stata dettata con la L. n. 416 del 1981, successivamente modificata ed integrata da numerosi interventi, che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario. I principali tra questi sono la L. n. 67 del 1987, la L. n. 250 del 1990, e la L. n. 62 del 2001, anch’esse più volte modificate ed integrate.

L’intervento dello Stato si esplica in misure di sostegno economico, di tipo diretto o indiretto, agli editori. In particolare, gli aiuti economici diretti consistono nell’erogazione di un contributo calcolato in percentuale dei costi risultanti dal bilancio delle imprese editrici che presentino i requisiti previsti dalla legge, mentre gli aiuti economici indiretti sono costituti da riduzioni tariffarie, agevolazioni fiscali e credito agevolato.


Tra i beneficiari[278] di contributi diretti erogati ai sensi della legge n. 250 del 1990 si ricordano:

-        quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti (art. 3, co. 2 e 2-quater);

-        quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro (art. 3, co. 2-bis);

-        quotidiani o emittenti radiotelevisive editi o che trasmettano programmi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (art. 3, co. 2-ter, primo e secondo periodo);

-        quotidiani italiani editi e diffusi all’estero (art. 3, co. 2-ter, terzo e quarto periodo);

-        periodici editi da cooperative, fondazioni o enti morali, ovvero da società con maggioranza del capitale detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro (art. 3, co. 3);

-        quotidiani e periodici organi di forze politiche(art. 3, co. 10[279]).

-        imprese radiofoniche organi di partiti politici che trasmettano quotidianamente programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o culturali (art. 4, co. 1).

A causa della frammentarietà della materia, negli anni più recenti sono stati compiuti tentativi di razionalizzazione finalizzati a rendere più coerente la normativa di settore. Nel corso dell’attuale legislatura, è stato emanato – ai sensi dell’art. 44 del D.L. n. 112 del 2008 (L. n. 133 del 2008), come modificato dall’art. 41-bis, co. 3, del D.L. n. 207 del 2008 (L. n. 14 del 2009) – il Regolamento recante semplificazione e riordino dell'erogazione dei contributi all'editoria (DPR n. 223 del 2010).

Il regolamento – la cui vigenza decorre a partire dal bilancio di esercizio 2011 delle imprese beneficiarie – prevede la semplificazione della documentazione per accedere ai contributi e del procedimento di erogazione, stabilendo anche che le somme stanziate nel bilancio dello Stato per l’editoria costituiscono limite massimo di spesa[280] e che sono destinate prioritariamente ai contributi diretti.

Le principali novità recate dal DPR 223/2010 riguardano l’invio telematico delle domande e le nuove modalità di calcolo per i contributi diretti, riferite, in particolare, all’effettiva distribuzione e messa in vendita della testata (invece che al previo criterio della tiratura). Tra i requisiti viene, inoltre, inserito quello relativo all’adeguata valorizzazione dell’occupazione professionale. Si stabiliscono altresì, tetti all’ammontare dei contributi. In caso di insufficienza delle risorse, i contributi sono erogati mediante riparto proporzionale tra gli aventi diritto, ai sensi dell’art. 2, co. 62, della L.. finanziaria per il 2010 (L. n. 191 del 2009).

 

Con riguardo alla formulazione del testo, si valuti l’opportunità di sostituire le parole “contenere l’aumento” con le parole “far fronte all’aumento”. Poiché, inoltre, la L. n. 250 del 1990 è stata oggetto di numerose modifiche, occorre inserire le parole “e successive modificazioni”.

In ogni caso, con riferimento all’ambito di applicazione della norma in commento, sembrerebbe opportuno chiarire se si intenda effettivamente circoscrivere la cessazione delle provvidenze ai soli contributi diretti erogati ex L. n. 250 del 1990, considerato che, a legislazione vigente, sussistono tipologie di beneficiari cui le medesime provvidenze sono concesse in virtù di altre disposizioni normative.

 

A titolo esemplificativo, si ricorda che l’art. 21, comma 1, lettera a), n. 10), del D.P.R. n. 223 del 2010 ha abrogato il comma 10 dell’art. 3 della L. 250/1990, concernente la concessione di contributi a quotidiani e periodici organi di forze politiche(v. supra), a decorrere dal bilancio d’esercizio 2011 delle imprese beneficiarie.

L’erogazione di contributi diretti in favore di tale categoria di quotidiani e periodici continua ad essere disciplinata, oltre che dagli artt. 3, comma 3, e 4 del medesimo D.P.R. 223/2010, da altre disposizioni normative[281].


 

Articolo 29, comma 3-bis
(Risorse per attività della minoranza slovena in Friuli Venezia-Giulia)

 

 

Nel corso dell'esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI è stato inserito nell’articolo 29il comma 3-bis che destina al sostegno delle attività e delle iniziative culturali, artistiche, sportive, ricreative, scientifiche, educative, informative ed editoriali della minoranza slovena in Friuli Venezia-Giulia, di cui all’art. 16 della L. 38 del 2001, 2,5 milioni di euro per gli anni 2011, 2012 e 2013, provenienti dal capitolo 7315.

 

Sembrerebbe preliminarmente utile chiarire che l’importo indicato è destinato alle attività di cui all’art. 16 della L. 38 del 2001 per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013.

 

Il capitolo 7513, rimodulabile, è iscritto nell’ambito del programma “Regolazioni contabili ed altri trasferimenti alle regioni a statuto speciale”, Missione “Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali”, dello stato di previsione del MEF ed è parzialmente esposto in tabella C della legge di stabilità.

 

In particolare, in tab. C è iscritto proprio lo stanziamento derivante dall’art. 16 della L. 38/2001, che al comma 1 dispone che la regione Friuli-Venezia Giulia provvede al sostegno delle attività e delle iniziative culturali, artistiche, sportive, ricreative, scientifiche, educative, informative e editoriali promosse e svolte da istituzioni ed associazioni della minoranza slovena. A tal fine, la regione provvede alla consultazione delle istituzioni anche di natura associativa della minoranza slovena, dando priorità, per le finalità sopra richiamate, al funzionamento della stampa in lingua slovena.

 

Il comma 2 prevede che, per le medesime finalità, lo Stato assegna ogni anno propri contributi[282] che confluiscono in un apposito fondo nel bilancio della regione Friuli-Venezia Giulia.

 

Nella legge di bilancio 2011 (L. 221/2010) il capitolo 7513 presenta, per lo stesso 2011, una disponibilità di 8,8 milioni di euro, dei quali 2,8, destinati alle finalità di cui all’art. 16 della L. 38/2001, sono esposti in tab. C della legge di stabilità 2011 (L. 220/2010).

Come risulta dalla Nota di variazioni al disegno di legge di bilancio per il 2012-2014, approvata a seguito dell’esame parlamentare, il capitolo espone un importo pari a 7 milioni di euro per il 2012, 8,5 euro per il 2013 e 6 per il 2014, dei quali 2,8 esposti, per ciascuno dei tre anni, in tab. C della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011) per le finalità di cui all’art. 16 della L. 38/2001.

 

Alla luce della ricostruzione effettuata, l’obiettivo della disposizione appare dunque quello di integrare le risorse destinate alle finalità indicate dalle leggi di stabilità per il 2011 e per il 2012 - quanto a quest’ultima, limitatamente agli anni 2012 e 2013, non includendo la stessa disposizione il 2014 - con ulteriori risorse provenienti sempre dal capitolo 7513, recante contributi al Friuli Venezia Giulia per la tutela della minoranza linguistica slovena[283].


 

Articolo 29-bis
(Introduzione utilizzo software libero negli uffici
della pubblica amministrazione)

 

 

L’articolo 29-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, è volto a modificare parzialmente l’art. 68, comma 1 del decreto legislativo n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale) al fine di consentire alla pubblica amministrazione l’utilizzo di programmi informatici appartenenti alla categoria del software libero o a codice sorgente aperto.

 

La norma oggetto della modifica si limita prevedere che le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra varie soluzioni disponibili sul mercato, previste ex lege, tra le quali si cita l’acquisizione di programmi informatici a codice sorgente aperto.

 

L'espressione “software libero”, oggetto dell’integrazione, si riferisce alla libertà dell'utente di eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il software o, più precisamente: libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo; libertà di studiare il funzionamento del programma e di modificarlo in modo da adattarlo alle proprie necessità; libertà di ridistribuirne copie; libertà di migliorare il programma e divulgarne pubblicamente i miglioramenti apportati in modo tale che la comunità degli utenti ne tragga beneficio (l'accesso al codice sorgente ne costituisce un prerequisito).

 

A tal proposito, merita evidenziare come anche la Corte costituzionale (sent. n. 122/2010), investita di una questione di legittimità costituzionale concernente tale tematica, ha avuto modo di precisare che, nel linguaggio informatico il concetto di open source e software libero individua un modello volontario di licenza e sub-licenza per lo sfruttamento del diritto d’autore su un programma per elaboratore, che si fonda sulla diretta accessibilità al sottostante codice sorgente e sulla libera modificabilità del software concesso in uso secondo tale modello. La licenza di tipo open source, quindi, esprime la rinunzia volontaria del titolare del copyright ad utilizzare le facoltà escludenti tipiche di esso, così favorendo l’interesse degli altri operatori/utenti, sia a fruire della conoscenza del codice sorgente, sia ad utilizzare i prodotti sviluppati sulla base del primo. Di recente, però, accanto al modello di licenza tradizionale, che prevede il pagamento di un corrispettivo a fronte della concessione del diritto d’uso, si sono imposti, nel mondo dell’informatica, schemi negoziali alternativi, i quali consentono all’utilizzatore del programma di avere una disponibilità completa sul codice sorgente e d’impiegare il software anche senza corrispettivo. Si tratta di formule contrattuali che concedono il diritto di utilizzare il programma in ogni settore di attività (il software libero presuppone l’autorizzazione dell’autore alla ridistribuzione).

In sostanza un programma open source è un software che il creatore ha deciso di mettere a disposizione degli altri utenti, autorizzandoli a studiare il codice sorgente, a modificarlo e a ridistribuirlo liberamente, sia pure con le limitazioni che le parti possono pattuire nell’ambito dell’autonomia negoziale[284].

In aggiunta a quanto sopra riportato si ricorda che con la direttiva 19 dicembre 2003 (Sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni) sono state fornite alle pubbliche amministrazioni indicazioni e criteri tecnico-operativi circa la gestione più efficace del processo di predisposizione o acquisizione di programmi informatici. In particolare, nella direttiva si indica come le pubbliche amministrazioni debbano tener conto della offerta sul mercato di una nuova modalità di sviluppo e diffusione di programmi informatici, definita «open source» o «a codice sorgente aperto».

In conclusione si segnala che l’art. 1, comma 895 della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007) stabilisce che nella valutazione dei progetti per la società dell’informazione finanziati ai sensi del comma 892 si dovrà dare prioritaria attenzione a quelli che utilizzano o sviluppano applicazioni software a codice aperto (open source), autorizzando uno stanziamento annuale di 5 milioni di euro, a decorrere dal 2007, destinato all’Agenzia nazionale per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione.


 

Articolo 30, comma 1
(Missioni di pace)

 

 

Il comma 1, mediante novella dell’art. 33, comma 18, della legge di stabilità per il triennio 2012-2014 – ovvero della legge 12 novembre 2011, n. 183 – opera un’ulteriore proroga, fino al 31 dicembre 2012, degli stanziamenti per le missioni internazionali di pace cui l’Italia partecipa, apprestando nel contempo le necessarie risorse, nella misura di 700 milioni di euro aggiuntivi a favore del Fondo per il finanziamento delle missioni di pace.

La norma in commento sostituisce infatti, nelle previsioni del citato comma 18 la data del 30 giugno 2012 con quella del 31 dicembre 2012, e la somma di 700 milioni con l’importo di 1.400 milioni di euro.

Per quanto concerne la copertura finanziaria della norma in commento, il successivo articolo 49 prevede che per essa, come per una serie di altre norme del provvedimento esplicitamente richiamate, agli oneri si faccia fronte con quota parte delle maggiori entrate e delle minori spese conseguenti all’entrata in vigore del provvedimento medesimo.

 

Si segnala che il comma 18 dell’art. 33 della legge di stabilità 2012-2014 ha disposto per il 2012 un incremento di 700 milioni di euro dello stanziamento del Fondo per il finanziamento delle missioni di pace, finalizzato al proseguimento della partecipazione italiana a missioni internazionali fino al 30 giugno 2012.

E’ opportuno a tale proposito ricordare che il Fondo per le missioni internazionali di pace è stato istituito dall'articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) all’interno dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (capitolo 3004).

Per l’esercizio finanziario 2011 sul Fondo è presente uno stanziamento di 4,3 milioni di euro, previsto dal comma 5 dell’articolo 55 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 recante Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 30 luglio 2010, n. 122, che ha disposto l'integrazione del medesimo Fondo rispettivamente nella misura di 320 milioni di euro per il 2010; di 4,3 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2011 al 2014; di 64,2 milioni di euro per l’anno 2015 e di 106,9 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2020.


 

Articolo 30, commi 2 e 3
(Trasporto pubblico locale)

 

 

I commi 2 e 3 dell’articolo 30 recano disposizioni relative al finanziamento del trasporto pubblico locale.

 

Il comma 2, primo periodo, dell’articolo 30 prevede che le risorse di cui all’articolo 25, comma 1, del D.L. n. 185/2008[285], possano essere utilizzate, per l’anno 2011, per contribuire ad assicurare lo svolgimento dei servizi di trasporto pubblico locale ferroviario da parte di Trenitalia S.p.A. nelle regioni a statuto ordinario.

 

Si ricorda che il comma 1 del citato articolo 25 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo per gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato S.p.A. con una dotazione di 960 milioni di euro per l'anno 2009. Un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, emanato il 22 luglio 2009, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto alla ripartizione del Fondo, come di seguito indicato:

a)    500 milioni di euro a favore di Trenitalia S.p.A., da destinare:

-        per 425 milioni di euro all’acquisto di nuovo materiale rotabile per il trasporto regionale e locale;

-        per 75 milioni di euro per la copertura dei costi afferenti al materiale rotabile per le esigenze di mobilità legate all’Expo 2015;

b)    460 milioni di euro a favore di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI) per il finanziamento degli investimenti dell’infrastruttura ferroviaria, da finalizzare nell’ambito dell’aggiornamento 2009 del Contratto di programma 2007/2011.

 

Il secondo periodo del comma 2 abroga l’articolo 1, comma 6, della legge n. 220/2010 (legge di stabilità per il 2011).

Il citato comma 6 detta disposizioni per la ripartizione tra le regioni delle risorse per il trasporto pubblico ferroviario locale e regionale di cui all’articolo 25 del D.L. n. 185/2008.

Il primo periodo del citato comma 6, nel confermare che l’erogazione delle risorse disponibili di cui all’articolo 25, comma 2, del D.L. n. 185/2008, è subordinata alla verifica della previsione, nei contratti di servizio del trasporto pubblico locale su ferro, di misure di efficientamento e razionalizzazione, prescriveva che la verifica dovesse essere effettuata, entro il primo semestre del 2011, da parte dei Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze.

Si ricorda che il citato articolo 25, comma 2, ha autorizzato la spesa di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, per la stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle Regioni a statuto ordinario con Trenitalia S.p.A.. L’erogazione è subordinata alla stipula dei suddetti contratti e alla rispondenza di questi ultimi a criteri di efficientamento e razionalizzazione volti a garantire che:

-        il fabbisogno dei servizi sia contenuto nel limite degli stanziamenti autorizzati dal bilancio dello Stato e delle eventuali ulteriori risorse messe a disposizione dalle Regioni;

-        non vi siano aumenti tariffari nei servizi di trasporto pubblico regionale e locale per l’anno 2009.

 

Il secondo periodo dello stesso comma 6 prevedeva che i 425 milioni di euro per l’anno 2009, rinvenienti dal comma 1 del medesimo articolo 25 del D.L. n. 185/2008, fossero ripartiti quali contributi per il sostenimento dei costi relativi al materiale rotabile per le Regioni a statuto ordinario. La ripartizione avrebbe dovuto essere effettuata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previo parere favorevole della Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del D.Lgs. n. 281/1997.

 

Il terzo periodo del comma 6 stabiliva che la ripartizione tra le Regioni delle risorse di cui al comma 1 dell’articolo 25 del D.L. n. 185/2008 fosse effettuata in deroga a quanto disposto dal comma 4 dello stesso articolo 25 (15 per cento al nord del Paese e 85 per cento al sud) e tenendo conto dei seguenti criteri:

a)    programmazione e realizzazione di investimenti con risorse regionali proprie nel periodo 2009 – 2011 e nel triennio precedente;

b)    aumenti tariffari negli esercizi 2010 e 2011, da cui risulti l’incremento del rapporto tra ricavi da traffico e corrispettivi;

c)    razionalizzazione dei servizi, con conseguente incremento del carico medio annuo dei passeggeri trasportati nel primo periodo di applicazione del contratto rispetto all’anno precedente;

d)    ammontare del cofinanziamento annuo regionale per il contratto di servizio.

 

Viene confermata l’esigenza di applicare misure di efficientamento e razionalizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale a decorrere dall’anno 2012.

 

Il comma 3, primo periodo, dell’articolo 30 incrementa di 800 milioni di euro annui, a decorrere dall’anno 2012, il Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario.

Il Fondo è stato istituito, a decorrere dal 2011, dall’articolo 21, comma 3, del D.L. n. 98/2011,[286] con una dotazione di 400 milioni di euro annui. La norma citata detta inoltre disposizioni per la ripartizione del Fondo tra le regioni, che dovrà avvenire sulla base di criteri premiali.

 

Il comma 3, secondo periodo, prevede che, a decorrere dall’anno 2013, il Fondo è alimentato da una compartecipazione al gettito delle accise sui carburanti, di cui all’articolo 15 del presente decreto-legge. L’aliquota di compartecipazione verrà stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 30 settembre 2012.

 

Il comma 3, terzo periodo, abroga alcune norme del D.Lgs. n. 68/2011[287] relative alla soppressione della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina, che avrebbe dovuto essere realizzata nel 2013, e comunque dalla data in cui sono soppressi i trasferimenti statali alle regioni in materia di trasporto pubblico locale.

Si ricorda che l’articolo 3, comma 12 della legge n. 549 del 1995 ha attribuito, dal 1° gennaio 1996, una quota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo per autotrazione, nella misura originaria di lire 350 al litro, alla regione a statuto ordinario nel cui territorio avviene il consumo, a titolo di tributo proprio[288]. L’articolo 5 del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 56[289] ha demandato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle finanze e del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano la periodica rideterminazione della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina.

 

La soppressione della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina, disposta dall’articolo 8, comma 4, del citato D.Lgs. n. 68/2011, era collegata alla soppressione dei trasferimenti statali alle regioni per il trasporto pubblico locale, che, ai sensi dell’articolo 32, comma 4, dello stesso decreto legislativo, avrebbe dovuto essere realizzata dallo Stato a decorrere dal 2012, con la conseguente fiscalizzazione degli stessi trasferimenti.

 

Con riferimento ai trasferimenti statali alle regioni relativi al trasporto pubblico locale, si segnala che la lettera c) del comma 3 in esame pospone la loro soppressione dal 2012 al 2013, anno nel quale sarà operativa la compartecipazione al gettito delle accise sui carburanti, di cui al secondo periodo del comma in esame.


 

Articolo 30, commi 3-bis-3-quinquies
(
Trasporto pubblico locale lagunare)

 

 

I commi da 3-bis a 3-quinquies dell’articolo 30, introdotti durante l’esame in sede referente, disciplinano il trasporto pubblico locale effettuato nella laguna di Venezia.

 

Il comma 3-bis novella l’articolo 2 del D.Lgs. n. 422/1997[290], il quale contiene le definizioni utilizzate nel decreto legislativo sul trasporto pubblico locale. La novella specifica che per trasporto pubblico locale lagunare si intende il trasporto pubblico locale effettuato con unità che navigano esclusivamente nelle acque protette[291] della laguna di Venezia.

Il citato D.Lgs. n. 422/1997, che ha conferito alle regioni e agli enti locali funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, comprende espressamente, tra i servizi pubblici di trasporto regionale e locale, i sistemi di mobilità lagunari (articolo 1, comma 2).

Al trasporto lacuale e lagunare è poi dedicato l’articolo 11, che attribuisce poteri regolamentari alla provincia di Venezia, al fine di coordinare il trasporto locale con le attività relative al traffico acqueo negli ambiti della laguna veneta, prevedendo in particolare un sistema di rilevamento dei natanti circolanti nell'ambito lagunare, per garantire la sicurezza della navigazione.

Lo stesso articolo, facendo salve le competenze dell’autorità marittima, stabilisce che i servizi di trasporto pubblico di persone e cose all'interno della laguna veneta sono autorizzati e regolati in conformità alle norme emanate dagli enti locali competenti in materia di trasporto pubblico locale. Il numero massimo di unità adibite al servizio di trasporto pubblico, per la navigazione che interessa zone di acque interne e di acque marittime nell'ambito della laguna veneta, è stabilito d'intesa tra l'autorità marittima e l'ente locale competente.

 

Il comma 3-ter dispone che il Governo emani uno o più regolamenti per modificare, secondo criteri di semplificazione:

§      le norme del Libro VI, Titolo I del regolamento di esecuzione del codice della navigazione (navigazione marittima), relative al personale navigante, anche al fine di istituire specifiche abilitazioni professionali per il trasporto pubblico locale lagunare;

Il Titolo I del Libro VI è dedicato a “Organi e attività amministrativa della navigazione” e contiene alcuni articoli relativi alla laguna di Venezia, estesi in parte anche alle lagune di Marano e di Grado. Le norme relative al personale navigante sono gli articoli da 519 a 521.

§      il D.P.R. n. 435/1991, recante “Approvazione del regolamento per la sicurezza della navigazione e della vita umana in mare”. Le modifiche dovranno essere dirette a delimitare l’ambito di applicazione delle norme del D.P.R. con riguardo al trasporto pubblico locale lagunare.

 

I regolamenti di cui al presente comma dovranno essere emanati entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della norma in esame.

 

Il comma 3-quater, primo periodo, stabilisce che al servizio di trasporto pubblico locale lagunare si applicano le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81/2008, relativo alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

Il comma 3-quater, secondo periodo, prevede che la normativa tecnica per la progettazione e la costruzione delle unità navali adibite al trasporto pubblico locale lagunare sia emanata con regolamento adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e della salute. Il regolamento è emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988[292] entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della norma in esame.

 

Il comma 3-quinquies prevede che per trasporti pubblici non di linea per via d’acqua nella laguna di Venezia si intendono quelli disciplinati dalle legge della regione Veneto n. 30/1993[293] e n. 25/1998[294].

 

Si segnala che la legge regionale n. 30/1993 è stata abrogata dalla legge regionale n. 25/1998. Quest’ultima è la legge che ha dato attuazione nella regione Veneto al sopra citato D.Lgs. n. 422/1997, regolando tutti i servizi di trasporto pubblico locale e regionale nell’ambito del territorio della regione.

 

Ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 25/1998, i servizi di trasporto pubblico locale, ai quali si applica la legge regionale, sono quelli effettuati in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite e ad offerta indifferenziata. Non rientrano dunque in tale definizione i trasporti pubblici non di linea. I trasporti non di linea rientrano nella categoria dei servizi autorizzati (di cui all’articolo 4, commi 3 e 4), ovvero servizi esercitati, tramite autorizzazione, da imprese di trasporto in possesso dei prescritti requisiti e senza oneri finanziari a carico della pubblica amministrazione. Il comma 4-bis del citato articolo 4 esclude l’ambito della laguna di Venezia dall'applicazione delle norme relative ai servizi autorizzati, in considerazione delle peculiari caratteristiche locali che richiedono una specifica disciplina dei trasporti nelle vie d'acqua lagunari.

 

Si ritiene che il rinvio alla citata legge regionale n. 25/1998 possa essere diretto a eliminare l’esclusione dei servizi di trasporto pubblico non di linea per via d’acqua nella laguna di Venezia dall’ambito di applicazione delle norme relative ai servizi autorizzati.


 

Articolo 30, comma 4
(Rifinanziamento AGEA)

 

 

Il comma 4 dell’articolo 30 reca un aumento delle risorse destinate all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), per il solo 2012, pari a 40 milioni di euro. L’incremento è attribuito all’autorizzazione di spesa quantificata nella tab. C dell’ultima legge di stabilità (L. 183/2011), destinata al D.Lgs. n. 165/1999 di istituzione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura. I 40 meuro si riverseranno sul cap. 1525 della tabella del dicastero dell’economia e delle finanze, nel quale sono iscritti per il 2012 poco meno di 61 milioni: il capitolo assicura i fondi necessari all’AGEA per assolvere ai propri compiti, in primo luogo quello di gestire per conto lo Stato italiano il sistema di aiuti, contributi e premi che la Comunità stabilisce con la PAC.

Per la copertura dell’onere si attinge alle risorse del Fondo istituito dall’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 5/2009, e destinato al finanziamento di interventi urgenti ed indifferibili, con particolare riguardo ai settori dell'istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi.


 

Articolo 30, comma 5
(Rifinanziamento Fondo protezione civile a valere su 8 per mille)

 

 

L’articolo 30, comma 5 incrementa di 57 milioni di euro per l’anno 2012 la dotazione del Fondo per la protezione civile.

Si ricorda che la determinazione annuale del Fondo di protezione civile (iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e finanze, cap. 7446), a decorrere dal 1994, viene disposta con la legge finanziaria (Tabella C), ai sensi dell’art. 6, comma 1, del decreto legge 142/1991. Si ricorda che la legge di stabilità 2012 (legge 12 novembre 2011, n. 183) prevede uno stanziamento pari a 70,8 milioni di euro per il 2012, 78,4 per il 2013 e 86,2 per il 2014.

 

Il comma dispone che al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa all’otto per mille dell’IRPEF – di cui all’articolo 47, secondo comma, della legge n. 222/1985 – relativamente alla quota di pertinenza statale per l’anno 2012.

 

Si ricorda che ai sensi dell'art. 47, commi 2 e 3, della legge n. 222/1985, una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica[295].

Nell’ambito del bilancio di previsione dello Stato per l’esercizio finanziario 2012 e per il triennio 2012-2013, la quota dell’otto per mille IRPEF di pertinenza statale, iscritta sul cap. 2780 dello stato di previsione del Ministero dell’economia, risulta pari a 61,1 milioni di euro nel 2012, a 73,7 milioni nel 2013 e a 71, 7 milioni nel 2014.

Si ricorda che sullo stanziamento dell’otto per mille di competenza statale ha già inciso l’articolo 21, comma 9 del D.L. n. 98/2011[296], che ne ha operato una riduzione pari a 64 milioni a decorrere dall’anno 2011.

Il medesimo D.L. n. 98/2011, all’articolo 5, ha previsto che, dall’anno 2012, i risparmi degli organi costituzionali (che da questi dovranno essere autonomamente deliberati entro il 31 dicembre 2013), saranno devoluti agli interventi dell’otto per mille di pertinenza statale relativi a fame nel mondo, calamità, assistenza rifugiati, conservazione beni culturali.

Si ricorda, infine, che sulla dotazione del capitolo relativo all’otto per mille di competenza statale [297] per gli anni 2012-2014, ha altresì inciso la legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), la quale, all’articolo 3, ha operato una riduzione, a decorrere dall’anno 2012, degli stanziamenti relativi alle spese rimodulabili dei programmi dei Ministeri in attuazione delle misure di contenimento di cui all’art. 10, comma 2, del D.L. n. 98/2011, come integrate dall'art. 1, comma 1, del D.L. n. 138/2011[298].


 

Articolo 30, comma 5-bis
(Interventi di messa in sicurezza delle scuole)

 

 

Il comma 5-bis dell’articolo 30, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, dispone, al fine di garantire la realizzazione di interventi necessari per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole che, entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, il Governo dia attuazione all’atto di indirizzo approvato dalle Commissioni parlamentari competenti il 2 agosto 2011, ai sensi dell’art. 2, comma 239, della legge n. 191/2009 ed adotti gli atti necessari all’erogazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione destinate alle medesime finalità ai sensi dell'art. 33, comma 3, della legge n. 183/2011 (Legge di stabilità 2012) e nell'ambito della procedura ivi prevista.

Il Governo dovrà, quindi, riferire alle Camere in merito all’attuazione di tale disposizione.

 

Si ricorda che l’art. 2, comma 239, della legge 191/2009 (finanziaria 2010) ha introdotto alcune norme procedurali in merito alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza ed adeguamento antisismico delle scuole. Pertanto, previa approvazione di apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per materia nonché per i profili di carattere finanziario, devono essere individuati gli interventi immediatamente realizzabili fino ad un importo complessivo di 300 milioni euro, con la relativa ripartizione tra gli enti territoriali interessati, nell’ambito delle risorse previste ai sensi dell’art. 7-bis del decreto-legge 137/2008[299]. La risoluzione n. 8-00099 è stata quindi approvata il 25 novembre 2010 dalle Commissioni V e VII della Camera. Successivamente tenuto conto delle risultanze dell'audizione svolta dal sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti presso le Commissioni riunite V e VII, in data 21 luglio 2011, si è ravvisata la necessità di adottare una nuova risoluzione in sostituzione della n. 8-00099 a seguito della necessità, per i soggetti richiedenti i finanziamenti, di produrre idonea certificazione della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge finanziaria 2010. Pertanto, nella seduta del 2 agosto 2011 è stata approvata dalle Commissioni V e VII della Camera una nuova risoluzione n. 8-00143 ove è stato sottolineato come risultino da erogare risorse pari a circa 115 milioni di euro e che il Governo dovrà attenersi, ai fini dell'assegnazione delle citate risorse, alle priorità indicate nell'elenco 1 allegato alla stessa risoluzione.

Si ricorda, infine, che l’art. 33, commi 2 e 3, della legge di stabilità 2012 ha previsto che le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (istituito dall'art. 4 del D.lgs. n. 88/2011 in luogo del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'art. 61 della legge 289/2002), vengano assegnate dal CIPE con indicazione delle relative quote annuali e che ad esso venga assegnata una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, alla messa in sicurezza di edifici scolastici, all'edilizia sanitaria, al dissesto idrogeologico, agli interventi a favore delle imprese sulla base di titoli giuridici perfezionati alla data del 30 settembre 2011, già previsti nell’ambito dei programmi nazionali per il periodo 2007-2013. I citati interventi dovranno essere individuati con decreto del MEF, di concerto con il Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, su proposta del Ministro interessato al singolo intervento.

 

In materia di interventi per la messa in sicurezza delle scuole si veda, inoltre, la scheda riguardante l’art. 25 comma 1-bis.


 

Articolo 30, commi 6 e 7
(Risorse per l’Accademia dei Lincei e l’Accademia della Crusca)

 

 

Il comma 6 autorizza la concessione di un contributo annuo, a decorrere dal 2012, per complessivi 2 milioni di euro, così ripartiti:

a)   1,3 milioni di euro, quale contributo per le attività e il funzionamento dell’Accademia dei Lincei. Il contributo è finalizzato ad assicurare la continuità e lo sviluppo delle funzioni di promozione, coordinamento e diffusione delle conoscenze scientifiche;

b)   0,7 milioni di euro, quale contributo per le attività e il funzionamento dell’Accademia della Crusca. Il contributo è finalizzato a promuovere lo studio, la tutela e la valorizzazione della lingua italiana.

 

Ai sensi della L. n. 466 del 1988, all’Accademia Nazionale dei Lincei[300] è concesso un contributo ordinario, la cui quantificazione è ora demandata alla tabella C della legge di stabilità.

 

La legge di stabilità n. 183 del 2011 ha fissato per il triennio 2012-2014 importi pari, rispettivamente, a € 1.670.000 per il 2012, € 1.300.000 per il 2013 e € 1.061.000 per il 2014.

 

L’Accademia della Crusca[301] figura tra i beneficiari previsti dalla tabella delle istituzioni culturali ammesse al contributo ordinario dello Stato per il triennio 2009-2011, ai sensi dell'art. 1, della L. n. 534 del 1996 (Decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 17 novembre 2009), con un contributo pari a € 148.583[302].

 

Il comma 7 dispone che all’onere derivante si provvede mediante utilizzo di quota parte delle risorse aggiuntive stanziate dall’art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. n. 34 del 2011 (L. n. 75 del 2011) per la manutenzione e conservazione dei beni culturali, a valere sugli importi destinati alla spesa di parte corrente.

Durante l’esame in sede referente la norma di copertura è stata modificata precisando l’anno di decorrenza, che è stato allineato alla previsione recata dal comma 6.

Ciò è finalizzato, come chiarisce la relazione tecnica, ad evitare la dequalificazione della spesa[303].

 

L’art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. n. 34 del 2011 (L. n. 75 del 2011) ha autorizzato, a decorrere dal 2011, la spesa di 80 milioni di euro annui – aggiuntivi rispetto alle ordinarie dotazioni di bilancio – per la manutenzione e la conservazione dei beni culturali[304].


 

Articolo 30, comma 8
(Assunzioni presso il Ministero per i beni e le attività culturali)

 

 

Il primo periodo del comma 8 conferma che al MIBAC non si applicano le disposizioni recate dall’art. 2, commi 8-bis e 8-quater, del D.L. 194 del 2009 (L. 25/2010), nonché dall’art. 1, commi 3 e 4, del D.L. 138/2011 (L. 148/2011), che prescrivono riduzioni organiche, in assenza delle quali non è possibile effettuare assunzioni.

In tal senso aveva già disposto, da ultimo, l’art. 24, comma 2, della legge di stabilità per il 2012 (L. n. 183 del 2011), attraverso una modifica apportata all’art. 2, comma 3, del D.L. 34/2011 (L. 75/2011), della quale, al di là della collocazione (l’articolo 2 è rubricato “Potenziamento delle funzioni di tutela dell’area archeologica di Pompei”), era stata intuita la portata generale, volta ad escludere il Mibac dalle riduzioni organiche richieste dal D.L. 138/2011.

La finalità continua ad essere quella di assicurare l’espletamento delle funzioni di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale, far fronte alle richieste di una crescente domanda culturale, rafforzare la competitività del settore e metterlo in grado di generare ricadute positive sul turismo e sull’economia del Paese. Viene, inoltre, richiamata la coerenza con quanto disposto dal già citato articolo 2 del D.L. 34/2011.

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 2, comma 3, del D.L. 34/2011 ha autorizzato l'assunzione di personale di III area, posizione economica F1, nel limite di spesa di euro 900.000 annui a decorrere dall'anno 2011, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, stabilendo che tale personale ha l’obbligo di prestare servizio per almeno 5 anni presso le sedi della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei[305]. Ha, altresì, autorizzato l’assunzione di ulteriore personale specializzato, anche dirigenziale, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, nel limite delle ordinarie facoltà di assunzione consentite per l'anno 2011 dalla normativa vigente, da destinare all'espletamento di funzioni di tutela del patrimonio culturale.

Tali assunzioni possono avvenire in deroga al divieto di assunzione disposto dall'art. 2, co. 8-quater, del D.L. 194 del 2009 (L. 25/2010) nell’ipotesi in cui non si sia proceduto alle riduzioni organiche previste dal c. 8-bis (in base a tale disposizione, entro il 30 giugno 2010 occorreva procedere ad una riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10% di quelli risultanti a seguito dell'applicazione dell'art. 74, c. 1, del D.L. 112/2008, e rideterminare le dotazioni organiche del personale non dirigenziale apportando una ulteriore riduzione non inferiore al 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale risultante a seguito dell'applicazione del predetto art. 74).

Infine, ha disposto che alla copertura degli oneri derivanti dalle suddette assunzioni si provvede nell'ambito degli stanziamenti di bilancio previsti a legislazione vigente per il reclutamento del personale del Ministero per i beni e le attività culturali e che deve essere rispettata la disciplina in materia di turn over di cui all’articolo 3, comma 102, della L. 244/2007, e successive modificazioni.

Ha, infine, previsto l’obbligo, per il Ministero, di comunicare al Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e alla Ragioneria generale dello Stato le assunzioni effettuate ed i relativi oneri.

L’art. 24, comma 2, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011) ha, quindi, disposto che le assunzioni previste dall’art. 2, comma 3, del D.L. 34/2011 avvengono in deroga da quanto previsto dall’art. 2, co. 8-bis, dello stesso D.L. 194/2009 - ante illustrato -, nonché dall’art. 1, co. 3 e 4, del D.L. 138/2011 (L. 148/2011, che prescrive ulteriori riduzioni organiche entro il 31 marzo 2012, in assenza delle quali non è possibile effettuare assunzioni).

La relazione tecnica chiariva che la disposizione era finalizzata ad escludere il MIBAC dalla riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale e delle dotazioni organiche del personale dirigenziale di 2^ fascia e delle aree, prevista dalle due disposizioni citate[306].

 

Il secondo periodo autorizza per gli anni 2012 e 2013 - come avvenuto per il 2011 ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.L. 34/2011 - l'assunzione presso il Mibac di personale, anche dirigenziale, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, nel limite delle ordinarie facoltà di assunzione consentite dalla normativa vigente (si veda ante) e con copertura degli oneri nell'ambito degli stanziamenti di bilancio previsti a legislazione vigente per il reclutamento del personale del Ministero.

Le assunzioni sono effettuate tenendo conto delle esigenze funzionali delle strutture centrali e periferiche e, ove necessario, anche attraverso la formazione di una graduatoria unica nazionale degli idonei. In tale graduatoria gli idonei sono collocati secondo l’ordine di merito risultante dalla votazione riportata nella graduatoria regionale, con precedenza, in caso di parità di merito, per il soggetto più giovane[307]. La graduatoria unica è elaborata anche al fine di consentire ai candidati di esprimere la propria accettazione e non comporta la soppressione delle graduatorie regionali. I candidati che non accettano, mantengono la collocazione ad essi spettante nella graduatoria regionale di riferimento.

Si tratta di una soluzione analoga a quella proposta dall’art. 24, comma 2, della L. di stabilità 2012 per le assunzioni presso la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e di Pompei.

Come già previsto dall’art. 2, comma 3, del D.L. 34/2011, infine, si dispone che il MIBAC provvede alle attività descritte nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e comunica al Dipartimento della funzione pubblica e alla Ragioneria generale dello Stato le assunzioni effettuate e i relativi oneri.


 

Articolo 30, comma 8-bis
(Ulteriore finalizzazione Fondo esigenze urgenti ed indifferibili)

 

 

Il comma 8-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente,è volto ad includere nell’elenco delle finalità cui sono destinate le risorse del Fondo esigenze urgenti ed indifferibili per l’anno 2012 - elenco 3, allegato all’articolo 33, comma 1 della legge di stabilità 2012 – le seguenti voci:

§      interventi di carattere sociale a favore dei lavoratori socialmente utili - LSU di Napoli e Palermo (art. 3 del D.L. n. 67/1997[308]), nonché finanziamento per la stipula di convenzioni con i comuni interessati alla stabilizzazione degli LSU (art. 2, co. 552, legge n. 244/2007) (comma 8-bis1).

Si ricorda che l’articolo 3, comma 1, del D.L. 67/1997 ha disposto uno stanziamento per l’anno 1997 pari a 69.721.681,38 milioni di euro (135 miliardi di lire) a favore del comune e della provincia di Napoli e a 28.405.129,45 milioni di euro (55 miliardi di lire) a favore del comune di Palermo, ai fini della prosecuzione, nel medesimo anno, degli interventi statali di lavori socialmente utili. L’erogazione del contributo è subordinata da parte del Ministero dell'interno all'approvazione della relazione presentata da parte degli enti locali allo stesso Ministero sugli specifici programmi di lavoro[309].

Inoltre, si ricorda che l’articolo 2, comma 552, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007) ha autorizzato il Ministero del lavoro, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, nel limite di spesa di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, a concedere un contributo ai comuni con meno di 50.000 abitanti al fine di procedere alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili con oneri a carico del bilancio dei medesimi comuni da almeno 8 anni, a valere sulle risorse trasferite alle regioni in attuazione della L. 144 del 1999.

§      interventi di sostegno all’editoria e al pluralismo dell’informazione (comma 8-bis2).

Si rammenta che la prima disciplina organica degli interventi a sostegno dell’editoria è stata dettata con la legge n. 416 del 1981, successivamente modificata ed integrata da numerosi interventi, che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario. I principali tra questi sono la legge n. 67 del 1987, la L. n. 250 del 1990, e la legge n. 62 del 2001, anch’esse più volte modificate ed integrate.

L’intervento dello Stato si esplica in misure di sostegno economico, di tipo diretto o indiretto, agli editori. In particolare, gli aiuti economici diretti consistono nell’erogazione di un contributo calcolato in percentuale dei costi risultanti dal bilancio delle imprese editrici che presentino i requisiti previsti dalla legge, mentre gli aiuti economici indiretti sono costituti da riduzioni tariffarie, agevolazioni fiscali e credito agevolato.

 

Si ricorda che il comma 1 dell'articolo 7-quinquies del D.L. n. 5 del 2009[310] ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo (cap. 3071), al fine di assicurare il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, con particolare riguardo ai settori dell’istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi.

Il comma 1 dell’articolo 33 della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) ha incrementato la dotazione del Fondo per le esigenze urgenti ed indifferibili di 1.143 milioni di euro per l'anno 2012 prevedendone la ripartizione con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri tra le finalità indicate nell'elenco 3 allegato alla medesima legge.

Le finalità indicate nell’elenco 3, sono le seguenti:

-        Fondo nazionale per le politiche giovanili;

-        investimenti Gruppo Ferrovie - contratto di programma con RFI;

-        professionalizzazione forze armate - rifinanziamento, per il medesimo anno, degli importi di cui agli articoli 582 e 583 del "Codice dell'ordinamento militare", D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66[311];

-        partecipazione italiana a banche e fondi internazionali;

-        esigenze connesse alla celebrazione della ricorrenza del 4 novembre;

-        provvidenze alle vittime dell'uranio impoverito;

-        ulteriori esigenze dei Ministeri;

-        interventi per assicurare la gratuità dei libri di testo scolastici di cui all’articolo 27, comma 1 della legge n. 448/1998;

-        Unione italiana ciechi.

Il secondo periodo del comma 1 stabilisce che una quota pari a 100 milioni di euro del Fondo è destinata per il 2012 al finanziamento di interventi urgenti di riequilibrio socio-economico, ivi compresi interventi di messa in sicurezza dei territori, e sviluppo dei territori e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali (di cui all’articolo 1, comma 40, quarto periodo della legge di stabilità 2011).

 

Nel bilancio di previsione per il 2012 (legge n. 184/2011) le risorse del Fondo ammontano complessivamente a 1.144,5 milioni per il 2012 e a 3,9 milioni per il 2013. Il Fondo non presenta nessuna disponibilità nel 2014.


Si ricorda che sulla dotazione del Fondo esigenze urgenti ed indifferibili hanno inciso ulteriori norme, in particolare:

-        il comma 26-ter dell’articolo 1 del decreto legge n. 138/2011, che ha dotato il Fondo di 24 milioni di euro per l'anno 2012 e di 30 milioni di euro per l'anno 2013;

-        il comma 34 dell’articolo 33 della medesima legge di stabilità 2012 che ha ridotto di 18 milioni nel 2012 e di 25 milioni per il 2013 il finanziamento del Fondo operato dal sopra citato comma 26-ter.

-        l’articolo 3 della citata legge di stabilità, il quale ha operato una riduzione, a decorrere dall’anno 2012, degli stanziamenti relativi alle spese rimodulabili dei programmi dei Ministeri in attuazione delle misure di contenimento di cui all’art. 10, comma 2, del D.L. n. 98/2011, come integrate dall'art. 1, comma 1, del D.L. n. 138/2011.


 

Articolo 30, commi 8-ter e 8-quater
(Trasferimento di risorse dalla società ISA al MIPAAF)

 

 

I commi 8-ter e 8-quater dell’articolo 30, introdotti nel corso dell’esame in sede referente, prevedono, rispettivamente, che:

§      l’Istituto per lo sviluppo agroalimentare S.p.A. (ISA) versi all’entrata di bilancio dello Stato entro il 31 gennaio 2012 non più 32,4 milioni di euro, come previsto dalla legge di stabilità 2012, ma 47,2 milioni di euro;

§      la differenza, pari a 14,8 milioni di euro, venga riassegnata ad apposito capitolo di spesa del Ministero delle politiche agricole per essere destinata alle attività di competenza del Ministero medesimo (art. 4 L. 499/1999).

Il comma 53dell’art. 4 della legge n.183/2011 (legge di stabilità 2012) ha previsto che l’Istituto per lo sviluppo agroalimentare S.p.A. (ISA) versi all’entrata del bilancio dello Stato, 32,4 milioni di euro entro il 31 gennaio 2012, 9,2 milioni di euro entro il 31 gennaio 2013 e 9,2 milioni di euro entro il 31 gennaio 2014.

 

La società, che opera come finanziaria per il settore agricolo, agro-industriale e agroalimentare, è stata istituita nell’ottobre 2004 allo scopo di subentrare nelle attività allora svolte nel settore da Sviluppo Italia. Interamente partecipata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ISA promuove progetti di sviluppo agroindustriale, può assumere partecipazioni in società operanti in agricoltura e nell’agro-alimentare, e può prestare assistenza e consulenza nel settore finanziario ad aziende e enti pubblici e privati.

 

Per quanto riguarda la destinazione di 14,8 milioni di euro, il testo fa riferimento all’art. 4 della legge 23 dicembre 1999, n. 499. Detta legge, per la razionalizzazione degli interventi nei settori agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale, si è posta l’obiettivo di assicurare coerenza programmatica e continuità pluriennale agli interventi pubblici, favorendo l'evoluzione strutturale del comparto agricolo.

 

Si tratta dell’ultima legge di programmazione del comparto primario, approvata successivamente al decreto legislativo n. 143/97 che, dando per primo attuazione alla legge Bassanini, ha conferito alle regioni le funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca, nel contempo riorganizzando l'Amministrazione centrale.

 

Alla luce dunque del nuovo riparto di competenze fra ministero e regioni, la legge n. 499 ha stabilito le procedure di programmazione e le dotazioni finanziarie per gli interventi in agricoltura: con l’articolo 3 sono state determinare le risorse spettanti alle regioni; e con l’articolo 4 è stato quantificato (per il periodo 1999-2002) il finanziamento delle attività di competenza del Mipaaf, per il quale sono poi di norma intervenuti annualmente i documenti di bilancio. Il capitolo della tabella 12 nel quale si riversano le autorizzazioni di spesa per il Mipaaf è il cap. 7810, della missione 6 Fondi da ripartire, che per l’anno finanziario 2012 viene soppresso per insussistenza dei residui (per il 2009 lo stanziamento era di 110 meuro, 70 meuro per il 2010 e 48 per il 2011).

 

A norma dello stesso articolo 4 sono di competenza del dicastero in particolare: la ricerca e sperimentazione in campo agricolo, svolta da enti, istituti e laboratori nazionali, la raccolta, elaborazione e diffusione di informazioni e di dati, compreso il sistema informativo agricolo nazionale, il sostegno delle associazioni ed unioni nazionali di produttori agricoli, il miglioramento genetico vegetale e del bestiame, svolto dalle associazioni nazionali, la tutela e valorizzazione della qualità dei prodotti agricoli e la prevenzione e repressione delle frodi, nonché il sostegno delle politiche forestali nazionali.


 

Articolo 31
(Esercizi commerciali)

 

 

L’articolo 31 mira a realizzare pienamente la liberalizzazione delle attività commerciali, nello spirito dei princìpi generali dell’ordinamento sia dell’Unione Europea che nazionale in tema di libertà di concorrenza, di stabilimento e di prestazione dei servizi.

In particolare, il comma 1 intende portare a conclusione la liberalizzazione dei giorni e orari di apertura degli esercizi commerciali, completando l’articolata vicenda che, a partire dal 1998 e da ultimo ancora nel 2011, ha avviato tale liberalizzazione, ed elimina qualsiasi vincolo su questo specifico aspetto.

Si ricorda che fino al 2011 l’apertura degli esercizi commerciali è stata soggetta, in base alle norme legislative e alle disposizioni regionali e comunali, a limitazioni concernenti, in particolare, l’obbligo di chiusura domenicale e festiva e l’obbligo di rispettare determinati orari di apertura e chiusura. In tal senso, criteri generali erano stabiliti dall’art. 11 del D.Lgs. 114/1998 recante la disciplina generale per il settore del commercio. Per altro, lo stesso D.Lgs. 114/1998 già prevedeva, all’art. 12, per i comuni ad economia turistica e per le città d’arte, deroghe particolari agli obblighi di chiusura domenicale e festiva e in materia di orari di apertura. Il superamento di tali limiti è stato consolidato dal D.L. 98/2011 (art. 35, comma 6): novellando l’art 3 del D.L. 223/2006[312], che aveva cancellato una serie di limiti e vincoli preesistenti all’esercizio del commercio, il D.L. 98/2011 vi ha aggiunto una lettera d-bis), in base alla quale l’obbligo di chiusura domenicale e festiva e il rispetto di particolari orari di apertura e chiusura è venuto senz’altro e definitivamente meno, a due condizioni. La prima era il carattere sperimentale di questa liberalizzazione; la seconda era invece l’applicabilità della liberalizzazione soltanto nei comuni inclusi negli elenchi delle località turistiche e delle città d’arte. Poco dopo, il D.L. 138/2011 ha tentato (art. 6, comma 4) di eliminare la seconda di queste condizioni, estendendo la liberalizzazione dei giorni/orari di apertura a qualsiasi comune. Ma la legge di conversione 148/2011 ha soppresso tale estensione, ripristinando il regime del D.L. 98/2011.

Il comma 1 dell’art. 31 del D.L. in esame fa venir meno entrambe le condizioni poste dal D.L. 98/2011 alla liberalizzazione dei giorni/orari di apertura degli esercizi commerciali. La liberalizzazione diviene infatti permanente e non più solo sperimentale. Inoltre, essa vale in tutto il territorio nazionale, e non solo nelle località turistiche e d’arte.

Sotto il profilo di costituzionalità, vale la pena di segnalare che secondo la giurisprudenza costituzionale, a seguito della modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, la materia “commercio” rientra nella competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost (ordinanza 199/2006), e che la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia «commercio» di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 350 del 2008). Tuttavia la stessa Corte (sentenza 288/2010) ha anche rilevato che pertengono alla competenza legislativa esclusiva dello Stato le regole in materia di commercio direttamente afferenti alla tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale e volte a garantire condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché ad assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale. Nel 2011, con la novella all’art. 3 del D.L. 223/2006 apportata dal D.L. 98/2011, la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva degli esercizi commerciali è entrata a far parte degli ambiti normativi direttamente afferenti alla tutela della concorrenza e, quindi, appare rientrante nell’ambito di materia di competenza esclusiva della legislazione statale.

 

Il comma 2, modificato nel corso dell’esame in sede referente, tende a far superare le altre restrizioni e limiti che tutt’ora caratterizzano l’apertura di esercizi commerciali, in base a norme di carattere ora nazionale, ora regionale e locale. A tal fine, esso richiama il principio generale – presente tanto nell'ordinamento dell'Unione Europea che in quello italiano in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi – per il quale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali non può essere sottoposta a contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, fatta eccezione solo per quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Conseguentemente, la norma assegna a regioni ed enti locali un termine di 90 giorni per adeguare i propri ordinamenti, eliminando eventuali contingenti, limiti e vincoli di altra natura presenti nelle rispettive regolamentazioni sulla apertura di esercizi commerciali.


 

Articolo 32
(Farmacie)

 

 

La norma in esame modificata in sede referente prevede:

§      la vendita dei farmaci di classe C, senza obbligo di ricetta medica e non rimborsabili dal SSN, anche presso le parafarmacie e i corner della grande distribuzione organizzata[313], nei comuni con popolazione superiore a 12.500 abitanti (commi 1 e 2);

§      il Ministero della salute sentita l’Agenzia italiana del farmaco individua entro 120 giorni un elenco aggiornabile dei farmaci di fascia C per i quali permane l’obbligo di ricetta medica e quindi non sarà consentita la vendita negli esercizi commerciali (comma 1-bis);

§      l’applicazione della normativa, prevista nei casi di pratica commerciale sleale, alle aziende farmaceutiche (produttrici o distributrici di farmaci), che, nell’esercizio della loro attività, discriminano tra farmacie e parafarmacie (comma 3);

§      la libertà di effettuare sconti su medicinali di cui ai commi 1 e 1-bis venduti in farmacia, parafarmacie e corner della grande distribuzione (comma 4).

 

Nel particolare, il comma 1 permette agli esercizi commerciali, in possesso di determinati requisiti, ubicati nei comuni con popolazione superiore a 12.500 abitanti, e fuori dalle aree rurali, individuate dai Piani Sanitari Regionali, la possibilità, esperita la procedura di cui al comma 2, di vendere anche i medicinali senza obbligo di prescrizione medica e a totale carico del cittadino[314]. Sono esclusi i medicinali iniettabili e contenenti sostanze psicotrope[315], quelli che prevedono una ricetta non ripetibile (da rinnovarsi di volta in volta)[316], nonché i farmaci del sistema endocrino e somministrabili per via parentale.

Il comma 1-bis prevede che il Ministero della salute, sentita l’Agenzia italiana del farmaco, individua entro 120 giorni dalla data di conversione in legge del decreto in esame, un elenco aggiornabile periodicamente dei farmaci di fascia C per i quali permane l’obbligo di ricetta medica e quindi non sarà consentita la vendita negli esercizi commerciali di cui al comma 1.

 

Si ricorda che a legislazione vigente[317] si consente già ora sia la vendita dei farmaci cosiddetti OTC (over the counter) o di automedicazione sia dei farmaci SOP (senza obbligo di prescrizione, compresi nella classe C), con libertà di sconto per entrambi le tipologie, sia presso le parafarmacie sia presso i punti della grande distribuzione, e nei comuni con popolazione inferiore o superiore ai 10.000 abitanti, a seconda della grandezza dell’esercizio commerciale previsto. La norma introdotta fa salire a 12.500 gli abitanti dei comuni in cui l’esercizio di vendita è consentito, restringendo conseguentemente l’attuale possibilità di esercitare la vendita dei suddetti farmaci di classe C.

 

Il comma 2 stabilisce che la vendita dei medicinali deve avvenire in un reparto delimitato rispetto all’area commerciale, in cui i farmaci sono accessibili solo al personale addetto.

 

Il comma 3 qualifica come pratiche commerciali sleali le condizioni contrattuali e le prassi commerciali adottate dalle imprese di produzione o di distribuzione dei farmaci che si risolvono in una ingiustificata discriminazione tra farmacie e parafarmacie quanto ai tempi, alle condizioni, alle quantità ed ai prezzi di fornitura.

Il comma 4 consente alle farmacie e ai suddetti esercizi commerciali di praticare liberamente sconti sui medicinali di cui ai precedenti commi 1 e 1-bis, in modo trasparente e chiaro, e per tutti gli acquirenti.

 

L'articolo 2 della legge 287/1990 considera Intese restrittive della libertà di concorrenza gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. Inoltre sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; impedire o limitare la produzione, gli sbocchi, o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi.


 

Articolo 33
(Soppressione di limitazioni all’esercizio
di attività professionali)

 

 

L’articolo 33 novella l’articolo 10 della legge di stabilità (legge n. 183 del 2011, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2012), che – intervenendo sul decreto-legge n. 138 del 2011 (c.d. manovra di agosto) – rimette ad un regolamento di delegificazione la disciplina della riforma degli ordinamenti professionali.

 

In particolare, la disposizione emendata nel corso dell’esame in sede referente –sostituisceil comma 2 dell’art. 10 della legge di stabilità, che dispone l’abrogazione di tutte le norme vigenti sugli ordinamenti professionali[318] a decorrere dall’entrata in vigore del regolamento di delegificazione.

A seguito della modifiche apportate, le norme abrogate a decorrere dall’entrata in vigore del regolamento saranno solo le norme sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi cui deve attenersi il regolamento medesimo.

Queste norme saranno inoltre comunque abrogate, anche in caso di mancata emanazione del regolamento, alla data del 13 agosto 2012. Il 13 agosto 2012 è il termine previsto per l’emanazione del regolamento; il termine ha peraltro carattere meramente ordinatorio: il regolamento potrà dunque essere emanato anche oltre tale scadenza.

 

La disposizione in esame prevede dunque l’abrogazione delle norme sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi dettati per il regolamento di delegificazione, rimettendo peraltro l’individuazione di tali norme all’interprete, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di certezza del diritto.

Occorre inoltre valutare se, in caso di mancata emanazione del regolamento di riforma al 13 agosto 2012, la disposizione non possa determinare, in talune ipotesi, una lacuna normativa, non potendosi ritenere direttamente applicabili le norme di principio (si pensi, a titolo esemplificativo, alle norme che prevedono tirocini superiori ai 18 mesi: esse sarebbero abrogate perché in contrasto con il principio di cui all’art. 3, comma 5, lett. c), D.L. 138/2011 (su cui v. lett. b)); a seguito dell’abrogazione risulterebbe peraltro indeterminata la durata del tirocinio).

 

E’ altresì previsto che il Governo provveda a raccogliere, entro il 31 dicembre 2012, le disposizioni aventi forza di legge (deve intendersi: relative agli ordinamenti professionali) non abrogate perché non in contrasto con i principi della delegificazione, in un testo unico di carattere compilativo, da emanarsi ai sensi dell’art. 17-bis L. 400/88.

 

Il citato art. 17-bis prevede che il Governo provvede, mediante testi unici compilativi, a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge regolanti materie e settori omogenei, attenendosi ai seguenti criteri:

a)    puntuale individuazione del testo vigente delle norme;

b)    ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;

c)    coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa;

d)    ricognizione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore.

Lo schema di ciascun testo unico è deliberato dal Consiglio dei ministri, valutato il parere che il Consiglio di Stato deve esprimere entro quarantacinque giorni dalla richiesta. Ciascun testo unico è emanato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei ministri.

Il Governo può infine demandare la redazione degli schemi di testi unici al Consiglio di Stato.

 

A seguito dell’attuazione delle disposizioni dell’art. 3 D.L. 138/2011 (come modificate dalla legge di stabilità e dalla disposizione in esame), la nuova disciplina sugli ordinamenti professionali sarà dunque contenuta in due atti aventi diverso rango normativo: il regolamento, di rango secondario, disciplinerà gli aspetti toccati dai principi della delegificazione, il testo unico, con forza di legge, disciplinerà gli altri aspetti.

 

Il successivo comma dell’articolo 33 interviene su uno dei principi della delegificazione (art. 3, comma 5, lett. c), D.L. 138/2011) per stabilire che il tirocinio professionale non dovrà essere superiore a 18 mesi (attualmente la durata massima è fissata in 3 anni).

 

I commi 1, 2 e 12 dell’art. 10 della legge di stabilità novellano l’art. 3, comma 5, del D.L. n. 138 del 2011 prevedendo che, fatto salvo l’esame di Stato prescritto per l'abilitazione all'esercizio professionale dalla Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate[319], gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, nonché alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti.

La disposizione stabilisce quindi che gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (13 agosto 2011) attraverso un regolamento di delegificazione (decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400)[320], sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

§      la riforma degli ordinamenti professionali dovrà assicurare che l'accesso alla professione sia libero e che il suo esercizio sia fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, potrà essere consentita soltanto se motivata da ragioni di interesse pubblico e non dovrà produrre una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell’attività in forma societaria, sulla sede legale della società professionale (lettera a));

§      gli ordinamenti professionali riformati dovranno prevedere l'obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell’obbligo di formazione continua costituirà un illecito disciplinare e come tale sarà sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale che dovrà integrare tale previsione (lettera b));

§      la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione dovrà conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a tre anni e potrà essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Per le professioni sanitarie, ai fini della disciplina dell'attività di tirocinio, resta peraltro confermata la normativa vigente (lettera c));

§      il compenso spettante al professionista dovrà essere pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista resta comunque tenuto a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione del medesimo. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi si applicheranno le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia (lettera d);

§      a tutela del cliente, il professionista sarà tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista dovrà rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative potranno essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti (lettera e));

§      gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione a livello territoriale di organi (terzi), diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali saranno specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. Viene inoltre prevista l'incompatibilità della carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Per le professioni sanitarie resta confermata la normativa vigente (lettera f));

§      la riforma dovrà liberalizzare la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni[321]. Le informazioni fornite dovranno essere trasparenti, veritiere, corrette e non dovranno essere equivoche, ingannevoli, o denigratorie (lettera g)).

 

Si segnala infine che la Commissione Giustizia della Camera sta esaminando in sede referente due proposte di legge (AA.CC. 503 e 3581) in tema di riforma delle professioni regolamentate.

 

Si osserva che commi 1 e 2 dell’articolo 10 della legge di stabilità, nella parte in cui attribuiscono potestà regolamentare allo Stato in una materia di competenza concorrente quale quella delle ‘professioni’, devono essere valutati alla luce del riparto costituzionale di competenze tra Stato e Regioni. Nelle materie di competenza concorrente spetta infatti alla legislazione dello Stato la determinazione dei principi fondamentali, mentre la potestà regolamentare è riservata alle Regioni (art. 117, secondo e sesto comma, Cost.) (sulla inidoneità della fonte regolamentare a dettare i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente cfr. le sentenze della Corte Costituzionale n. 92/2011 e n. 200/2009).


 

Articolo 34
(Liberalizzazione delle attività economiche ed eliminazione dei controlli ex-ante)

 

 

L’articolo 34 tende a promuovere una sostanziale liberalizzazione delle attività economiche in generale. La Relazione tecnica al ddl di conversione precisa che la norma si intende riferita a tutte le tipologie di attività economica: imprenditoriali, commerciali, artigianali e autonome. Sono esclusi dalla norma di liberalizzazione dell’art. 34 le professioni - cui fa riferimento separatamente l’art. 33 del D.L. in esame - e i servizi specificati dal comma 8 dell’art. 34 in esame.

La struttura della norma è analoga a quella di altra adottata in passato per il più limitato settore del commercio (cfr. D.L. 223/2006, art 3). Infatti, come fece nel 2006 la norma sul commercio, oggi l’art. 34 del D.L. in esame richiama, ai commi 1 e 2, i presupposti e principi costituzionali e comunitari in forza dei quali il legislatore nazionale adotta una normativa di liberalizzazione delle attività economiche che s’impone anche sulla eventuale legislazione regionale esistente. Tali presupposti e principi sono costituiti dalla libertà di concorrenza in condizioni di pari opportunità e corretto e uniforme funzionamento del mercato, nonché dall’esigenza di garantire ai consumatori un livello minimo e uniforme di accesso ai beni e servizi sul territorio nazionale. Inoltre, come nel 2006 fece la norma sul commercio, oggi l’art. 34 del D.L. in esame elenca, nel comma 3, le tipologie di restrizione che, ove contenute in preesistenti normative di settore, sono da considerarsi abrogate.

Questa analogia di struttura assume rilievo ai fini della valutazione di eventuali profili di costituzionalità della norma in ordine al riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni. Questa struttura normativa, infatti, mira a rendere immediatamente percepibile la diretta connessione della abrogazione di determinate restrizioni alle attività economiche e professionali con i principi comunitari in tema di concorrenza e libertà delle attività economiche e, quindi, la sua vincolatività anche per le Regioni.

Le tipologie di restrizione eventualmente preesistenti e da considerare abrogate [322] riguardano, secondo l’elencazione data dal comma 3 della norma in esame:

§      il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area;

§      l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio di una attività economica[323];

§      il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;

§      la limitazione dell'esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;

§      la limitazione dell'esercizio di una attività economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore;

§      l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi.

§      l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attività svolta.

L’introduzione di assensi, autorizzazioni e controlli preventivi è ammessa dai commi 2 e 4 dell’art 34 del D.L. in esame, ma solo per “esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario”, nonché “nel rispetto del principio di proporzionalità”. Il comma 6 prevede inoltre che quando una normativa stabilisce la necessità di alcuni requisiti per l’esercizio di attività economiche, la loro comunicazione all’amministrazione competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione e l’attività può subito iniziare, salvo il successivo controllo amministrativo, da svolgere in un termine definito; restano salve le responsabilità civili e penali per i danni eventualmente arrecati a terzi nell’esercizio dell’attività stessa.

 

Il comma 5 introduce un parere obbligatorio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato su tutti i disegni di legge governativi e i regolamenti (intendesi: governativi e ministeriali) che introducono o restrizioni all’accesso e all’esercizio di attività economiche. Detto parere, di carattere preventivo e da rendere entro 30 giorni, avrà per oggetto il rispetto del principio di proporzionalità.

 

Coerentemente con la diretta discendenza delle misure di liberalizzazione descritte dai principi comunitari in tema di concorrenza e libertà di attività economica, il comma 7 prevede l’obbligo per le regioni di adeguare le rispettive legislazioni ai principi e regole descritti. In particolare, si impongono anche alle Regioni sia il principio per cui l’esercizio delle attività economiche può essere sottoposto a preventivi assenzi, autorizzazioni e controlli solo per esigenze imperative di interesse generale costituzionalmente rilevanti e comunque compatibili con l’ordinamento comunitario, sia l’obbligo di ammettere sempre in materia l’autocertificazione.

 

Infine il comma 8 precisa che la descritta disciplina di liberalizzazione non si applica:

§      alle le professioni, per le quali vale però l’art. 33 del D.L. in esame[324];

§      ad alcuni servizi finanziari e, per la precisione, a quelli definiti dall’art. 4 del 26 marzo 2010, n. 59;

§      ai servizi di comunicazione come definiti dall’art. 5 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59[325]

Durante l’esame presso le Commissioni V e VI, è stato approvato un emendamento che, integrando il comma 8, ha escluso dalla liberalizzazione anche il “trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea”. Va tuttavia segnalato che la tematica potrebbe forse rientrare, almeno per quanto attiene alla mobilità urbana collegata a stazioni, aeroporti e porti, tra gli interventi di “liberalizzazione ed efficiente regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture” della cui disciplina si occupa l’art. 37 del D.L. in esame, a sua volta modificato durante l’esame presso le Commissioni V e VI [326].

Si ricorda che l’articolo 4del decreto legislativo n. 59/2010 fa riferimento ai servizi finanziari, ivi inclusi i servizi bancari e nel settore del credito, i servizi assicurativi e di riassicurazione, il servizio pensionistico professionale o individuale, la negoziazione dei titoli, la gestione dei fondi, i servizi di pagamento e quelli di consulenza nel settore degli investimenti; l’articolo 5del decreto legislativo n. 59/2010 fa a propria volta riferimento ai servizi ed alle reti di comunicazione di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, che si riferisce, tra l’altro, al servizio di comunicazione elettronica ad uso privato, al servizio di comunicazione elettronica e al servizio telefonico accessibile al pubblico.


 

Articolo 35
(Potenziamento dell’Antitrust)

 

 

L’articolo 35 amplia i poteri dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato previsti all’articolo 21 della L. 287/1990. A tal fine introduce, nella legge 287/1990, un apposito art. 21-bis che conferisce all’Autorità anche la legittimazione ad agire nei confronti di regolamenti, atti amministrativi generali e provvedimenti emanati dalla P.A.

Si ricorda che l’articolo 21 della L. 287/1990 disciplina i poteri di segnalazione dell’Autorità nei confronti del Parlamento e del Governo. Più in particolare è previsto che l'Autorità individui i casi di particolare rilevanza nei quali norme di legge o di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale determinano distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale. L'Autorità segnala le situazioni distorsive derivanti da provvedimenti legislativi al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei Ministri e, negli altri casi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri competenti e agli enti locali e territoriali interessati. L'Autorità, ove ne ravvisi l'opportunità, esprime parere circa le iniziative necessarie per rimuovere o prevenire le distorsioni e può pubblicare le segnalazioni ed i pareri nei modi più congrui in relazione alla natura e all'importanza delle situazioni distorsive.

La norma in esame determina dunque una sostanziale integrazione delle attribuzioni dell’Autorità. Infatti, mentre le preesistente funzioni di monitoraggio/controllo e proposta, disciplinate dall’art. 21 della legge 287/1990, si esaurivano/arrestavano con la sottoposizione della questione all’organo istituzionale competente (Parlamento, Governo, ente territoriale), il nuovo potere attribuito all’Autorità dall’art. 21-bis è in grado di determinare una conseguenza diretta sull’atto censurato (regolamento, atto amministrativo generale, provvedimento), nel senso di poter attivare un procedimento giurisdizionale davanti al giudice amministrativo utilizzando anche tutti i conseguenti strumenti di tutela, incluse eventuali misure cautelari.

La legittimazione dell’Autorità ad agire in giudizio è prevista quando questi atti e provvedimenti violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. Preliminarmente, l’Autorità deve indirizzare all’Amministrazione che ha adottato l’atto un parere motivato entro 60 giorni; in tale atto sono indicate [327] le violazioni riscontrate. Se l’Amministrazione, nei 60 giorni successivi alla comunicazione del parere, non si conforma l’Autorità può adire il giudice amministrativo. Ai giudizi instaurati ai sensi della disposizione in esame si applica la particolare disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, che concerne i riti abbreviati relativi a speciali controversie.

Il titolo V del libro IV del D.Lgs. 104/2010 è dedicato ai riti abbreviati relativi a speciali controversie. La prima parte del titolo riguarda il rito abbreviato comune per determinate materie ed è composto dal solo art. 119che tassativamente elenca le materie a cui si applicherà il rito speciale. I termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati dall’art. 119. La norma riprende il contenuto dell’art. 23-bis della legge TAR n. 1034 del 1971 introdotto dalla legge 205 del 2000, con le integrazioni che considerino i nuovi settori che il legislatore ha sottoposto alla disciplina processuale del rito abbreviato.

La seconda parte del titolo V (artt. 120-125) riguarda disposizioni in materia di controversie per affidamento di appalti pubblici ed assorbono le norme processuali del D.Lgs. 53/2010 di attuazione della direttiva 2007/66/CE (la cd. direttiva ricorsi) per il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in tema di aggiudicazione di appalti pubblici.


 

Articolo 36
(Tutela della concorrenza e partecipazioni personali incrociate
nei mercati del credito e finanziari)

 

 

Le disposizioni recate dall’articolo 36 fanno divieto ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e nonché ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti.

Il comma 2 reca una disposizione interpretativa, specificando che, ai fini dell’applicazione del divieto previsto al comma 1, si intendono concorrenti le imprese o i gruppi di imprese tra i quali non vi sono rapporti di controllo ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 287 del 1990 e che operano nei medesimi mercati del prodotto e geografici.

 

Il richiamato articolo 7 specifica che si ha controllo nei casi contemplati dall'articolo 2359[328] del codice civile ed inoltre in presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un'influenza determinante sulle attività di un'impresa, anche attraverso:

a)    diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un'impresa;

b)    diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un'influenza determinante sulla composizione, sulle, deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un'impresa.

Il controllo è acquisito dalla persona o dalla impresa o dal gruppo di persone o di imprese:

a)    che siano titolari dei diritti o beneficiari dei contratti o soggetti degli altri rapporti giuridici suddetti;

b)    che, pur non essendo titolari di tali diritti o beneficiari di tali contratti o soggetti di tali rapporti giuridici, abbiano il potere di esercitare i diritti che ne derivano.

 

Nel corso dell’esame in sede referente le Commissioni riunite hanno introdotto due ulteriori commi che definiscono la tempistica per i casi di incompatibilità.

In particolare il comma 2-bis prevede che nell’ipotesi prevista dal comma 1, i titolari di cariche incompatibili possono optare entro 90 giorni dalla nomina. Decorso inutilmente tale termine, decadono da entrambe le cariche e la decadenza è dichiarata dagli organi competenti degli organismi interessati nei 30 giorni successivi alla scadenza del termine o alla conoscenza dell’inosservanza del divieto. Viene previsto che in caso di inerzia da parte degli organi competenti, la decadenza è dichiarata dall’Autorità di vigilanza di settore competente.

Il comma 2-ter reca la disciplina in sede di prima applicazione, fissando il termine per esercitare l’opzione previsto dal comma 2-bis, è in 120 giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 

Si segnala che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha effettuato nel 2008 una indagine conoscitiva su “La corporate governance di banche e compagnie di assicurazioni”, analizzato i rapporti tra concorrenza e corporate governance nel settore finanziario, attraverso la ricostruzione di un quadro aggiornato degli assetti di governo societario di banche, compagnie assicurative e società di gestione del risparmio, quotate e non quotate in Italia.

 

Si ricorda che nel modello di governance tradizionale, gli organi sociali delle s.p.a. sono tre: l’assemblea dei soci, gli amministratori, che possono essere sia organo individuale (ad esempio, l’amministratore unico) che organo collegiale, e il collegio sindacale. Nel modello di governance dualistico sono invece presenti l’assemblea dei soci, il consiglio di sorveglianza e i consiglio di gestione.

Va ricordato peraltro che in data 4 marzo 2008 la Banca d’Italia ha emanato Le disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche”.

Nella relazione conclusiva l’Autorità sottolinea come “con riferimento ai legami personali, l’analisi svolta indica come l’80% dei gruppi esaminati presentino all’interno dei propri organismi di governance soggetti con incarichi nella governance di gruppi concorrenti. Tali società comprendono i principali gruppi bancari ed assicurativi italiani, rappresentando il 96% circa dell’attivo totale del campione. L’indagine sottolinea come solo poche società hanno adottato nei propri statuti regole chiare nello stabilire divieti alla presenza nei propri organi di governance di membri che siano contestualmente presenti in organi di governance di società concorrenti e che prevedano meccanismi efficaci, tali da evitare l’insorgere del fenomeno, sia al momento della nomina (ad esempio, in sede di formazione delle liste), sia in corso di mandato (ad esempio, con appropriate cause di decadenza). E’ evidente, tuttavia, che la prassi statutaria, anche laddove effettivamente orientata alla best practice in materia, di per sé non è sufficiente se non è accompagnata da una reale percezione delle implicazioni negative dei cumuli di incarichi tra concorrenti.”

Nel corso dell’indagine “l’Autorità si è già soffermata più volte, nell’ambito della valutazione di importanti concentrazioni bancarie, sulle possibili interrelazioni tra corporate governance e concorrenza; in particolare, l’Autorità ha rilevato come le varie forme di legami esistenti tra i principali operatori del settore possano contribuire ad allentare le dinamiche competitive all’interno del mercato. Ci si riferisce in particolare ai fenomeni di interlocking directorates e all’assunzione di partecipazioni in società concorrenti, che, in talune circostanze, può dare luogo alla partecipazione a patti di sindacato di voto o di blocco, relativi al capitale sociale di propri competitors”.

Quanto agli individui con posizioni di interlocking directorates, l’Autorità evidenzia che 325 dei 2876 incarichi svolti negli organi di governance dei gruppi/imprese analizzate sono ricoperti da individui presenti anche nella governance di imprese concorrenti. Di questi 325 incarichi, 150 sono svolti nelle società quotate e 175 in quelle non quotate.


 

Articolo 36-bis
(Ulteriori disposizioni in materia di tutela della concorrenza nel settore del credito)

 

 

L’articolo 36-bis,inserito nel corso dell’esame in sede referente, è volto a qualificare come pratica commerciale scorretta il comportamento di banche, istituti di credito e intermediari finanziari i quali, ai fini di stipula di un contratto di mutuo, obblighino i clienti a sottoscrivere una polizza assicurativa erogata dal medesimo soggetto col quale il mutuo è stipulato.

A tal fine è inserito un comma 3-bis all’articolo 21 del codice del consumo, di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Tale articolo disciplina, all’interno della sezione dedicata alle pratiche commerciali scorrette, le cd. “pratiche ingannevoli” ex lege.

 

In particolare, è definita scorretta la pratica commerciale contraria alla diligenza professionale, falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori (articolo 20, comma 2, del Codice del consumo). Esse sono esplicitamente vietate dalla legge (articolo 20, comma 1 del Codice).

Il codice del consumo distingue due tipi di pratiche commerciali scorrette: da un lato, vi sono le “pratiche ingannevoli” (articolo 21 e seguenti) che possono consistere in “azioni ingannevoli” o “omissioni ingannevoli”. Azioni od omissioni sono considerate ingannevoli nella misura in cui inducono o sono idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere decisioni che altrimenti non avrebbe preso. Dall’altro lato, vi sono le “pratiche aggressive” (articolo 24), che inducono o sono idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere decisioni di natura commerciale che diversamente non avrebbe assunto, mediante molestie, coercizione o altre forme di indebito condizionamento. La disciplina del codice del consumo, inoltre, individua specificamente una serie di pratiche ingannevoli e di pratiche aggressive che sono considerate tali di per sé, senza il bisogno di dimostrare la loro idoneità a falsare le scelte del consumatore.

Si ricorda in merito che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato , in base all’articolo 27 del Codice del consumo può, per le pratiche commerciali scorrette, avviare i procedimenti ex officio. Essa (articolo 27, comma 2), è dotata di poteri investigativi, che permettono di accedere a qualsiasi documento pertinente, di richiedere a chiunque informazioni e documenti pertinenti con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non veritieri, di effettuare ispezioni, di avvalersi della Guardia di finanza, di disporre perizie e analisi economiche. E’ possibile sospendere l’applicazione delle pratiche scorrette, in caso di particolare urgenza (articolo 27, comma 3)

Una volta accertata la violazione, l’Autorità ne inibisce la continuazione e irroga all’impresa una sanzione pecuniaria che va da 5.000 a 500.000 euro (articolo 27, comma 7); in caso di inottemperanza ai provvedimenti dell’Autorità la sanzione va dai 10.000 ai 150.000 euro (comma 12). L’Autorità può inoltre disporre la pubblicazione di dichiarazioni rettificative a spese dell’impresa responsabile (comma 8).

 

In merito si ricorda che l’ISVAP ha emanato il Provvedimento 2946 del 6 dicembre 2011[329], recante una nuova disciplina delle polizze legate ai mutui. In particolare, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private introduce norme volte a stabilire che gli intermediari assicurativi, ivi incluse le banche e altri intermediari finanziari, non possano ricoprire simultaneamente il ruolo di distributori di polizze e di beneficiari (o vincolatari) delle stesse, al fine di far cessare un conflitto d’interesse penalizzante per i consumatori.

La disposizione entrerà in vigore il 2 aprile 2012, in modo da offrire agli operatori un congruo periodo di adeguamento.

 

L’Istituto precisa che tale intervento regolamentare trae origine dalla rilevazione di prassi di mercato pregiudizievoli per i consumatori nell’offerta di polizze in cui gli intermediari assumono anche la veste di beneficiari (o vincolatari), in un mercato - quello delle polizze connesse a mutui e prestiti da parte di banche e intermediari finanziari - che ha raccolto 2,4 miliardi di euro nel 2010.

Già nel 2009 l’ISVAP aveva effettuato una prima indagine sulla distribuzione delle polizze assicurative abbinate a mutui e prestiti personali, rilevando che:

1)       le polizze abbinate a mutui e prestiti, sebbene non obbligatorie, sono di fatto imposte dalla banca e dagli intermediari finanziari al cliente quale condizione per accedere al mutuo o al prestito;

2)       le polizze sono vendute quasi esclusivamente in forma di premio unico, da pagare anticipatamente all’atto dell’accensione del mutuo o prestito, spesso con aggiunta del premio all’importo finanziato;

3)       la banca (o l’intermediario finanziario) richiede al cliente di essere designata come beneficiaria o vincolataria delle prestazioni offerte dalla polizza allo scopo quasi esclusivo di soddisfare propri interessi (protezione della posizione creditoria, riduzione del capitale di vigilanza, immediatezza della riscossione in caso di sinistro);

4)       la banca (o l’intermediario finanziario) ottiene il soddisfacimento di tali interessi facendo gravare il costo della polizza sul cliente e richiedendo l’applicazione di provvigioni esorbitanti;

5)       a causa di tali politiche di prezzo, le polizze in abbinamento a mutui o prestiti presentano aliquote provvigionali medie più elevate (44% con punte del 79%) rispetto a quelle distribuite dagli agenti (20%).

Ad esito dell’indagine l’Autorità, dopo aver sollecitato, senza esiti significativi, le principali associazioni di categoria ad intervenire sui propri aderenti allo scopo di creare le condizioni per introdurre maggiore concorrenza e ridurre i livelli provvigionali, era intervenuta con un primo Regolamento (n. 35), poi parzialmente annullato dal TAR del Lazio per vizi procedurali.

Nell’ambito della seconda pubblica consultazione, l’ISVAP nell’aprile 2011 ha effettuato una nuova indagine conoscitiva sulle polizze abbinate a mutui e finanziamenti che non ha evidenziato modifiche nelle pratiche di vendita, continuandosi a registrare l’applicazione di livelli provvigionali molto elevati, con punte dell’80% dei premi.

 

Il provvedimento ISVAP, nel dettaglio, inserisce il comma 1-bis all’articolo 48 del regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006[330], recante la disciplina i conflitti di interesse. Si rammenta al riguardo che la violazione delle norme del regolamento n. 5, ai sensi dell’articolo 62 del provvedimento medesimo (comma 1) implica l’applicazione di sanzioni di natura disciplinare, ai sensi del codice delle assicurazioni private e delle disposizioni attuative.

In particolare, la violazione delle norme sui conflitti di interesse (di cui al citato articolo 48) comporta la sanzione della censura (articolo 62, comma 2, lettera b), n. 7) del regolamento intermediari).


 

Articolo 37
(Liberalizzazione del settore dei trasporti)

 

 

L’articolo 37, al fine di realizzare una compiuta liberalizzazione del sistema dei trasporti, prevede l’attribuzione delle relative funzioni ad una delle Autorità indipendenti esistenti.

In particolare, il comma 1 prevede che il Governo adotti, mediante regolamenti di delegificazione, ai sensi dell’art. dell'art. 17, comma 2, della legge n. 400/1988, disposizioni volte a realizzare una compiuta liberalizzazione e un’efficiente regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture.

La norma, cosìmodificatanel corso dell’esame in sede referente presso le Commissioni V e VI, nella formulazione originaria non conteneva riferimenti alla regolazione né alle modalità di accesso alle infrastrutture.

I regolamenti dovranno essere emanati entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

 

Si ricorda che l’art. 17, comma 2, della legge n. 400/1988, dispone che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

Il comma 2 reca le norme generali cui il Governo deve attenersi nella elaborazione dei regolamenti:

la lettera a) prevede che venga individuata l’Autorità indipendente che svolge competenze assimilabili a quelle successivamente indicate dalla lettera b);

la lettera b) prevede che siano attribuite alla suddetta Autorità le seguenti funzioni:

§      garantire condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture e alle reti ferroviarie, aeroportuali e portuali, e alla mobilità urbana collegata a stazioni aeroporti e porti. L’estensione alla mobilità urbana è stata introdotta nel corso dell’esame in sede referente presso le commissioni V e VI;

§      definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concorrenza effettivamente esistenti nei singoli mercati, i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni e dei pedaggi, tenendo conto dell'esigenza di assicurare l'orientamento ai costi e l'equilibrio economico delle imprese regolate, alla luce degli oneri di servizio pubblico imposti e delle eventuali sovvenzioni pubbliche concesse;

§      stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto connotati da oneri di servizio pubblico o sovvenzionati;

§      definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare.

 

Il comma 3 individua i compiti che, nell'esercizio delle competenze conferite dal comma 2, l’Autorità, individuata secondo i predetti criteri, è chiamata a svolgere.

In particolare, l’Autorità

a)  può sollecitare e coadiuvare le amministrazioni pubbliche competenti all'individuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi più efficienti per finanziarli, mediante l'adozione di pareri che può rendere pubblici;

b)  determina i criteri per la redazione della contabilità delle imprese regolate e può imporre, se necessario per garantire la concorrenza, la separazione contabile e societaria delle imprese integrate;

c)  propone all'amministrazione competente la sospensione, la decadenza o la revoca degli atti di concessione, delle convenzioni, dei contratti di servizio pubblico, dei contratti di programma e di ogni altro atto assimilabile comunque denominato, qualora sussistano le condizioni previste dall'ordinamento;

d)  richiede a chi ne è in possesso le informazioni e l'esibizione dei documenti necessari per l'esercizio delle sue funzioni, e raccoglie da qualunque soggetto informato dichiarazioni, da verbalizzare se rese oralmente;

e)  svolgere ispezioni, ed effettuare controlli di documenti aziendali presso i soggetti sottoposti alla regolazione, ove vi siano sospetti di possibili violazioni degli atti di regolazione adottati;

f)   ordinare la cessazione delle condotte in contrasto con gli atti di regolazione, disponendo le misure di ripristino. In circostanze straordinarie, al fine di salvaguardare la concorrenza e gli interessi degli utenti, rispetto al rischio di danno grave e irreparabile, l’Autorità può adottare provvedimenti temporanei di natura cautelare;

g)  valutare reclami e istanze degli utenti in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti sottoposti a regolazione;

h)  favorire l’istituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione e la soluzione delle controversie tra esercenti e utenti;

i)   irrogare una sanzione amministrativa fino al 10 per cento del fatturato all’impresa interessata, nei casi di inosservanza dei criteri per la formazione di tariffe, canoni, pedaggi, diritti e prezzi sottoposti al controllo amministrativo, di inosservanza dei criteri per la separazione contabile dei costi e dei ricavi relativi alle attività di servizio pubblico, e di violazione della disciplina relativa all’accesso alle reti e alle infrastrutture ovvero delle condizioni imposte dall’Autorità, o di inottemperanza alle misure adottate;

l)   applicare una sanzione amministrativa pecuniaria fino all1 per cento del fatturato dell’impresa interessata qualora: i destinatari di una richiesta dell’Autorità forniscano informazioni inesatte o incomplete o non forniscano le informazioni nei termini stabiliti; i destinatari di un’ispezione rifiutino di fornire o forniscano in modo incompleto i documenti aziendali, ovvero rifiutino di fornire o forniscano in modo inesatto o incompleto i chiarimenti richiesti;

m)     applicare una sanzione fino al 10 per cento del fatturato all’impresa che non ottemperi agli impegni di cui alla lettera f).

 

Il comma 4 stabilisce che restano ferme le competenze – diverse da quelle disciplinate dall’articolo in esame – attribuite alle amministrazioni pubbliche nei settori in oggetto; in particolare, quelle in materia di vigilanza, controllo e sanzione nell’ambito dei rapporti con le imprese di trasporto e i gestori delle infrastrutture, in materia di sicurezza e standard tecnici, in materia di definizione degli ambiti del servizio pubblico, di tutela sociale, nonché di promozione degli investimenti.

Restano ferme anche le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di cui alla legge n. 287/1990, e quelle dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 163/2006, nonché quelle dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, di cui all’art. 36 del decreto legge n. 98/2011, convertito con legge n. 111/2011.

 

Ai sensi del comma 5, l’Autorità rende pubblici i provvedimenti adottati e riferisce ogni anno alle Camere sullo stato di attuazione della disciplina relativa al processo di liberalizzazione.

ll secondo periodo del comma dispone che la regolazione apportata ai sensi dell’articolo in esame resta efficace fino a quando venga sostituita dalla regolazione posta dalle amministrazioni pubbliche cui saranno affidate le competenze previste dallo stesso articolo. La norma, che non appare formulata in modo chiaro, sembra quindi configurare un’efficacia temporanea della disciplina regolatoria dettata secondo le nuove disposizioni, in quanto destinata ad essere sostituita da una regolazione adottata successivamente dalle amministrazioni pubbliche competenti.

Il comma 6 reca la norma di copertura finanziaria, prevedendo che alle attività previste dal comma 3 si provvede:

§      nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente per l’Autorità individuata ai sensi del comma 2;

§      mediante un contributo - determinato dall’Autorità e sottoposto all’approvazione del Presidente del Consiglio, di concerto con il Ministero dell’economia – posto a carico dei gestori delle infrastrutture e dei servizi oggetto di regolazione, in misura non superiore all’1 per mille del fatturato relativo all’ultimo esercizio. Sull’atto proposto dall’Autorità possono essere presentati rilievi, cui l’Autorità stessa è tenuta a conformarsi.

Per quanto riguarda infine le risorse umane, il comma in esame prevede che l’Autorità provveda all’esercizio delle proprie attività con le risorse disponibili a legislazione vigente.

 

Si osserva che l’articolo in esame, nel demandare ai regolamenti di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 400/1988, la disciplina delle competenze sulla regolazione nel settore dei trasporti, produce un effetto di delegificazione in tale materia, con particolare riguardo alle attribuzioni dell’Autorità indipendente individuata ai sensi del comma 2; l’articolo non reca peraltro l’indicazione delle norme vigenti destinate ad essere abrogate, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari, come previsto dal citato art. 17, comma 2, della legge n. 400/1988.

 

L’organismo di regolazione nazionale italiano del settore ferroviario, previsto dall’articolo 30 della direttiva 2001/14/CE, è l’Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari (URSF), disciplinato dall’articolo 37 del D.Lgs. n. 188/2003. L’URSF opera nell’ambito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed è posto alle dirette dipendenze del Ministro. L’URSF è pienamente indipendente sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dall'organismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso all'infrastruttura, dall'organismo preposto all'assegnazione della capacità e dai richiedenti l’accesso alle infrastrutture. È inoltre funzionalmente indipendente da qualsiasi autorità competente preposta all'aggiudicazione di un contratto di servizio pubblico. L’URSF vigila sulla concorrenza nei mercati del trasporto ferroviario, con particolare riferimento all’attività del gestore dell’infrastruttura, e provvede alla risoluzione del relativo contenzioso. Svolge inoltre attività di supporto al Ministro per la definizione delle linee guida per la regolazione del settore e per lo sviluppo della concorrenza.

In relazione ai profili di compatibilità di questo organismo con la normativa comunitaria, è stata avviata una procedura di infrazione da parte della Commissione europea (n. 2008/2097), nella quale si contesta “la non corretta trasposizione dell’articolo 30 della direttiva 2001/14/CE in base al quale l’organismo di regolamentazione è indipendente, sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dai gestori dell’infrastruttura, dagli organismi preposti alla determinazione dei diritti e da quelli preposti all’assegnazione nonché dai richiedenti”.

Anche al fine di superare i rilievi formulati dalla Commissione europea, l’art. 21 del decreto legge n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011, ha modificato i criteri di nomina del soggetto preposto all’Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari, che secondo l’art. 37 del D.Lgs. n. 188/2003 era individuato in un dirigente di livello dirigenziale generale, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La nuova disposizione prevede che il soggetto preposto all’Ufficio venga scelto tra persone dotate di indiscusse moralità e indipendenza, alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore dei servizi ferroviari, e nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. La proposta di nomina è preventivamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari, le quali si esprimono entro 20 giorni dalla richiesta e possono procedere all’audizione della persona designata. Il soggetto preposto dura in carica tre anni e può essere confermato una sola volta. La carica è incompatibile con incarichi politici elettivi. Non può essere nominato chi è portatore di interessi, di qualunque natura, in conflitto con le funzioni dell’ufficio.

Nel settore del trasporto aereo, l’organismo cui sono attribuite funzioni di regolazione è l’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC), istituito con D.Lgs. n. 250/1997, un ente pubblico economico dotato di autonomia regolamentare, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e finanziaria, posto sotto la vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. All’ENAC sono attribuite funzioni in materia di: regolamentazione tecnica ed attività ispettiva, sanzionatoria, di certificazione, di autorizzazione, di coordinamento e di controllo; razionalizzazione e modifica delle procedure attinenti ai servizi aeroportuali; istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione; definizione e controllo dei parametri di qualità dei servizi aeroportuali e di trasporto aereo; regolamentazione, esame e valutazione dei piani regolatori aeroportuali, dei programmi di intervento e dei piani di investimento aeroportuale, Il presidente è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia. Rimane in carica cinque anni ed è rinnovabile per due mandati consecutivi dopo il primo.

Nel settore del trasporto marittimo, nel quale non è previsto un apposito organismo di regolazione, rilevano, con riferimento al rispetto dei principi di concorrenza e di tutela degli utenti, le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Alle Autorità portuali, istituite dalla legge n. 84/1994, e che hanno sede nei maggiori porti italiani, sono attribuiti compiti di indirizzo, programmazione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti, nonché delle attività relative a servizi di interesse generale per gli utenti portuali.

Per quanto riguarda il settore stradale e autostradale, l’articolo 36 del decreto legge n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011, ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che esercita potere di indirizzo, di vigilanza e di controllo. All’Agenzia sono attribuite funzioni in materia di proposta di programmazione della costruzione di nuove strade statali, della costruzione di nuove autostrade, in concessione ovvero in affidamento diretto ad ANAS S.p.a., l’affidamento diretto ad ANAS della concessione di gestione di autostrade per le quali la concessione sia in scadenza ovvero revocata, e la proposta in ordine alla regolazione e alle variazioni tariffarie per le concessioni autostradali. L’Agenzia svolge altresì funzioni di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali e si avvale - nell’espletamento delle proprie funzioni concernenti le infrastrutture autostradali, assentite o da assentire in concessione, di rilevanza regionale - delle società miste regionali Autostrade del Lazio S.p.A., Autostrade del Molise S.p.A., Concessioni Autostradali Lombarde S.p.A. e Concessioni Autostradali Piemontesi S.p.A.

 

Si ricorda che presso la IX Commissione trasporti della Camera è in corso l’esame di due proposte di legge (C 1057 e C 4337) finalizzate ad istituire un'Autorità per i servizi e l'uso delle infrastrutture di trasporto. Il 7 luglio 2011 è stato nominato un comitato ristretto, che si è riunito, da ultimo, il 19 ottobre 2011.


 

Articolo 38
(Misure in materia di politica industriale)

 

 

L’articolo 38 interviene sulle norme della legge finanziaria per il 2005 (legge, n. 311/2004) riguardanti il Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, estendendone l’ambito di operatività ai progetti di innovazione industriale (PII).

Si ricorda che il comma 354 dell’articolo 1 della citata legge finanziaria istituisce, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.A., un fondo rotativo denominato «Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca», finalizzato alla concessione alle imprese di finanziamenti agevolati che assumono la forma dell'anticipazione, rimborsabile con un piano di rientro pluriennale. Con la delibera del CIPE n. 76/2005 sono state fissate le modalità di funzionamento del citato fondo. Secondo il successivo comma 355, il fondo è ripartito mediante apposite delibere del CIPE, per essere destinato ad interventi agevolativi alle imprese, individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente e per i quali sussiste apposito stanziamento di bilancio. Ai fini dell'individuazione degli interventi ammessi, la medesima norma elenca i progetti di investimento da considerare prioritariamente.

 

Più nel dettaglio, la norma in esame novella il comma 355 dell’articolo 1 della citata legge finanziaria, apportandovi le seguenti modifiche:

a)      sono soppresse le parole “e per i quali sussiste apposito stanziamento di bilancio” e pertanto l’esistenza di uno specifico stanziamento per il progetto d’investimento individuato sembra non essere più condizione necessaria per l’ammissione al finanziamento;

b)      viene integrato l’elenco dei progetti da considerare prioritariamente con le iniziative e i programmi di ricerca e sviluppo realizzati nell’ambito dei progetti di innovazione industriale, ovvero progetti di intervento organico che, a partire dagli obiettivi tecnologico-produttivi individuati dal Governo, mirano a favorire lo sviluppo di una specifica tipologia di prodotti e servizi ad alto contenuto di innovazione in aree strategiche per lo sviluppo del Paese[331].

 

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 842, della legge n. 296/2006) dispone il finanziamento, a valere sul .Fondo per la competitività e lo sviluppo (istituito presso il Ministero dello sviluppo economico per sostenere l’innovazione industriale dal precedente comma 841), dei progetti di innovazione industriale individuati nell'ambito delle aree tecnologiche dell'efficienza energetica, della mobilità sostenibile, delle nuove tecnologie della vita, delle nuove tecnologie per il made in Italy e delle tecnologie innovative per i beni e le attività culturali e turistiche.


 

Articolo 39, commi 1-6
(Fondo di garanzia a favore delle PMI)

 

 

L’articolo 39 interviene in materia di Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese, rinviando per la disciplina di dettaglio a decreti di natura non regolamentare, adottati dal Ministro dello Sviluppo Economico (MiSE), d’intesa con il Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF).

 

Si ricorda che l’art. 2, comma 100, lett. a), della legge 23 dicembre 1996 n. 662[332] ha previsto la possibilità per il CIPE di destinare, nell’ambito delle risorse statali attribuite per la realizzazione di investimenti pubblici e rimaste in tutto o in parte inutilizzate, una somma fino ad un massimo di 400 miliardi di lire per il finanziamento di un fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale Spa allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese.

 

Si segnala che il decreto legge in esame, all’articolo 3, comma 4, ha provveduto ad incrementare la dotazione del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese di 400 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014.

Il comma 1 dell’articolo 39 in esame dispone che la garanzia diretta e la controgaranzia possono essere concesse a valere sulle disponibilità del citato Fondo di garanzia fino all’80 per cento dell’ammontare delle operazioni finanziarie a favore di piccole e medie imprese e consorzi ubicati in tutto il territorio nazionale, purché rientranti nei limiti previsti dalla vigente normativa comunitaria.

Con decreto di natura non regolamentare, adottato dal MiSE, d’intesa con il MEF, sono regolate la misura della copertura degli interventi di garanzia e controgaranzia e la misura della copertura massima delle perdite, in relazione alle tipologie di operazioni finanziarie, categorie di imprese beneficiarie finali, settori economici di appartenenza e aree geografiche.

 

Sempre con decreto di natura non regolamentare adottato dal MiSE, d’intesa con il MEF può essere definita, per ogni operazione finanziaria ammessa all’intervento del Fondo, la misura dell’accantonamento minimo, a titolo di coefficiente di rischio (comma 2).

 

Il comma 3 eleva a 2 milioni e cinquecentomila euro l’importo massimo garantito per singola impresa dal Fondo, per le tipologie di operazioni finanziarie, le categorie di imprese beneficiarie finali, le aree geografiche e i settori economici di appartenenza individuati con decreto di natura non regolamentare adottato dal MiSE, d’intesa con il MEF. Una quota non inferiore all’80 per cento delle disponibilità finanziarie del Fondo è riservata ad interventi non superiori a cinquecentomila euro d’importo massimo garantito per singola impresa.

Secondo il comma 4, la garanzia del Fondo può essere concessa, a titolo oneroso, su portafogli di finanziamenti erogati a piccole e medie imprese da banche e intermediari finanziari iscritti nell’albo degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del decreto legislativo n. 385/1993[333]. Con decreto di natura non regolamentare adottato dal MiSE, d’intesa con il MEF, sono definite le tipologie di operazioni ammissibili, le modalità di concessione, i criteri di selezione nonché l’ammontare massimo delle disponibilità finanziarie del Fondo da destinare alla copertura del rischio derivante dalla concessione di detta garanzia.

 

Ai sensi del comma 5, con decreto di natura non regolamentare adottato dal MiSE, d’intesa con il MEF, può essere modificata la misura delle commissioni per l’accesso alla garanzia dovute dai soggetti richiedenti, a pena di decadenza, in relazione alle diverse tipologie di intervento del Fondo.

 

Sempre con decreto di natura non regolamentare adottato dal MiSE, d’intesa con il MEF, sono definite le modalità e le condizioni per l’eventuale cessione a terzi e la controgaranzia degli impegni assunti a carico del Fondo, le cui rinvenienze confluiscono al medesimo Fondo (comma 6).


 

Articolo 39, comma 7
(Patrimonializzazione dei Confidi)

 

 

Il comma 7 reca disposizioni relative alla patrimonializzazione dei Confidi. In particolare la norma, anche in deroga alle disposizioni di legge che prevedono divieti o limiti di partecipazione, consente alle imprese non finanziarie di grandi dimensioni e agli enti pubblici e privati l’ingresso nel capitale sociale dei confidi e delle banche cooperative di garanzia collettiva dei fidi. Tale ingresso, tuttavia, deve essere minoritario: le piccole e medie imprese socie devono disporre di almeno la metà più uno dei voti esercitabili nell’assemblea; inoltre la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica deve essere riservata all’assemblea.


 

Articolo 39, comma 7-bis
(Microcredito per la micro-imprenditoria)

 

 

Il comma 7-bis, aggiunto durante l’esame in Commissione, è volto ad assicurare alla micro-imprenditoria l’accesso a garanzie su micro-crediti.

 

Nel dettaglio, la disposizione del comma in esame riserva una quota delle disponibilità finanziarie del Fondo di garanzia per le PMI (di cui all’art. 2, comma 100, lettera a) della legge 662/1996) ad interventi di garanzia a favore del micro-credito per la micro-imprenditoria.

L’apertura di questa linea di garanzia deve comunque avvenire nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica.

 

L’attività di erogazione di microcredito alla micro-imprenditoria è disciplinata dall’articolo 111 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) di cui al D.Lgs. 385/1993[334]

La norma qualifica come micro-credito alla micro-imprenditoria la concessione di finanziamenti finalizzati all'avvio o all'esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa e destinati a persone fisiche o società di persone o società cooperative. La concessione di questa tipologia di finanziamenti è riservata (in deroga all’art. 106, comma 1, del TUB) a soggetti iscritti in un apposito elenco tenuto dall'organismo creato ad hoc (di cui al successivo articolo 113 del TUB). Per i finanziamenti di micro-credito alla micro-imprenditoria sono prescritte le seguenti caratteristiche (comma 1 dell’articolo 111):

a)    siano di ammontare non superiore a euro 25.000,00 e non siano assistiti da garanzie reali;

b)    siano finalizzati all'avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all'inserimento nel mercato del lavoro;

c)    siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati.

Per essere iscritti nell’elenco dei soggetti abilitati al microcredito in esame, devono ricorrere le seguenti condizioni (articolo 111, comma 2, TUB)

a)    forma di società di capitali;

b)    specifico ammontare di capitale versato, non inferiore a quello stabilito dalle disposizioni di attuazione;

c)    requisiti di onorabilità dei soci di controllo o rilevanti, nonché di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali;

d)    oggetto sociale limitato alle sole attività di concessione di microcredito, come illustrate supra, nonché alle attività accessorie e strumentali;

e)    presentazione di un programma di attività.

I soggetti iscritti all’albo possono erogare, in via non prevalente, anche finanziamenti anche a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale, purché i finanziamenti concessi siano di importo massimo di euro 10.000, non siano assistiti da garanzie reali, siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare, abbiano lo scopo di consentire l'inclusione sociale e finanziaria del beneficiario e siano prestati a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato (comma 3 dell’articolo 111).

E’ prevista anche (comma 4 dell’articolo 111) in una sezione speciale dell’elenco dei soggetti abilitati al microcredito, nella quale sono iscritti i soggetti giuridici senza fini di lucro in possesso delle specifiche caratteristiche individuate dalle norme secondarie di attuazione; tali soggetti possono svolgere le attività di microcredito o di credito a soggetti in condizioni di vulnerabilità sociale (rispettivamente, commi 1 e 3 dell’articolo 111) a condizione che i finanziamenti siano concessi a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato. L'iscrizione nella sezione speciale è subordinata al possesso di requisiti di onorabilità e professionalità e alla presentazione di un programma di attività (comma 2, lettere c) ed e)).

Le disposizioni attuative sono demandate al Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, che tra l’altro disciplina i seguenti elementi disciplinando:

a)    i requisiti concernenti i beneficiari e le forme tecniche dei finanziamenti;

b)    i limiti oggettivi, riferiti al volume delle attività, alle condizioni economiche applicate e all'ammontare massimo dei singoli finanziamenti, anche modificando i limiti stabiliti dal comma 1e dal comma 3;

c)    le caratteristiche dei soggetti che beneficiano dell’iscrizione nella sezione speciale dell’albo;

d)    le informazioni da fornire alla clientela.

 

La norma rimanda poi a successivo decreto non regolamentare del Ministro dello Sviluppo economico, adottato dopo aver sentito l’Ente nazionale per il microcredito, la definizione di una serie di aspetti specifici quali:

§      la percentuale delle risorse del Fondo di garanzia per le PMI da destinare al microcredito;

§      le tipologie di operazioni ammissibili;

§      le modalità di concessione, i criteri di selezione, l’ammontare massimo delle disponibilità finanziarie del Fondo da destinare alla copertura del rischio derivante dalla concessione di questa garanzia.

Infine, all’Ente nazionale per il microcredito è demandato il compito di stipulare convenzioni con soggetti e istituzioni nazionali ed europee per accrescere le risorse del Fondo per le PMI da destinare al micro-credito per la micro-imprenditoria.


 

Articolo 40, comma 1
(Semplificazione registrazione clienti strutture ricettizie)

 

 

Il comma 1 è finalizzato alla semplificazione degli adempimenti relativi alla registrazione dei clienti nelle strutture ricettizie da parte dei gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive.

Viene modificato il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza[335], prevedendo quali uniche modalità di trasferimento alle questure territorialmente competenti, da parte dei gestori, delle generalità dei clienti, quella informatica o telematica, oppure il fax (quest’ultima modalità è stata aggiunta durante l’esame presso le Commissioni) secondo le procedure stabilite con decreto del Ministro dell’interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.


 

Articolo 40, comma 2
(Codice privacy)

 

 

Per finalità di semplificazione e di riduzione degli oneri amministrativi per le imprese, l’articolo 40, comma 2, modifica il cd. Codice della privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003), escludendo persone giuridiche, enti ed associazioni dalla tutela offerta dalla disciplina sul trattamento dei dati personali.

Viene dunque modificata la definizione di “dato personale”, che viene limitata a qualunque informazione relativa a persona fisica, escludendo invece le informazioni relative a persone giuridiche, enti ed associazioni (lettera a)).

Analogamente, la definizione di “interessato” è circoscritta alla persona fisica cui si riferiscono i dati (lettera b)).

Sono conseguentemente soppresse le ulteriori disposizioni del codice della privacy che riguardano specificamente la tutela di dati personali riferibili e persone giuridiche o enti.

 

In particolare:

§      è soppresso il comma 3-bis dell’art. 5, che esclude dall’applicazione del Codice i soli trattamenti di dati personali relativi a persone giuridiche, imprese, enti o associazioni ove effettuati nell’ambito di rapporti intercorrenti esclusivamente tra i medesimi soggetti per finalità amministrativo – contabili[336] (lettera c));

§      è soppresso l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 9, che detta le modalità del diritto di accesso ai dati personali ove l’interessato sia una persona giuridica, un impresa o un’associazione (lettera d));

§      è soppressa la lett. h) del comma 1 dell’art. 49, che consente il trasferimento all’estero di dati personali oggetto di trattamento, se diretto verso un Paese non appartenente alla UE, ove il trattamento concerna dati riguardanti persone giuridiche, enti o associazioni (lettera e)).

 

Non viene invece modificata la definizione di “abbonato”, che continua ad essere riferita sia alle persone fisiche che alle persone giuridiche, enti o associazioni che siano parte di un contratto con un fornitore di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico per la fornitura di tali servizi, o comunque destinatari di tali servizi tramite schede prepagate (art. 4, comma 1, lettera f), del codice della privacy).

Le persone giuridiche e gli enti continueranno pertanto a fruire della tutela prevista dal titolo X del codice della privacy per gli abbonati a servizi di comunicazione elettronica.

L’art. 121 del codice della privacy, che individua l’ambito di applicazione delle disposizioni relative ai servizi di comunicazione elettronica continua peraltro a fare riferimento al trattamento di “dati personali”, definizione non più riferibile a persone giuridiche ed enti.


 

Articolo 40, comma 3
(Permesso di soggiorno lavoratori stranieri)

 

 

Il comma 3 dell’articolo 40 interviene in materia di disciplina dell’immigrazione consentendo al lavoratore straniero lo svolgimento dell’attività lavorativa anche nelle more del rilascio (o del rinnovo) del permesso di soggiorno.

 

A tal fine, il comma in esame novella il testo unico dell’immigrazione (D.Lgs. 286/1998)[337] aggiungendo all’articolo 5 (rubricato “Permesso di soggiorno”) il comma 9-bis che prevede lo svolgimento dell’attività lavorativa del lavoratore straniero decorsi inutilmente i 20 giorni entro i quali, ai sensi del comma 9, deve essere rilasciato (o rinnovato o convertito) il permesso di soggiorno. La disposizione in esame si riferisce esclusivamente al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno, e pertanto, sembrerebbe non si applichi anche alla fattispecie della conversione del permesso di soggiorno (ad esempio da permesso per studio a permesso per lavoro).

L’attività lavorativa è consentita fino alla eventuale comunicazione dell’Autorità di pubblica sicurezza di diniego del permesso di soggiorno. La comunicazione deve essere motivata e deve essere inviata anche al datore di lavoro.

Lo svolgimento dell’attività lavorativa è, tuttavia, subordinata al verificarsi delle seguenti condizioni:

§      presentazione della richiesta di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro all’atto della stipula del contratto di soggiorno o presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di prima della sua scadenza o entro 60 giorni della scadenza stessa;

§      rilascio da parte del competente ufficio della ricevuta attestante la presentazione dell’istanza di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.

 

L’ingresso per motivi di lavoro nel territorio italiano è regolato con il sistema della quote annuali e la concessione del permesso di soggiorno è subordinato alla firma del contratto di soggiorno per lavoro tra lo stranero e il suo datore di lavoro. Il contratto è stipulato presso lo sportello unico per l’immigrazione territorialmente competente, nel quale è concentrata la gran parte delle competenze nella procedura dell’accesso al lavoro degli immigrati.

In ciascuna provincia è collocato uno sportello unico, ubicato presso la prefettura – ufficio territoriale del Governo. Esso è configurato quale organismo responsabile dell’interno procedimento relativo all’instaurazione del rapporto di lavoro, assommando le attività in precedenza svolte dalle prefetture, dalle direzioni provinciali dalle lavoro e dalle questure, in modo da semplificare le procedure.

Il compito principale degli sportelli unici è di ricevere la richiesta di nulla osta al lavoro da parte del datore di lavoro e di rilasciarlo previo esame e, soprattutto, dopo verifica dell’indisponibilità per quel posto di lavoro di un lavoratore italiano o comunitario. Il nulla osta è poi consegnato al datore di lavoro o, su sua richiesta, inviato direttamente all’autorità diplomatica del Paese del lavoratore ai fini del rilascio del visto di ingresso.

Successivamente, sempre presso lo sportello deve essere firmato il citato contratto di soggiorno per lavoro (art. 5-bis, comma 3, T.U.) che costituisce titolo per il rilascio del permesso di soggiorno. Il “contratto di soggiorno per lavoro subordinato”fra un datore di lavoro (italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia) e un cittadino extracomunitario deve contenere la garanzia – da parte del datore di lavoro – della disponibilità di un’adeguata sistemazione alloggiativa per il dipendente e l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.

La sottoscrizione del contratto di soggiorno costituisce requisito essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.


 

Articolo 40, comma 4
(Registro lavoratori)

 

 

In materia di semplificazione degli obblighi di tenuta ed annotazione del registro dei lavoratori, il comma 4 in esame modifica una disposizione concernente la tenuta del libro unico del lavoro, previsto all’articolo 39 del D.L. 112/2008[338], disponendo che la compilazione del libro debba avvenire entro la fine del mese successivo e non più entro il giorno 16 del mese successivo.

 

Al fine di introdurre alcune misure di semplificazione riguardanti gli adempimenti obbligatori di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro, con l’articolo 39 del D.L. n. 112/2008 è stato istituito il libro unico del lavoro, in sostituzione dei libri che il datore di lavoro doveva obbligatoriamente istituire ai sensi della normativa precedente (il libro matricola e il libro paga, e nel settore agricolo, il registro d’impresa).

Nel libro unico del lavoro istituito e tenuto da ogni datore di lavoro privato (con la sola esclusione del datore di lavoro domestico) sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Inoltre, per ciascun lavoratore devono essere indicati il nominativo, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.

Inoltre, deve essere annotata ogni dazione in danaro o in natura corrisposta o gestita dal datore di lavoro, indicando distintamente le somme erogate a titolo di premio o per lavoro straordinario. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze del lavoratore, da cui deve risultare, per ogni giornata, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore dipendente, nonché l’indicazione delle ore di lavoro straordinario, delle assenze dal lavoro, delle ferie e dei riposi.

I dati sopra indicati, devono essere riportati per ciascun mese di riferimento e, nella normativa previgente al decreto in esame, entro il 16 del mese successivo.

Un decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali disciplina le modalità e i tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro nonché del relativo regime transitorio[339].

La consegna in copia al lavoratore delle scritturazioni effettuate sul libro unico del lavoro comporta per il datore di lavoro l’adempimento degli obblighi di cui alla L. 4/1953[340], relativi alla consegna dei prospetti di paga.

Sono poi previste sanzioni per i casi di omissioni nella istituzione, tenuta ed esibizione nonché per le irregolarità nella tenuta del libro unico del lavoro

Infine è previsto per il datore di lavoro, anche artigiano, non soggetto a comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro, l’obbligo di denunciare l’impiego delle persone indicate, in via telematica o a mezzo fax, all’Istituto assicuratore nominativamente, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, indicando altresì il trattamento retributivo ove previsto.

Per quanto concerne il lavoro a domicilio, con le modifiche alla L. 877/1973[341], si è previsto per il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda l’obbligo di trascrivere nel libro unico del lavoro il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione, nonché le date e le ore di consegna e riconsegna del lavoro, la descrizione del lavoro eseguito e la specificazione della quantità e della qualità di esso, con le relative sanzioni per le irregolarità commesse dal datore di lavoro a domicilio.


 

Articolo 40, comma 5
(Bonifica siti inquinati e relativa realizzazione opere)

 

 

Il comma 5 dell'articolo in esame, al fine di semplificare gli adempimenti delle imprese in materia di bonifica dei siti inquinati, prevede le seguenti disposizioni:

§      il comma 7 dell'art. 242 del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente) viene integrato con l’aggiunta, dopo il primo periodo, di una disposizione secondo cui – nel caso di interventi di bonifica o di messa in sicurezza di cui al periodo precedente che presentino particolari complessità a causa della natura della contaminazione, degli interventi, delle dotazioni impiantistiche necessarie o dell'estensione dell'area interessata dagli interventi medesimi – è consentita l’articolazione del progetto per fasi progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive;

Si ricorda che il primo periodo del comma 7 citato prevede che, “qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile sottopone alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito”.

§      il comma 9 dell'art. 242 del D.Lgs. 152/2006 viene modificato al fine di estendere l’applicabilità della disposizione ivi recata e riguardante la messa in sicurezza operativa del sito, a tutti i siti inquinati e non solo a quelli con attività in esercizio.

Il testo previgente del citato comma 9 disponeva infatti che “La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati con attività in esercizio (le parole “attività in esercizio” vengono soppresse dalla norma in esame), garantisce una adeguata sicurezza sanitaria ed ambientale ed impedisce un'ulteriore propagazione dei contaminanti” e che “I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da accurati piani di monitoraggio dell'efficacia delle misure adottate ed indicano se all'atto della cessazione dell'attività si renderà necessario un intervento di bonifica o un intervento di messa in sicurezza permanente”.

Riguardo alla modifica in esame si riporta di seguito la definizione di messa in sicurezza operativa (MSO) recata dalla lettera n), del comma 1, dell’art. 240 del D.Lgs. 152/2006 sottolineando che con tale definizione si intende “l'insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell'attività. Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all'esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione della contaminazione all'interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l'efficacia delle soluzioni adottate”.

Alla luce di quanto precedentemente rilevato, appare opportuno valutare la portata della norma e la sua compatibilità con la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 152 del 2006 con specifico riferimento alla definizione di cui al comma 1, lett. n), dell’articolo 240.

§      al medesimo comma 9 dell’art. 242, viene aggiunto, infine, un periodo ai sensi del quale è consentita l’autorizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica che siano condotti adottando appropriate misure di prevenzione dei rischi.


 

Articolo 40, comma 6
(Imprese autoriparazione)

 

 

Il comma 6 dell’articolo 40 abroga il D.M. 30 luglio 1997, n. 406, “Regolamento recante le dotazioni delle attrezzature e delle strumentazioni delle imprese esercenti attività di autoriparazione”.

 

Il citato regolamento è stato emanato in attuazione della legge n. 122/1992, che disciplina l'attività di manutenzione e di riparazione dei veicoli adibiti al trasporto su strada di persone e cose, distinguendo le attività di autoriparazione in quattro categorie: meccanica e motoristica; carrozzeria; elettrauto e gommista[342].

Le imprese che intendono esercitare l'attività di autoriparazione devono specificare le attività che intendono esercitare ed essere in possesso delle attrezzature e strumentazioni prescritte per le suddette attività dal regolamento del quale si dispone l’abrogazione. E’ ammesso il contemporaneo svolgimento di più di una delle attività previste.

 

In conseguenza dell’abrogazione del regolamento le imprese di autoriparazione non saranno più tenute ad essere in possesso delle attrezzature e strumentazioni elencate nel D.M. n. 406/1997, ma potranno scegliere le attrezzature e strumentazioni delle quali dotarsi.

 

Si ritiene che sarebbe opportuno abrogare anche l’articolo 2, comma 3-bis della citata legge n. 122/1992, il quale prevede che la dotazione delle attrezzature e delle strumentazioni, occorrenti per l'esercizio dell'attività di autoriparazione, sia stabilita ed aggiornata con decreto ministeriale, con cadenza biennale.


 

Articolo 40, comma 7
(Semplificazione in materia di composti organici volatili

 

 

Il comma 7 dell'articolo in esame, in materia di semplificazione degli adempimenti amministrativi di registrazione dei COV (Composti Organici Volatili) per la vendita dei prodotti ai consumatori finali, modifica la definizione di “immissione sul mercato” di prodotti contenenti COV – recata dall'art. 2, comma 1, lett. o), del D.Lgs. 161/2006 – eliminando dalla stessa l’operazione di messa a disposizione del prodotto per gli utenti.

Si ricorda che ai sensi della definizione previgente, recata dalla citata lettera o), per “immissione sul mercato” si intendeva “qualsiasi atto di messa a disposizione del prodotto per i terzi, a titolo oneroso o a titolo gratuito; rientrano nella presente definizione anche la messa a disposizione del prodotto per gli intermediari, per i grossisti, per i rivenditori finali o per gli utenti e l'importazione del prodotto nel territorio doganale comunitario”.

Si ricorda altresì che l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 161/2006 vieta l’immissione sul mercato dei prodotti elencati nell'allegato I (pitture e vernici e prodotti per carrozzeria) al medesimo decreto aventi un contenuto di COV superiore ai valori limite indicati nell’allegato II o se non etichettati in conformità all'art. 4 del medesimo decreto.

 

La finalità dichiarata del comma in esame è quella di semplificazione degli adempimenti amministrativi di registrazione dei COV per la vendita dei prodotti ai consumatori finali. La registrazione cui si fa riferimento sembra essere quella connessa agli obblighi di raccolta e trasmissione dei dati previsti dall’art. 5 del D.Lgs. 161/2006. Se così fosse sarebbe opportuno che la norma lo esplicitasse chiaramente.

Si ricorda, in proposito, che il citato art. 5 del D.Lgs. 161/2006, come novellato dal D.Lgs. 33/2008, prevede, tra l’altro, che “per il tramite delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, i soggetti che immettono sul mercato i prodotti elencati nell'allegato I trasmettono al Ministero dell'ambiente … entro il 1° marzo di ciascun anno i dati e le informazioni previsti all'allegato IV, riferiti all'anno civile precedente”.


 

Articolo 40, comma 8
(Semplificazione gestione rifiuti pericolosi per talune attività)

 

 

Il comma 8 è volto a semplificare lo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti da talune attivitàquali quelle di estetista, acconciatore, trucco permanente e semipermanente, tatuaggio, piercing, agopuntura, podologo, callista, manicure, pedicure.

Si trattadi rifiuti sanitari pericolosi e a rischio infettivo prodotti al di fuori delle strutture sanitarie e costituiti da aghi, siringhe e oggetti taglienti usati e identificati dal Codice CER 18 01 03 come rifiuti pericolosi che devono essere raccolti e smaltiti applicando precauzioni particolari per evitare infezioni.

Il comma prevede che i soggetti che svolgono le citate attività possano trasportare tali rifiuti, in conto proprio, per una quantità massima fino a 30 kg. al giorno, sino all'impianto di smaltimento tramite termodistruzione o in altro punto di raccolta autorizzati.

L'obbligo di registrazione sul registro di carico e scarico dei rifiuti e l'obbligo di comunicazione al Catasto dei rifiuti tramite il Modello Unico di Dichiarazione ambientale (MUD), si intendono assolti, anche ai fini del trasporto in conto proprio, attraverso la compilazione e conservazione, in ordine cronologico, dei formulari di trasporto di cui all'art. 193 del D.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale). Tali formulari dovranno essere conservati presso la sede dei soggetti esercenti le citate attività, con le modalità previste dallo stesso art. 193.

 

Si ricorda che l’art. 193 del D.Lgs. n. 152/2006 dispone che per gli enti e le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi e che non aderiscono su base volontaria al SISTRI, i rifiuti devono essere accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati: a) nome ed indirizzo del produttore dei rifiuti e del detentore; b) origine, tipologia e quantità del rifiuto; c) impianto di destinazione; d) data e percorso dell'istradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario. Tale formulario deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore dei rifiuti e controfirmate dal trasportatore che in tal modo dà atto di aver ricevuto i rifiuti. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al predetto produttore dei rifiuti. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni. In ordine alla definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione, si applica il decreto del Ministro dell'ambiente 1° aprile 1998, n. 145. Inoltre i formulari di identificazione devono essere numerati e vidimati dagli uffici dell'Agenzia delle entrate o dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura o dagli uffici regionali e provinciali competenti in materia di rifiuti e devono essere annotati sul registro Iva acquisti.

Si osserva che ai sensi dell’art. 188-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006 gli enti ed imprese produttori di rifiuti speciali pericolosi sono obbligati ad aderire al Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) e che tale obbligo è ribadito anche dall’art. 3 del DM 18 febbraio 2011, n. 52 (T.U. sul SISTRI).

 

Alla luce di quanto precedentemente rilevato, appare opportuno pertanto valutare la compatibilità delle disposizioni introdotte dal comma in esame con la normativa sul SISTRI.

 

Si segnala che la provincia autonoma di Bolzano, con delibera della Giunta n. 700/2005, ha approvato un accordo di programma con l’Associazione provinciale dell’artigianato (APA) per la gestione di alcuni rifiuti pericolosi prodotti al di fuori delle strutture sanitarie da imprese e/o attività di estetica, acconciatura (parrucchieri e barbieri), operatori del trucco permanente e semipermanente, tatuaggio e piercing, agopuntura, manicure, pedicure, podologia e callista che introduce alcune semplificazioni amministrative che ricalcano il contenuto del comma in esame[343].


 

Articolo 40, comma 9
(Agevolazioni fiscali in materia di beni e attività culturali)

 

 

Il comma 9 dispone che la documentazione e le certificazioni attualmente richieste per il conseguimento di alcune agevolazioni fiscali in materia di beni e attività culturali sono sostituite da una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, presentata dal richiedente al Ministero per i beni e le attività culturali e relativa alle spese effettivamente sostenute per le quali si ha diritto alle agevolazioni. Il medesimo Ministero esegue controlli a campione .

Le spese cui si fa riferimento sono quelle previste dall’art. 15, comma 1, lett. g) ed h) e dall’art. 100, comma 2, lett. e) ed f), del TUIR.

 

Si tratta delle spese, rispettivamente detraibili (art. 15) e deducibili (art. 100), sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate e delle erogazioni liberali in denaro a favore di soggetti (fra gli altri, Stato, regioni, enti locali territoriali, enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro) che organizzano e realizzano attività culturali.

La normativa vigente prevede che ai fini della detrazione o della deduzione i soggetti beneficiari debbano ricevere dal Ministero per i beni culturali e ambientali apposita documentazione; ad esempio nel caso delle spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate ai sensi della legge n. 1089 del 1939 e del D.P.R. n. 1409 del 1963 la necessità delle spese, quando non siano obbligatorie per legge, deve risultare da apposita certificazione rilasciata dalla competente soprintendenza del Ministero per i beni culturali e ambientali, previo accertamento della loro congruità effettuato d'intesa con il competente ufficio del territorio del Ministero dell’economia e delle finanze. L'Amministrazione per i beni culturali ed ambientali dà immediata comunicazione al competente ufficio delle entrate del Ministero dell’economia e delle finanze delle violazioni che comportano la perdita del diritto alla detrazione; dalla data di ricevimento della comunicazione inizia a decorrere il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445 del 2000, espressamente richiamato nel testo, l'atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con la osservanza delle modalità di cui all'articolo 38[344]. Lo stesso articolo dispone, inoltre, che, fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell'articolo 46[345] sono comprovati dall'interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Lo stesso D.P.R., agli articoli 71 e 72 disciplina le modalità dei controlli, che possono essere anche a campione, e le relative responsabilità.


 

Articolo 40, comma 9-bis
(Cessione di impianti radiotelevisivi)

 

 

Il comma 9-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente presso le Commissioni V e VI, modifica l’articolo 27 del testo unico dei servizi di media audiovisivi, di cui al D.Lgs. n. 177/2005, introducendo un comma 7-bis, con il quale si prevede che la cessione di un impianto radiotelevisivo, ove non abbia per oggetto le sole attrezzature, è da considerarsi equiparato ad una cessione di ramo di azienda. Il nuovo comma precisa che restano comunque validi gli atti di trasferimento effettati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione.

Si ricorda che l’articolo 27 del D.Lgs. n. 177/2005 prevede, al comma 1, che, fino all'attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, sono consentiti, in tecnica analogica, i trasferimenti di impianti o rami d'azienda tra emittenti televisive analogiche private locali e tra queste e i concessionari televisivi in àmbito nazionale che alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 5/2001 (recante Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito dalla legge n. 66/2001, non abbiano raggiunto la copertura del settantacinque per cento del territorio nazionale. Il comma 3 dispone inoltre che, ai fini della realizzazione delle reti televisive digitali, sono consentiti i trasferimenti di impianti o di rami d'azienda tra i soggetti che esercitano legittimamente l'attività televisiva in àmbito nazionale o locale, a condizione che le acquisizioni operate siano destinate alla diffusione in tecnica digitale.

La nozione di ramo di azienda è ricavabile dall’articolo 2112 del codice civile, come modificato dall’art. 32 del D.Lgs. n. 276/2003, il quale disciplina il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda, e prevede l’applicazione di tali garanzie anche all’ipotesi di trasferimento di parte dell'azienda, intesa come “articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.


 

Articolo 40, comma 9-ter
(Proroga termine iniziative a valere sulla
programmazione negoziata)

 

 

Il comma 9-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, proroga di un anno, dal 31 dicembre 2011 al 31 dicembre 2012, del termine entro il quale possono essere completate le iniziative agevolate finanziate a valere sugli strumenti della programmazione negoziata, non ancora completate alla data di scadenza delle proroghe concesse ai sensi della vigente normativa, qualora risultino realizzate in misura non inferiore al 40 per cento degli investimenti ammessi.

 

Il termine, fissato originariamente al 31 dicembre 2007, dall’articolo 1, comma 862, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2007) è stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2008 dall’articolo 3, comma 35, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) poi al 31 dicembre 2009 dall’articolo 43, comma 7-bis, del D.L. n. 112/2008 (legge n. 133/2008) ed infine differito dall’articolo 2, comma 17-ter del decreto legge n. 225/2010 (legge n. 10/2011).

 

Per programmazione negoziata si intende la regolamentazione concordata tra soggetti istituzionali (enti locali, ministeri, imprese pubbliche, apparati amministrativi ) e soggetti economici e sociali (imprenditoriali, sindacali, culturali, finanziari, associativi) che hanno influenza nei processi di sviluppo su scala locale e sovralocale, per l'attuazione di interventi di sviluppo e la promozione di attività produttive all'interno di un territorio. Il fine è la creazione di percorsi amministrativi semplificati e il raccordo dei molteplici interessi che agiscono a livello territoriale attraverso la collaborazione interistituzionale e la concertazione economica e sociale.

La programmazione negoziata viene introdotta nel 1995 (decreto-legge n. 32/1995) e ridefinita con la legge n. 662/1996, provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1997, e con le relative deliberazioni del CIPE.

Sono quattro gli strumenti principali di intervento: patti territoriali, contratti d'area, contratti di programma, intese istituzionali di programma.

Ai sensi della legge n. 662/1996 l'ambito territoriale di applicazione della programmazione negoziata non si limita alle aree sottoutilizzate del territorio nazionale ma coinvolge l’intero territorio nazionale, ad eccezione del contratto d’area, la cui applicazione è limitata a territori circoscritti. Riguardo alle aree sottoutilizzate, specifiche risorse sono comunque riservate dal CIPE per il ricorso a contratti d’area e a patti territoriali.

Quanto alla vigente normativa sulle erogazioni per le agevolazioni, il decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 31 luglio 2000, n. 320, novellato dal D.M. attività produttive del 27 aprile 2006, n. 215 (a sua volta modificato dal D.M. sviluppo economico 4 febbraio 2009, n. 65), ha disciplinato l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali.

Per ciò che concerne la revoca delle agevolazioni, l'articolo 12, comma 3, lett. e), prevede che essa operi qualora l'iniziativa non venga ultimata entro 48 mesi dalla data di inizio dell'istruttoria, convenzionalmente identificata con la data di presentazione della richiesta, salvo che il termine non sia prorogato. Tale termine può essere prorogato una sola volta e per un periodo non superiore ai dodici mesi.

Per ciò che concerne il differimento dei termini per il completamento dei programmi, l'articolo 12-ter prevede per le iniziative imprenditoriali agevolate a valere sui patti territoriali e sui contratti d'area che, qualora queste alla data di ultimazione, ovvero alla scadenza dei 48 mesi o, in caso di rimodulazioni, dei 24 mesi, entrambi eventualmente prorogati di 12 mesi, risultino realizzate in misura non inferiore al 50% degli investimenti ammessi, sia disposto, su richiesta dell'impresa interessata, un differimento dei termini per il completamento del programma, comunque non superiore a ulteriori 12 mesi.

Per i programmi d'investimento, relativi ad iniziative agevolate a valere sui Patti Territoriali e sui Contratti d'Area, superiori a 1,5 milioni di euro, la cui realizzazione comporta complessità tali da richiedere più articolati e specifici procedimenti autorizzativi, i 48 mesi o, in caso di rimodulazione, i 24 mesi decorrono dalla data di rilascio da parte delle amministrazioni competenti dell'ultima autorizzazione necessaria a dichiarare l'inizio dei lavori (art. 4, D.M. n. 215/2006, come modificato dal D.M. n. 65/2009).

 

Il comma prevede che per il completamento degli interventi in fase di ultimazione e non revocati, oggetto di proroga, l’agevolazione è rideterminata nel limite massimo delle anticipazioni già erogate dal beneficiario alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con esclusione delle erogazioni ulteriori a carico dello Stato.

 

A tal proposito si ricorda che, l’articolo 2, comma 17-ter del D.L. n. 225/2010 – nel differire al 31 dicembre 2011 il termine per il completamento delle iniziative agevolate in oggetto – mantiene fermi gli effetti degli atti amministrativi già adottati e la destinazione delle risorse finanziarie reperite mediante i provvedimenti di revoca totale o parziale delle agevolazioni di cui alla legge n. 488/1992.

Relativamente all’utilizzo delle economie derivanti da revoche delle agevolazioni della legge n. 488/1992, va ricordato che l'articolo 2, comma 554, della legge n. 244 del 2007, ha previsto che tali risorse siano annualmente accertate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, al fine di essere destinate, nel limite dell’85% alla realizzazione di interventi specificamente indicati[346].

A tal fine, la norma prevedeva che le risorse accertate con il decreto del Ministro dello sviluppo economico fossero iscritte in un apposito fondo del medesimo Ministero.

Relativamente alle economie, va ricordato che esse sono state accertate con i decreti del Ministro dello Sviluppo economico 28 febbraio 2008, n. 64, in complessivi 785 milioni di euro (peraltro interamente utilizzati a copertura finanziaria degli oneri recati dal D.L. n. 5/2009), con il D.M. 13 marzo 2009 in complessivi 375 milioni di euro e con il D.M. 4 maggio 2010 in 230 milioni di euro (di cui, 78 milioni da considerarsi in perenzione amministrativa).

In particolare, con il decreto 4 maggio 2010, il Ministro per lo sviluppo economico ha accertato economie derivanti da rinunce e revoche di iniziative imprenditoriali agevolate dalla legge n. 488/92, nella misura complessiva di 230 milioni di euro, di cui 78 milioni in perenzione amministrativa e 152 milioni disponibili ed effettivamente utilizzabili.

Nell'ambito di tali disponibilità, l'importo di 50 milioni di euro è stato destinato agli interventi agevolativi di cui all'art. 6, commi 7, 8, 8-bis e 9, del D.L. n. 149/1993 (ristrutturazione e riconversione produttiva nel campo civile e duale delle imprese operanti nel settore della produzione di materiali di armamento), a fronte delle domande pervenute nell’anno 2010, e l'importo di 48 milioni di euro è destinato agli interventi di programmazione negoziata per le aree del centro-nord.


 

Articolo 41
(Misure per le opere di interesse strategico)

 

 

Comma 1 - Programmazione opere strategiche

Fatte salve le priorità già deliberate dal CIPE, il comma 1, attraverso la sostituzione dei commi 1-bis ed 1-ter dell’art. 161 del D.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), ridefinisce, infatti, le modalità ed i criteri di programmazione delle opere strategiche per permettere la selezione delle opere prioritarie, con particolare riferimento alle opere finanziabili con l’apporto di capitale privato.

 

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 163 prevede pertanto che nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche (PIS), il Documento di finanza pubblica individui, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l’elenco delle opere prioritarie in base a tre criteri:

1        coerenza con l’integrazione con le reti europee e territoriali;

2        stato di avanzamento dell'iter procedurale;

3        possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato.

 

Tali criteri ricalcano, con lievi modifiche, quelli previsti dal comma 1-ter previgente dell’art. 163, introdotto dal D.Lgs. n. 113/2007 (secondo correttivo al Codice dei Contratti pubblici) e che attribuisce, nell’ambito del PIS, priorità alle infrastrutture:

-        già avviate;

-        oppure con il progetto esecutivo approvato;

-        oppure quelle per le quali ricorre la possibilità di finanziamento con capitale privato, sia di rischio che di debito, nella misura maggiore possibile.

 

Il nuovo comma 1-ter dell’art. 163, con una disposizione pressoché analoga a quanto previsto dall’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 443/2001 (cd, legge obiettivo), dispone che per le opere prioritarie individuate nell’elenco di cui al comma precedente, vengano specificate i seguenti elementi:

§      le opere da realizzare;

§      il cronoprogramma di attuazione;

§      le fonti di finanziamento della spesa pubblica;

§      la quantificazione delle risorse da finanziare con capitale privato.

 

Si ricorda che l’art. 1, comma 1-bis, della citata legge n. 443/2001 prevede che il PIS da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria (ora Documento di finanza pubblica) debba contenere le seguenti indicazioni:

a) elenco delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzare;

b) costi stimati per ciascuno degli interventi;

c) risorse disponibili e relative fonti di finanziamento;

d) stato di realizzazione degli interventi previsti nei programmi precedentemente approvati;

e) quadro delle risorse finanziarie già destinate e degli ulteriori finanziamenti necessari per il completamento degli interventi.

 

Previgente comma 1-ter dell’art. 161

Nuovo comma 1-ter dell’art. 161

1-ter Nell'ambito del programma di cui al comma 1 sono da ritenere prioritarie le infrastrutture già avviate, i progetti esecutivi approvati, nonché gli interventi per i quali ricorre la possibilità di finanziamento con capitale privato, sia di rischio che di debito, nella misura maggiore possibile.

1-ter Per le infrastrutture individuate nell’elenco di cui al comma 1-bis sono indicate:

a) le opere da realizzare;

b) il cronoprogramma di attuazione;

c) le fonti di finanziamento della spesa pubblica;

d) la quantificazione delle risorse da finanziare con capitale privato.

 

Viene, infine, aggiunto anche un comma, il comma 1-quater all’art. 163 volto a contenere i tempi necessari per il reperimento delle risorse con cui finanziare le opere del PIS.

Il nuovo comma 1-quater prevede, infatti, che per ogni infrastruttura i soggetti aggiudicatori presentino al MIT lo studio di fattibilità, redatto secondo modelli definiti dal CIPE e, comunque, conformemente alla normativa vigente.

Il MIT, entro 60 giorni dalla comunicazione, anche avvalendosi del supporto dell'Unità tecnica di finanza di progetto (UFP) e, nel caso, sentito il soggetto di cui all'art. 163, comma 4, lett. b) – ossia la Cassa depositi e prestiti -, verifica l'adeguatezza dello studio di fattibilità, anche in ordine ai profili di bancabilità del progetto; qualora siano necessarie integrazioni allo stesso, il termine é prorogato a trenta giorni.

A tal fine la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) e la valutazione di impatto ambientale (VIA) devono essere coordinate con i tempi sopra indicati.

 

Si osserva che il nuovo comma 1-quater riproduce sostanzialmente alcune delle disposizioni del previgente comma 1-bis come si evince dalla tabella seguente. La principale novità che viene introdotta è relativa all’attribuzione al MIT della verifica, entro termini certi, in merito allo studio di fattibilità.


 

Previgente comma 1-bis dell’art. 161

Nuovo comma 1-quater dell’art. 161

1-bis. Al fine di favorire il contenimento dei tempi necessari per il reperimento delle risorse relative al finanziamento delle opere di cui al presente capo e per la loro realizzazione, i soggetti aggiudicatori predispongono studi di fattibilità delle infrastrutture strategiche da realizzare, secondo modelli definiti con delibera del CIPE, e acquisiscono sugli stessi le valutazioni dell'Unità tecnica Finanza di progetto, di cui all'articolo 7 della legge 17 maggio 1999, n. 144, dirette a verificare, per le infrastrutture che presentano un potenziale ritorno economico derivante dalla gestione dell'opera stessa, le forme per il ricorso a capitali privati ed i presupposti per la concreta attuabilità. Per le infrastrutture strategiche che prevedono il ricorso a capitali privati il CIPE, ai fini delle proprie deliberazioni, acquisisce, comunque, le valutazioni della predetta Unità.

1-quater Al fine di favorire il contenimento dei tempi necessari per il reperimento delle risorse relative al finanziamento delle opere di cui al presente capo e per la loro realizzazione, per ciascuna infrastruttura i soggetti aggiudicatori presentano al Ministero lo studio di fattibilità, redatto secondo modelli definiti dal Cipe e comunque conformemente alla normativa vigente. Il Ministero, entro sessanta giorni dalla comunicazione, anche avvalendosi del supporto dell’Unità tecnica di finanza di progetto di cui all’articolo 7 della legge 17 maggio 1999, n. 144 e, nel caso, sentito il soggetto di cui all’articolo 163, comma 4, lettera b), verifica l’adeguatezza dello studio di fattibilità, anche in ordine ai profili di bancabilità dell’opera; qualora siano necessarie integrazioni allo stesso, il termine è prorogato di trenta giorni”.

 

Si ricorda che, nella precedente legislatura, durante l’esame del D.Lgs. n. 113/2007 (secondo correttivo al Codice dei Contratti pubblici), l’Autorità di vigilanza, nel corso di alcune audizioni informali svolte dall’VIII Commissione, aveva sottolineato l’importanza dello studio di fattibilità (SDF) che può rappresentare per le amministrazioni aggiudicatrici una opportunità per contribuire all’abbattimento del rischio amministrativo”.

Per quanto riguarda, invece, l’Unità tecnica Finanza di Progetto (UFP), si ricorda che essa è stata istituita dall’art. 7 della legge n. 144/1999 nell’ambito del CIPE, con il compito precipuo (comma 1) di promuovere, all'interno delle pubbliche amministrazioni, l'utilizzo di tecniche di finanziamento di infrastrutture con ricorso a capitali privati anche nell'ambito dell'attività di verifica prevista all'art. 14, comma 11, della legge n. 10971994 (trasposto nei commi 11 e 12 dell’art. 128 del D.Lgs. n. 163), e di fornire supporto alle commissioni costituite nell'ambito del CIPE su materie inerenti al finanziamento delle infrastrutture. Si ricorda, inoltre, che l’art. 57 della legge n. 388/2000 (legge finanziaria 2001) ha reso obbligatoria l’acquisizione delle valutazioni dell’UFP da parte delle amministrazioni statali, centrali e periferiche, in fase di pianificazione e programmazione dei relativi programmi di spesa, secondo modalità e parametri definiti successivamente dalla delibera CIPE 3 maggio 2001, n. 57. L’art. 163 del Codice ha previsto, tra l’altro, che il MIT possa richiedere al MEF, per lo svolgimento delle attività in materia di infrastrutture strategiche, la collaborazione dell’UFP, allo scopo riorganizzata, da ultimo, con DPCM del 22 luglio 2008 tenuto conto di quanto disposto dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 che ne ha previsto il trasferimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.


Comma 2 – Approvazione unica progetto preliminare

Il comma 2, lett. a), con l’inserimento dell’articolo aggiuntivo 169-bis al D.Lgs. n. 163/2006 (cd. Codice dei contratti pubblici), disciplina una nuova procedura di approvazione unica del progetto preliminare relativo alle infrastrutture strategiche da parte del CIPE, eliminando l’esame del progetto definitivo qualora sia verificata la coerenza dello stesso rispetto al progetto preliminare.

Pertanto, come precisa anche la relazione tecnica, tale nuova procedura è volta a semplificare ed accelerare la procedura di approvazione dei progetti delle opere strategiche e, conseguentemente, pervenire ad un più rapido avvio della fase di realizzazione degli investimenti infrastrutturali.

 

Conseguentemente il nuovo art. 169-bis, comma 1, prevede che, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (d’ora in poi MIT), il CIPE possa valutare solamente il progetto preliminare – istruito secondo la procedura prevista dall’art. 165 del Codice - ai fini dell’approvazione unica dello stesso, assicurando l’integrale copertura finanziaria del progetto.

Nel caso in cui le opere siano a carico della finanza pubblica, la delibera CIPE relativa al progetto preliminare deve indicare un termine perentorio, a pena di decadenza dell’efficacia della delibera e del finanziamento, per l’approvazione del progetto definitivo.

Qualora venga seguita tale nuova procedura dell’approvazione unica del progetto preliminare, che comporta gli effetti dell’art. 165, comma 7, il progetto definitivo dovrà essere approvato, non più dal CIPE, ma dal MIT, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze (d’ora in poi MEF) per i profili di propria competenza, sentito il Dipartimento per la programmazione economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con le modalità introdotte dall’articolo in esame e nel rispetto di una serie di condizioni elencate al successivo comma 2.

Il Ministro delle infrastrutture è tenuto a comunicare periodicamente al CIPE le avvenute approvazioni dei progetti definitivi e lo stato di avanzamento delle opere.

 

Si ricorda che ai sensi dell’art. 165, comma 7, del Codice, l’approvazione del progetto preliminare da parte del CIPE determina, ove necessario, l'accertamento della compatibilità ambientale dell'opera e perfeziona l'intesa Stato-regione sulla sua localizzazione, comportando l'automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti e adottati; gli immobili su cui è localizzata l'opera sono assoggettati al vincolo preordinato all'esproprio.

 

Il comma 2 dell’art. 169-bis, elenca quindi i requisiti del progetto definitivo previsto datale nuova procedura. Esso dovrà essere accompagnato, oltre che dalla prevista relazione del progettista ai sensi dell’art. 166 comma 1, da un’ulteriore relazione del progettista, confermata dal responsabile del procedimento, che attesti che il progetto definitivo:

a)   rispetta le prescrizioni e tiene conto delle raccomandazioni del CIPE;

b)   non comporta varianti localizzative rilevanti ai sensi dell'art. 167, comma 6;

c)   che la sua realizzazione non comporta il superamento del limite di spesa fissato dal CIPE in sede di approvazione del progetto preliminare.

 

Il comma 3 dell’art. 169-bis fissa quindi le fasi procedimentali per l’approvazione del progetto definitivo in tale nuova procedura. Il progetto definitivo dovrà pertanto:

§      essere trasmesso - da parte del soggetto aggiudicatore, del concessionario o contraente generale - a ciascuna delle amministrazioni interessate dal progetto rappresentate nel CIPE e a tutte le altre amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni di ogni genere e tipo, nonché ai gestori di opere interferenti;

§      nel termine perentorio di 45 giorni dal ricevimento del progetto le P.a. competenti e i gestori di opere interferenti possono presentare motivate proposte di adeguamento, comprese eventuali prescrizioni o varianti migliorative che non modificano la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere, nel rispetto dei limiti di spesa e delle caratteristiche prestazionali e delle specifiche funzionali individuati in sede di progetto preliminare;

§      nei 30 giorni successivi il MIT valuta la compatibilità delle proposte e richieste pervenute dalle P.a. competenti e dai gestori di opere interferenti con le indicazioni vincolanti contenute nel progetto preliminare approvato;

§      il MIT approva quindi il progetto definitivo con il decreto di cui al comma 1 una volta verificato il rispetto delle condizioni previste nel precedente comma 2.

 

Si osserva, che i tempi di approvazione ricalcano sostanzialmente quelli previsti per l’approvazione del progetto definitivo dall’art. 166 del Codice a seguito delle modifiche introdotte con il decreto legge n. 70/2011, anche se sono diversi i soggetti coinvolti. Nell’iter di approvazione del progetto definitivo previsto dal citato art. 166, è il MIT a valutare le proposte dei soggetti interessati nei 45 giorni successivi e a formulare la propria proposta al CIPE che è l’organo deputato ad approvare il progetto definitivo nei 30 giorni successivi.

 

Al riguardo si ricorda che tra le modifiche alla normativa in tema di infrastrutture strategiche introdotte con l’art. 4 decreto-legge n. 70/2011, vi è stata l’introduzione della Conferenza di servizi (CdS) nella fase di approvazione del progetto preliminare, con un conseguente allungamento dei tempi per la sua approvazione. Con un’operazione opposta a quella fatta per il progetto preliminare, per la valutazione del progetto definitivo, è stata eliminata la CdS prodromica all’approvazione da parte del CIPE: spetta quindi al MIT valutare le proposte dei soggetti interessati nei 45 giorni successivi (prima erano 60) e formulare la propria proposta al CIPE che, nei 30 giorni successivi, approva, con eventuali integrazioni o modificazioni, il progetto definitivo, anche ai fini della dichiarazione di pubblica utilità (art. 166, commi 3 e 4, del Codice).

 

Il comma 4 dell’art. 169-bis prevede che l’approvazione del progetto definitivo con il decreto di cui al comma 1, comporta gli effetti dell’art. 166, comma 5, e la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Per quanto riguarda l'avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità si applicano le disposizioni contenute nell’art. 166, comma 2, relativo progetto definitivo.

Si ricorda che sensi dell’art. 166, comma 5, l'approvazione del progetto definitivo sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato.

L’art. 166, comma 2 reca, invece, la procedura per l’avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità. L'avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità è comunicato dal soggetto aggiudicatore, o per esso dal concessionario o contraente generale, ai privati interessati che, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione, possono presentare osservazioni al soggetto aggiudicatore, che dovrà valutarle per ogni conseguente determinazione.

 

Il comma 5 dell’art. 169-bis dispone la riduzione da 60 a 45 giorni del termine previsto dall’art. 170, comma 3, per l'indicazione delle interferenze non rilevate dal soggetto aggiudicatore. Inoltre si prevede che il programma di risoluzione delle interferenze, approvato insieme al progetto definito con il decreto ministeriale di cui al comma 1, diventa vincolante per gli enti gestori di reti o opere destinate al pubblico servizio, con gli effetti dell'art. 170, commi 4 e 5.

 

Si ricorda che il termine previsto dall’art. 170, comma 3, entro cui i soggetti legittimati possono indicare le interferenze è stato recentemente ridotto da 90 a 60 giorni dall’art. 4 del decreto legge n. 70/2011. Ai sensi dei citati commi 4 e 5 dell’art. 170 gli enti gestori di reti o opere destinate al pubblico servizio devono rispettare il programma di risoluzione delle interferenze approvato dal CIPE insieme al progetto definitivo, anche indipendentemente dalla stipula di eventuali convenzioni regolanti la risoluzione delle interferenze, sempreché il soggetto aggiudicatore si impegni a mettere a disposizione in via anticipata le risorse occorrenti. In caso di mancato rispetto del programma di risoluzione delle interferenze, o di mancata segnalazione delle stesse da parte degli enti gestori al soggetto aggiudicatore, l’ente gestore è obbligato a risarcire i danni subiti dal soggetto aggiudicatore per il conseguente impedimento al regolare svolgimento dei lavori. Il soggetto aggiudicatore può anche chiedere al Prefetto o al Ministero, la convocazione, entro dieci giorni, del gestore inadempiente al programma di risoluzione delle interferenze.

 

Il comma 2, lett. b) introduce, aggiungendo la lett. f-ter) al comma 2 dell’art. 163 del D.Lgs. n. 163/2006, un nuovo compito in capo al MIT che è quello di verificare lo stato di avanzamento dei lavori, anche mediante sopralluoghi tecnico-amministrativi presso i cantieri interessati avvalendosi, ove necessario, del Corpo della Guardia di finanza, con la sottoscrizione di appositi protocolli di intesa.

Comma 3, 4 e 5 - Riduzione termini riguardanti le delibere CIPE e l’utilizzo delle relative risorse

Al fine di garantire la certezza dei finanziamenti destinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere strategiche, i tre commi in esame recano disposizioni volte ad introdurre termini certi per l’adozione delle delibere CIPE e dei conseguenti decreti ministeriali di autorizzazione delle risorse per la loro realizzazione.

 

Il comma 3, attraverso una novella all'art. 4, comma 177-bis, della legge n. 350/2003, introduce un termine perentorio di 60 giorni - dalla pubblicazione nella G.U. della delibera CIPE che assegna definitivamente le risorse - per l’emanazione del decreto ministeriale previsto dallo stesso comma 177-bis qualora i contributi siano destinati alla realizzazione di opere pubbliche.

 

Si ricorda che l’art. 1, comma 512, della legge 296/2006 (finanziaria 2007) ha introdotto un nuovo comma 177-bis, all’art. 4 della legge n. 350 del 2003 (finanziaria 2004), che reca la procedura per l’utilizzo dei contributi pluriennali. Si introduce una specifica procedura per l’utilizzo dei contributi pluriennali autorizzati da disposizioni legislative, che ricalca quella introdotta con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 giugno 2006. In particolare, si prevede che, in sede di attuazione di disposizioni legislative che autorizzano contributi pluriennali, il relativo utilizzo, anche mediante attualizzazione, è disposto con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa verifica dell'assenza di effetti peggiorativi sul fabbisogno e sull'indebitamento netto rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente. Nel caso in cui si riscontrino effetti finanziari non previsti a legislazione vigente gli stessi possono essere compensati a valere sulle disponibilità del Fondo per la compensazione degli effetti conseguenti all'attualizzazione dei contributi pluriennali; solo in tal caso, sulla base del combinato disposto del comma 512 del citato art. 1 della legge n. 296/2006 e dell’art. 6, comma 2, del decreto-legge n. 154/2008, si provvede con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da trasmettere al Parlamento, per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario[347].Si ricorda, da ultimo, che anche il D.L. 98/2011, all’art. 32, commi 2-7, reca criteri e procedure per la revoca di finanziamenti destinati alle infrastrutture strategiche assegnati dal CIPE.

 

Per quanto riguarda, invece, le infrastrutture strategiche - disciplinate nella parte II, Titolo III, Capo IV del D.Lgs. n. 163/2006 - tale termine viene ridotto a 30 giorni a decorrere dalla data di pubblicazione del bando di cui all’art. 165, comma 5-bis per il progetto preliminare e art. 166, comma 5-bis per il progetto definitivo.

 

L’art. 165 prevede, al comma 5-bis, che il soggetto aggiudicatore provvede alla pubblicazione del bando di gara non oltre 90 giorni dalla pubblicazione nella G.U. della delibera CIPE di approvazione del progetto preliminare, ove questo sia posto a base di gara. In caso di mancato adempimento il CIPE, su proposta del Ministero, può disporre la revoca del finanziamento a carico dello Stato. Analoga procedura ed analoghi tempi sono previsti per la pubblicazione del bando di gara relativo al progetto definitivo dall’art. 166. comma 5-bis.

 

Il comma 4, al fine di garantire la certezza dei finanziamenti destinati alla realizzazione delle opere pubbliche, prevede che le delibere del CIPE relative ai progetti di opere pubbliche vengano formalizzate e trasmesse al Presidente del Consiglio dei Ministri per la firma che dovrà avvenire entro 30 giorni decorrenti dalla seduta in cui è assunta la delibera.

Qualora, per criticità procedurali, non sia possibile rispettare tale termine, il MIT è tenuto a riferire al Consiglio dei Ministri per le conseguenti determinazioni.

 

Il comma 5 introduce, infine, una riduzione dei tempi - pari ad un terzo – previstidall'art. 3, comma 2, della legge n. 20/1994, per la registrazione da parte delle Corte dei Conti delle delibere del CIPE relative alle opere strategiche sottoposte al controllo preventivo della Corte.

 

Si ricorda che ai sensi del citato art. 3, comma 2, della legge n. 20/1994, I provvedimenti sottoposti al controllo preventivo acquistano efficacia se il competente ufficio di controllo non ne rimetta l'esame alla sezione del controllo nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Il termine è interrotto se l'ufficio richiede chiarimenti o elementi integrativi di giudizio. Decorsi trenta giorni dal ricevimento delle controdeduzioni dell'amministrazione, il provvedimento acquista efficacia se l'ufficio non ne rimetta l'esame alla sezione del controllo. La sezione del controllo si pronuncia sulla conformità a legge entro trenta giorni dalla data di deferimento dei provvedimenti o dalla data di arrivo degli elementi richiesti con ordinanza istruttoria. Decorso questo termine i provvedimenti divengono esecutivi


 

Articolo 42, commi 1-5
(Modifiche codice appalti)

 

 

Comma 1 – Cessione di immobili nelle concessioni

Il comma 1 dell’articolo in esame modifica il comma 5 dell’articolo 143 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, d’ora in avanti Codice), al fine di consentire una maggiore flessibilità nell’utilizzo della cessione di immobili nell’affidamento delle concessioni di opere pubbliche.

 

L’articolo 143, nel testo previgente, prevedeva la facoltà per le amministrazioni aggiudicatrici di cedere in proprietà o in godimento beni immobili nella propria disponibilità o allo scopo espropriati, la cui utilizzazione fosse strumentale o connessa all’opera da affidare in concessione, nonché beni immobili che non assolvessero più a funzioni di interesse pubblico, già indicate nel programma triennale delle opere pubbliche di cui all’articolo 128. Alla cessione di immobili si applicavano i commi 6, 7, 8, 11 e 12 dell’articolo 53 del Codice, che regolamenta la permuta di immobili, ossa la possibilità per un’amministrazione di pagare il corrispettivo dovuto a un appaltatore mediante la cessione di un bene pubblico.

 

Rispetto al testo previgente, le amministrazioni aggiudicatrici hanno la facoltà di prevedere, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati prevedendo tale cessione nel piano economico-finanziario e nella convenzione, dopo aver valutato la convenienza economica dell’operazione e purché l’utilizzo o la valorizzazione degli immobili sia necessaria all’equilibrio economico-finanziario della concessione. Si prevede che la decisione di ricorrere a tale strumento possa avvenire anche al di fuori della programmazione triennale dei lavori pubblici.

La norma in esame prevede, inoltre, che le modalità di utilizzazione e di valorizzazione dei beni immobili sono definite in occasione dell’approvazione dei progetti e costituiscono un presupposto determinante nel raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario della concessione.

 

L’articolo 97 del Codice prevede che l’approvazione dei progetti da parte delle amministrazioni venga effettuata in conformità alle norme dettate dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e alle disposizioni statali e regionali che regolano la materia. Si applicano le disposizioni in materia di conferenza di servizi dettate dagli articoli 14-bis e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.


Commi 2 e 3 –Anticipazione della gestione nelle concessioni

Il comma 2 dell’articolo in esame è volto a modificare la disciplina delle concessioni di lavori pubblici allo scopo di consentire che la gestione funzionale ed economica possa eventualmente riguardare in via anticipata anche le opere o parti di esse connesse all’oggetto della concessione e da ricomprendere in essa. La finalità della norma – come evidenziato nella relazione tecnica – sembrerebbe quella di anticipare l’afflusso dei proventi della gestione e di ridurre l’onerosità finanziaria dell’operazione.

In tal senso la lett. a) del comma 2 novella il Codice aggiungendo un periodo all’articolo 3, comma 11, che reca la definizione della “concessione di lavori pubblici”.

 

Si ricorda che l’articolo 3, comma 11, del decreto legislativo n. 163 del 2006 definisce la “concessione di lavori” un contratto a titolo oneroso, concluso in forma scritta, avente ad oggetto l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo. La definizione di concessione di lavori di cui al comma 11 è in linea con quella comunitaria e pone l’accento sull’aspetto “gestionale” specificando in che modo il rischio di gestione dell’opera è ripartito tra concedente e concessionario. La controprestazione a favore del concessionario è, infatti, costituita dal diritto di gestire funzionalmente l’opera o da tale diritto accompagnato da un prezzo.

 

Conseguentemente, le lett. b) e c)del comma 2modificano rispettivamente i commi 1 e 4 dell’articolo 143 del Codice, che provvede a disciplinare le concessioni di lavori pubblici.

 

Il comma 1 dell’articolo 143 ribadisce l’oggetto delle concessioni di lavori pubblici come già definite al comma 11 dell’articolo 3, mentre il comma 4 prevede la possibilità che il soggetto concedente stabilisca in sede di gara anche un prezzo al fine di rendere appetibile la concessioni non solo per le opere calde (quelle la cui gestione è idonea a fornire un profitto al concessionario) ma anche per le opere cosiddette fredde (quelle a bassa redditività).

 

Il comma 3 prevede l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 alle concessioni i cui bandi di gara siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge-


Commi 4 e 5 – Durata delle concessioni superiori a 1 miliardo di euro

Il comma 4 dell’articolo in esame, aggiungendo un periodo al comma 8 dell’articolo 143 del Codice prevede la possibilità di fissare un periodo massimo di cinquanta anni per le nuove concessioni di importo superiore a un miliardo di euro al fine di consentire il rientro del capitale investito e l’equilibrio economico-finanziario dell’operazione.

 

Si ricorda che, in merito alla durata della concessione, il comma 6 dell’articolo 143 individua in trenta anni il limite temporale massimo della concessione ma prevede, al comma 8 del medesimo articolo, la possibilità di stabilire un termine più lungo qualora ciò sia necessario per assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti del concessionario, laddove una durata trentennale non sia sufficiente, in base al piano economico-finanziario predisposto, per ripagare gli investimenti effettuati.

 

Il comma 5 prevede l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 alle concessioni i cui bandi di gara siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.


 

Articolo 42, commi 6 e 7
(Copertura delle riserve tecniche mediante
investimenti in infrastrutture)

 

 

I commi 6 e 7, al fine di attrarre capitale privato nella realizzazione di opere pubbliche, introducono la possibilità per le imprese di assicurazione di utilizzare, a copertura delle riserve tecniche, anche attivi costituiti da investimenti nel settore delle infrastrutture.

Nel dettaglio, si affida (comma 6) a un regolamento ISVAP (adottato ai sensi delle norme del Codice delle assicurazioni private, di cui al D.Lgs. 209/2005) le modalità, i limiti e le condizioni alle quali le imprese autorizzate all’esercizio delle assicurazioni possono utilizzare, a copertura delle riserve tecniche ai sensi degli articoli 38, comma 1, e 42-bis, comma 1, attivi costituiti da investimenti nel settore delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, ospedaliere, delle telecomunicazioni e della produzione e trasporto di energia e fonti energetiche.

Le riserve tecniche, genericamente, sono le riserve gestite dalla compagnia assicuratrice per far fronte agli impegni da essa assunti in rapporto alle proprie attività.

Ai sensi dell’articolo 36, comma 1 del codice delle assicurazioni private, l'impresa che esercita i rami vita ha l'obbligo di costituire, per i contratti del portafoglio italiano, riserve tecniche, ivi comprese le riserve matematiche, sufficienti a garantire le obbligazioni assunte e le spese future. Le riserve sono costituite, al lordo delle cessioni in riassicurazione, nel rispetto dei principi attuariali e delle regole applicative individuate dall'ISVAP con regolamento.

Il successivo articolo 37, comma 1 obbliga l’'impresa che esercita i rami danni ha l'obbligo di costituire, per i contratti del portafoglio italiano, riserve tecniche che siano sempre sufficienti a far fronte, per quanto ragionevolmente prevedibile, agli impegni derivanti dai contratti di assicurazione. Le riserve sono costituite, al lordo delle cessioni in riassicurazione, nel rispetto delle disposizioni e dei metodi di valutazione stabiliti dall'ISVAP con regolamento.

 

Ai sensi dell’articolo 38, comma 1 del codice, richiamato dalle norme in commento, le riserve tecniche del lavoro diretto dei rami vita e dei rami danni, nonché le riserve di perequazione (che comprendono tutte le somme accantonate, conformemente alle disposizioni di legge, allo scopo di perequare le fluttuazioni del tasso dei sinistri negli anni futuri o di coprire rischi particolari) sono coperte con attivi di proprietà dell'impresa. Nella scelta degli attivi l'impresa tiene conto del tipo di rischi e delle obbligazioni assunte e dell'esigenza che sia garantita la sicurezza, la redditività e la liquidità degli investimenti, provvedendo ad un'adeguata diversificazione e dispersione degli attivi medesimi. Tale norma si applica – ai sensi del successivo articolo 42-bis, comma 1 – anche agli attivi a copertura delle riserve tecniche del lavoro indiretto dei rami vita e dei rami danni, nonché delle riserve di perequazione. L'ISVAP stabilisce con regolamento le categorie di attivi, compresi gli strumenti finanziari derivati, ammessi a copertura delle riserve tecniche del lavoro indiretto, nonché le tipologie, le modalità, i limiti di impiego e le relative quote massime.

 

Ai sensi del comma 7, gli investimenti in questione possono essere rappresentati da:

§      azioni e obbligazioni di società esercenti la realizzazione e la gestione delle infrastrutture;

§      quote di OICR armonizzati che investano nelle predette categorie di titoli.

 

Si ricorda che con regolamento n. 36 del 31 gennaio 2011 (come modificato e integrato dal provvedimento n. 2896 del 26 maggio 2011) l’ISVAP ha dettato le linee guida in materia di investimenti e di attivi a copertura delle riserve tecniche.


 

Articolo 42, comma 8
(
Finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione)

 

 

Il comma 8 estende al settore delle infrastrutture ferroviarie e portuali l’applicazione della norma in materia di finanza di progetto, prevista nella legge di stabilità 2012.

In particolare, l’articolo 18 della legge n. 183/2011 ha introdotto la possibilità di prevedere agevolazioni fiscali in favore dei soggetti concessionari, al fine di realizzare nuove infrastrutture autostradali con il sistema della finanza di progetto. Si tratta quindi di misure finanziarie alternative al contributo pubblico in conto capitale.

Il comma 8 in esame integra il comma 1 di tale articolo, inserendo all’ambito di applicazione della norma il riferimento a nuove opere di infrastrutturazione ferroviaria metropolitana, e di sviluppo e ampliamento dei porti e dei collegamenti stradali e ferroviari inerenti i porti nazionali appartenenti alla rete transeuropea di trasporto essenziale (Core Ten-T Network).

 

Si ricorda che il 19 ottobre 2011 la Commissione Europea ha adottato il "pacchetto per le nuove strategie sulle infrastrutture e i trasporti", nel cui ambito è contenuta una proposta di revisione degli orientamenti della "Rete transeuropea di trasporto" (TEN-T). In particolare, si prevede un’articolazione del progetto in due settori: il “Comprehensive network”, che consiste di tutte le infrastrutture già pianificate e deve essere realizzato entro il 2050; e il “Core network”, che individua alcune opere di particolare rilevanza strategica, con specifico riguardo alle infrastrutture di trasporto intermodale, e dovrà essere realizzato entro il 2030.


 

Articolo 42, comma 9
(
Riassegnazione di somme elargite per scopi del
Ministero dei beni culturali
)

 

 

Il comma 9 è finalizzato a riassegnare allo stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali alcune somme derivanti da elargizioni da parte di soggetti pubblici e privati allo Stato per attività o interventi culturali.

Dispone, infatti, l’abrogazione (rectius: soppressione),nell’Elenco 1 della legge finanziaria 2008 (L. n. 244/2007) - relativo alle disposizioni legislative autorizzative di riassegnazioni di entrate che, in base all’art. 2, comma 615, dal 2008 non è stato più possibile iscrivere negli stati di previsione dei Ministeri - di due riferimenti legislativi,contenutial numero 14 - riferito al Mibac - , rubricati, rispettivamente:

 

§      Legge 30 marzo 1965, n. 340, art. 2”. Si tratta delle somme elargite da enti e privati per scopo determinato rientrante nei fini istituzionali dell’Amministrazione statale delle antichità e belle arti.

Si osserva che non è stato indicato – e va pertanto inserito nel testo -, il riferimento all’articolo 2 della legge n. 340/1965, citato nell’Elenco 1 e che, peraltro, è l’unico articolo ancora vigente della legge medesima[348] .

§      Legge 8 ottobre 1997, n. 352, articolo 2, comma 8”. Si tratta delle somme erogate da soggetti pubblici e privati in favore dello Stato a titolo di partecipazione alla realizzazione di attività culturali o di interventi sul patrimonio culturale.

 

I commi 615 e ss. dell’articolo 2 della legge finanziaria per il 2008 hanno introdotto specifiche norme per il contenimento e la razionalizzazione delle spese, prevedendo il divieto, a decorrere dall’anno 2008, dell’iscrizione negli stati di previsione della spesa dei Ministeri elencati, tra i quali anche il MIBAC, delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato e autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nell’elenco 1 della legge stessa[349].

In relazione a quanto sopra previsto, è stata disposta l’istituzione, negli stati di previsione dei Ministeri interessati al divieto di riassegnazione, di appositi Fondi da ripartire, con decreto ministeriale, nel rispetto delle finalità stabilite dalle stesse disposizioni legislative. In tali Fondi in particolare confluisce il 50% dei versamenti riassegnabili nell’anno 2006 ai pertinenti capitoli dell’entrata del bilancio dello Stato. La dotazione dei Fondi è tuttavia annualmente rideterminata in base all’andamento dei versamenti riassegnabili effettuati entro il 31 dicembre dei due esercizi precedenti. L’obiettivo della norma è infatti acquisire al bilancio dello Stato la restante parte del Fondo da ripartire non più assegnata alla spesa dei Ministeri competenti in modo da assicurare in ciascun anno una quota di risparmio in termini di indebitamento netto[350].

 

Il comma 9 in esame pertanto dispone la non applicabilità del limite alla riassegnazione di entrate previsto dalla sopra citata legge finanziaria per il 2008 agli introiti derivanti da elargizioni da parte di enti e privati ai sensi dell’art. 2 della L. n. 340 del 1965, nonché agli introiti derivanti dalle erogazioni da parte di soggetti pubblici e privati in favore dello Stato in base all’art. 2, comma 8, della L. n. 352 del 1997[351], venendo pertanto ripristinate le disposizioni che riassegnano allo stato di previsione della spesa del MIBAC le somme derivanti dalle predette elargizioni ed erogazioni versate all’erario.

 

La norma dispone, inoltre - riprendendo nella sostanza quanto già previsto dall’art. 2 della L. 340/1965 per la fattispecie ivi disciplinata - che le somme elargite da soggetti pubblici e privati per uno scopo determinato che rientra nei fini istituzionali del MIBAC, versate all’erario, devono essere riassegnate, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, allo stato di previsione della spesa dell’esercizio in corso del MIBAC stesso, imputando tali risorse ai capitoli che corrispondono alla destinazione delle somme stesse o, in mancanza, a nuovi capitoli appositamente istituiti.

In base alla formulazione, sembrerebbe trattarsi di una previsione generale.

Viene infine previsto che le predette somme non possono essere utilizzate a scopo diverso da quello per il quale sono state elargite.

 

La relazione tecnica sottolinea che, tenuto conto dell’andamento dei versamenti che sono stati effettuati negli ultimi anni a favore di beni ed attività culturali, l’onere annuo derivante dalla norma è prudenzialmente stimato pari a 500.000 euro a decorrere dal 2012, coperto a valere sulle maggiori risorse derivanti dal decreto in esame.


 

Articolo 42, comma 9-bis
(Finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione)

 

 

Il comma 9-bis dell’articolo 42, introdotto durante l’esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI, novella l’articolo 18, comma 1, della legge n. 183/2011 (legge di stabilità per il 2012), il quale ha introdotto la possibilità di prevedere agevolazioni fiscali in favore dei soggetti concessionari, al fine di realizzare nuove infrastrutture autostradali con il sistema del project financing. La novella è diretta ad estendere le menzionate agevolazioni fiscali anche alla realizzazione di infrastrutture stradali e di infrastrutture stradali e autostradali di carattere regionale.

 

Si ricorda che le agevolazioni fiscali di cui al citato articolo 18 si applicano ad infrastrutture le cui procedure siano state avviate, ma non ancora definite alla data di entrata in vigore della legge di stabilità (1° gennaio 2012). L’agevolazione è fruita dalle società di progetto appositamente costituite.

L’agevolazione consiste nella possibilità di compensare l’ammontare dovuto a titolo di specifiche imposte, in via totale o parziale, con le somme da versare al concessionario a titolo di contributo pubblico a fondo perduto per la realizzazione dell’infrastruttura, mediante riduzione o azzeramento di quest’ultimo.

In particolare, mediante riduzione o azzeramento del contributo a fondo perduto:

§      possono essere compensate parzialmente o integralmente le imposte sui redditi e l’IRAP generati durante il periodo di concessione;

§      si possono assolvere gli obblighi di versamento IVA, nel rispetto delle disposizioni europee in materia di versamenti IVA (recati dalla direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA) e di risorse proprie del bilancio UE.

Tra le misure previste dal citato articolo 18 è compresa la possibilità di riconoscere come contributo in conto esercizio l’ammontare del canone annuo di concessione previsto dall’articolo 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), nonché l’integrazione della misura del canone annuo prevista dall’articolo 19, comma 9-bis, del D.L. n. 78/2009. Il riconoscimento del contributo in conto esercizio si traduce di fatto in un beneficio per le imprese a fronte delle spese di gestione/funzionamento dalle stesse sostenute.


 

Articolo 43, commi 1-4
(Convenzioni autostradali)

 

 

I commi 1, 2 e 3 prevedono la semplificazione della procedura di approvazione degli aggiornamenti o revisioni delle convenzioni relative alle concessioni autostradali. Tali aggiornamenti o revisioni sono approvati con decreto emanato (di concerto dal MIT e dal MEF) entro 30 giorni dall’avvenuta trasmissione dell’atto convenzionale ad opera dell’amministrazione concedente.

Si segnala che i commi 2 e 3 nel testo presentato dal Governo facevano riferimento all’aggiornamento o alla revisione delle concessioni autostradali e che, nel corso dell’esame in sede referente sono stati modificati i commi 2 e 3 nel senso di fare riferimento alle convenzioni autostradali e non alle concessioni. Tale modifica appare opportuna e rende coerente il disposto dei commi 2 e 3 con quello di cui al comma 1, sulla base peraltro di quanto evidenziato nella relazione illustrativa. Si fa presente, inoltre, che anche la VIII Commissione (Ambiente), in un’osservazione contenuta nel parere approvato nella seduta del 9 dicembre 2011, aveva rilevato l’opportunità di apportare tale modifica.

Qualora l’aggiornamento o la revisione riguardino convenzioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto e comportino variazioni al piano degli investimenti o ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica, allora è previsto (dal comma 1) il previo parere del CIPE che, sentito il NARS (Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida sulla regolazione dei servizi di pubblica utilità), si pronuncia entro 30 giorni.

 

Si fa notare che nel nuovo iter procedurale previsto dai commi in esame non è più prevista l’acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari e, nel caso disciplinato dal comma 2 (aggiornamenti o revisioni che non comportano variazioni al piano degli investimenti o ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica), anche di quello del CIPE. Il parere del CIPE non viene previsto nemmeno nel comma 3, che disciplina il caso in cui l’aggiornamento o la revisione riguardi concessioni i cui schemi di atti aggiuntivi sono già stati sottoposti al parere del CIPE alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Si ricorda, infatti, che l’art. 2, comma 84, del D.L. 262/2006, prevede che gli schemi di convenzione unica, concordati tra le parti e sentito il NARS, sono sottoposti all'esame del CIPE, che si intende assolto positivamente in caso di mancata deliberazione entro 45 giorni dalla richiesta di iscrizione all'ordine del giorno. Gli schemi di convenzione, unitamente alle eventuali osservazioni del CIPE, sono successivamente trasmessi alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario. Il parere delle Commissioni deve essere reso entro 30 giorni, decorsi i quali le convenzioni possono essere comunque adottate.

Si rammenta che la convenzione unica è stata introdotta dal comma 82 dell’art. 2 del medesimo decreto-legge, che ha previsto che “In occasione del primo aggiornamento del piano finanziario che costituisce parte della convenzione accessiva alle concessioni autostradali, ovvero della prima revisione della convenzione medesima, successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, assicura che tutte le clausole convenzionali in vigore, nonché quelle conseguenti all’aggiornamento ovvero alla revisione, siano inserite in una convenzione unica, avente valore ricognitivo per le parti diverse da quelle derivanti dall’aggiornamento ovvero dalla revisione. La convenzione unica sostituisce ad ogni effetto la convenzione originaria, nonché tutti i relativi atti aggiuntivi”.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 8-duodecies del D.L. 59/2008 la disciplina citata si applica anche per l’approvazione di ogni successiva modificazione o integrazione delle convenzioni.

 

Il comma 4 reca le necessarie abrogazioni delle norme disciplinanti l’iter riscritto dai commi in esame. Vengono infatti abrogati il comma 2, ultimo periodo, dell’articolo 8-duodecies del D.L. 59/2008 e il comma 4 dell’art. 21 del D.L. 355/2003.

Si rammenta infatti che il comma 2 dell’art. 8-duodecies del D.L. 59/2008 ha previsto che ogni successiva modificazione ovvero integrazione delle convenzioni è approvata secondo le disposizioni di cui ai commi 82 e seguenti dell'art. 2 del D.L. 262/2006, mentre il comma 4 dell’art. 21 del D.L. 355/2003 prevedeva che “le modifiche delle convenzioni vigenti, anche laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti e al parametro X della formula di adeguamento tariffario di cui alla citata Del.CIPE 20 dicembre 1996, n. 319, sono approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze”.

 

La relazione illustrativa sottolinea che la disposizione recata dai commi in esame “costituisce una notevole misura di semplificazione e di accelerazione che consente l’accelerazione dei tempi di realizzazione degli investimenti infrastrutturali, anche in vista della necessità di adeguare i piani economico e finanziari a seguito dell’avvenuto recepimento della normativa europea in materia di sicurezza delle infrastrutture. In molti casi si potrebbe conseguire una riduzione di circa un anno dei tempi di avvio degli investimenti in materia di infrastrutture stradali per la realizzazione di terze corsie, svincoli ecc.”

 

Si ricorda, in proposito, che la direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali è stata recentemente recepita con il D.Lgs. 15 marzo 2011, n. 35.


 

Articolo 43, comma 5
(Concessione di costruzione e gestione stradale)

 

 

Il comma 5 dell'articolo in esame novella l’art. 8-duodecies del D.L. 59/2008 (convertito dalla legge 101/2008) aggiungendovi un comma 2-ter in base al quale i contratti di concessione di costruzione e gestione e di sola gestione nel settore stradale e autostradale sono affidati secondo le procedure previste dagli artt. 144 o 153 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).

 

Si ricorda che l’art. 144 del Codice disciplina le procedure di affidamento e pubblicazione del bando relativo alle concessioni di lavori pubblici prevedendo, in particolare, che “Le stazioni appaltanti affidano le concessioni di lavori pubblici con procedura aperta o ristretta, utilizzando il criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa.” (comma 1) e che “Quale che sia la procedura prescelta, le stazioni appaltanti pubblicano un bando in cui rendono nota l’intenzione di affidare la concessione” (comma 2).

In alternativa alle procedure previste dall’art. 144, il Codice prevede, all’art. 153 (recante la disciplina della finanza di progetto) che per la realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, inseriti nella programmazione triennale e nell'elenco annuale dei lavori da realizzare, ovvero negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente, finanziabili in tutto o in parte con capitali privati, le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare una concessione ponendo a base di gara uno studio di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando finalizzato alla presentazione di offerte che contemplino l'utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti.

 

La relazione tecnica sottolinea che la norma in esame è “tesa a garantire maggiore concorrenzialità per l’affidamento delle concessioni autostradali di gestione, specificando che qualora una concessione autostradale abbia ad oggetto la sola gestione dell’infrastruttura e dia luogo ad un contratto di servizi, l’affidamento debba comunque avvenire secondo le procedure di gara previste dal codice dei contratti pubblici per le concessioni di costruzione e gestione”.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, il comma in esame è stato modificato attraverso l’aggiunta di un periodo in cui si specifica che ai fini dell’applicazione della norma si considerano concessionari solo i soggetti individuati ai sensi della parte II, titolo III, capo II, del decreto legislativo n. 163/2006, che comprende le norme riguardanti le concessioni di lavori pubblici. La modifica approvata presso le Commissioni riunite V e VI fa, inoltre, salvi i soggetti già individuati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sulla base della normativa nazionale di riferimento (in proposito, sarebbe opportuno valutare la possibilità di specificare più chiaramente la portata della norma), nonché i titolari di concessioni di cui all’articolo 253, comma 25, del citato decreto legislativo n. 163 del 2006, che sarebbero pertanto esclusi dall’applicazione della presente norma.

 

Si segnala che l’articolo 253, comma 25, del d.lgs. 163/2006 specifica che, in relazione alla disciplina recata dalla parte II, titolo IlI, capo II, i titolari di concessioni già assentite alla data del 30 giugno 2002, ivi comprese quelle rinnovate o prorogate ai sensi della legislazione successiva, sono tenuti ad affidare a terzi una percentuale minima del 40 per cento dei lavori, agendo, esclusivamente per detta quota, a tutti gli effetti come amministrazioni aggiudicatrici.


 

Articolo 43, comma 6
(Impianti tecnologici autostradali)

 

 

Il comma 6 reca una norma che, come evidenziato dalla relazione tecnica, semplifica le procedure per la realizzazione di impianti tecnologici autostradali.

Il comma in esame dispone infatti che, ai fini della realizzazione di nuovi impianti tecnologici e relative opere civili strettamente connesse alla realizzazione e gestione di detti impianti, accessori e funzionali alle infrastrutture autostradali e stradali esistenti per la cui realizzazione siano già stati completati i procedimenti di approvazione del progetto e di localizzazione in conformità alla normativa pro-tempore vigente:

§      non si applicano le disposizioni del Titolo II del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001);

Si ricorda che il citato Titolo II (artt. 6-23) contiene la disciplina dei titoli abilitativi (DIA, permesso di costruire, ecc.).

§      non sono necessari ulteriori autorizzazioni, concessioni, permessi, nulla osta o atti di assenso comunque denominati.

 

La relazione illustrativa segnala che la norma in esame “è volta a consentire di procedere in tempi rapidi ad interventi di ammodernamento su infrastrutture autostradali e stradali esistenti mediante l’installazione di impianti tecnologici (e opere civili connesse) che in quanto accessori e funzionali all’infrastruttura non incidono sull’impatto della struttura già oggetto dei necessari provvedimenti approvativi ed autorizzativi, con conseguente riduzione di 180/210 giorni dei tempi necessari per avviare gli interventi di installazione di impianti tecnologici sulle strade esistenti. In particolare si segnala che la disposizione consentirebbe una rapida installazione dei portali necessari al pedaggiamento della rete autostradale in gestione diretta ANAS”.

 

Relativamente al pedaggiamento della rete Anas si ricorda che esso è stato previsto dal comma 1 dell’art. 15 del D.L. 78/2010, come novellato dal D.L. 125/2010. Il Presidente dell’Anas, nel corso dell’audizione del 3 febbraio 2011 presso l’VIII Commissione (Ambiente) ha ricordato che - in attesa del D.P.C.M. che dovrà stabilire i criteri e le modalità relative all’applicazione del pedaggio e l’elenco delle tratte autostradali - l’Anas ha pubblicato in data 13 settembre 2010 il bando di gara per la fornitura e messa in opera di un sistema di esazione senza barriere sulle autostrade ed i raccordi autostradali e che, comunque, prima della formalizzazione del contratto dovrà esser emesso il D.P.C.M. di cui sopra”.


 

Articolo 43, commi 7-15
(Sicurezza grandi dighe)

 

 

Il comma 7, al fine di migliorare la sicurezza delle grandi dighe, aventi le caratteristiche dimensionali di cui all'art. 1, comma 1, del D.L. 507/1994, prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) provveda entro il 31 dicembre 2012 (la previsione di tale termine è stata inserita nel corso dell’esame in sede referente):

§      all’individuazione, in ordine di priorità, anche sulla base dei risultati delle verifiche di cui all’art. 4, comma 4, del D.L. 79/2004, delle dighe per le quali sia necessaria e urgente la progettazione e la realizzazione di interventi di adeguamento o miglioramento della sicurezza, a carico dei concessionari o richiedenti la concessione;

Relativamente alle verifiche effettuate si ricorda che l’art. 4 del D.L. 79/2004 aveva previsto, al comma 1, che il Registro Italiano Dighe (RID), ai fini della valutazione delle condizioni di sicurezza delle dighe esistenti, aventi le caratteristiche di cui all'art. 1 del D.L. 507/1994 (vedi infra), determinasse, con apposito elenco, le dighe da sottoporre a verifica sismica ed idraulica in conseguenza della variata classificazione sismica dei siti ovvero dei ridotti franchi di sicurezza idraulica, anche sulla base di quanto previsto dall'O.P.C.M. 3274/2003 con cui sono stati dettati “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”.

§      alla fissazione dei relativi tempi di esecuzione.

 

Si segnala che, nel parere approvato dall’VIII Commissione (Ambiente), è stata inserita un’osservazione volta a rilevare l'opportunità di graduare gli interventi di cui ai commi da 9 a 14, valutata la loro effettiva compatibilità ambientale, prevedendo la loro gradualità in ragione della vetustà degli impianti e dell'ultimo intervento di ripristino dell'invaso effettuato, nonché in ragione della vulnerabilità sotto il profilo idrogeologico dell'area su cui insiste l'impianto.

 

La vigilanza sulle grandi dighe

Con l’art. 91 del D.Lgs. 112/1998 il Servizio Nazionale Dighe (SND) è stato soppresso e trasformato in Registro Italiano Dighe (RID), cui è stato affidato il compito di provvedere, ai fini della tutela della pubblica incolumità, all'approvazione tecnica dei progetti ed alla vigilanza sulla costruzione e sulle operazioni di controllo spettanti ai concessionari sulle dighe di ritenuta aventi le caratteristiche indicate all'art. 1, comma 1, del D.L. 507/1994, convertito dalla legge 21 ottobre 1994, n. 584.

L’art. 1, comma 1, del D.L. 507/1994 riguarda le opere di sbarramento, dighe di ritenuta o traverse, che superano i 15 metri di altezza o che determinano un volume d'invaso superiore a 1.000.000 di metri cubi. Tali opere, che il decreto citato qualifica come dighe, sono assoggettate, dal comma citato, all'approvazione tecnica del Servizio nazionale dighe. Lo stesso comma esclude, tuttavia, tutte le opere di sbarramento che determinano invasi adibiti esclusivamente a deposito o decantazione o lavaggio di residui industriali, che restano di competenza del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato.

I commi 170-171 dell’art. 2 del D.L. 262/2006 hanno soppresso il RID e trasferito le relative funzioni al MIT.

Con il D.P.R. 3 dicembre 2008, n. 211, di riorganizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti[352] le citate funzioni sono state attribuite alla Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche.

Le principali funzioni in materia di dighe attribuite alla citata direzione dall’art. 5, comma 10, del D.P.R. 211/2008 sono:

-        approvazione tecnica dei progetti delle grandi dighe;

-        vigilanza sulla costruzione delle dighe di competenza e sulle operazioni di controllo e gestione spettanti ai concessionari, nonché monitoraggio concernente, tra l'altro, gli aspetti di sicurezza idraulica;

-        attività tecnico-amministrativa concernente l'emanazione della normativa tecnica in materia di dighe;

-        approvazione dei progetti delle opere di derivazione dai serbatoi e di adduzione all'utilizzazione, comprese le condotte forzate, nonché vigilanza sulle operazioni di controllo che i concessionari sono tenuti ad espletare sulle opere medesime;

-        esame delle rivalutazioni delle condizioni di sicurezza sismica ed idraulica delle grandi dighe;

-        definizione dei requisiti tecnici, costruttivi e funzionali per l'omologazione della strumentazione per il controllo delle dighe.

 

Per il finanziamento delle attività già facenti capo al RID il comma 172 dell’art. 2 del D.L. 262/2006 ha previsto che le relative spese siano coperte mediante la contribuzione a carico degli utenti dei servizi (come già previsto dal regolamento di organizzazione del RID ai sensi del D.P.R. 136/2004), per la parte non coperta da finanziamento a carico dello Stato. In attuazione del successivo comma 173, che ha demandato ad apposito decreto interministeriale la fissazione dei criteri e dei parametri per la quantificazione degli oneri connessi alle attività già facenti capo al RID, sono stati emanati due decreti, in data 4 giugno 2009, recanti “Disciplina dei criteri di determinazione del contributo annuo da parte dei concessionari di dighe per le attività di vigilanza e controllo svolte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti” e “Disciplina dei criteri di determinazione del diritto di istruttoria da parte dei richiedenti la concessione o dei concessionari, per le attività espletate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella fase di progettazione e costruzione di dighe” (G.U. 24 settembre 2009, n. 222).

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato integralmente sostituito il comma 8 che prevede, ai fini del mantenimento delle condizioni di sicurezza, che il MIT, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e d’intesa con le regioni e le province autonome, provveda, entro il 30 giugno 2013 all’individuazione, in ordine di priorità e sulla base anche dei progetti di gestione degli invasi ai sensi dell’art. 114 del D.Lgs. 152/2006, delle grandi dighe per le quali, accertato il concreto rischio di ostruzione degli organi di scarico, sia necessaria e urgente l’adozione di interventi nonché la rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi. Si prevede, inoltre, che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nei cui territori sono presenti le grandi dighe per le quali sia stato rilevato il rischio di ostruzione degli organi di scarico e la conseguente necessità e urgenza della rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi, individuino e mettano a disposizione dei concessionari siti idonei per lo stoccaggio definitivo di tutto il materiale e dei sedimenti asportati dagli interventi previsti.

 

Si ricorda, del citato art. 114 del D.Lgs. 152/2006, il contenuto del comma 2, secondo cui “Al fine di assicurare il mantenimento della capacità di invaso e la salvaguardia sia della qualità dell'acqua invasata sia del corpo ricettore, le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento delle dighe sono effettuate sulla base di un progetto di gestione di ciascun invaso. Il progetto di gestione è finalizzato a definire sia il quadro previsionale di dette operazioni connesse con le attività di manutenzione da eseguire sull'impianto, sia le misure di prevenzione e tutela del corpo ricettore, dell'ecosistema acquatico, delle attività di pesca e delle risorse idriche invasate e rilasciate a valle dell'invaso durante le operazioni stesse”.

 

Il comma 9 prevede che i concessionari o i richiedenti la concessione di derivazione d’acqua da grandi dighe che non abbiano ancora redatto il progetto di gestione dell’invaso ai sensi dell’art. 114 del D.Lgs. 152/2006, sono tenuti:

§      a provvedere entro il 31 dicembre 2012 (tale termine, che originariamente era fissato al 30 giugno 2012 è stato modificato nel corso dell’esame in sede referente);

§      e ad attuare gli interventi di rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi (individuati ai sensi del comma 8 del presente articolo) entro 2 anni dall’approvazione del progetto di gestione.

 

Ai sensi del comma 10 dell'articolo in esame, per le dighe che hanno superato una vita utile di 50 anni (decorrenti dall’avvio degli invasi sperimentali di cui all’art. 13 del D.P.R. 1363/1959), i concessionari o i richiedenti la concessione sono tenuti a presentare al MIT, entro il 31 dicembre 2012 (tale termine, inizialmente stabilito in sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è stato modificato nel corso dell’esame in sede referente), il piano di manutenzione dell'impianto di ritenuta di cui all’art. 93, comma 5, del D.Lgs. 163/2006 e all’art. 38 del D.P.R. 207/2010, per l’approvazione e l’inserimento in forma sintetica nel foglio di condizioni per l’esercizio e la manutenzione della diga.

L’art. 13 del D.P.R. 1363/1959 prevede, tra l’altro, che “Prima che lo sbarramento sia ultimato l'ufficio del Genio civile, previo nulla osta del Servizio dighe, potrà, a titolo sperimentale e in via provvisoria, autorizzare invasi parziali che dovranno però interessare soltanto quelle parti che abbiano raggiunto una sufficiente stagionatura”.

L’art. 93, comma 5, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) dispone, tra l’altro, che “il progetto esecutivo deve essere altresì corredato da apposito piano di manutenzione dell'opera e delle sue parti da redigersi nei termini, con le modalità, i contenuti, i tempi e la gradualità stabiliti dal regolamento” di attuazione del Codice. L’art. 38 del citato regolamento (D.P.R. 207/2010), rubricato “Piano di manutenzione dell'opera e delle sue parti”, reca la disciplina di dettaglio.

 

Il comma 11, nelle more dell’emanazione del decreto di cui all’art. 6, comma 4-bis, della L. 166/2002, dispone che i concessionari o i richiedenti la concessione sono tenuti a presentare al MIT, entro il 31 dicembre 2012 (tale termine, inizialmente stabilito in sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è stato modificato nel corso dell’esame in sede referente), gli elaborati di consistenza delle opere di derivazione ed adduzione, comprese le condotte forzate, i relativi atti di collaudo, i piani di manutenzione, unitamente alle asseverazioni straordinarie sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di manutenzione delle citate opere dell’ingegnere designato responsabile ai sensi dell’art. 4, comma 7, del D.L. 507/1994.

Il citato comma 4-bis dell’art. 6 della L. 166/2002 dispone che con il regolamento previsto dall'art. 2 del D.L. 507/1994, sono definite le modalità con cui il RID provvede all'approvazione dei progetti delle opere di derivazione dai serbatoi e di adduzione all'utilizzazione, comprese le condotte forzate, nonché alla vigilanza sulle operazioni di controllo che i concessionari saranno tenuti ad espletare sulle medesime opere.

Il comma 7 dell’art. 4 del D.L. 507/1994 prevede, al fine di garantire l'azione di controllo esercitata nella costruzione e nell'esercizio delle dighe da parte della pubblica amministrazione, che ogni concessionario o gestore delle opere sia tenuto ad individuare, anche all'interno della propria struttura, un ingegnere, designato responsabile della sicurezza delle opere e dell'esercizio dell'impianto.

Il comma 11 prevede altresì che il MIT integri il foglio di condizioni per l’esercizio e la manutenzione delle dighe con le disposizioni riguardanti le predette opere.

 

Ai sensi del comma 12, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il MIT procede, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile, alla revisione dei criteri per l’individuazione delle “fasi di allerta” di cui alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 22806, del 13 dicembre 1995, al fine di aggiornare i documenti di protezione civile per le finalità di gestione del rischio idraulico a valle delle dighe.

Si fa notare che nella citata circolare n. 22806/1995[353] non compare l’espressione “fasi di allerta”. La norma in esame sembra riferirsi alla lettera B) della circolare citata, ove si prescrive l’effettuazione di “studi sulle conseguenze che hanno sui territori di valle le manovre normali ed eccezionali degli organi di scarico della diga e l'ipotetico crollo della diga stessa (art. 24, comma 6, lettera e) del D.P.R. 24 gennaio 1991, n. 85), ai fini della definizione degli scenari degli incidenti probabili, sulla base dei quali dovranno essere redatti dai prefetti i relativi piani di emergenza. A tal fine i concessionari o richiedenti la concessione o, in loro assenza, i proprietari che gestiscono direttamente le opere di sbarramento, dighe di ritenuta o traverse, …, devono redigere, attenendosi alle allegate raccomandazioni …, gli studi sugli effetti delle piene artificiali connesse alle manovre degli organi di scarico e gli studi teorici tendenti ad individuare il profilo dell'onda di piena e le aree soggette ad allagamento in conseguenza di ipotetico collasso della struttura. I sopra indicati soggetti devono altresì valutare la massima portata di piena transitabile in alveo a valle dello sbarramento, contenuta nella fascia di pertinenza fluviale”.

 

Ai sensi del comma 13, per il raggiungimento degli obiettivi connessi alle disposizioni di cui all'art. 3, comma 3, del D.L. 79/2004, nonché della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 febbraio 2004, i concessionari e i gestori delle grandi dighe devono provvedere alla trasmissione al MIT, per via telematica ed in tempo reale, dei dati idrologici e idraulici acquisiti presso le dighe, comprese le portate scaricate e derivate, secondo le direttive impartite dal predetto Ministero.

Gli obiettivi richiamati riguardano il monitoraggio delle grandi dighe, con particolare riguardo agli aspetti di sicurezza idraulica (art. 3, comma 3, del D.L. 79/2004). Quanto alla citata direttiva P.C.M. 27 febbraio 2004 si ricorda che essa ha dettato “Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale, statale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile”.

 

Il comma 14 attribuisce al MIT poteri sostitutivi nei confronti dei concessionari e dei richiedenti la concessione in caso di inottemperanza degli stessi alle prescrizioni impartite nell’ambito dell’attività di vigilanza e controllo sulla sicurezza.

Lo stesso comma prevede che, in tali casi, il MIT può disporre gli accertamenti, le indagini, gli studi, le verifiche e le progettazioni necessarie al recupero delle condizioni di sicurezza delle dighe, utilizzando a tale scopo le entrate provenienti dalle contribuzioni di cui all’art. 2, commi 172-173, del D.L. 262/2006, con obbligo di rivalsa nei confronti dei soggetti inadempienti.

Sul contenuto dei commi 172-173 dell’art. 2 del D.L. 262/2006 si rinvia al box “La vigilanza sulle grandi dighe”.

 

Il comma 15 integra il dettato dell’art. 1, comma 7-bis, del D.L. 507/1994 con disposizioni relative al collaudo statico delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica, differenziando la disciplina in base al fatto che la data di realizzazione sia antecedente l’entrata in vigore della L. 1086/1971 o successiva.

Si ricorda che la legge 5 novembre 1971, n. 1086 recante “Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica” è stata pubblicata nella G.U. 21 dicembre 1971, n. 321 ed è quindi entrata in vigore il 5 gennaio 1972.


Lo schema seguente evidenzia le diverse discipline previste:

 

Opere realizzate prima del 5 gennaio 1972

Il MIT acquisisce o, in assenza prescrive, il collaudo statico delle opere anche complementari e accessorie degli sbarramenti

Opere realizzate successivamente

I concessionari o i richiedenti la concessione di derivazione d’acqua da dighe sono tenuti a presentare entro dodici mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione (il termine è stato differito da tre a dodici mesi a seguito di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente)i collaudi statici delle opere stesse redatti ai sensi della normativa sopra indicata

 


 

Articolo 44
(Disposizioni in materia di appalti pubblici)

 

L’articolo 44 reca disposizioni in materia di sicurezza dei lavoratori negli appalti pubblici.

Commi 1 e 2 - Costo del lavoro

In particolare, il comma 1, al fine di garantire la piena salvaguardia dei diritti dei lavoratori, nonché la trasparenza nelle procedure di aggiudicazione delle gare d’appalto, l’incidenza del costo del lavoro e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ribadisce l’applicazione a tali aspetti di specifiche norme in materia.

 

I richiamati aspetti, più specificamente, restano comunque disciplinati:

§      dagli articoli 86, commi 3bis e 3ter, 87, commi 3 e 4, ed 89, comma 3, del D.Lgs. 163/2006 (lettera a));

L’articolo 86, comma 3-bis, recante i criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse, prevede l’obbligo, nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, per gli enti aggiudicatori, di valutazione dell’adeguatezza e sufficienza del valore economico rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione. Il successivo comma 3-ter stabilisce che il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta.

L’articolo 87, comma 3, concernente i criteri di verifica delle offerte anormalmente basse, non ammette giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Il successivo comma 4 non ammette invece giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformità ai piani di sicurezza, nonché al piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 22 del D.Lgs. 81/2008. Nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture.

Infine, l’articolo 89, comma 3, recante disposizioni inerenti agli strumenti di rilevazione della congruità dei prezzi, stabilisce che nella predisposizione delle gare di appalto le stazioni appaltanti sono tenute a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro come determinato ai sensi dell’articolo 87, comma 2, lettera g), dello stesso D.Lgs. 163[354].

§      dall’articolo 36 della L. 20 maggio 1970, n. 300 (cd. Statuto dei lavoratori) (lettera b));

Il richiamato articolo disciplina gli obblighi dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di opere pubbliche.

In particolare, la norma prevede l’obbligo di inserimento della clausola esplicita determinante l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.

Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l'imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge.

Ogni infrazione accertata comporta specifiche determinazioni da parte degli enti ed istituzioni vigilanti, fino alla revoca del beneficio, e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva, all'esclusione del responsabile, per un tempo fino a 5 anni, da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto.

Tali disposizioni si applicano anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie e creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici.

§      dagli articoli 26, commi 5 e 6, e 27 del D.Lgs. 81/2008 (lettera c)) (vedi infra).

 

Il comma 2 abroga le disposizioni di cui all’articolo 81, comma 3-bis, del D.Lgs. 163/2006, relativa all’esclusione del costo del lavoro dal ribasso offerto nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

 

Il richiamato comma 3-bis, introdotto dall’articolo 4, comma 2, lettera i-bis), del D.L. 70/2011, convertito dalla L. 106/2011, ha stabilito che l’offerta migliore nei contratti pubblici, oltre a quanto stabilito nello stesso articolo 81, debba altresì essere determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

In relazione a questa disposizione, quindi, il costo del personale non figura più elemento di offerta e quindi non deve essere più sottoposto a verifica di congruità.

Al riguardo, il 14 luglio 2011 l’Istituto per l’Applicazione e la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale ha fornito le prime indicazioni per l’applicazione di tale disposizione. In particolare, il documento, nel sottolineare come la norma in questione imponga di salvaguardare comunque e sempre il valore della manodopera quale costo non negoziabile, e pertanto da sottrarre al mercato e alla concorrenza, in analogia con quanto previsto già per gli oneri di sicurezza, evidenzia come la nuova normativa non limiti più l’azione “ad un mero controllo di congruità formulato sulla base di valutazioni parametriche e decontestualizzate, ma richiede che il costo del lavoro sia valutato puntualmente in quanto “costo puro ed incomprimibile” da non assoggettare al mercato, in perfetta analogia con i costi aggiuntivi per la sicurezza desunti in fase progettuale”[355].

Quindi, sempre secondo il richiamato documento, dall’applicazione del comma 3-bis “deriva che può ritenersi superato il disposto dei citati art. 86, comma 3-bis del Codice e 39, comma 3 del Regolamento nelle parti in cui presuppongono la conduzione di verifica dell’anomalia per la componente di costo della manodopera, in quanto il costo del personale non è più elemento di offerta e pertanto come non dovrà più essere sottoposto a verifica di congruità.

Per quanto attiene alle disposizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, il documento precisa che il richiamo “pare ragionevolmente intendersi come rinvio a quanto già previsto dal tessuto normativo di settore (in particolare dal D.Lgs. 81/08, D.Lgs. 163/06 e D.P.R. 207/10), ossia, per la componente da sottrarre dal ribasso, ai soli costi per la sicurezza derivanti dagli elaborati specifici.

Si ricorda che in materia di sicurezza sul lavoro gli obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione sono regolamentati dall’articolo 26 del D.Lgs. 81/2008.

L’articolo, in particolare:

§      individua gli obblighi a carico del datore di in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, e consistenti nella verifica dell'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione, nell’acquisizione del certificato di iscrizione alla C.C.I.A.A., nell’acquisizione dell'autocertificazione dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso di specifici requisiti di idoneità tecnico-professionale e nella somministrazione delle informazioni, agli stessi soggetti, sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (comma 1);

§      evidenzia la cooperazione tra datori di lavoro esubappaltatori circa l'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva(comma 2);

§      dispone l’elaborazione, da parte del datore di lavoro committente, di un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze, da allegare al contratto di appalto o di opera e da adeguare in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture (comma 3). Sono altresì regolamentati specifici casi in cui tale disposizione non trova applicazione (comma 3-bis) e in cui il datore di lavoro non coincida con il committente (comma 3-ter);

§      regolamenta la responsabilità in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'INAIL (comma 4)[356];

§      prevede che nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli articoli 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 c.c., debbano essere specificamente indicati, a pena di nullità ai sensi dell'articolo 1418 c.c., i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni. Tali costi non sono soggetti a ribasso (comma 5);

§      l’obbligo per gli enti aggiudicatori di valutare, nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, l’adeguatezza e la sufficienza del valore economico rispetto al costo del lavoro – determinato periodicamente in apposite tabelle dal ministro del lavoro e delle politiche sociali - e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture (comma 6);

§      dispone l’applicazione del D.Lgs. 81 per quanto non diversamente disposto dal D.Lgs. 163/2006 (comma 7);

§      stabilisce l’obbligo per il personale occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice, nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, di munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro(comma 8).

Comma 3 - Varianti

Il comma 3, con una norma di interpretazione autentica, prevede un periodo transitorio che limita ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 70/2011 (14 maggio 2011), le modifiche in tema di varianti introdotte dalle lettere n) e v) dell’art. 2 del medesimo decreto n. 70.

 

Si ricorda che l’art. 4, comma 2, lett. n) ha modificato l’art. 132, comma 3, in tema di varianti migliorative, il cui importo in aumento, secondo la disciplina già vigente, non può superare il 5% dell’importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l’esecuzione dell’opera. A tale inciso è stata aggiunta la regola secondo cui la somma si intende al netto del 50% dei ribassi d’asta conseguiti. Stante la collocazione della nuova norma alla fine del comma 3, è da ritenere che ‘‘il netto’’ si riferisce alla somma stanziata per l’esecuzione dell’opera, e non all’importo originario del contratto[357]. Tale previsione è entrata in vigore dal 14 maggio 2011, essendo stata introdotta dal decreto legge e non modificata dalla legge di conversione.

La lett. v) del comma 2 ha invece modificato l’art. 169, comma 3, che riguarda le varianti apportate in sede di redazione del progetto definitivo, oppure in corso d’opera. La novella è finalizzata a dimezzare le somme derivanti dai ribassi d'asta, a disposizione delle stazioni appaltanti, per le varianti migliorative. In buona sostanza, mentre prima della modifica era possibile utilizzare l’intero importo conseguito in esito ai ribassi d’asta per apportare varianti alle opere da realizzare, oggi tale facoltà è limitata all’impiego del 50% del risparmio di gara ottenuto. Secondo la relazione tecnica di accompagnamento del decreto, questo consentirebbe di recuperare almeno il 50% di tali somme per destinarle al finanziamento di altre opere.

Non essendo stato previsto un regime transitorio, le disposizioni hanno avuto immediata applicazione anche alle gare già bandite ed ai contratti già in corso di esecuzione.

 

Conseguentemente:

§      ai contratti già stipulati alla data di entrata in vigore del citato decreto legge n. 70 - al 14 maggio 2011 - continuano ad applicarsi le disposizioni dell'art. 132, comma 3, e dell’art. 169 del D.Lgs. n. 163/2006 nel testo vigente prima della medesima data;

§      ai fini del calcolo dell'eventuale superamento del limite previsto dal predetto art. 4, comma 2, lettera v), non sono considerati gli importi relativi a varianti già approvate al 14 maggio 2011.

Comma 4 - Conferenza di servizi

Il comma 4 reca alcune modifiche alle disposizioni transitorie in materia di Conferenza di servizi introdotte dall’art. 4 del decreto legge n. 70/2011.

 

La prima modifica, introdotta con la lett. a), con una novella al comma 10 del citato art. 4 del decreto-legge n. 70, prevede che le disposizioni recate dal comma 2, lettere s), n. 1), t) n. 2) e z) si applicano ai progetti definitivi non ancora ricevuti dal MIT alla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge (14 maggio 2011).

 

Si ricorda che il novellato comma 10 prevede, invece, che le disposizioni recate dal comma 2, lettere s), n. 1), t) n. 2) e z) si applicano ai progetti definitivi non ancora ricevuti dalle Regioni, da tutte le pubbliche amministrazioni competenti e dai gestori di opere interferenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge.

In merito alle richiamate disposizioni delle citate lettere del comma 2 esse riguardano: l’esclusione della Conferenza di servizi dall’iter del progetto definitivo (lettera s) n. 1); la riduzione del termine da 90 a 60 giorni entro il quale le regioni possono esprimersi sul progetto di monitoraggio ambientale che può far parte del progetto definitivo (lettera t), n. 2); la riduzione del termine da 90 giorni a 60 giorni entro il quale il soggetto aggiudicatore o gli enti gestori sono tenuti ad indicare le interferenze a corredo del progetto definitivo (lettera z).

 

La seconda modifica prevista dalla lett. b), attraverso la riformulazione della disposizione transitoria contenuta nel comma 10-bis dell’art. 4 del decreto-legge n. 70/2011, prevede che le disposizioni che hanno introdotto la Conferenza di servizi (CdS) istruttoria sul progetto preliminare si applicano alle opere strategiche i cui progetti preliminari sono pervenuti al MIT successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto[358] (13 luglio 2011).

Alle opere i cui progetti preliminari sono pervenuti al MIT fino al 13 luglio, continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli da 165 a 168 del D.Lgs. n. 163/2006 nel testo vigente prima della medesima data.

 

La disposizione transitoria dell’art. 4, comma 10-bis, del decreto legge n. 70/2011 ora novellata prevedeva, invece, che la CdS sul progetto preliminare si applicasse alle opere i cui progetti preliminari non fossero stati approvati dal CIPE alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge (13 luglio 2011), mentre ai progetti preliminari già approvati dal CIPE alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto continuavano ad applicarsi le disposizioni degli artt. da 165 a 168 del Codice nel testo vigente prima della medesima data.

Comma 5 – Statuto delle imprese

Il comma 5 abroga l’art. 12 della legge n. 180/2011 “Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese” che, modificando l'art. 91 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), che prevedeva, relativamente all’affidamento dei servizi di progettazione, l’elevazione da 100.000 euro agli importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria di cui all’art. 28, comma 1, lett. a) e b), del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), vale a dire 125.000 euro per i committenti che sono amministrazioni centrali dello Stato (sostanzialmente i ministeri) e 193.000 euro per gli altri committenti. Il comma in esame ripristina, pertanto, la formulazione dell’articolo 91 del decreto legislativo n. 163 del 2006 antecedente alla modifica apportata dal citato art. 12. La relazione tecnica precisa che la norma è volta a garantire maggiore trasparenza e concorrenza nell’affidamento dei contratti pubblici di architettura ed ingegneria.

Comma 6 – Scorrimento graduatorie

Il comma 6, con una novella all’art. 140, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, estende al ulteriori ipotesi, rispetto a quelle già previste dal citato comma, la possibilità di procedere all’affidamento del contratto mediante scorrimento della graduatoria formatasi in esito della gara originaria, evitando, in tal modo, di bandire una nuova gara.

Le nuove ipotesi riguardano, oltre al fallimento dell’appaltatore, la liquidazione coatta ed il concordato preventivo, nonché anche il recesso dal contratto ai sensi dell’art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 252/1998.

 

L’art. 140, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, come recentemente modificato dall’art. 4 del decreto legge n. 70/2011, disciplina le procedure di affidamento in caso di fallimento dell’esecutore o risoluzione del contratto, estendendo le disposizioni ivi previste a tutti i casi di risoluzione del contratto di cui agli artt. 135-136 del Codice e non solamente al caso, attualmente previsto dal testo vigente, di risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’esecutore. Il nuovo testo rende quindi sempre possibile lo scorrimento della graduatoria per l’individuazione del soggetto cui affidare il completamento delle opere nell’ipotesi di fallimento dell’appaltatore e di risoluzione del contratto in corso di esecuzione.

Da ultimo il citato art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 252/1998 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia) dispone in merito alla revoca o al recesso dai contratti qualora siano accertati tentativi di infiltrazione mafiosa anche successivamente alla stipula del contratto.

Comma 7 - Misure per le PMI

Il comma 7 è volto a favorire l'accesso delle piccole e medie imprese (PMI) nella realizzazione delle opere pubbliche attraverso l’introduzione di una norma di principio volta a favorire la suddivisione degli appalti in lotti funzionali.

Conseguentemente, con l’aggiunta del comma 1-bis all’art. 2 del D.Lgs. n. 163/2006, si prevede che le stazioni appaltanti devono, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, suddividere gli appalti in lotti.

 

Si ricorda che la legge 191/2009 (legge finanziaria 2010), all'art. 2, commi 232-234, al fine di facilitare l'avvio di progetti strategici, ha introdotto la nozione di “lotto costruttivo” nella realizzazione dei progetti prioritari nell’ambito dei corridoi europei TEN -T, i quali prevedano costi superiori a 2 miliardi di euro e tempi di realizzazione superiori a quattro anni, da individuarsi con DPCM. Si rammenta, altresì, che nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) sono tre le opere per le quali il CIPE ha autorizzato l’avvio per lotti costruttivi con specifiche delibere: deliberazione n. 83/2010 relativa alla Galleria di base del Brennero nell’ambito del potenziamento asse ferroviario Monaco-Verona; deliberazione n. 84/2010 sul Terzo Valico nell’ambito Linea AV-AC Milano-Genova; deliberazione n. 85/2010 relativa alla linea AV-AC Milano-Verona.

 

Infine, con l’aggiunta del comma 1-ter all’art. 2 del D.Lgs. n. 163/2006, viene previsto che la realizzazione delle grandi infrastrutture, comprese le infrastrutture strategiche disciplinate dalla parte II, titolo III, capo IV, dello stesso D.lgs., nonché delle connesse opere integrative o compensative, dovrà garantire modalità di coinvolgimento delle PMI.

 

Si ricorda che la definizione comunitaria di microimprese[359], piccole e medie imprese è contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE, che ha sostituito, a decorrere dal 1º gennaio 2005, la Raccomandazione 96/280/CE, estendendo il concetto d’impresa ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, incluse dunque le entità che svolgono attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono con regolarità un’attività economica.

Per essere riconosciuta come PMI l'impresa deve rispettare le soglie relative agli effettivi e quelle relative al totale di bilancio fissate dalla raccomandazione.

I nuovi effettivi e soglie finanziarie che definiscono PMI e microimprese sono i seguenti:

-        media impresa: occupa meno di 250 persone, realizza un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro;

-        piccola impresa: occupa meno di 50 persone, realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro;

-        microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.

Sempre a livello comunitario, l’iniziativa intitolata “Small Business Act” (SBA)[360] per l’Europa mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee, affrontando tutti i temi della vita delle piccole e medie imprese (PMI), dall’accesso al credito alla semplificazione amministrativa, dagli interventi fiscali all’innovazione tecnologica, dall’efficienza energetica all’ambiente, dal sostegno agli investimenti alla formazione, fino alla facilitazione della partecipazione delle PMI agli appalti pubblici. Il Governo italiano ha dato attuazione a tale comunicazione con la direttiva del Presidente del Consiglio del 4 maggio 2010.

Infine, si ricorda che è recentemente stata emanata la legge 180/2011, volta a stabilire i principi che concorrono a definire lo Statuto delle imprese[361], con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, anche sulla scorta delle indicazioni contenute nello "Small Business Act ". In proposito, si segnala che l’art. 13 reca norme in materia di appalti pubblici volte, tra l’altro, a suddividere gli appalti in lotti e semplificare le modalità di accesso delle PMI agli appalti.


Commi 8 e 9 – Consultazione preliminare

Il comma 8, lettera a),con il nuovo art. 112-bis al D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), introduce una fase di consultazione preliminare che le stazioni appaltanti dovranno indicare nel bando di gara qualora si tratti di lavori:

§      di importo a base di gara superiore a 20 milioni di euro;

§      da affidarsi con la procedura ristretta di cui all'art. 55, comma 6.

Il comma specificare poi che la consultazione preliminare dovrà garantire il contraddittorio tra le parti.

 

Ai sensi dell’art. 55, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, nelle procedure ristrette gli operatori economici presentano la richiesta di invito nel rispetto delle modalità e dei termini fissati dal bando di gara e, successivamente, le proprie offerte nel rispetto delle modalità e dei termini fissati nella lettera di invito. Alle procedure ristrette, per l'affidamento di lavori, sono invitati tutti i soggetti che ne abbiano fatto richiesta e che siano in possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal bando, salvo quanto previsto dall’art. 62 e dall’art. 177 che disciplinano rispettivamente il numero minimo dei candidati da invitare nelle procedure ristrette e l’aggiudicazione delle concessioni e degli affidamenti a contraente generale che avviene mediante procedura ristretta.

 

La lettera b), con una novella all’art. 206, comma 1, del D.Lgs. n. 163, estende l’applicabilità della consultazione preliminare introdotta dal nuovo art. 112-bis anche ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori speciali.

 

Come precisa la relazione tecnica, l’introduzione di tale procedura è volta a favorire che la realizzazione dell’opera avvenga nei tempi e nei costi preventivati, attraverso l’individuazione di un momento di confronto tra imprese invitate alla gara e stazione appaltante nel corso del quale possano essere chiarite incertezze sugli elaborati progettuali, anche al fine di prevenire eventuali contenziosi nella fase esecutiva dei lavori.

 

Da ultimo il comma 9 dispone che tale nuovo procedimento dovrà essere applicato alle procedure i cui bandi o avvisi di gara saranno pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto in esame.


 

Articolo 44-bis
(Elenco- Anagrafe nazionale delle opere pubbliche incompiute)

 

 

L’articolo in oggetto, introdotto durante l’esame in sede referente, reca una disciplina delle opere pubbliche incompiute finalizzata, in particolare, alla creazione di un elenco-anagrafe di tali opere costruito in base a criteri di adattabilità delle opere stesse ai fini del loro riutilizzo, nonché di criteri che indicano le ulteriori possibili destinazioni di ogni singola opera.

 

In particolare, il comma 1 dell'articolo in esame introduce la definizione di «opera pubblica incompiuta» con cui si intende l'opera che non è stata completata:

§         per mancanza di fondi;

§         per cause tecniche;

§         per sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge;

§         per il fallimento dell'impresa appaltatrice;

§         per il mancato interesse al completamento da parte del gestore.

 

Ai sensi del comma 2 si considera in ogni caso opera pubblica incompiuta anche l’opera non rispondente a tutti i requisiti previsti dal capitolato e dal relativo progetto esecutivo, e che non risulta fruibile dalla collettività.

 

Il comma 3 prevede l’istituzione, presso il MIT (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), dell'elenco-anagrafe nazionale delle opere pubbliche incompiute.

 

Tale elenco, ai sensi del comma 4, è articolato a livello regionale mediante l'istituzione di elenchi-anagrafe presso gli assessorati regionali competenti per le opere pubbliche.

 

Il comma 5 prevede che la redazione dell'elenco nazionale e di quelli regionali avvenga contestualmente.

Lo stesso comma individua i seguenti criteri per l’inserimento delle opere pubbliche incompiute negli elenchi citati:

§         criteri di adattabilità delle opere stesse ai fini del loro riutilizzo;

§         criteri che indicano le ulteriori destinazioni possibili di ogni singola opera.

 

Il comma 6 affida al MIT il compito di provvedere con proprio regolamento, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, alla fissazione delle modalità:

§         di redazione dell’elenco-anagrafe;

§         di formazione della graduatoria e dei criteri di iscrizione in elenco delle opere incompiute tenendo conto dello stato di avanzamento dei lavori ed evidenziando le opere prossime al completamento.

 

Il comma 7 prevede che ai fini della fissazione dei criteri di cui al comma 5, si debba tener conto delle diverse competenze in materia attribuite allo Stato e alle regioni.

 

Si fa notare che l’articolo in esame riproduce in buona parte il contenuto delle proposte di legge C. 2727 e C. 4161 nonché del disegno di legge S. 2596, il cui esame non è stato avviato dalle competenti Commissioni parlamentari.

Sulla consistenza delle opere pubbliche incompiute in Italia, si ricorda che recenti inchieste giornalistiche hanno indicato un numero di circa 360-400 opere incompiute sul territorio nazionale[362].


 

Articolo 45
(Disposizioni in materia edilizia)

 

 

Comma 1- Opere di urbanizzazione a scomputo

Il comma 1 prevede, attraverso l’inserimento del comma 2-bis all’art. 16 del TU dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001), nell’ambito degli strumenti attuativi dei piani urbanistici e degli atti equivalenti comunque denominati[363], nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo da parte del titolare del permesso di costruire qualora esse siano:

§      di valore inferiore alla soglia comunitaria (attualmente pari a 4.845.000 euro);

§      funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio.

In tal caso, infatti, a tali interventinon si applicano le disposizioni del D.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) che prevedono, invece, il ricorso alla cd. gara informale.

La relazione tecnica precisa, pertanto, che tale norma, escludendo le opere di urbanizzazione a scomputo di importo inferiore alla soglia comunitaria dall’applicabilità del Codice, tende a favorire gli investimenti privati.

 

Si ricorda, infatti, che il D.Lgs. n. 163/2006, reca,all’art. 122, comma 8 la disciplina delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo, riformulata a seguito di alcuni rilievi della Commissione europea. Si prevede, infatti, che per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo da parte dei soggetti privati, venga applicata la procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara di cui all’art. 57, comma 6[364], con comparazione tra cinque offerte[365] (cd. gara informale).

Sono considerate opere di urbanizzazione primaria, ai sensi del comma 7 dell’art. 16 del TU dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001), quelle relative ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato. Sostanzialmente le opere relative alla viabilità e servizi sono caratterizzate da un rapporto di stretta interconnessione funzionale rispetto all’intervento edilizio primario, essendo essenziali per rendere fruibile lo stesso.

Per le opere di urbanizzazione secondaria a scomputo sotto soglia comunitaria permane, invece, l’obbligo di svolgimento della procedura negoziata senza bando prevista dall’art. 122, comma 8, ed il conseguente divieto di realizzazione in via diretta da parte del titolare del permesso di costruire.

Occorre, infine, rammentare che una disposizione analoga era contemplata dal decreto-legge n. 70/2011 (art. 5, comma 2, lett. a) n. 2), ma è stata espunta dalla legge di conversione. Nella relazione illustrativa al decreto legge tale intervento veniva motivato “con l’esigenza di progettare unitariamente le opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria e di fare in modo che le stesse fossero eseguite contestualmente e in maniera coordinata con gli interventi principali. L’esecuzione di tali opere, infatti, essendo un onere connaturato alla trasformazione urbanistica del territorio, pone problemi di interferenze con la realizzazione degli edifici previsti all’interno dell’ambito territoriale oggetto di trasformazione”.

Comma 2- Materiali innovativi

Il comma in esame, alla lettera a), riscrive il comma 2 dell’art. 52 del D.P.R. 380/2001 relativo al giudizio di idoneità, da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici, dei materiali o sistemi costruttivi diversi da quelli “standard”.

Rispetto al testo vigente, che elenca in modo puntuale le tipologie costruttive e i materiali ritenuti “standard”, la norma in esame richiede la certificazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici ogniqualvolta vengano usati materiali o sistemi costruttivi diversi da quelli disciplinati dalle norme tecniche in vigore.

Il rinvio al D.M. 14 gennaio 2008 (approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni) sembra finalizzato, alla luce della vastità della disciplina tecnica in esso contenuta (si veda in particolare il punto 11 “Materiali e prodotti per uso strutturale”), a ridurre il ricorso alla procedura autorizzativa prevista dal comma 2 dell’art. 52.

La relazione tecnica precisa che tale disposizione è volta a semplificare le procedure per l’utilizzo di materiali innovativi.

 

La successiva lettera b) modifica la procedura prevista dall’art. 59, comma 2, del D.P.R. 380/2001, per l’autorizzazione di altri laboratori (oltre a quelli ufficiali previsti dal comma 1 del medesimo articolo) ad effettuare prove su materiali da costruzione, comprese quelle geotecniche su terreni e rocce, eliminando l’obbligo, posto in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (cui compete il rilascio dell’autorizzazione), di acquisire il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

Si ricorda che i laboratori ufficiali elencati dal comma 1 dell’art. 59 del D.P.R. 380/2001 sono:

a) i laboratori degli istituti universitari dei politecnici e delle facoltà di ingegneria e delle facoltà o istituti universitari di architettura;

b) il laboratorio di scienza delle costruzioni del centro studi ed esperienze dei servizi antincendi e di protezione civile (Roma);

b-bis) il laboratorio dell'Istituto sperimentale di Rete Ferroviaria Italiana spa;

b-ter) il Centro sperimentale dell'Ente nazionale per le strade (ANAS) di Cesano (Roma), autorizzando lo stesso ad effettuare prove di crash test per le barriere metalliche.

 

La relazione tecnica precisa che l’eliminazione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nell’ambito della procedura di autorizzazione dei laboratori, riveste carattere semplificatorio.

Commi 3 e 4 - Approvazione accordi di programma piano casa

Il comma 3, con una novella all’art. 11, comma 4, del decreto legge n. 112/2008, è volto a semplificare le procedure relative all’approvazione degli accordi di programma per la realizzazione degli interventi previsti dal Piano nazionale di edilizia abitativa (cd. Piano casa), prevedendo che essi vengano approvati con decreto del MIT, anziché con DPCM.

Conseguentemente, il comma 4 novella anche il comma 2 dell’art. 4 del DPCM 16 luglio 2009 con il quale è stato approvato il Piano casa.

 

Al riguardo, si segnala che il comma in esame novella una disciplina oggetto di fonte normativa di rango subordinato e che pertanto non appare conforme alle esigenze di coerente utilizzo delle fonti.

 

Si ricorda, infatti, che l’art. 11, comma 4, del decreto legge n. 112/2008, al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa, prevede l’approvazione di appositi accordi di programma con DPCM, previa delibera CIPE, d’intesa con la Conferenza unificata, promossi dal MIT che potranno essere comunque approvati decorsi 90 giorni in caso di mancata acquisizione della prevista intesa. A sua volta il DPCM 16 luglio 2009, con cui è stato approvato il Piano casa, ha precisato, all’art. 4, comma 2, dell’allegato, le modalità di elaborazione di tali accordi di programma da approvare con le modalità indicate dal citato decreto legge n. 112.

Si rammenta, da ultimo, in merito all’attuazione di tali disposizioni che il CIPE, con la delibera n. 16 del 5 maggio 2011, ha espresso parere favorevole sugli schemi di accordi di programma tra il MIT e le regioni Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto e Provincia autonoma di Trento e che il MIT, in data 15 ottobre 2011, ha sottoscritto i 15 accordi di programma con le 14 Regioni e la Provincia Autonoma di Trento[366]. Tali accordi attiveranno investimenti pubblici e privati per oltre 2 miliardi e 700 mila euro per realizzare 15.200 alloggi da destinare prioritariamente a nuclei familiari a basso reddito, a giovani coppie, anziani, studenti fuorisede, sfrattati non per morosità, immigrati regolari a basso reddito residenti da 10 anni in Italia. Sono, pertanto, tali accordi di programma ad essere interessati dalle disposizioni in commento.


 

Articolo 46
(Collegamenti infrastrutturali e logistica portuale)

 

 

L’articolo 46 reca norme finalizzate alla creazione di sistemi logistici, destinate a implementare i collegamenti fra porti e aree retro portuali.

 

Il comma 1, in particolare, prevede che, al fine di promuovere la realizzazione di infrastrutture di collegamento tra i porti e le aree retro portuali, le autorità portuali possono costituire sistemi logistici, attraverso atti di intesa con le regioni, le province ed i comuni interessati, nonché con i gestori delle infrastrutture ferroviarie.

 

Il comma 2 precisa che le predette attività devono realizzarsi in conformità a quanto previsto dalla normativa comunitaria, anche con riferimento ai corridoi transeuropei, e senza causare distorsione della concorrenza tra i sistemi portuali.

 

Ai sensi del comma 3, gli interventi di coordinamento devono essere mirati all'adeguamento dei piani regolatori portuali e comunali per le esigenze di cui al comma 2; tali esigenze sono considerate prioritarie nei criteri di destinazione d'uso delle aree.

 

Il comma 4 prevede infine che, nei terminali retro portuali, cui fa riferimento il sistema logistico, il servizio doganale viene svolto dalla stessa articolazione territoriale dell'amministrazione competente che esercita il servizio nei porti di riferimento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Con riferimento al settore della logistica, va ricordato che il Piano Nazionale della Logistica 2011-2020, elaborato dalla Consulta generale per l’autotrasporto, prevede una serie di interventi volti a perseguire una strategia di lungo periodo, finalizzata a ridurre i costi rilevanti derivanti dall'inefficienza complessiva del settore della logistica. Il Piano si articola in una serie di interventi, normativi e amministrativi, che incidono su tutte le modalità di trasporto. Fra i numerosi settori di intervento rientrano le piattaforme logistiche, il sistema portuale, i collegamenti intermodali, il sistema degli incentivi (Ferrobonus, Ecobonus), i Sistemi intelligenti di trasporto.

 

In tema di politica portuale, la Commissione europea ha fornito alcune indicazioni nella Comunicazione (COM(2007)616), che, nel sottolineare l’importanza di collegamenti affidabili e sostenibili con l’entroterra per lo sviluppo dei porti, individua una serie di opzioni per fare fronte all’aumento della domanda di capacità portuali. Tra le altre misure, la Commissione prospetta interventi intesi ad aumentare l’efficienza e la produttività dei porti mediante una gestione integrata della catena di trasporto e l’elaborazione di indicatori di prestazione validi per tutte le modalità di trasporto, un migliore funzionamento dell’interfaccia tra i modi e gli operatori e l’individuazione di nuovi itinerari. La Commissione lascia peraltro alle autorità regionali e nazionali la possibilità di definire le modalità per la gestione dei porti sulla base delle opzioni che possono meglio assecondare l’interesse generale e le dinamiche di mercato.

 

Si ricorda, infine, che la IX Commissione della Camera ha concluso l’11 ottobre 2011 l’esame del testo unificato di due proposte di legge in materia di interporti e di piattaforme territoriali logistiche (C 3681 e C 4296).


 

Articolo 47, comma 1
(Finanziamento infrastrutture strategiche e ferroviarie)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 47 modifica la denominazione del Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali, istituito dall’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 98/2011: la nuova denominazione è Fondo per le infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico.

 

Il fondo in questione è istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con una dotazione di 930 milioni per l’anno 2012 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016. Le risorse del fondo sono assegnate dal CIPE, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e sono destinate prioritariamente alle opere ferroviarie da realizzare ai sensi dell’articolo 2, commi 232-234, della legge n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), che disciplina la cosiddetta procedura per i lotti costruttivi[367], ai contratti di programma con RFI S.p.A.[368] e con ANAS S.p.A..[369]

 

Il cambiamento di denominazione del Fondo è diretto a consentire l’utilizzo delle risorse del medesimo anche per opere di interesse strategico (ovvero comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443) diverse dalle infrastrutture ferroviarie e stradali.


 

Articolo 47, comma 2
(Contratto di servizio con Trenitalia S.p.A.)

 

 

Il comma 2 dell’articolo 47 autorizza la corresponsione a Trenitalia S.p.A. delle somme previste per il 2011 per lo svolgimento degli obblighi di servizi pubblico ferroviario, nelle more della stipula dei contratti di servizio pubblico. Le somme alle quali si riferisce la norma sono quelle previste con questa finalità dal bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2011.

 

Il contratto di servizio pubblico tra lo Stato e la società Trenitalia S.p.A., previsto dall'articolo 4, comma 4, della legge n. 538/1993 (legge finanziaria 1994), regola i rapporti tra i suddetti soggetti concernenti gli obblighi di esercizio, di trasporto e tariffari. I relativi oneri a carico dello Stato sono iscritti in appositi capitoli del bilancio dello Stato.

Secondo la normativa comunitaria, è definito contratto di servizio il contratto concluso fra le autorità competenti di uno Stato membro e un'impresa di trasporto allo scopo di fornire alla collettività servizi di trasporto sufficienti. Esso assolve alla funzione di garantire il soddisfacimento di esigenze di trasporto che le imprese stesse non avrebbero convenienza economica ad assicurare. A tal fine, il contratto provvede attraverso l’imposizione alle imprese di obblighi di servizio pubblico, a fronte dei quali sono previsti meccanismi di compensazione in favore delle imprese stesse.

Gli obblighi di servizio pubblico comprendono: gli “obblighi di esercizio”, in virtù dei quali le imprese debbono garantire la continuità, la regolarità e l’adeguatezza, in termini di capacità, del servizio; gli “obblighi di trasporto”, per cui le imprese sono tenute ad accettare ed effettuare qualsiasi trasporto di persone o di merci a prezzi e condizioni determinati; gli “obblighi tariffari”, in virtù dei quali le imprese sono tenute ad applicare prezzi stabiliti o approvati dalle pubbliche autorità, in particolare per talune categorie di viaggiatori o di prodotti o per determinati collegamenti.


 

Articolo 48
(Clausola di finalizzazione)

 

 

L’articolo 48, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede che le maggiori entrate erariali derivanti dal provvedimento in esame sono riservate all’Erario, per un periodo di cinque anni, e sono finalizzate alle esigenze prioritarie del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche in considerazione dell’eccezionalità della situazione economica.

Poiché, peraltro, a norma del successivo articolo 49 quota parte delle maggiori entrate derivanti dal decreto legge in esame è utilizzata dal medesimo provvedimento a copertura degli oneri in esso previsti, la norma in esame è da ritenersi riferita alle maggiori entrate non utilizzate a copertura.

 

La definizione delle modalità di individuazione del maggior gettito, da operarsi attraverso contabilizzazione separata, è rinviata ad un apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, e da trasmettere - secondo quanto specificato a seguito di una modifica introdotta nel corso dell’esame referente - alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica.

 

Com'è noto, il sistema di finanziamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome è basato sulle compartecipazioni ai tributi erariali, nelle quote stabilite dagli statuti e dalle relative norme di attuazione. L’ordinamento finanziario di queste regioni prevede altresì la possibilità che venga riservato all’erario statale l’incremento di gettito delle imposte riscosse nel territorio delle regioni stesse, disposto dalla legge statale per far fronte a specifiche esigenze. Di norma, nelle disposizioni statutarie, è altresì disciplinata la necessità della definizione dell'ammontare della 'riserva' in accordo con la regione (o provincia autonoma) interessata[370]. Di queste disposizioni si sono avvalse molte leggi statali che hanno introdotto nuovi tributi, o aumentato il gettito di quelli esistenti, con lo scopo di contribuire al risanamento della finanza pubblica.

 

Il comma 1-bisreca una clausola di salvaguardia per le autonomie speciali in base alla quale ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 13, 14 e 28, nonché quelle di cui all’articolo in esame, le modalità di applicazione e gli effetti finanziari del decreto saranno definiti, per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano, con le norme di attuazione statutaria di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 di attuazione del federalismo fiscale.

 

Il citato articolo 27 conferma la necessità dell'accordo con ciascuna regione o provincia autonoma e dispone che le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome dovranno essere introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali (comma 1); sono previste, inoltre, specifiche norme procedurali per l’attuazione della delega, quali il principio della partecipazione dei Presidenti delle regioni e delle province autonome alle riunioni del Consiglio dei ministri in cui si esaminano gli schemi delle rispettive norme di attuazione (comma 5); la partecipazione di un rappresentante tecnico della singola regione o provincia autonoma interessata alla Commissione tecnica paritetica per l’emanazione delle norme di attuazione (comma 6); l'istituzione dei tavoli paritetici tra ciascuna regione e Governo, volti a individuare linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi della legge delega di attuazione del federalismo fiscale e con i nuovi assetti della finanza pubblica (comma 7).

Si segnala, inoltre, che norme recanti disposizioni di attuazione del federalismo fiscale per le regioni a statuto speciale sono state emanate per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano con la legge finanziaria 2010 (legge n. 191/2009, art. 2, commi 106-125) e per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Regione autonoma Valle d'Aosta dalla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010, art. 1, rispettivamente, commi 151-159 e commi 160-164). In particolare, le disposizioni citate quantificano il contributo di ciascuna regione per l'attuazione dei principi di perequazione e solidarietà del federalismo fiscale, recano disposizioni sulla disciplina del patto di stabilità e norme generali per il coordinamento delle norme che provvederanno ad attuare il federalismo fiscale (i decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009) e l'ordinamento finanziario della regione.


 

Articolo 49
(Norma di copertura)

 

 

L’articolo 49, modificato nel corso dell’esame in sede referente,reca la clausola di copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione del decreto in esame – quantificati e riferiti alle disposizioni espressamente indicate nel medesimo articolo – stabilendo che ad essi si provveda con quota parte delle maggiori entrate e delle minori spese previste dal provvedimento medesimo.

 

In conseguenza delle modifiche apportate all’articolato del decreto legge, in particolare la revisione del finanziamento del Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne (cfr. articolo 24, comma 27) gli oneri sono stati rideterminati in 6.882,7 milioni di euro per il 2012, in 11.162,7 milioni per il 2013, in 12.669,3 milioni per il 2014, in 13.048,6 milioni per il 2015, in 14.330,9 milioni per il 2016, in 13.838,2 milioni per 2017, in 14.156,2 milioni per il 2018, in 14.466,1 milioni per il 2019, in 14.778,4 milioni per il 2020, in 15.090,7 milioni per il 2021, in 15.403,0 milioni per il 2022 e in 15.421,1 milioni a decorrere dal 2023.

 

In sostanza, dunque, le modifiche apportate nel corso dell’esame in sede referente hanno determinato una riduzione degli oneri di 60 milioni nel 2015 e di 300 milioni a decorrere dal 2016.

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 



[1]     I successivi interventi normativi hanno gradualmente depotenziato l’istituto. In particolare, il D.Lgs. n. 9/2000 ha previsto che la remunerazione ordinaria rilevante a fini DIT fosse incrementata del 20 per cento per il periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 30 settembre 1999 e del 40 per cento per i periodi d'imposta successivi. L’articolo 5 della L. n. 383 del 2001 ha limitato l’applicabilità dell’agevolazione agli incrementi di capitale realizzati in un arco temporale specifico, ovvero quello compreso tra l'esercizio successivo a quello in corso alla data del 30 settembre 1996 e la data del 30 giugno 2001. L’articolo 1 del D.L. 209/2002 ha escluso l’applicazione dell’incremento percentuale, fissando la remunerazione ordinaria della variazione in aumento del capitale in misura pari al saggio degli interessi legali.

[2]     L’articolo 1 del D.Lgs. n. 446 del 1997, istitutivo dell’IRAP, dispone testualmente “L’imposta ha carattere reale e non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi. Tale indeducibilità è stata inoltre ribadita dal comma 43 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008).

[3]     D.L. 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 28 gennaio 2009, n. 2.

[4]     Si tratta della Sezione I, Capo II, Titolo II (Imposta sul reddito delle società), del citato TUIR

[5]     Si ricorda che la comunicazione della Commissione (2009/C 83/01) sul quadro temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato nella situazione di crisi finanziaria ha modificato il regime degli aiuti d’importanza minore (c.d. “de minimis”) di cui al regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione (del 15 dicembre 2006), innalzando da 200.000 a 500.000 euro in tre anni l’importo della sovvenzione che può essere concessa al singolo beneficiario, in deroga agli articoli 87 e 88 del TUE. La Commissione europea ha deciso la proroga, con modifiche, del "Quadro di riferimento temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'accesso al finanziamento nell'attuale situazione di crisi finanziaria ed economica" fino al 31 dicembre 2011. Scopo del quadro temporaneo era permettere agli Stati membri di adottare misure di aiuto di Stato supplementari, onde agevolare l’accesso delle imprese ai finanziamenti e al tempo stesso incoraggiare le imprese a continuare ad investire nel futuro in tali circostanze eccezionali. La scadenza del quadro temporaneo era prevista al 31 dicembre 2010. La Commissione ha stabilito una proroga fino al 31 dicembre 2011 di determinate misure attualmente previste dal quadro temporaneo, accompagnata dall’introduzione di condizioni più rigorose relative alle misure prorogate. La proroga riguarda diverse tipologie di aiuti di Stato temporanei anti-crisi tra i quali gli aiuti di importo limitato che potranno essere concessi anche alle imprese in crisi dopo il 1 gennaio 2008.

[6]     In base alla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari nell’obiettivo Convergenza (aree in cui il PIL procapite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria), sono incluse, per l’Italia le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Nell’ambito dello stesso obiettivo si aggiunge la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (c.d. phasing-out) per favorirne l’uscita dall’obiettivo.

[7]     L’articolo 5-bis delD.L. n. 138 del 2011reca una deroga in favore delle regioni ricomprese nell’Obiettivo convergenza ai limiti di spesa introdotti dalla disciplina del patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario stabiliti dall’articolo 1, commi 126 e 127, della legge 3 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011) relativamente alla spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna regione a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture. Il comma 2 prevede che i maggiori oneri derivanti dalla deroga ai tetti di spesa fissati dalla legge per il patto di stabilità interno in favore delle regioni dell’Obiettivo convergenza, debbano essere compensati attraverso l’attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri. In particolare il comma specifica che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, e di intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, da adottarsi entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari, nonché le modalità di attribuzione allo Stato e alle restanti regioni di tali oneri.

[8]     Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[9]     Disposizioni in materia di commercio con l'estero, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), e dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[10]    L’articolo 2, comma 15, della legge n. 203/2008 (finanziaria 2009) aveva, da ultimo, prorogato al 2011 il termine per l'applicazione dell'aliquota agevolata.

[11]    Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.

[12]    Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).

[13]    D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell'articolo 59, comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449.

[14]    Le informazioni contenute in questa sezione sono state tratte da: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Rapporto ISEE 2011, Quaderni della ricerca sociale 13, marzo 2011. Il rapporto è consultabile online:

      http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/FD9DD2FE-182C-4054-81A5-0533E9AC2083/0/RapportoISEE2011.pdf

[15]    Dal punto di vista territoriale, la franchigia sul patrimonio mobiliare opera in modo molto diverso: nel Mezzogiorno solo lo 0,75 per cento dei dichiaranti riporta un patrimonio mobiliare lordo superiore ai 15.500 euro, mentre al Nord-est la percentuale dei dichiaranti in quest’ambito si attesta sul 16 per cento.

[16]    Finora l’esclusione dei trasferimenti esenti da imposizione è stata motivata anche dal fatto che questi tipi di prestazioni rispondono a specifiche condizioni di bisogno, essendo sostanzialmente misure non sottoposte alla prova dei mezzi. Sul punto Motta, M., Le criticità dell’ISEE, in Prospettive sociali e sanitarie 16-18, settembre-ottobre 2011. L’autore rileva che “laddove l’ISEE venga utilizzato per definire le erogazioni di assistenza economica dei Comuni (o loro Consorzi), si può avviare un paradossale effetto di sostituzione dei compiti e dei costi tra Stato ed Enti locali”. L’INPS infatti eroga gli assegni sociali agli anziani in condizioni di povertà valutando la loro condizione economica con strumenti diversi dall’ISEE. D’altra parte, i Comuni erogano la loro assistenza economica tramite l’ISEE non considerando l’assegno sociale INPS. Tale meccanismo, a parere dell’autore, può creare distorsioni nel sostegno del reddito da parte del Comune che erogherà l’assegno sociale ad un anziano che già riceve l’assegno INPS poiché, a parità di patrimoni ed altri redditi, risulterà avere lo stesso ISEE dell’anziano che non riceve l’assegno sociale. D’altra parte l’INPS, considerando tra i redditi l’assistenza comunale, nel corso degli anni, nel caso sopra proposto, tenderà a ridurre od eliminare la concessione dell’assegno sociale, spostando prestazioni che hanno natura di un diritto soggettivo ad altre di natura comunale.

[17]    A livello nazionale fra le prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE si ricordano: social card, assegno per nuclei familiari con almeno tre figli, assegni di maternità per madri prive di altra garanzia assicurativa, fornitura gratuita o semigratuita di libri di testo, erogazione borse di studio, tariffa sociale per il servizio di distribuzione o vendita dell’energia elettrica, agevolazioni per il canone telefonico.

[18]    A livello locale fra le prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE si ricordano:asili nidi e altri servizi per l’infanzia, mense scolastiche, servizi sociosanitari diurni e residenziali, altre prestazioni assistenziali.

[19]    Ministero del lavoro e delle politiche sociali – INPS, I trattamenti assistenziali anno 2009: i trasferimenti sociali per invalidità, pensioni sociali, integrazioni al minimo, pensioni di guerra e pensioni ai superstiti, Quaderni della ricerca sociale 2, s.d. Nella pubblicazione tra le provvidenze di natura assistenziale sono anche ricomprese le pensioni ai superstiti. Il presupposto in questo caso è il legame di parentela con soggetti deceduti già beneficiari di altri trattamenti, ovvero lavoratori che al momento del decesso avevano già maturato diritti pensionistici. Tali trattamenti, pur non avendo una finalità strettamente assistenziale, sono inclusi perché dipendono nell’ammontare (anche se non nel diritto alle stesse) dalle condizioni economiche dei superstiti. Sono reversibili le prestazioni pensionistiche d’invalidità, di vecchiaia e di anzianità. La pensione ai superstiti spetta, in una quota percentuale della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato, ai componenti del suo nucleo familiare a condizione che il deceduto fosse già pensionato o potesse far valere al momento del decesso 15 anni di contribuzione (ovvero 780 contribuzioni settimanali) o 5 anni di cui 3 nell'ultimo quinquennio.

[20]    D.L. 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 28 gennaio 2009, n. 2.

[21]    http://www.agcm.it/segnalazioni/audizioni/4753-problematiche-afferenti-alle-commissioni-di-massimo-scoperto.html.

[22]    http://www.bancaditalia.it/interventi/altri_int/2010/Generale_171110.pdf.

[23]    Disposizioni in materia di commercio con l'estero, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), e dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 - il provvedimento è stato peraltro in gran parte abrogato dalla successiva normativa in materia di internazionalizzazione delle imprese italiane.

[24]    Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo

[25]    Partecipazione italiana al finanziamento della Banca africana di sviluppo, dell'Agenzia multilaterale per la garanzia degli Investimenti, dell'ASEM Trust Fund, della Global Environment Facility e del Multilateral Investment Fund.

[26]    Partecipazione italiana alla IV ricostituzione delle risorse del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD).

[27]    Partecipazione italiana alla XII ricostituzione dell'IDA (International Development Association) ed alla VIII ricostituzione del Fondo africano di sviluppo.

[28]    Partecipazione italiana al quinto aumento di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa.

[29]    Concessione di prestiti garantiti dallo Stato a favore della «Poverty Reduction and Growth Facility (PRGF)» del Fondo Monetario Internazionale.

[30]    Partecipazione finanziaria italiana al primo aumento di capitale della Interamerican Investment Corporation, nonché alla ricostituzione delle risorse del Fondo asiatico di sviluppo, del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo e dell'Asem Trust Fund.

[31]    Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2004, n. 315, recante disposizioni urgenti per garantire la partecipazione finanziaria dell'Italia a Fondi internazionali di sviluppo e l'erogazione di incentivi al trasporto combinato su ferrovia, nonché per la sterilizzazione dell'IVA sulle offerte a fini umanitari.

[32]    Partecipazione italiana alla ricostituzione delle risorse di Fondi e Banche internazionali

[33]    Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.

[34]    Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

[35]    V. la Relazione della Banca d’Italia al Parlamento e al Governo per il 2006, pag. 54.

[36]    L’articolo 84 del TUIR prevede che la perdita di un periodo d'imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi in misura non superiore all'ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza in tale ammontare. Per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione dell'utile la perdita è riportabile per l'ammontare che eccede l'utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti. La perdita è diminuita dei proventi esenti dall'imposta diversi da quelli di cui all'articolo 87, per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi dell'articolo 109, comma 5. Detta differenza potrà tuttavia essere computata in diminuzione del reddito complessivo in misura tale che l'imposta corrispondente al reddito imponibile risulti compensata da eventuali crediti di imposta, ritenute alla fonte a titolo di acconto, versamenti in acconto, e dalle eccedenze di cui all'articolo 80. Le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta dalla data di costituzione possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva.

[37]    L’articolo 84 del TUIR prevede che la perdita di un periodo d'imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi in misura non superiore all'ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza in tale ammontare. Per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione dell'utile la perdita è riportabile per l'ammontare che eccede l'utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti. La perdita è diminuita dei proventi esenti dall'imposta diversi da quelli di cui all'articolo 87, per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi dell'articolo 109, comma 5. Detta differenza potrà tuttavia essere computata in diminuzione del reddito complessivo in misura tale che l'imposta corrispondente al reddito imponibile risulti compensata da eventuali crediti di imposta, ritenute alla fonte a titolo di acconto, versamenti in acconto, e dalle eccedenze di cui all'articolo 80. Le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta dalla data di costituzione possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva.

[38]    Recante disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento dell'Amministrazione finanziaria, nonché disposizioni varie di carattere finanziario.

[39]    D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, recante disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito.

[40]    D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 26 febbraio 2011, n. 10.

[41]    D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, recante l’unificazione ai fini fiscali e contributivi delle procedure di liquidazione, riscossione e accertamento, a norma dell'articolo 3, comma 134, lettera b), della L. 23 dicembre 1996, n. 662.

[42]    Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[43]    D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, recante il riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337.

[44]    D.L. 13 maggio 2011, n. 70, recante “Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia” e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 12 luglio 2011, n. 106.

[45]    D.L. 13 maggio 2011, n. 70, recante “Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia” e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 12 luglio 2011, n. 106.

[46]    Il Sistema pubblico di connettività è una rete infrastrutturale prevista dal Codice dell’amministrazione digitale (CAD) volta a favorire la cooperazione interistituzionale che coinvolge numerosi soggetti tra cui, ex officio, il presidente del Centro nazionale per l'informatica della pubblica amministrazione (CNIPA), otto rappresentanti di pubbliche amministrazioni centrali e otto rappresentanti di regioni ed enti locali. Tali soggetti si riuniscono con frequenza mensile al fine di affrontare e proporre soluzioni di carattere operativo relativamente all’attuazione del CAD.

[47]    Recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[48]    Fonte: sito istituzionale INPS, all’indirizzo:

      http://www.inps.it/docallegati/mig/doc/Informazione/UfficioStampa/ConferenzeStampa/COLLABORAZIONE_PER_CONTRASTO_DELLEVASIONE_FISCALE_E_CONTRIBUTIVA.pdf

[49]    http://www.comune.castiglione.mn.it/servizi/regolamenti/regolamenti_fase02.aspx?ID=153; http://www.comune.oderzo.tv.it/news1/istituzione-del-consiglio-tributario

[50]    Recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 14 settembre 2011, n. 148.

[51]    Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

[52]    Ossia al 29 dicembre 2007.

[53]    Si ricorda che, ad esempio, il D.L. n. 78 del 2009 (convertito dalla legge n. 102 del 2009) ha introdotto una disciplina di garanzia per il sollecito pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, in linea con le disposizioni comunitarie in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

[54]    La disposizione è stata modificata rispetto al testo iniziale durante l’esame in Commissione, chiarendo che la quota dello 0,20% è calcolata sulle commissioni di interscambio conseguite dalla gestione del servizio per i pagamenti diretti.

[55]    Per quanto concerne i redditi da locazione di immobili, si ricorda che l’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011 introduce la facoltà di applicare, in luogo della tassazione ordinaria, l’imposta sostitutiva sui redditi di locazione (cd. “cedolare secca”); il comma 6 dell’articolo 8 stabilisce che l’aliquota dell’imposta municipale sui redditi derivanti da immobili locati che non costituiscono abitazione principale è ridotta alla metà. In altre parole, per i beni immobili non locati il proprietario dovrà corrispondere l’imposta municipale propria; in caso di locazione, dovrà corrispondere sia l’imposta municipale ad aliquota ridotta, sia l’IRPEF e le relative addizionali (ovvero, in alternativa a quest’ultima la “cedolare secca” sugli affitti. In merito, poiché la “cedolare” assorbe anche l’addizionale regionale e comunale all’IRPEF, le Regioni e i comuni perderanno la corrispondente quota di gettito).

[56]    Al termine del contratto di locazione finanziaria, l’utilizzatore continua ad essere soggetto passivo in qualità di proprietario dell’immobile se esercita l’opzione per il riscatto del bene.

[57]    Ai sensi dell’articolo 3, comma 48, della legge n. 662/1996 le rendite catastali urbane, fino alla data di entrata in vigore delle nuove tariffe d’estimo, sono rivalutate del 5 per cento ai fini dell’applicazione dell’ICI e di ogni altra imposta.

[58]    In particolare, per i fabbricati inscritti in catasto, la base imponibile è rappresentata dalla rendita catastale dell'immobile, rivalutata del 5%, moltiplicata per i seguenti valori (di cui al D.M. 14 dicembre 1991 e successive modifiche):

§       per 140 se si tratta di fabbricati classificati nei gruppi catastali B (collegi, convitti, ecc.)[58],

§       per 100 per i fabbricati dei gruppi catastali A (abitazioni) e C (magazzini, depositi,laboratori, ecc.), con esclusione delle categorie A/10 e C/1;

§       per 50 per i fabbricati del gruppo catastale D (opifici, alberghi, teatri, ecc.) e della categoria A/10 (uffici e studi privati); per 34 per i fabbricati della categoria C/1 (negozi e botteghe)

      Disposizioni specifiche sono, inoltre, previste per i terreni[58], per i fabbricati di interesse storico, per i fabbricati posseduti dalle imprese nonché per le aree fabbricabili: in particolare, per le aree fabbricabili la base imponibile è data dal valore venale in comune commercio. Per i terreni agricoli la base imponibile è data dal reddito dominicale, rivalutato del 25%, moltiplicato per 75. Per i fabbricati del gruppo catastale D non iscritti in catasto, posseduti interamente da imprese e contabilizzati distintamente, il valore è calcolato dal costo risultante dalle scritture contabili al lordo delle quote di ammortamento maggiorato con l'applicazione di appositi coefficienti

[59]    A fini ICI (articolo 8, comma 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992), viene considerata “abitazione principale” l’unità immobiliare in cui dimora abitualmente il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari (articolo 8, comma 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992). Come già visto supra, a decorrere dall’anno d’imposta 2007, sussiste la presunzione legale in base alla quale viene considerata “abitazione principale” quella di residenza anagrafica del soggetto passivo. Si tratta di una presunzione semplice che, per espressa statuizione normativa, ammette prova contraria. In sostanza si consente al contribuente, nei casi di mancata coincidenza (ancorché temporanea) tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento destinato all’abitazione principale a fini ICI, fornendo la prova del suo effettivo utilizzo quale dimora abituale.

[60]    In base alla classificazione operata dall’Agenzia del territorio, rientrano nella categoria C/2 i magazzini e locali di deposito, nella categoria C/6 le stalle, scuderie, rimesse, autorimesse (senza fine di lucro) e nella categoria C/7 le tettoie chiuse od aperte.

[61]    Sono classificati nella categoria catastale E gli “immobili a destinazione particolare” ossia: stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei; ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio; costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche; recinti chiusi per speciali esigenze pubbliche; fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze; fari, semafori, torri per rendere d’uso pubblico l’orologio comunale; fabbricati destinati all’esercizio pubblico dei culti; fabbricati e costruzioni nei cimiteri, esclusi i colombari, i sepolcri e le tombe di famiglia; edifici a destinazione particolare non compresi nelle categorie precedenti del gruppo E.

[62]    Si tratta degli immobili totalmente adibiti a sedi, aperte al pubblico, di musei, biblioteche, archivi, cineteche, emeroteche statali, di privati, di enti pubblici, di istituzioni e fondazioni, quando al possessore non derivi alcun reddito dalla utilizzazione dell'immobile; i terreni, i parchi e i giardini aperti al pubblico o la cui conservazione sia riconosciuta dal Ministero per i beni culturali e ambientali di pubblico interesse.

[63]    L’art. 8 Cost. dispone che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

[64]    L’art. 19 Cost. dispone che tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

[65]    L’imposta locale sui redditi (ILOR), inizialmente introdotta dal D.P.R. n. 599/1973 e successivamente ridisciplinata nell’ambito del Titolo III del TUIR (D.P.R. n. 917/1986 previgente) è stata abolita a seguito dell’introduzione dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) di cui al D.Lgs. n. 446/1997 con decorrenza 1 gennaio 1998.

[66]    Recante il coordinamento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione, dell'irrigazione, delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e della utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani

[67]    Recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti e convertito in legge dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14.

[68]    D.L. 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24 luglio 2008, n. 126.

[69]    Sebbene non specificato dalla norma, così è stato chiarito dalla Risoluzione n. 12/2008 del Dipartimento delle finanze.

[70]    La risoluzione del Dipartimento delle Finanze n. 1 del 31 gennaio 2008 ha chiarito che, a fini ICI, per abitazione principale si intende quella in cui dimorano abitualmente il contribuente e i suoi familiari. La legge finanziaria 2007 (articolo 1 comma 173, lettera b) della L. n. 296/2006, con effetto dall’anno d’imposta 2007, ha introdotto una presunzione legale in base alla quale si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica del soggetto passivo. Si tratta di una presunzione relativa che, per espressa statuizione normativa, ammette prova contraria. In buona sostanza, la nuova presunzione non supera la nozione di abitazione principale, fondata sul criterio della dimora abituale, ma mira a garantirne una più corretta applicazione, consentendo comunque al contribuente, nei casi di mancata coincidenza (o scollamento anche temporaneo) tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento destinato all’abitazione principale ai fini dell’Ici, fornendo la prova del suo utilizzo – appunto – quale dimora abituale.

[71]    Si tratta, in particolare:

-        dell'unità immobiliare posseduta - a titolo di proprietà o di usufrutto - da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, purché l’immobile non risulti locato (ai sensi dell’articolo 3, comma 56 della legge n. 662 del 1996 );

-        degli immobili concessi in uso gratuito a parenti del soggetto passivo in linea retta o collaterale (ai sensi dell’articolo 59, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 446 del 1997 ; la disposizione consente al comune, con fonte regolamentare, di stabilire il grado di parentela rilevante per l’applicazione della misura).

[72]    Da ultimo, aggiornati con D.M. 14 marzo 2011.

[73]    Questo coefficiente è stato rivalutato nella misura del 40 per cento per effetto dell’art. 2, comma 45, del decreto legge n. 262 del 3 ottobre 2006, convertito dalla legge n. 286 del 24 novembre 2006. La rivalutazione decorre dalla data di entrata in vigore (3 ottobre 2006) del decreto legge.

[74]    Con riferimento al criterio di flessibilità, viene in rilievo il principio posto dall'articolo 2, comma 2, lettera bb), della legge delega n. 42 del 2009 che sancisce la garanzia - nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni da attribuire alle regioni e agli enti locali - del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale, stabilendo che essi dovranno essere composti in misura rilevante da tributi manovrabili; viene inoltre in rilievo il principio di cui al medesimo articolo 2, comma 2, lettera cc), la quale sancisce che la flessibilità fiscale deve essere adeguata e rispondere a specifiche seguenti caratteristiche: secondo quel principio di delega, una tale base imponibile dovrà consentire a tutti gli enti territoriali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali.

[75]    Recante ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l'anno 1994 e convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133.

[76]    D.Lgs. 23 dicembre 1992, n. 504, recante “Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421”

[77]    In particolare, si applica la disciplina ICI di cui agli articoli 10, comma 6, 11, commi 3, 4 e 5, 12, 14 e 15 del decreto legislativo n. 504 del 1992, e le norme generali in materia di tributi locali recate dai commi da 161 a 170 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).

[78]    Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale.

[79]    Recante “Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali.”

[80]    In caso di mancato invio la sanzione per l’ente inadempiente può arrivare sino al blocco delle risorse dovute all’ente, fino a che lo stesso non provveda all’adempimento.

[81]    Recante “Istituzione di una addizionale comunale all'IRPEF, a norma dell'articolo 48, comma 10, della L. 27 dicembre 1997, n. 449, come modificato dall'articolo 1, comma 10, della L. 16 giugno 1998, n. 191”

[82]    Recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.148.

[83]    Si rammenta che il Fondo sperimentale di equilibrio è previsto dall’articolo 2 del D.Lgs 23/2011 allo scopo di realizzare in forma graduale la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare prevista dal medesimo articolo 2. La durata del Fondo è prevista per tre anni, e comunque fino all’attivazione del Fondo perequativo di cui all’articolo 13 dello stesso decreto legislativo: tale secondo Fondo ha la funzione di assicurare il finanziamento delle spese degli enti locali dopo determinati i fabbisogni standard relativi alle spese per le funzioni fondamentali di comuni e province.

[84]    Si evidenzia che si fa riferimento ai comuni delle sole regioni Sicilia e Sardegna in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

[85]    Si ricorda che il Fondo sperimentale di equilibrio è previsto dall’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2011 allo scopo di realizzare in forma graduale la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare prevista dal medesimo articolo 2. La durata del Fondo è prevista in tre anni, e comunque fino all’attivazione del Fondo perequativo di cui all’articolo 13 dello stesso decreto legislativo, che ha la funzione di assicurare il finanziamento delle spese degli enti locali dopo determinati i fabbisogni standard relativi alle spese per le funzioni fondamentali di comuni e province.

[86]    Si evidenzia che si fa riferimento ai comuni delle sole regioni Sicilia e Sardegna in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

[87]    D.L. 13 maggio 2011, n. 70, recante “Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia” e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 12 luglio 2011, n. 106.

[88]    D.L. 13 maggio 2011, n. 70, recante “Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia” e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 12 luglio 2011, n. 106.

[89]    Come da provvedimento n. 77579/RU del Direttore dell'Agenzia delle Dogane del 28 giugno 2011.

[90]    Come da provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Dogane prot. 127505/RU del 28 ottobre 2011.

[91]    Articolo 1, comma 2562 del D.L. n. 262/2006.

[92]    Articolo 1, comma 329 della legge n. 296/2006.

[93]    Legge 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[94]    Istituzione e disciplina dell'addizionale regionale all'imposta erariale di trascrizione di cui alla legge 23 dicembre 1977, n. 952 e successive modificazioni, dell'addizionale regionale all'accisa sul gas naturale e per le utenze esenti, di un'imposta sostitutiva dell'addizionale, e previsione della facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

[95]    D.L. 28 dicembre 2001, recante disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per autotrazione, di smaltimento di oli usati, di giochi e scommesse, nonché sui rimborsi IVA, sulla pubblicità effettuata con veicoli, sulle contabilità speciali, sui generi di monopolio, sul trasferimento di beni demaniali, sulla giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio nazionale della riscossione dei tributi e su contributi ad enti ed associazioni; è stato convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 febbraio 2002, n. 16.

[96]    Recante il conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[97]    Recante la disciplina degli autoservizi di linea (autolinee) per viaggiatori, bagagli e pacchi agricoli in regime di concessione all'industria privata.

[98]    Relativo alla fissazione di norme comuni per i trasporti internazionali di viaggiatori effettuati con autobus.

[99]    Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della L. 23 dicembre 1996, n. 662.

[100]  Ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 171 del 2005 (Codice della nautica da diporto ed attuazione della direttiva 2003/44/CE, a norma dell'articolo 6 della legge 8 luglio 2003, n. 172) le costruzioni destinate alla navigazione da diporto sono denominate:

a)   unità da diporto: si intende ogni costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto;

b)  nave da diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri, misurata secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666 per la misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto;

c)   imbarcazione da diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza superiore a dieci metri e fino a ventiquattro metri, misurata secondo le norme armonizzate di cui alla lettera b);

d)   natante da diporto: si intende ogni unità da diporto a remi, o con scafo di lunghezza pari o inferiore a dieci metri, misurata secondo le norme armonizzate di cui alla lettera b).

Le navi da diporto sono iscritte in registri tenuti dalle Capitanerie di porto. Le imbarcazioni da diporto sono iscritte in registri (R.I.D. – Registro imbarcazioni da diporto) tenuti dalle Capitanerie di porto, dagli uffici circondariali marittimi, nonché dagli uffici provinciali del Dipartimento dei trasporti terrestri e per i sistemi informativi e statistici autorizzati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

[101]  Secondo le norme EN/ISO/DIS 8666 la lunghezza è la distanza misurata in linea
retta tra il punto estremo anteriore della prua e il punto estremo posteriore della poppa, escluse tutte le appendici che non costituiscono parti strutturali dello scafo.

[102]  Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.

[103]  Si tratta delle comunicazioni inviate dalle banche ai clienti ai sensi dell'articolo 119 del Testo unico bancario (di cui al D.Lgs. 385 del 1993), da inviarsi periodicamente alla clientela nei contratti di durata. E’ infatti obbligatorio, per tali forme negoziali, inviare al cliente - in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso - almeno una volta l’anno una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Nel dettaglio, per i rapporti regolati in conto corrente l'estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile.

[104]Si rammenta in proposito che una complessiva riforma dei redditi di natura finanziarie è stata operata dall’articolo 2 del D.L. 138/2011, al fine di uniformarne il trattamento fiscale e razionalizzarne la relativa disciplina.

[105]  Recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

[106]  Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.

[107]  L’Ente Nazionale di Assistenza e Previdenza per i Pittori e gli Scultori, i Musicisti, gli Scrittori e gli Autori Drammatici (ENAPPSMSAD) è un ente pubblico istituito con il D.P.R. 1° aprile 1978, n. 202, mediante fusione nell’Ente Nazionale di Assistenza e Previdenza per i Pittori e gli Scultori (già Cassa Nazionale Assistenza Belle Arti) della Cassa Nazionale Assistenza Musicisti, della Cassa Nazionale Assistenza Previdenza Scrittori italiani, della Cassa Nazionale Assistenza Previdenza Autori Drammatici. L’Ente è succeduto nei patrimoni, nei diritti e nelle obbligazioni delle richiamate persone giuridiche.

[108]  Le disposizioni sopra richiamate, contenute nella norma in materia di “Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche”, prevedono che ai fini della mobilità collettiva le amministrazioni effettuano annualmente rilevazioni delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica e profilo professionale e che le amministrazioni pubbliche curano l'ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale.

[109]  D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133.

[110]  L’articolo 1, comma 29, del D.L. n. 138/2011, ha previsto che per una più razionale allocazione del personale pubblico, qualora sussistano motivate esigenze tecniche, organizzative e produttive, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 del D.lgs. 165/2001, sono tenuti, su richiesta del datore di lavoro, allo svolgimento della prestazione lavorativa in luogo e sedi diverse, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.

[111]  D.L. 13 marzo 1988, n. 69, “Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, primo comma, Legge 13 maggio 1988, n. 153.

[112]  Per quanto riguarda le attività dei tre consorzi si veda l’apposito sito internet http://www.laghi.net/

[113]  Si ricorda peraltro che l’articolo istitutivo dell’Agenzia, limitatamente alle parti in cui faceva riferimento all’energia nucleare intesa come facente parte della strategia del Governo e al procedimento per la localizzazione, la costruzione e l'esercizio degli impianti, è stato oggetto di modifiche da parte del D.L.34/2011 , convertito, con modificazioni, dalla L. 75/2011 e successivamente oggetto dei uno dei quesiti referendari del 12 e 13 giugno 2011 il cui esito favorevole all’abrogazione è stato pubblicato con D.P.R 114/2011.

[114]  Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.

[115]  Pubblicato nella G. U. 7 luglio 2010, n. 156.

[116]  D.Lgs. 30 luglio 1999 n. 300, Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[117]Successivamente, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici è stata soppressa dall’art. 28, co. 2, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. L. 133/2008) e le sue funzioni sono state assegnate all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).

[118]  D.L. 31 maggio 2010, n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, in legge n. 122/2010.

[119]  Data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78/2010.

[120]  Si tratta dei regolamenti di cui all'art. 2, comma 634, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008). L'art. 2, comma 634 ha previsto l'emanazione, entro il 31 ottobre 2009, di regolamenti di delegificazione per il riordino, la trasformazione o soppressione e la messa in liquidazione, di enti ed organismi pubblici statali, nonché di strutture pubbliche statali o partecipate dallo Stato, anche in forma associativa.

[121]  Pubblicato nella G.U. n. 169 del 22 luglio 2011.

[122]  Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

[123]  L’elenco delle partecipazioni detenute dall’ANAS è consultabile alle pagine 17-18 del Bilancio societario 2010, disponibile al link www.stradeanas.it/index.php?/file/download/10731 .

[124]  www.fintecna.it

[125]  Si veda in proposito quanto relazionato dal Presidente dell’Anas nel corso dell’audizione del 3 febbraio 2010 presso l’VIII Commissione (Ambiente), disponibile al link www.stradeanas.it/index.php?/file/download/10645.

[126]  Al 31/12/2010 l’ammontare complessivo di tutte le partecipazioni detenute dall’Anas ammontava a 553,75 milioni di euro, secondo quanto riportato dal Bilancio d’esercizio e consolidato 2010 dell’ANAS (www.stradeanas.it/index.php?/file/download/10731). Di tale importo poco meno del 60% riguarda la partecipazione nella Stretto di Messina S.p.A. (www.stradeanas.it/index.php?/content/index/arg/stretto_messina).

[127]  La disposizione, originariamente contenuta nella legge istitutiva del Garante per la protezione dei dati personali (art. 30, co. 3, legge 31 dicembre 1996, n. 675) è ora confluita nell’art. 153, co. 3, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), in base al quale il voto del Presidente prevale in caso di parità.

[128]  D.L. 8 aprile 1974, n. 95, Disposizioni relative al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari, convertito in legge con l'art. 1, L. 7 giugno 1974, n. 216.

[129]  L. 4 giugno 1985, n. 281, Disposizioni sull'ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa; norme per l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credito; norme di attuazione delle direttive CEE 79/279, 80/390 e 82/121 in materia di mercato dei valori mobiliari e disposizioni per la tutela del risparmio.

[130]  D.L. 31 dicembre 2007 n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[131]  L. 31 luglio 1997, n. 249, Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo.

[132]  Tra questi sono da comprendere, pur se non menzionati, anche i viceministri in quanto di fatto sono dei sottosegretari ai quali è conferito il titolo di viceministro (vedi oltre).

[133]  L. 8 aprile 1952 n. 212, Revisione del trattamento economico dei dipendenti statali.

[134]  R.D. 11 novembre 1923, n. 2395, Ordinamento gerarchico delle Amministrazioni dello Stato, successivamente abrogato dall’art. 385 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato. I gradi I e II dell’ordinamento gerarchico erano corrispondenti al Primo Presidente della Corte di cassazione e all’ambasciatore.

[135]  Il titolo di vice ministro può essere attribuito a non più di dieci sottosegretari, se ad essi sono conferite deleghe relative ad aree o progetti di competenza di una o più strutture dipartimentali ovvero di più direzioni generali, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, art. 10, co. 2, come modificato dalla L. 26 marzo 2001, n. 81, Norme in materia di disciplina dell’attività di Governo.

[136]  L. 9 novembre 1999, n. 418, Disposizioni in materia di indennità dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato non parlamentari.

[137]  L. 24 aprile 1980, n. 146, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1980).

[138]  L. 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).

[139]  Il comma 55 del medesimo articolo, impedisce l’incremento di tali emolumenti per un periodo di tre anni.

[140]  L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[141]  D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (conv. L. 26 febbraio 2011, n. 10), Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica

[142]  L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)

[143]  D.L. 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria (conv. L. 15 luglio 2011, n. 111).

[144]IIl D.L. 138/2011 ha provveduto ad integrare la Commissione con un quinto membro, designato dal Ministro dell'economia e delle finanze (art. 1, co. 28).

[145]  D.L. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (conv. L. 14 settembre 2011, n. 148).

 

[146]  L'art. 17 della L. 7 dicembre 2000, n. 383 ha aggiunto il comma 2-bis all’articolo 4 della L. 936, secondo il quale i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato sono designati ai sensi delle norme vigenti; le designazioni sono comunicate al Presidente del Consiglio.

[147]  L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[148]  Tale modifica tiene conto del parere della I Commissione: “considerato, quindi che, essendo la legislazione elettorale degli organi di governo degli enti locali materia di competenza esclusiva statale ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione, il rinvio alla legge statale per le modalità di elezione del consiglio provinciale deve esteso anche alle modalità di elezione del presidente della provincia”.

[149]  L. 23 dicembre 2009, n. 191, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010).

[150]  D.L. 25 gennaio 2010, n. 2, Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (conv. L. 26 marzo 2010, n. 42).

[151]  D.L. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (conv. L. 14 settembre 2011, n. 148).

[152]  L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[153]  Ai sensi di tale norma (primo e secondo comma) i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea e possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dal diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.

[154]  Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

[155]  Convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

[156]  D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

[157]  L’articolo 2497, primo comma cc. prevede che le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società.

[158]  Convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

[159]  La riduzione a cinque o a sette – disposta dall’articolo 3, comma 12 della legge finanziaria 2008 – opera sul numero dei componenti degli organi di amministrazione come risultante dagli statuti in vigore alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2008, dunque il 1° gennaio 2008.

[160]  In caso di violazione del tetto retributivo, l’amministratore che ha disposto il pagamento e il destinatario della retribuzione sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra consentita.

[161]  D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

[162]  La Dir.P.C.M. del 16 marzo 2007 è stata adottata in applicazione dell'articolo 1, comma 593, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007), che introduceva per la prima volta il limite della retribuzione parametrato allo stipendio del Primo presidente della Corte di Cassazione, norma poi sostituita dalla legge finanziaria 2008. La direttiva, poiché al momento dell'entrata in vigore della norma la carica di Primo Presidente della Corte era vacante, ha fatto riferimento retribuzione dell'ultimo Primo Presidente in carica, pari a € 273.471,61 annui lordi.

[163]  Circ. 24 gennaio 2008, n. 1, emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica. Legge finanziaria 2008 - Art. 3, commi da 43 a 53 - Emolumenti a carico di pubbliche Amministrazioni, società pubbliche partecipate e loro controllate e collegate.

[164]  È stato inoltre abrogato l’art. 1, co. 466, della legge finanziaria 2007, nella parte in cui conteneva un limite (di 500.000 euro annui) al compenso dei componenti dei consigli di amministrazione delle società non quotate partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze e delle rispettive società controllate e collegate, stabilendosi che a tali società si applichi la disciplina generale qui esposta in ordine al tetto retributivo.

[165]  La legge finanziaria 2008 (art. 3, co. 44, penultimo periodo) dispone inoltre che, ai fini del concorso al limite, debbono considerarsi tutti gli emolumenti lordi ricevuti a carico delle pubbliche finanze nel corso dell’anno e che sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi da uno stesso organismo conferiti nel corso dell'anno.

[166]  La circolare ha precisato che il rispetto dell’adempimento dell’obbligo da parte delle società non quotate a prevalente o tale partecipazione pubblica deve essere assicurato dalle amministrazioni controllanti.

[167]  Il predetto limite del doppio del trattamento retributivo del Primo presidente della Corte di Cassazione, ha specificato la circolare n. 1/2008, opera per tutti coloro che hanno incarichi o rapporti con la Banca d'Italia o con le autorità indipendenti.

[168]  La circolare n. 1/2008 ha specificato che le norme non riguardano i corrispettivi per incarichi conferiti a soggetti diversi dalle persone fisiche.

[169]  Convertito in legge, con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[170]  Per il Governo le comunicazioni vanno effettuate alla Presidenza del Consiglio - Dipartimento della funzione pubblica.

[171]  Restano dunque fuori da tale esclusione gli “incarichi, mandati e cariche” e i rapporti di lavoro di natura non privatistica in corso al 28 settembre 2007. Tra questi rientrano i rapporti di lavoro del personale definito “in regime di diritto pubblico”, che l’art. 3 del D.Lgs. 165/2001 sottrae alla disciplina generale, e il cui stato giuridico ed economico resta disciplinato dai rispettivi ordinamenti. Tra le categorie c.d. “non contrattualizzate”, il citato art. 3 annovera le seguenti:

-     magistrati ordinari, amministrativi e contabili;

-     avvocati e procuratori dello Stato;

-     personale militare;

-     Forze di polizia di Stato;

-     personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia;

-     vigili del fuoco;

-     docenti e ricercatori universitari.

[172]  La circolare fa salva l’ipotesi in cui l’efficacia del contratto decorra successivamente al 28 settembre 2007.

[173]  Nel caso in cui l’eccedenza derivi dal cumulo di più incarichi, cariche o mandati la decurtazione opera a partire dall’incarico conferito per ultimo. La circolare n. 1/2008 specifica, con riferimento alla decurtazione del 25 per cento, che essa va operata ogni anno sull'importo già decurtato e che in ogni caso il differenziale retributivo va recuperato entro quattro anni.

[174]  D.L. 3 giugno 2008, n. 97, Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini (conv. L. 2 agosto 2008, n. 129).

[175]  E' importante sottolineare, coerentemente con quanto prima accennato in ordine al quadro ripartitorio pubblico in cui si muoveva il nuovo sistema, che la capitalizzazione di ciascuna contribuzione è di carattere figurativo, (è stata infatti definita come capitalizzazione simulata) poiché con i versamenti via via acquisiti si continuano a pagare le pensioni a carico del sistema.

Più specificamente, il metodo contributivo presuppone che per ciascun destinatario venga istituita una sorta di conto di tipo patrimoniale, nel quale vengono accreditati anno per anno i contributi versati, che sono capitalizzati ad un tasso di rendimento pari al tasso di crescita del sistema economico; il processo è continuo, nel senso che il conto patrimoniale individuale si accresce anno per anno sia per effetto del versamento di nuovi contributi, sia per la rivalutazione di quelli già versati. Alla fine della vita lavorativa, l'interessato si vede accreditato una patrimonio finanziario (ovviamente di carattere nozionale e teorico, poiché nel frattempo i suoi contributi hanno pagato i trattamenti pensionistici correnti), che verrà distribuito sugli anni di godimento atteso della pensione. In questo punto si introduce il parametro del divisore, ovvero il numero utilizzato per trasformare il montante contributivo in rendita, che varia (principalmente, ma non soltanto) in relazione all'età di pensionamento: chi va in pensione in età più giovane ha infatti una speranza di vita maggiore, e di conseguenza, a parità di montante contributivo, gli si applicherà un divisore più elevato (cioè un minor coefficiente di trasformazione) e dall'operazione deriverà una rendita di minor ammontare rispetto a coloro che, con il medesimo montante, vanno in pensione in età più tarda.

[176]  Come accennato, il sistema di calcolo contributivo del trattamento pensionistico, introdotto dalla L. 335/1995, differisce notevolmente dal sistema retributivo: la prestazione pensionistica, infatti, non è legata alla retribuzione ma è vincolata alla contribuzione accreditata a favore del dipendente nell'arco dell'intera sua vita lavorativa. L'importo della pensione si ottiene quindi moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'età del dipendente alla data di decorrenza della pensione (o alla data del decesso, nel caso di pensione indiretta). I coefficienti di trasformazione sono i coefficienti utilizzati nel metodo di calcolo contributivo per la trasformazione del montante contributivo (cioè, il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni di lavoro attivo) in rendita. Tali indici variano in base all’età anagrafica al momento del pensionamento e sono costruiti tenendo conto della speranza di vita media alla pensione e incorporando il tasso di crescita del PIL di lungo periodo stimato nell’1,5%. Introdotti dall’articolo 1, comma 6, della L. 335/1995, ai sensi dell’articolo 1, comma 14, della L. 247/2007, tali coefficienti sono stati rideterminati con effetto 1° gennaio 2010. Il successivo comma 15, semplificando la procedura per la rideterminazione dei coefficienti e riducendone la periodicità, ha disposto la rideterminazione triennale degli stessi con apposito decreto interministeriale. L'accesso ai trattamenti per i destinatari del sistema contributivo è condizionato alla maturazione dell'età minima di 57 anni, fatte salve alcune eccezioni. Il valore del coefficiente di trasformazione è legato all’età posseduta, aumentando al crescere della stessa. Più specificamente, si considera il limite inferiore di 57 anni (età inferiore) per arrivare ad un valore massimo del coefficiente in corrispondenza dei 65 anni (età superiore). In sostanza, quindi, un’età pensionabile più avanzata permette di conseguire una pensione più consistente (vedi infra).

[177]  L’articolo 1, comma 11, della L. 335/1995, ha stabilito il principio della revisione decennale dei coefficienti di trasformazione di cui al precedente comma 6.

[178]  Si tratta del trattamento pensionistico anticipato ai sensi dell’articolo 1, comma 8 (60 anni per gli uomini e 55 per le donne) applicabile agli invalidi in misura non inferiore all'80%.

[179]  Si ricorda che in materia erano precedentemente intervenute la L. 335/1995, la L. 243/2008 e la L. 247/2007. Quest’ultima, in particolare, aveva stabilito (articolo 1, comma 5) transitoriamente le decorrenze per coloro che accedevano al pensionamento anticipato di anzianità con 40 anni di contributi e al pensionamento di vecchiaia con i requisiti stabiliti dai rispettivi ordinamenti, i quali avrebbero conseguito il diritto alla decorrenza della pensione entro la fine del 2011. Al riguardo, in primo luogo, per i lavoratori dipendenti in possesso dei requisiti per accedere al pensionamento anticipato di anzianità con almeno 40 anni di anzianità contributiva, è stato introdotta in via transitoria una disciplina più favorevole per quanto riguarda la decorrenza del trattamento pensionistico rispetto a quella precedentemente prevista dalla L. 243/2004 a partire dal 1° gennaio 2008, permettendo nuovamente di usufruire di due “finestre”. Inoltre, fu introdotta ex novo una disciplina transitoria delle decorrenze del trattamento pensionistico per i lavoratori dipendenti che accedono al pensionamento di vecchiaia, prevedendosi quattro “finestre”. Un'altra fattispecie di disciplina transitoria riguarda invece la decorrenza del pensionamento per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali degli artigiani, dei commercianti e dei coltivatori diretti, che accedono al pensionamento anticipato di anzianità con 40 anni di anzianità contributiva e al pensionamento di vecchiaia con i requisiti stabiliti dai rispettivi ordinamenti; anche in questo caso vengono previste nuovamente quattro “finestre” per la decorrenza del trattamento pensionistico.

[180]  Successivamente, l’articolo 22-ter del D.L. 98/2011 ha posticipato la decorrenza dei richiamati trattamenti di anzianità per i soggetti che acquisiscano tale diritto indipendentemente dall’età anagrafica (cioè raggiungano i 40 anni di contributi versati):

-        un mese dalla data di maturazione dei requisiti previsti rispetto a quelli stabiliti dallo stesso comma 2 per i soggetti che maturino i requisiti nel 2012;

-        due mesi per i soggetti che maturino i requisiti nel 2013;

-        tre mesi per i soggetti che maturino i requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Tale ulteriore posticipo non trova applicazione per il personale della scuola, per il quale resta fermo quanto stabilito dall’articolo 59, comma 9, della L. 449/1997.

[181]  Si ricorda che tali valori devono comunque tenere conto degli innalzamenti derivanti dalla disciplina di cui all’articolo 12, commi da 12-bis a 12-quinquies, del D.L. 78/2010, che ha legato l'adeguamento dei requisiti anagrafici ai fini dei trattamenti pensionistici di vecchiaia agli incrementi della speranza di vita (disciplina modificata dal comma 4 dello stesso articolo 18).

[182]  Cioè i lavoratori che vantando al 1° gennaio 1996 un’anzianità contributiva di almeno 18 anni, avevano la pensione interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo.

[183]  Per quanto attiene alla disciplina concernente l’elevamento dei requisiti anagrafici per la liquidazione dei trattamenti pensionistici in relazione all’incremento dell’aspettativa di vita, si ricorda che il comma 2 dell’articolo 22-ter del D.L. 78/2009 aveva disposto un intervento di portata generale rivolto a tutti i lavoratori, sia pubblici sia privati. Esso stabiliva che a decorrere dal 1° gennaio 2015 i requisiti anagrafici per l’accesso al sistema pensionistico italiano dovessero essere adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT e convalidato dall’EUROSTAT, con riferimento ai 5 anni precedenti. L’attuazione della relativa normativa tecnica era demandata ad un apposito regolamento di delegificazione, da emanare entro il 31 dicembre 2014. In ogni caso, in sede di prima attuazione il richiamato incremento riferito ai 5 anni antecedenti non poteva superare i 3 mesi.

Successivamente, l’articolo 12, commi 12-bis - 12-quinquies, del D.L. 78/2010, ha dato attuazione alle disposizioni del richiamato articolo 22-ter, modificandole in alcune parti. In particolare, si prevede l’adeguamento con cadenza triennale dei requisiti di accesso ai trattamenti, al fine di adeguarli all’incremento della speranza di vita rilevato annualmente dall’ISTAT, entro il 30 giugno, a decorrere dal 2015. In sede di prima applicazione tale aggiornamento non può in ogni caso superare i 3 mesi. Il secondo aggiornamento è previsto a decorrere dal 2019, mentre successivamente si procederà ad aggiornamenti con cadenza triennale. Per valori del requisito anagrafico superiori a 65 anni si dispone, poi, l’adattamento dei coefficienti di trasformazione, al fine di assicurare trattamenti pensionistici correlati alla maggiore anzianità lavorativa richiesta.

Da ultimo, l’articolo 18, comma 4, del D.L. 98/2011 ha modificato tale disciplina, in particolare disponendo l’anticipo al 1° gennaio 2013 (invece del 1° gennaio 2015) del primo adeguamento dei trattamenti pensionistici all’indice di speranza di vita. Allo stesso tempo, è stato disposto l’anticipo al 2011 (in luogo del 2014) dell’obbligo per l'ISTAT di rendere disponibili i dati relativi alla variazione della speranza di vita, richiamato in precedenza. Inoltre, viene posticipato al 31 dicembre di ciascun anno (in luogo del 30 giugno) l’obbligo per l'ISTAT di rendere disponibile il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all'età corrispondente a 65 anni; infine, attraverso l’abrogazione dell’ultimo periodo del comma 12-ter, viene eliminata la previsione che il secondo adeguamento fosse calcolato su base biennale: tutti gli adeguamenti successivi al primo avranno pertanto cadenza triennale (ma cfr. i commi 12, 13 e 16 dell’articolo in esame).

[184]  A decorrere dal 1° luglio 2009, la L. 247/2007 ha introdotto, appunto, il sistema delle “quote”, date dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva.

Pertanto - ferma restando la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica – si può accedere al pensionamento di anzianità:

-        dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” (come detto, somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) pari almeno a 95, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 59 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 96, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni;

-        per gli anni 2011 e 2012, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” pari almeno a 96, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni;

-        dall’anno 2013, infine, a regime, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 98, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 62 anni.

Riformulando il comma 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004, si prevede tuttavia che con apposito decreto interministeriale, da emanarsi entro il 31 dicembre dell’anno 2012, possa essere differito l’innalzamento dei requisiti previsto a decorrere dal 2013, qualora, sulla base di una verifica da effettuare entro il 30 settembre 2012, risulti il conseguimento di risparmi di spesa superiori alle previsioni ed in grado di garantire il raggiungimento di effetti finanziari equivalenti a quelli originariamente previsti come conseguenti all’innalzamento dell’età previsto a regime dal 2013.

Inoltre, la L. 247 è intervenuta anche sulla disciplina per l’accesso alla pensione di vecchiaia liquidata con il sistema contributivo di cui all’articolo 1, comma 20, della L. 335/1995. La norma, modificando tali requisiti, ha disposto che a decorrere dal 2008, per accedere alla pensione di vecchiaia con il sistema contributivo necessario possedere:

-        per il 2008 e dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2009, almeno 35 anni di anzianità contributiva insieme ad una età anagrafica di almeno 58 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e di 59 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” (data dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) pari almeno a 95 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 59 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni;

-        per gli anni 2011 e 2012, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni;

-        dall’anno 2013, infine, a regime, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 97 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 98, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 62 anni (a meno che il Ministro del lavoro non emani il decreto di cui al comma 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004 al fine di differire l’innalzamento dei requisiti pensionistici).

[185]  Sostanzialmente l’articolo sembrerebbe sostituire l’articolo 22-ter, senza peraltro disporne l’abrogazione.

[186]  L’articolo 1, comma 9, della legge n.243 del 2004 prevede che “In via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, è confermata la possibilità di conseguire il diritto all'accesso al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un'età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, nei confronti delle lavoratrici che optano per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo previste dal decreto legislativo n.180/1997. Entro il 31 dicembre 2015 il Governo verifica i risultati della predetta sperimentazione, al fine di una sua eventuale prosecuzione”.

[187]  Nel testo del decreto in esame la data era fissata al 31 ottobre 2011

[188]  Nel testo del decreto in esame la data era fissata al 31 ottobre 2011

[189]  L’articolo 2, comma 28, della legge 662/1996, in attesa di un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, ha previsto, in via sperimentale, specifiche misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione nell'ambito dei processi di ristrutturazione aziendali e per fronteggiare situazioni di crisi di enti ed aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità, nonché delle categorie e settori di impresa sprovvisti del sistema di ammortizzatori sociali.

      In attuazione di quanto sopra descritto, l’articolo 1, comma 1, del D.M. 27 novembre 1997, n. 477[189], ha disposto che per gli enti ed aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità, nonché per le categorie e settori di impresa sprovvisti di un sistema pubblico di ammortizzatori sociali mirato a fronteggiare processi di ristrutturazione aziendale e di crisi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, emani i regolamenti previsti all’articolo 2, comma 28, nel momento in cui sono depositati presso il Ministero del lavoro i contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Nell’esercizio del potere regolamentare sopra indicato devono essere seguiti i seguenti principi e criteri direttivi:

-        la costituzione da parte della contrattazione collettiva nazionale di appositi fondi finanziati mediante un contributo sulla retribuzione non inferiore allo 0,50 per cento (lettera a);

-        la definizione da parte della contrattazione medesima di specifici trattamenti e dei relativi criteri, entità, modalità concessivi, entro i limiti delle risorse costituite, con determinazione dei trattamenti al lordo dei correlati contributi figurativi (lettera b);

-        la eventuale partecipazione dei lavoratori al finanziamento con una quota non superiore al 25 per cento del contributo (lettera c);

-        in caso di ricorso ai trattamenti, la previsione della obbligatorietà della contribuzione con applicazione di una misura addizionale non superiore a tre volte quella della contribuzione stessa (lettera d);

-        la istituzione presso l'INPS dei fondi, gestiti con il concorso delle parti sociali (lettera e).

Tra i Fondi di sostegno economico costituiti si ricordano il Fondo solidarietà per il sostegno del reddito, dell'occupazione, della riconversione e riqualificazione professionale del personale dipendente dalle imprese di credito cooperativo (D.M. 28 aprile 2000, n. 157), del personale dipendente dalle imprese di credito (D.M. 28 aprile 2000, n. 158) e del personale di Poste Italiane S.p.A. (D.M. 1° luglio 2005, n. 178).

[190]  Nel testo del decreto in esame la data era fissata al 31 ottobre 2011

[191]  Nel testo del decreto in esame la data era fissata al 31 ottobre 2011

[192]  L’articolo 72, comma 1, del D.L. 112/2008, ha previsto per gli anni 2009, 2010 e 2011 (periodo prorogato fino al 2014 dall’articolo 2, comma 53, del D.L. 225/2010) i dipendenti pubblici possano chiedere di essere esonerati dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità massima contributiva di 40 anni. La richiesta di esonero dal servizio deve essere presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1° marzo di ciascun anno a condizione che entro l'anno solare raggiungano il requisito minimo di anzianità contributivo richiesto e non è revocabile. La disposizione non si applica al personale della Scuola. É data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze funzionali, di accogliere la richiesta dando priorità al personale interessato da processi di riorganizzazione della struttura amministrativa o appartenente a qualifiche di personale per le quali è prevista una riduzione di organico. Durante il periodo di esonero dal servizio al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta per cento di quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, la misura del trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta al settanta per cento. All'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età il dipendente ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza che sarebbe spettato se fosse rimasto in servizio. Il trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo di esonero dal servizio è cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche. Ai sensi del richiamato articolo 2, comma 53, i posti resi vacanti in seguito alla fruizione dell’esonero non sono reintegrabili per l’intera durata del quadriennio 2011-2014.

[193]  D.Lgs. 21 aprile 2011 n. 67, “Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell'articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n. 183”.

[194]  D.L. 31 maggio 2010, n. 78, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122.

[195]  Il regolamento è adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In particolare, si prevede un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, l’emanazione di regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

[196]  L. 23 dicembre 2000 n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001). Per questi lavoratori, l’articolo 78, comma 23 dispone un particolare sistema di calcolo dell'anzianità: il numero delle settimane coperte da contribuzione obbligatoria valide ai fini del conseguimento della pensione viene moltiplicato per un coefficiente pari a 1,2 se l'attività tutelata ha avuto una durata inferiore a cinque anni, pari a 1,225 se l'attività ha avuto una durata compresa tra cinque e dieci anni, pari infine a 1,25 se si è protratta per più di dieci anni.

[197]  L'articolo citato dispone che per gli iscritti alla Gestione speciale per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere che siano stati addetti complessivamente, anche se con discontinuità, per almeno 15 anni a lavori di sotterraneo, i requisiti di assicurazione e di contribuzione, pari a 35 anni o 1820 contributi settimanali, possono essere perfezionati con la maggiorazione di anzianità di cui al terzo comma dell'art. 33 del D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (l'anzianità è maggiorata di un periodo pari a quello compreso fra la data di decorrenza della pensione e il compimento del 60° anno di età), per un massimo di 5 anni.

      Al fine di comprovare l'effettivo espletamento dei 15 anni di lavoro in sotterraneo, l'interessato deve esibire idonea documentazione dalla quale risultino i periodi di lavoro in sotterraneo, coperti da contribuzione nell'assicurazione generale obbligatoria

      La pensione è posta a carico della Gestione speciale dei lavoratori delle miniere, cave e torbiere.

[198]  D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 195, Attuazione dell'art 2 della L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate.

[199]  L. 27 dicembre 1941, n. 1570, Nuove norme per l'organizzazione dei servizi antincendi.

[200]  L. 23 dicembre 1999 n. 488, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 2000)”.

[201]  D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 42, “Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi”.

[202]  D.L. 25 giugno 2008, n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133.

[203]  D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. L’articolo 1, comma 2, sopra richiamato definisce come amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. 300/1999, mentre, fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni del D.Lgs. n. 165 si applicano anche al CONI.

[204]  Legge 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.

[205]  La circolare INPS n. 167 del 30 dicembre 2010, fissa per il 2011 l'importo del trattamento minimo delle pensioni in euro 467,43 euro mensili.

[206]  In tal senso, la Circolare INPS n. 34 del 10 febbraio 2011.

[207]  D.Lgs. 28 marzo 1996 n. 207, “Attuazione della delega di cui all'art. 2, comma 43, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in materia di erogazione di un indennizzo per la cessazione dell'attività commerciale”.

[208]  In tal senso, l’art. 19-ter, comma 2, del D.L. 29 novembre 2008 n. 185, “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, L. 28 gennaio 2009, n. 2.

[209]  L. 2 agosto 1990, n. 233, Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi.

[210]  Articolo 59, comma 15 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica”.

[211]  Come previsto dall’articolo 49, comma 1 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, ”Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 2000), poi abrogato dall’articolo 86 del D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”.

Attualmente, per il calcolo del contributo per le prestazioni di maternità è applicabile l’articolo 82 del D.Lgs. n. 151 recante “Oneri derivanti dal trattamento di maternità delle lavoratrici autonome” che prevede un contributo annuo di euro 7,49 per ogni iscritto all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, vecchiaia e superstiti per le gestioni dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri, artigiani ed esercenti attività commerciali.

[212]  In tal senso, l’articolo 1, comma 4 della legge n. 233/1990.

[213]  In tal senso, la Circolare INPS n. 76 del 23 maggio 2011. In particolare, le aliquote sono così risultanti dall’aggiunta del contributo addizionale del 2% previsto dall’articolo 12, ultimo comma, della legge 2 agosto 1990 n. 233, recante Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi.

[214]  D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99 Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della L. 7 marzo 2003, n. 38.

[215]  Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori dell'agricoltura e delle foreste, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo 2003, n. 38.

[216]  Tali aree sono da intendersi (v. art. 17, reg. 1257/99) non solo come zone di montagna, ma anche come zone nelle quali si riveli necessario mantenere una attività agricola con funzione di presidio e tutela del territorio, e nel contempo soffrano di fenomeni di spopolamento, o nelle quali ricorrano altri svantaggi specifici.

[217]  D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza.

[218]  D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, Attuazione della delega conferita dall'art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di tutela previdenziale obbligatoria dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione.

[219]  Si tratta dei Ministeri del lavoro e della previdenza sociale, del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati ai sensi dell'art. 1, comma 1 del D.Lgs. n. 504, vale a dire gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie da trasformare in persone giuridiche private.

[220]  D.L. 6 luglio 2011, n. 98, “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 15 luglio 2011, n. 111.

[221]  L. 27 dicembre 2006, n. 296, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”.

[222]  L. 8 agosto 1995, n. 335, “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”.

[223]  D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, “Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi [Testo post riforma 2004]”.

[224]  L. 11 giugno 1971, n. 426, “Disciplina del commercio”.

[225]  D.L. 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici”, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 24 novembre 2003,n. 326.

[226]  L. 3 agosto 1998, n. 315, “Interventi finanziari per l'università e la ricerca”.

[227]  D.L. 9 maggio 2003, n. 105, Disposizioni urgenti per le università e gli enti di ricerca nonché in materia di abilitazione all'esercizio di attività professionali, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 luglio 2003, n. 170.

[228]  L. 30 dicembre 2004, n. 311, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005).

[229]  D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla L. 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile, convertito in legge, con modificazioni, con l'art. 1, L. 29 febbraio 1980, n. 33,

[230]  D.L. 12 settembre 1983, n. 463, Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini, convertito in legge, con modificazioni, con l'articolo unico, L. 11 novembre 1983, n. 638.

[231]  D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53.

[232]  Decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 “Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica”.

[233]  L’articolo 38 Cost. dispone: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi, adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera”.

[234]“Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”.

[235]  Il richiamato comma 28 dell’articolo 1 della L. 183/2010 aveva delega il Governo ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della L. 247/2007, uno o più decreti legislativi finalizzati a riformare la materia degli ammortizzatori sociali per il riordino degli istituti a sostegno del reddito. L’emanazione dei decreti legislativi deve avvenire sentite le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, in conformità all’articolo 117 della Costituzione ed agli Statuti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, e alle relative norme di attuazione, garantendo altresì l’uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere ed alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati. Il successivo comma 29 stabiliva che la delega avrebbe dovuto esercitarsi nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

-        graduale armonizzazione dei trattamenti di disoccupazione e creazione di uno strumento unico indirizzato al sostegno del reddito e al reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati senza distinzione di qualifica (lettera a));

-        modulazione dei trattamenti collegata all’età anagrafica dei lavoratori ed alle condizioni occupazionali più difficili presenti nelle Regioni del Mezzogiorno, con particolare riguardo alla condizione femminile (lettera b));

-        previsione per i soggetti che beneficiano dei trattamenti di disoccupazione della copertura figurativa ai fini previdenziali calcolata sulla base della retribuzione (lettera c));

-        progressiva estensione ed armonizzazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria con la previsione di modalità di regolazione diverse a seconda degli interventi da attuare e di applicazione anche in caso di interventi di prevenzione, protezione e risanamento ambientale che determinino la sospensione dell’attività lavorativa (lettera d));

-        coinvolgimento e partecipazione attiva delle aziende nel processo di ricollocazione dei lavoratori (lettera e));

-        valorizzazione del ruolo degli enti bilaterali, anche al fine dell’individuazione di eventuali prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal sistema generale, prevedendo la possibilità di erogazione di trattamenti sostitutivi analoghi a quelli di cui alla lettera d), nonché di eventuali coperture supplementari (lettera f));

-        connessione con politiche attive per il lavoro, in particolare favorendo la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, l’occupazione, soprattutto femminile e giovanile, nonché l’inserimento lavorativo di soggetti appartenenti alle fasce deboli del mercato del lavoro, con particolare riferimento ai lavoratori in età più matura nonché ai giovani, al fine di potenziare le politiche di invecchiamento attivo (lettera g));

-        potenziamento dei servizi per l’impiego (lettera h)).

[236]  La norma prevede che, in ogni caso, a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non può comunque essere inferiore a 90.000 euro lordi annui.

[237]  Istituito con D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1388.

[238]  L. 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004). Con D.M. 1° aprile 2004 sono state definite le modalità di applicazione del contributo di solidarietà, per il periodo 2004-2006.

[239]  L. 23 agosto 2004, n. 243, Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria.

[240]  L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[241]  Tali contributi confluiscono al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità con destinazione al 90% ad iniziative volte a favorire l'istruzione e la tutela delle donne immigrate.

[242]  Direttiva n. 2003/87/CE “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio”, modificata dalla Direttiva 2009/29/CE.

[243]  Per il periodo 2008-2012 le quote sono state assegnate con decisione del 20 febbraio 2008 (www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/autorizzazioni/decisione_assegnazione_2008_2012.pdf).

[244]  Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111/2010.

[245]  Da adottarsi di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

[246]  Articolo 10, paragrafo 3 della Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, come sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009.

[247]  Ai sensi dell’articolo 3, commi da 86 a 119 della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[248]  Si tratta in particolare del capitolo 3330 (UPB 2.2.1) dello stato di previsione dell'entrata. Il Fondo di ammortamento è amministrato dal Ministro dell’economia, coadiuvato da un Comitato consultivo composto dal Direttore generale del Tesoro, con funzioni di presidente, dal Ragioniere generale dello Stato, dal Direttore dell’Agenzia delle entrate e dal Direttore dell’Agenzia del demanio (art. 44, comma 2, del D.Lgs. n. 396/2003).

[249]  L’art. 7-bis del decreto-legge n. 137/2008 ha previsto l’assegnazione al Piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici di un importo non inferiore al 5% delle risorse stanziate per il Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) della legge obiettivo (legge 443/2001) in cui il piano stesso è ricompreso.

[250]  L. n. 96/1997, recante “Norme in materia di circolazione monetaria”.

[251]  D.Lgs. n. 213/1998, recante “Disposizioni per l'introduzione dell'EURO nell'ordinamento nazionale, a norma dell'articolo 1, comma 1, della L. 17 dicembre 1997, n. 433”.

[252]  Aggiunto dal comma 1 dell'art. 87, della legge n. 289/2002 (Legge finanziaria 2003).

[253]  Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie.

[254]  In particolare, il comma 2 dispone che le funzioni di tutela che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato sono esercitate dalle regioni, a meno che l’interesse culturale delle stesse cose non sia stato riconosciuto con provvedimento ministeriale. Il comma 3 fa riferimento ad accordi o intese che possono autorizzare le regioni ad esercitare le funzioni di tutela su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici, non appartenenti allo Stato.

[255]  Spetta alla regione emanare il provvedimento relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati. Tale dichiarazione detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato e costituisce parte integrante del piano paesaggistico non suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo.

[256]  Si ricorda che l’accordo di programma è finalizzato ad assicurare il coordinamento delle azioni e a determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. Esso può prevedere altresì procedimenti di arbitrato ed interventi surrogatori di eventuali inadempienze dei soggetti partecipanti.

[257]  Si veda in proposito il comma 8 che fissa il termine perentorio di 120 giorni dalla data di promozione dell’accordo di programma, disponendo che, ove l’accordo non sia raggiunto nel termine indicato, il Presidente della Giunta regionale attiva le procedure di vigilanza e l’eventuale intervento sostitutivo di cui all’art. 34, comma 7, del d.lgs. 267/2000.

[258]  In particolare, esso prevede l’attribuzione dei beni statali secondo criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonché valorizzazione ambientale, stabilendo l’obbligo in capo all’ente territoriale di favorire la massima valorizzazione funzionale dei beni trasferiti e la possibilità di conferirli nell’ambito di fondi immobiliari, ovvero di alienarli allo scopo di destinarne i proventi in quota-parte alla riduzione del debito dell’ente e dello Stato, ovvero a spese di investimento.

[259]    http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1306827526616_circolare_018_2011.pdf

[260]  http://www.anci.it/Contenuti/Allegati/Protocollo-di-intesa-Mibac_Demanio_ALLEGATO-A.pdf

[261]  Il Sole 24 Ore del 28 novembre 2011: Federalismo demaniale. Al via la prima cessione. Domani il convento di San Gimignano passa dallo Stato agli enti locali.

[262]  Si tratta di appalti di lavori pubblici affidati dai concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici, nei limiti stabiliti dall’articolo 142 (lettera b)), lavori, servizi, forniture affidati dalle società con capitale pubblico, anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (lettera c)); lavori pubblici affidati dai concessionari di servizi, quando essi sono strettamente strumentali alla gestione del servizio e le opere pubbliche diventano di proprietà dell’amministrazione aggiudicatrice (lettera f).

[263]  L’art. 12, co. 2, del Codice prevede che i competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione

Il successivo comma 3 dell’art. 12 stabilisce che per i beni immobili dello Stato, la richiesta di verifica dell’interesse culturale è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive. I criteri per la predisposizione degli elenchi, le modalità di redazione delle schede descrittive e di trasmissione di elenchi e schede sono stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa, anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio.

[264]  I riferimenti normativi sono i seguenti: Friuli-Venezia Giulia: L.cost. 1/1963 (Statuto) art. 4; DPR 114/1965 art. 8; D.Lgs. 9/1997; Valle d’Aosta: L.cost. 4/1948 (Statuto) artt. 2-3, D.Lgs. 431/1989 D.Lgs. 282/1992, Trentino-Alto Adige: DPR 670/1972 (Statuto) artt. 4, 8, 80; DPR 473/1975, D.Lgs. 268/1992. Sardegna: L.cost. 3/1948 (Statuto) art. 3; Sicilia: R.D.Lgs. 455/1946 art. 15.

[265]  La norma ha disposto l’aumento progressivo della percentuale di spesa sanitaria posta a carico del bilancio della Regione siciliana: 44,85 per cento per l’anno 2007, 47,05 per cento per l’anno 2008 e 49,11 per cento per l’anno 2009.

[266]  Istituita dal decreto legislativo n. 56 del 2000 , emanato in attuazione della precedente legge di riforma basata sul federalismo fiscale (legge n. 133/1999).

[267]  La misura dell'aliquota di compartecipazione nonché il prospetto di ripartizione tra le varie regioni sono stabilite con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato annualmente. L'aliquota della compartecipazione IVA è stata da ultimo definita nella misura del 44,71 per cento per l'anno 2009, dall'art. 1 del D.P.C.M. 21 ottobre 2010, Rideterminazione delle compartecipazioni regionali all'imposta sul valore aggiunto e all'accisa sulle benzine e delle aliquote dell'addizionale regionale all'IRPEF, per l'anno 2009, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56. Per le quote spettanti a ciascuna regione si veda da ultimo il D.P.C.M. 11-6-2010, Determinazione delle quote previste dall'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 - Anno 2008.

[268]  Tali due fondi sono stati istituiti rispettivamente dall’articolo 2, comma 3 e dall’articolo 13 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale.

[269]  Tali due fondi sono stati istituiti rispettivamente dall’articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n 68, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale e dall’articolo 13 del D.Lgs. n.23/2011 relativo al federalismo municipale. Le modalità di alimentazione del Fondo perequativo delle province sono inoltre disciplinate dall’articolo 23 del D.Lgs. n. 68/2011.

[270]  Tutte le regioni e province autonome hanno competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia e dalle norme di attuazione: Per le regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e per le Province autonome di Trento e di Bolzano sono poi intervenute specifiche norme di attuazione dello statuto speciale che hanno disciplinato la materia della finanza locale nel senso che è la regione [o la provincia autonoma] a provvedere alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio. Ciò non è avvenuto nel caso regione Sardegna e della Regione siciliana, dove la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

[271]  Per la riduzione dei trasferimenti erariali ai comuni si veda il D.M. Interno 21 giugno 2011.

[272]  Recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario.

[273]  L’art. 28 del decreto legislativo n. 163 del 2006(Codice dei contratti pubblici) elenca gli importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria. Si segnala che il regolamento (UE) n. 1251/2011 della Commissione del 30 novembre 2011 ha modificato le soglie con decorrenza dal 1° gennaio 2012.

[274]  La CONSIP S.p.A. (Concessionaria Servizi Informatici Pubblici) è un organismo a struttura societaria interamente posseduto dal Ministero dell’Economia con il compito di stipulare convenzioni in base alle quali le imprese fornitrici si impegnano ad accettare ordinativi di fornitura fino alla concorrenza di un quantitativo di beni o di servizi predeterminati.

[275]  L’individuazione avviene sulla base dei prospetti redatti annualmente dalle citate amministrazioni e contenenti i dati di previsione annuale dei fabbisogni di beni e servizi per il cui acquisto si applica la disciplina prevista nel codice degli appalti. La previsione di tali prospetti è contenuta nell’articolo 2, comma 569 della legge n. 244/2007.

[276]  L'Accordo Quadro è uno strumento di contrattazione, introdotto dal Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 163/2006, artt. 3 e 59) che stabilisce le regole relative ad appalti da aggiudicare durante un periodo di massimo quattro anni. Può essere concluso tra una o più Amministrazioni aggiudicatrici e uno o più operatori economici. Nell'ambito del Programma per la razionalizzazione degli acquisti nella P.A., l'Accordo viene stipulato tra Consip - per conto del Ministero dell'Economia e delle Finanze - e più di un operatore economico. Saranno poi le Amministrazioni, attraverso la contrattazione di "Appalti Specifici", a negoziare i singoli contratti personalizzabili in base delle proprie esigenze.

      La procedura di espletamento della contrattazione attraverso Accordo Quadro, prevede 2 fasi: la prima tra Consip e il mercato della fornitura; la seconda tra le singole Amministrazioni e le imprese aggiudicatarie dell'Accordo Quadro.

[277]  Il D.M. 12 febbraio 2009, in attuazione dell’articolo 2, comma 574 della legge n. 244/2007 ha individuato le seguenti tipologie di beni e di servizi per le quali le suddette amministrazioni statali sono tenute a ricorrere alla CONSIP S.p.A. in qualità di stazione appaltante ai fini, rispettivamente, dell'espletamento dell'appalto e della conclusione dell'accordo quadro, anche con l'utilizzo dei sistemi telematici:

1.       carburanti avio - gara su delega;

2.       ristorazione collettiva - accordo quadro;

3.       trasferte di lavoro - accordo quadro.

      Con specifico riguardo alle tipologie di beni e di servizi per le quali si prevede da parte di CONSIP S.p.A. l'espletamento di una procedura di gara su delega, le amministrazioni statali forniscono al Ministero dell'economia e delle finanze le schede di dettaglio in tempo utile per lo svolgimento delle relative procedure di gara e comunque conformemente alle modalità e ai tempi resi noti mediante pubblicazione sul portale degli acquisti in rete MEF-CONSIP S.p.A.

[278]  Sul sito del Dipartimento per l’editoria sono disponibili i dati relativi ai contributi erogati dal 2003 al 2009.

http://www.governo.it/DIE/dossier/contributi_editoria_2009/contributi_editoria_index.html

[279]  Ora abrogato dal D.P.R. n. 223 del 2010 (v. infra).

[280]  Le spese per interventi di sostegno ai settori dell’informazione e dell’editoria, di competenza del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio, sono attualmente collocate per la gran parte nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (tab. 2), all’interno della missione Comunicazioni (15), Programma Sostegno all’editoria (15.4).

Nel bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2012 (L. n. 184 del 2011) sono complessivamente stanziate per tale programma risorse per 169,3 milioni di euro (nello stanziamento sono incluse, tra l’altro, le spese relative alle agevolazioni tariffarie per l’editoria – cap. 1501 – e le spese di funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – cap. 1575). Ulteriori stanziamenti per interventi nel settore dell’informazione insistono, a partire dal 2009, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico. In particolare, nell’ambito della missione Comunicazioni (15), Programma Servizi di comunicazione elettronica e radiodiffusione (15.8), sono previsti stanziamenti per contributi alle emittenti radiofoniche e televisive in ambito locale, che insistono sul cap. 3121.

[281]  In particolare, l’art. 153, co. 2, L. 388/2000 ha stabilito che le disposizioni di cui all’art. 3, co. 10, della L. 250/1990 si applicano esclusivamente alle imprese editrici di quotidiani e periodici, anche telematici, che, oltre che attraverso esplicita menzione riportata in testata, risultano essere organi o giornali di forze politiche che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o rappresentanze nel Parlamento europeo o siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute, avendo almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento italiano, nell'anno di riferimento dei contributi. Inoltre, il co. 4 del medesimo articolo ha consentito alle imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici, in possesso dei requisiti di cui all’art. 3, co. 10, della L. 250/1990, di costituirsi, entro la data del 1° dicembre 2001, in società cooperative il cui oggetto sociale sia costituito esclusivamente dalla edizione di quotidiani o periodici organi di movimenti politici. A tali cooperative la disposizione prevede che siano attribuiti i contributi di cui all'art. 3, co. 2, della L. 250/1990.

      L’art. 20, co. 3-ter, del D.L. 223/2006 (L. 248/2006), successivamente modificato, ha stabilito che il requisito della rappresentanza parlamentare richiesto dall’art. 153, co. 2, L. 388/2000 non è richiesto per le imprese e le testate di quotidiani o periodici che risultano essere giornali od organi di partiti o movimenti politici che alla data del 31 dicembre 2005 abbiano già maturato il diritto ai contributi.

      L’art. 2, co. 61, della L. 191/2009 (legge finanziaria 2010) ha precisato che anche le disposizioni dell’art. 20, co. 3-ter, del D.L. 223/2006 si intendono riferite alle imprese e alle testate ivi indicate che abbiano i requisiti richiesti, anche se abbiano mutato forma giuridica.

[282]  L’art. 16 ha attribuito al fondo 5.000 milioni per l'anno 2001 e 10.000 milioni per l'anno 2002 prevedendo, per gli anni successivi, che l'ammontare fosse determinato annualmente dalla legge finanziaria in Tabella C.

[283]  Nella seduta delle Commissioni riunite V e VI del 10 dicembre 2011, il primo firmatario di uno dei due identici emendamenti, presentandolo, ha fatto presente che esso “contiene una disposizione di carattere contabile volta a consentire l'effettivo utilizzo delle somme iscritte nel bilancio dello Stato da destinare alla tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli Venezia Giulia”.

http://www.intra.camera.it/_dati/leg16/lavori/bollet/chiscobollt.asp?content=/_dati/leg16/lavori/bollet/framedin.asp?percboll=/_dati/leg16/lavori/bollet/201112/1210/html/0506/

[284]  La sentenza concerne la legge della Regione Piemonte n. 9 del 26 marzo 2009 (Norme in materia di pluralismo informatico, sull'adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione) la quale, tra l’altro, stabilisce che "...la Regione nella scelta dei programmi per elaboratore elettronico, privilegia i programmi appartenenti alla categoria del software libero e i programmi il cui codice è ispezionabile dal titolare della licenza." (art. 6 co. 2°). Il 23 marzo 2010 la Corte, su ricorso promosso dal Governo per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost., ha stabilito che la preferenza per il software libero è legittima e rispetta il principio della libertà di concorrenza precisando che "I concetti di software libero e di software con codice ispezionabile non sono nozioni concernenti una determinata tecnologia, marca o prodotto, bensì esprimono una caratteristica giuridica". In sostanza, secondo la Corte preferire un software libero non viola la libertà di concorrenza, in quanto la libertà del software è una caratteristica giuridica generale e non una caratteristica tecnologica legata a uno specifico prodotto o marchio.

[285]  D.L. 29 novembre 2008, n. 185, recante Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, e convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

[286]  Il citato articolo 21, comma 3, è stato successivamente novellato dall’articolo 1, comma 13, del D.L. n. 138/2011, e dall'articolo 9, comma 1, della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012).

[287]  Recante “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”.

[288]  Tale quota è versata dai soggetti obbligati al pagamento dell'accisa in apposita contabilità speciale aperta presso la sezione di Tesoreria provinciale dello Stato denominata “Accisa sulla benzina da devolvere alle regioni a statuto ordinario”; le relative predette somme sono trasferite mensilmente in apposito conto corrente aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato intestato con la medesima denominazione. La ripartizione delle somme tra Regioni è effettuata sulla base dei quantitativi erogati nell'anno precedente dagli impianti di distribuzione di carburante che risultano dal registro di carico e scarico.

[289]  Recante disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della L. 13 maggio 1999, n. 133.

[290]  D.Lgs. 19 novembre 1997, n. 422, recante “Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

[291]  Le acque protette sono meno esposte rispetto a quelle del mare aperto. Si identificano in relazione alla forza del vento e all’altezza delle onde.

[292]  I regolamenti emanati ai sensi del citato comma 3 dell’articolo 17 possono essere emanati quando la legge espressamente conferisca tale potere e non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione. Sono decreti ministeriali se riguardano materie di competenza di un ministro o di autorità a questo sottordinate. Assumo invece la forma di decreti interministeriali se riguardano materie di competenza di più ministri.

[293]  Legge regionale 9 luglio 1993, n. 30 recante “Modifiche alla L.R. 8 maggio 1985, n. 54 «Organizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale», e successive modificazioni e integrazioni”.

[294]  Legge regionale 30 ottobre 1998 n. 25, recante “Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale”.

[295]  Tali destinazioni vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse. Il successivo articolo 48 della legge n. 222/1985 dispone che le quote dell’8 per mille sono utilizzate: dallo Stato, per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; e dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo. Successive disposizioni legislative hanno previsto che la scelta sulla destinazione dell’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche possa essere effettuata anche a favore di altre confessioni religiose. I criteri e le procedure per l’utilizzazione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale sono disciplinati dal D.P.R. 10 marzo 1998, n. 76, come successivamente modificato dal D.P.R. 23 settembre 2002, n. 250.

[296]  Decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”.

[297]  Il capitolo 2780 è dotato di risorse “rimodulabili”(R).

[298]  Secondo quanto risulta dalla nota di variazione approvata al bilancio di previsione 2012-2014, l’importo della riduzione operata ai sensi del sopra citato art.3 della legge di stabilità 2012 è pari a 15,5 milioni nel 2012, a 2,9 milioni nel 2013 e a 4,9 milioni nel 2014.

[299]  L’art. 7-bis del decreto legge n. 137/2008 ha previsto l’assegnazione al Piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici di un importo non inferiore al 5% delle risorse stanziate per il Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) della legge obiettivo (legge 443/2001) in cui il piano stesso è ricompreso.

[300]  http://www.lincei.it/

[301]  http://www.accademiadellacrusca.it/

[302]  Il decreto chiarisce che l'importo della tabella stabilito per il 2009, pari complessivamente ad € 5.104.356,41 (da imputare sul capitolo 3671), “potrà subire variazioni a seguito delle successive disposizioni legislative”.

[303]  Utilizzo di stanziamenti in conto capitale per finanziare spese correnti.

[304]  Il provvedimento non reca indicazioni circa le modalità attuative di tale spesa (né le stesse sono state evidenziate nella relazione illustrativa di cui era corredato l’A.S. 2665).

      Al riguardo, si ricorda che, nella seduta dell’Assemblea del Senato del 19 aprile 2011, il Governo, accogliendo l’ordine del giorno G1.101 (testo 2), si era impegnato, tra l’altro: ai fini della ripartizione delle risorse di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), a prevedere l'individuazione dei criteri, delle modalità e dei soggetti beneficiari in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari; nella fase dell'attuazione delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), ad acquisire il parere degli enti locali interessati.

     http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=531328

[305]  Con l’ordine del giorno G1.101 (testo 2) accolto nella seduta del 19 aprile 2011, il Governo si è peraltro impegnato a “vincolare alla permanenza presso le sedi di servizio della medesima Soprintendenza il nuovo personale di III area, assunto nell'ambito delle graduatorie in corso di validità, per un triennio dalla data di assunzione”.

[306]  Il MIBAC ha comunicato che, a seguito dell'entrata in vigore della L. di stabilità 2012 (L. 183/2011, art. 24), dal 1° gennaio saranno , attingendo alle graduatorie degli idonei dei concorsi dell'ultimo assunte 308 unità di personale quadriennio (18 dirigenti archeologi, architetti, storici dell'arte, archivisti, bibliotecari e amministrativi, 127 funzionari di diversi profili professionali di cui 22 tra archeologi, architetti e amministrativi da assegnare alla Soprintendenza di Pompei, 106 assistenti alla vigilanza e 57 ausiliari dalle categorie protette). http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_1173753877.html.

[307]  L'art. 3, comma 7, della L. 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall'art. 2 della L. 16 giugno 1998, n. 191, ha disposto che, se due o più candidati ottengono, a conclusione delle operazioni di valutazione dei titoli e delle prove di esame, pari punteggio, è preferito il candidato più giovane di età.

[308]  Decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135.

[309]  Merita ricordare che ulteriori disposizioni in materia di LSU sono contenute anche nei successivi commi 4 e 4-bis dello stesso articolo 33, in relazione, rispettivamente, alla possibilità per i soggetti promotori di LSU di costituire società miste in cui la loro partecipazione sia anche “non maggioritaria”, ai fini dello svolgimento di attività uguali, analoghe o connesse a quelle effettuate nell’ambito di precedenti lavori socialmente utili, nonché la concessione, ai lavoratori impegnati negli LSU e in progetti di pubblica utilità per un periodo superiore a 3 anni di un titolo di preferenza, a parità di punteggio, nei concorsi pubblici banditi fino al 31 dicembre 1998 dalle amministrazioni presso cui prestano servizio e, a parità di professionalità, nelle selezioni effettuate dalle Pubbliche amministrazioni tra gli iscritti al collocamento e alle liste di mobilità.

[310]  Decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario(legge n. 33/2009).

[311]  Si tratta, rispettivamente, degli oneri derivanti dalla graduale riduzione dell’organico complessivo delle Forze armate (articolo 582) in ragione della progressiva professionalizzazione dello strumento militare e degli oneri per le consistenze dei volontari in ferma prefissata e in rafferma (articolo 583.

[312]  Convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

[313]  Indicati all’articolo 5, comma 1, del citato decreto legge 4 luglio 2006, n. 223. Tali esercizi commerciali sono quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettere d), e) e I), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114: esercizi di vicinato, aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti, medie strutture di vendita, gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente e fino a 1.500 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti, grandi strutture di vendita, gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente.

[314]  Previsti all’articolo 8, comma 10, lettera c) della legge 24 dicembre 1993, n. 537. I medicinali venduti negli esercizi pubblici (farmacie, parafarmacie e nella grande distribuzione), escludendo quelli dispensati in regime ospedaliero, i cosiddetti farmaci di classe h, si distinguono in tre classi: a), c) e c-bis), ai sensi dell’articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni. Nella classe a) sono presenti i farmaci essenziali e quelli per malattie croniche, rimborsati dal SSN ovvero acquistabili a totale carico del cittadino, vendibili con o senza obbligo di prescrizione medica, senza pubblicità. Nella classe c) ci sono i farmaci, acquistabili a totale carico del consumatore, senza pubblicità, venduti con o senza obbligo di prescrizione medica. Nella classe c-bis)ci sono i farmaci che possono essere pubblicizzati e senza obbligo di prescrizione medica, i cosiddetti OTC (over the counter).

[315]  Ai sensi dell’articolo 45 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). L’articolo 45 reca la disciplina riguardante le modalità di dispensazione da parte del farmacista delle sostanze comprese nella Tabella II. In particolare le esclusioni dalla vendita riguardano i medicinali che includono le sostanze delle sezioni A-E della Tabella II.

[316]  Ai sensi dell’articolo 89 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE). L’articolo 89 definisce, in particolare, i medicinali soggetti a prescrizione medica da rinnovare volta per volta, quei medicinali che, presentando determinate caratteristiche, possono determinare, con l'uso continuato, stati tossici o possono comportare, comunque, rischi particolarmente elevati per la salute.

[317]  Vedi l’articolo 5 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale)convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

[318]  Senza pretesa di esaustività, si elencano qui di seguito atti normativi recanti disciplina di alcuni ordini professionali:

-        Legge 16 febbraio 1913, n. 89, Ordinamento del notariato e degli archivi notarili;

-        Legge 24 giugno 1923, n. 1395, Tutela del titolo e dell'esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti;

-        R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore;

-        Legge 9 febbraio 1942, n. 194, Disciplina giuridica della professione di attuario;

-        Legge 29 ottobre 1954, n. 1049, Istituzione dei Collegi delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d'infanzia;

-        Legge 3 febbraio 1963, n. 69, Ordinamento della professione di giornalista;

-        Legge 3 febbraio 1963, n. 112, Disposizioni per la tutela del titolo e della professione di geologo;

-        Legge 4 agosto 1965, n. 1103, Regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica;

-        Legge 24 maggio 1967, n. 396, Ordinamento della professione di biologo;

-        Legge 7 gennaio 1976, n. 3, Ordinamento della professione di dottore agronomo e di dottore forestale;

-        Legge 11 gennaio 1979, n. 12, Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro;

-        Legge 18 febbraio 1989, n. 56, Ordinamento della professione di psicologo;

-        Legge 23 marzo 1993, n. 84, Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell'albo professionale;

-        Legge 18 gennaio 1994, n. 59, Ordinamento della professione di tecnologo alimentare.

Si possono segnalare, inoltre, ulteriori atti di rango legislativo riguardanti disposizioni comuni ai vari ordini, ad esempio:

-        Legge 25 aprile 1938, n. 897, Norme sulla obbligatorietà dell'iscrizione negli albi professionali e sulle funzioni relative alla custodia degli albi;

-        Legge 8 dicembre 1956, n. 1378, Esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni.

[319]  L’art. 33, quinto comma, della Costituzione così dispone: «E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale».

[320]  Lo strumento della delegificazione consente che la disciplina di alcune materie sia trasferita dalla fonte legislativa primaria a quella secondaria. La materia è regolata dall'articolo 17, co. 2, della legge n. 400/1988, ai sensi del quale i regolamenti di delegificazione possono essere adottati per la disciplina di materie non coperte da riserva assoluta di legge. Tali regolamenti devono essere autorizzati espressamente dalla legge, che deve altresì individuare le norme generali regolatrici della materia e stabilire l'abrogazione delle norme vigenti con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento. Sullo schema di regolamento è acquisito il parere delle commissioni parlamentari.

[321]  Si ricorda che l'art. 2 del c.d. decreto Bersani (decreto legge n. 223 del 2006) ha già abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto deve essere verificato dall'ordine.

[322]  Trattasi di abrogazione cosiddetta “tacita”, in quanto la norma abrogata non è citata testualmente ma la sua identificazione discende dalla incompatibilità con la norma abrogante, rilevata da qualunque soggetto chiamato ad applicare o interpretare la normativa in questione.

[323]  Si segnala l’analogia fra questa tipologia di restrizione e quella menzionata dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 3 del D.L. 223/2006 sul commercio, la quale escluse la possibilità di imporre alle attività commerciali “il rispetto di distanze minime obbligatorie fra attività appartenenti alla medesima categoria di esercizio”.

[324]  In tal senso va inteso come ultroneo il riferimento alle attività economico di carattere professionale fatto dalla Relazione tecnica nell’illustrare il contenuto dell’art. 34.

[325]  Attuazione direttiva 2006 /123/CE relativa ai servizi nel mercato interno.

[326]  Si veda oltre la relativa scheda in questo dossier di documentazione.

[327]  Il termine di 60 giorni entro cui l’Autorità deve esprimere il proprio parere è stato introdotto durante l’esame nelle Commissioni riunite V e VI.

[328]  Ai sensi dell’art. 2359 c.c. sono considerate società controllate:

1.       le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2.       le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3.       le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

      Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

      Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

[329]  http://www.isvap.it/isvap_cms/docs/F16610/isvcs308.pdf.

[330]  Il regolamento disciplina l'attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa di cui al titolo IX (intermediari di assicurazione e di riassicurazione) e di cui all'articolo 183 (regole di comportamento) del Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209).

[331]  Si veda anche il sito http://www.industria2015.ipi.it.

[332]  Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[333]  Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

[334]  II Titolo V del TUB è stato integralmente sostituito dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, volto a recepire la direttiva 2006/48/CE sui contratti di credito ai consumatori e modificato dal D.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218.

[335]  Regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), in particolare il comma 3 dell’articolo 109.

[336]  Il citato comma 3-bis era stato recentemente introdotto dall’art. 6, comma 2, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia) convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106.

[337]  D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[338]  D.L. 25 giugno 2008, n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133.

[339]  In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 9 luglio 2008, Modalità di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina del relativo regime transitorio. Il D.M. è stato pubblicato nella Gazz. Uff. 18 agosto 2008, n. 192.

[340]  L. 5 gennaio 1953, n. 4, Norme concernenti l'obbligo di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori a mezzo di prospetti di paga.

[341]  L. 18 dicembre 1973, n. 877, Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio.

[342]  Si segnala che in materia è stata presentata la proposta di legge A.C. 4574, attualmente all’esame della Commissione trasporti, che prevede l’accorpamento delle attività di meccanica e motoristica da una parte e elettrauto dall’altra. L’attività risultante dall’accorpamento dovrebbe assumere la denominazione di meccatronica.

[343]  http://www.zenomoretti.com/rifiuti/Il_registro_dei_rifiuti_.pdf

[344]  Ossia, sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto, ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore.

[345]  Fra gli altri, dati anagrafici, familiari, lavorativi.

[346]  Le iniziative che ai sensi del comma 554 della legge finanziaria per il 2008 vengono finanziate con le risorse rivenienti dalle revoche ex legge n. 488/1992 sono le seguenti:

-        programma nazionale destinato ai giovani laureati residenti nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia), finalizzato a favorirne l’inserimento lavorativo, con priorità ai contratti di lavoro a tempo indeterminato;

-        costituzione di un Osservatorio sulla migrazione interna, per il monitoraggio della mobilità dal sud verso il nord del Paese e per favorire i percorsi di rientro;

-        agevolazioni alle imprese innovatrici in fase di avvio, mediante riduzione degli oneri sociali per tutti i ricercatori, tecnici e altro personale ausiliario impiegati a decorrere dal 2007;

-        sviluppo di attività produttive previste da accordi di programma in vigore, nonché programmi di sviluppo regionale e interventi finalizzati alla costruzione di Poli di innovazione nelle regioni Abruzzo, Molise, Sardegna e Basilicata;

-        creazione di un “Fondo per la gestione delle quote di emissione di gas serra di cui alla direttiva 2003/87/CE”, da destinare alla "riserva nuovi entranti" dei Piani nazionali;

-        proroga per il 2008, 2009 e 2010 della deduzione forfettaria dal reddito d'impresa in favore degli esercenti impianti di distribuzione di carburanti;

-        sostegno dell’attività di ricerca nel sistema energetico e di riutilizzo di aree industriali, in particolare nel Mezzogiorno.

Ulteriori destinazioni delle risorse revocate ai sensi del comma 554 sono previste dalla legge n. 99/2009, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, all’articolo 2, commi 12-14. Si tratta di una serie di interventi individuati dal Ministero dello sviluppo economico, in relazione alle seguenti aree o distretti di intervento:

-        internazionalizzazione, con particolare riguardo all’operatività degli sportelli unici all’estero e all’attivazione di misure per lo sviluppo del «Made in Italy», per il rafforzamento del piano promozionale dell’ICE e per il sostegno delle esportazioni (art. 2, co. 12, lett. a);

-        incentivi per attivazione di nuovi contratti di sviluppo, di iniziative in collaborazione tra enti pubblici di ricerca, università e privati, nonché di altri interventi a sostegno delle attività imprenditoriali, comprese le iniziative a gestione prevalentemente femminile (art. 2, co. 12, lett. b);

-        progetti di innovazione industriale (art. 2, co. 12, lett. c);

-        interventi nel settore delle comunicazioni, con riferimento alle esigenze connesse con lo svolgimento del vertice del G8 da tenere in Italia nel 2009 (art. 2, co. 12, lett. d);

-        incentivi per la riorganizzazione dei processi produttivi dei sistemi di impresa nei distretti industriali, garantendo parità di accesso alle piccole e medie imprese e ai loro consorzi (art. 2, co. 12, lett. e);

-        sostegno al riutilizzo di aree industriali destinate al progressivo degrado per le quali sia già stato predisposto un nuovo progetto di investimento industriale finalizzato alla internazionalizzazione dei prodotti, alla ricerca scientifica e alla tutela dell’ambiente (art. 2, co. 12, lett. f);

-        accrescimento della competitività, con particolare riferimento alle iniziative per la valorizzazione dello stile e della produzione italiana sostenute dal Ministero dello sviluppo economico (art. 2, co. 12, lett. g);

-        sostegno, riqualificazione e reindustrializzazione dei sistemi produttivi locali delle armi di Brescia e dei sistemi di illuminazione del Veneto mediante la definizione di accordi di programma, fino al limite di 2 milioni di euro per ciascuno dei due distretti indicati (art. 2, co. 12, lett. h);

-        interventi individuati dal Ministro dello sviluppo economico per il mantenimento dell’operatività della rete estera degli uffici dell’Istituto nazionale per il commercio estero (art. 54).

[347]  Per quanto concerne, in particolare, le infrastrutture strategiche, si segnala che le Commissioni ambiente e trasporti hanno espresso un parere favorevole sullo schema di decreto ministeriale diretto a consentire il ricorso al Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente, conseguenti all’utilizzo, mediante operazioni di attualizzazione, di contributi pluriennali per la realizzazione di interventi infrastrutturali nei settori dei trasporti stradali, portuali e ferroviari (Atto n. 179) nella seduta del 26 gennaio 2010.

[348]  La legge è stata infatti abrogata dall'art. 166 del D.Lgs. n. 490 del 1999, ad eccezione dell'art. 2. Il comma 1 dell'art.1 del D.Lgs. n. 179/2009,in combinato disposto con l'allegato 1, ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore dello stesso art. 2.

[349]  La norma fa eccezione per gli stanziamenti destinati a finanziarie le spese della categoria economica 1 “redditi da lavoro dipendente” in quanto spese a carattere obbligatorio e perciò inderogabili.

[350]  Il comma 617, articolo 2, della legge finanziaria per il 2008 fissa in particolare tale obiettivo di risparmio pari a 300 milioni di euro.

[351]  Si segnala che il limite pertanto rimarrebbe per gli altri riferimenti normativi elencati al predetto numero 14 rubricati come:

-        Legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 3, comma 83 (che riserva al MIBAC una quota degli utili derivanti dall’estrazione del gioco del lotto ai fini del recupero e della conservazione dei beni culturali);

-        Decreto del Presidente della Repubblica 29 maggio 2003, n. 240, articolo4, comma 3 (che destina alle soprintendenze interessate le entrate derivanti da proventi diversi che vengono riscossi dalla banca che gestisce il servizio di tesoreria);

-        Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 110 (in materia di incassoe riparto di proventi derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso agli istituti ed ai luoghi della cultura.)

[352]  Pubblicato nella G.U. 5 gennaio 2009, n. 3.

[353]  Il testo è disponibile sul sito del RID al link www.registroitalianodighe.it/Leggi/22806.html.

[354]  Si ricorda che tale lettera è stata abrogata dall’articolo 4, comma 2, lettera i-ter), del D.L. 70/2011. Analoghe disposizioni sono comunque contenute nel comma 3-bis dell’articolo 86 dello stesso provvedimento, comma aggiunto dal comma 909 dell'articolo 1 della L. 296/2006, e successivamente sostituito, con i commi 3-bis e 3-ter, dall'articolo 8 della L. 123/2007.

[355]  Sempre lo stesso documento ricorda come la disciplina previgente imponesse, in fase di progettazione, la definizione del costo della manodopera e della sicurezza, attraverso voci di costo da indicare esplicitamente negli elaborati di progetto, e, in fase di valutazione dell’anomalia delle offerte, richiedesse altresì la verifica di congruità di tali voci, fornendo i parametri di riferimento da utilizzarsi, per la conduzione della verifica, per il solo costo del lavoro. Più specificamente, in fase di verifica di congruità dell’offerta, l’Amministrazione doveva «valutare che il valore economico fosse adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza» e a tal fine richiedeva che lo stesso dovesse essere specificatamente indicato. Infine, venivano indicati i parametri di riferimento per la individuazione di valore mediante rinvio a tabelle da predisporre da parte dei Ministeri competenti, e quindi non in modo specifico con riferimento al contratto posto in gara.

[356]  Il comma in oggetto fa riferimento anche all’IPSEMA, istituto attualmente soppresso e confluito nell’INAIL ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del D.L. 78/2010, convertito dalla L. 122/2010.

[357]  R. De Nictolis, “Le novità dell’estate 2011 in materia di pubblici appalti”, in: Urbanistica e appalti n. 9/2011.

[358]  La legge n. 106/2011, di conversione del decreto legge n. 70/2011, è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U. del 12 luglio 2011.

[359]  A questa definizione il legislatore nazionale si è adeguato con il decreto dell’allora Ministro delle attività produttive del 18 aprile 2005.

[360]  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 25 giugno 2008 “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa) [COM(2008) 394 def. - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale].

[361]  Per approfondimenti, si rinvia al tema dell’attività parlamentare curato dal Servizio Studi e disponibile al link http://www.camera.it/465?area=21&tema=385&Statuto+delle+imprese.

[362]  Si veda L'Italia incompiuta, di R. Bocca (18 marzo 2010, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/litalia-incompiuta/2123325), nonché Il Quotidiano di Sicilia del 3 marzo 2011 (www.ancecatania.it/system/files/2011-03-03%20ance%20sicilia.pdf).

[363]  Si segnala che gli strumenti attuativi dei piani urbanistici si riferiscono al Piano Regolatore Generale (PRG) del quale ne precisano gli interventi sul territorio e ne organizzano l’attuazione. A titolo indicativo i principali piani attuativi variamente denominati sono: i piani particolareggiati (di iniziativa pubblica o privata); i piani di zona; i piani di lottizzazione; i piani per l'edilizia economica e popolare; i piani delle aree da destinare agli insediamenti produttivi; i piani di recupero di iniziativa pubblica o privata.

[364]  L’art. 57, comma 6, del Codice richiama i principi comunitari di trasparenza, concorrenza e rotazione che formano parte integrante di tale procedura: esso prevede infatti che la stazione appaltante individui gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico-finanziaria e tecnico- organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona almeno tre operatori economici che vengono invitati a presentare le offerte oggetto della negoziazione. La stazione appaltante sceglie quindi l’operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa, previa verifica del possesso dei requisiti.

[365]  Si veda la determinazione 16 luglio 2009, n. 7 dell’Autorità di vigilanza per i contratti pubblici, circa la delegabilità alla parte esecutrice delle formalità di comparazione delle offerte.

[366]  http://www.mit.gov.it/mit/site.php?p=cm&o=vd&id=1976

[367]  Si tratta, come segnalato dalla relazione tecnica al citato D.L. n. 98/2011, degli interventi già individuati con le delibere CIPE del 18 novembre 2010:

-        n. 83: Potenziamento dell’asse ferroviario Monaco - Verona: Galleria di base del Brennero;

-        n. 84: Linea AV-AC Milano – Genova: Terzo valico Dei Giovi;

-        n. 85: Linea AV-AC Milano - Verona: Tratta Treviglio – Brescia.

[368]  Il contratto di programma tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana S.p.A. individua gli investimenti necessari allo sviluppo ed al mantenimento in efficienza dell’infrastruttura ferroviaria e gli oneri di gestione della medesima posti a carico dello Stato.

[369]  Il contratto di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l’ANAS è l’atto che regola i rapporti tra il primo, quale amministrazione concedente, e la seconda, quale società concessionaria, in ordine agli investimenti per la realizzazione di nuove opere e la manutenzione della rete stradale di interesse nazionale.

[370]  In particolare le disposizioni statutarie sono le seguenti: per la Sicilia l’ articolo 2 del D.P.R. n. 1074/65, stabilisce che spettano allo Stato le «nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime». La 'riserva all'erario' e insieme la necessità di un accordo tra il Governo e la Regione (o provincia autonoma) per determinare l'ammontare della riserva, è contenuta nelle seguenti norme: per la Valle d’Aosta dispone in tal senso l’articolo 8 della legge 690/1981; per il Friuli-Venezia Giulia è prevista dall’articolo 4, commi 1 e 2, lettera a) del D.P.R. 114/1965 (come modificato dal D.Lgs. 8/1997); per la Regione Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, dispongono in proposito l’articolo 9 e l’articolo 10, comma 7, lettera a) del D.Lgs. 268/1992. Né lo statuto della Regione Sardegna, né le norme di attuazione, invece, recano una disposizione che preveda specificamente la riserva all’erario. Tuttavia, sulla base dell’articolo 54, quinto comma, dello statuto della Regione Sardegna (L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 3) che stabilisce che le disposizioni sull’ordinamento finanziario della regione (Titolo III) «possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la Regione», la Corte costituzionale ha ritenuto che le riserve si applicano correttamente se si procede preventivamente alla specifica consultazione (così C. Cost. sentenza 11 giugno 1993, n. 363, interpretativa in favore della Regione, in relazione al ricorso avverso il D.L. n. 384/1992).